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Colombia
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Cenni introduttivi sulla Colombia
Un po' più di 1.140.000 kmq e quasi 40 milioni di abitanti
(stima 1999). 3800 km di coste meravigliose su due oceani, 7800
km di confini di terra con Venezuela, Brasile, Perù,
Ecuador e Panama, dal quale la separa la barriera di inospitali
distese paludose e dense foreste pluviali del Darién. Un
paradiso terrestre, con la più ricca avifauna del mondo
(oltre 2000 specie di uccelli sulle 8000 conosciute), e una
natura fantasticamente varia: foreste di pianura e di montagna,
savane, vulcani, montagne di oltre 5000 metri, fiumi, lagune,
paludi e persino un deserto nella penisola di Guajira. E' la
terra dell'El Dorado, degli smeraldi e dell'oro - vera ossessione
dei primi spagnoli arrivati all'inizio del Cinquecento sulla
costa caraibica.
E' la Colombia, un paese di antica cultura e di contrasti
terribili, ben evidenti nella capitale Bogotà, il centro
geografico del paese: un cuore di livello europeo (il quartiere
storico della Candelaria, le grandi librerie, le banche, il Museo
del Oro), un parco nazionale interno alla città, i country
club nei sobborghi di lusso - e poi le periferie invivibili, le
baraccopoli, i bambini di strada, le enormi discariche a cielo
aperto. Indipendente dal 1819, con una storia di governi civili e
di elezioni regolari e con istituzioni formalmente democratiche,
la Colombia ha dal 1991 una nuova Costituzione che ha unificato
le cariche di presidente della repubblica e capo del governo
(l'incarico dura 4 anni). Il PIL pro-capite è di circa
6.600 dollari all'anno, l'economia è discretamente
fiorente grazie all'esportazione di petrolio, gas, carbone,
smeraldi, caffè, fiori (senza contare la cocaina e
l'eroina, di cui diremo più sotto), e - caso raro per
l'America Latina - la Colombia ha un basso indebitamento
estero.
Ma i problemi sono immensi: la Colombia è un paese con
scandalose disuguaglianze, in cui 8 milioni di persone (20%)
vivono nella povertà estrema, e in cui il reddito del 10%
più ricco è 133 volte superiore a quello del 10%
più povero. Ed è anche un paese da decenni
straziato da una interminabile guerra civile. Forse, al giorno
d'oggi, si addice più a lei che ad altri paesi
latinoamericani la famosa, desolata constatazione: "così
lontana da Dio e così vicina agli Stati Uniti". La guerra
interna ha radici lontane. Iniziata nel 1948 con l'assassinio a
Bogotà del dirigente di sinistra Jorge Gaitán, "la
violencia" - il cruento (300.000 morti) scontro fra i due
principali partiti politici, il liberale e il conservatore -
finì nove anni più tardi con una precaria
riconciliazione nazionale.
Ma essa fu solo l'avviso di uno sconvolgimento interno permanente
- secondo Noam Chomsky - ampiamente fomentato da continue
interferenze e intromissioni dei governi americani, da Kennedy in
poi, nel nome della "Dottrina della sicurezza nazionale" e della
lotta al pericolo comunista. Nei tempi più recenti, questa
vera e propria guerra civile ha visto e vede opposti, in un gioco
terribile e sempre più distruttivo di ogni diritto umano,
l'esercito nazionale, le forze paramilitari e diversi movimenti
di guerriglia, tra cui l'M-19 (che cessa le attività
militari nel 1988), l'EPL (il cui ramo principale le cessa nel
1991), e i due oggi più importanti, ben radicati e ancora
in piena attività, forti di circa 30.000 uomini armati: le
FARC-EP (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane-Esercito
Popolare), operanti prevalentemente nel sud del paese, e
l'UC-ELN(Unione Camlista-Esercito di Liberazione Nazionale), nel
nord-est.
Entrambi i movimenti sono nati nel 1964 a distanza di pochi mesi
l'uno dall'altro, differente l'impostazione sia ideologica che la
politica nei confronti degli stupefacenti: le FARC si dichiarano
una guerriglia d'impostazione marxista-leninista, favorevoli alla
legalizzazione del commercio degli stupefacenti; l'ELN è
stata fondata da un prete, dichiara di avere un'impostazione
cattolico-guevarista ed è totalmente contraria al consumo
e commercio degli stupefacenti. Grazie a questo scontro interno,
la Colombia è un paese in cui, secondo Amnesty
International e altre organizzazioni, fra il 1985 e il 1999
almeno 1.700.000 persone hanno dovuto fuggire dalle campagne
verso le città, abbandonando case e beni, spinte dalla
violenza e dai massacri: la situazione peggiore al mondo dopo
Sudan e Angola. E ancora grazie a questo scontro interno, la
Colombia è diventata anche uno dei paesi con il più
alto tasso di violenza e di omicidi al mondo, specie negli ultimi
vent'anni in cui il grande traffico della droga - a partire dai
famosi cartelli di Medellín e di Cali - ha conquistato a
suon di dollari e di raffiche di mitra potere economico e potere
politico, e ha contribuito ad aggravare enormemente le già
grandi tensioni del paese. Non solo il tasso di omicidi è
oggi arrivato a 89,5 omicidi all'anno ogni 100.000 abitanti (con
punte di 200, come nella regione del Magdalena Medio), ma la
Colombia è anche il paese con forse il maggior numero in
assoluto di assassinii di sindacalisti, politici, attivisti dei
diritti umani e giornalisti. Un paese dove si gira sempre armati
e - chi può e si trova in una posizione anche minimamente
esposta - solo in auto blindata e con guardaspalle dotati di
mitragliette Uzi.
In Colombia il sequestro e l'omicidio politico, la sparizione, la
deportazione, la tortura, i massacri e persino il vero e proprio
genocidio politico sono stati negli ultimi decenni una costante.
Tutti delitti regolarmente impuniti e anzi, nemmeno formalmente
condannati dalla legge perché una condanna formale - come
ha recentemente dichiarato il governo del presidente Pastrana -
potrebbe "impedire il compimento delle funzioni costituzionali
della forza pubblica". Del resto, la Colombia è un paese
dove il governo centrale non controlla nemmeno il 40% del
territorio nazionale, mentre il resto è nelle mani dei
movimenti guerriglieri, dei narcotrafficanti, o dei gruppi
paramilitari. Un paese dove, più o meno come in Russia,
pochi profittatori ben ammanicati hanno potuto arraffare i
miliardi della privatizzazione dei settori produttivi pubblici.
Un paese dove, assai più che in altri, le leggi sono solo
quello che materialmente sono: parole scritte sulla carta. E la
cosa più assurda è che poi, nelle parole di Maria
Cristina Cabarellero, "tutte le fazioni [si intende movimenti di
guerriglia e organizzazioni paramilitari, NdR] si batterebbero a
favore di un progetto nazionale praticamente simile. Tutte
denunciano l'ingiustizia sociale, l'abbandono della popolazione
da parte dello stato, l'assenza di riforma agraria e di
redistribuzione delle ricchezze". Tutti d'accordo, e tutti in
guerra con tutti. Infinito paradosso Colombia.
E veniamo al vero grande problema del paese, quell'imbroglio
inestricabile che si chiama narcotraffico, riforma agraria,
paramilitari, guerriglia e intervento americano. La Colombia era
un tempo produttrice essenzialmente di ottimo caffè e
ottima marijuana. Il boom della cocaina negli Stati Uniti,
iniziato a fine anni '70, la trasformò, grazie alla sua
posizione strategica e ai suoi legami internazionali, dapprima in
paese "raffinatore" ed esportatore di cocaina, e poi anche in
grande produttore di foglia di coca (nonché di papavero da
oppio). Fra le ragioni di questa conversione, non vanno
dimenticati due fatti importanti. Che fin dagli anni '70, la
marijuana (la famosa Colombian Gold) conobbe un crollo della
domanda estera grazie al boom della coltivazione domestica di
Cannabis in California e altri stati USA. E che in seguito, nel
1989, su pressione degli USA (che, nel loro solito stile,
denunciarono "violazioni degli accordi commerciali") venne
improvvisamente sospeso l'accordo internazionale sul
caffè, la più importante voce di esportazione
colombiana. In due mesi, il prezzo del caffè crollo di
oltre il 40%, provocando in Colombia una gravissima crisi del
settore, che non si sarebbe mai più ripreso.
Naturalmente, il presidente Bush non si pose neanche il problema
dal punto di vista della Colombia. Anzi, sia Bush che il suo
simpatico successore non si preoccuparono minimamente delle
ragioni dei campesinos colombiani, pericolosi complici della
guerriglia comunista che minacciava troppo da vicino (solo 5 o
6.000 chilometri) il cortile dello zio Sam. Per cui, invece di
impostare un inutile e costoso sistema di aiuti allo sviluppo, si
dedicarono alla sconfitta della droga manu militari. Ovvero, si
misero solo a inondare campagne e villaggi di tonnellate di
diserbanti che non guardavano troppo per il sottile e
distruggevano pomodori, insalata e frutta insieme a coca e
papaveri. In effetti, una delle caratteristiche più
aberranti della politica USA della droga è questa
insistenza sull'intervento distruttivo contro i paesi produttori
di "droghe" - nello stile profondamente eco-incompatibile
già visto in Vietnam - invece che su un intervento
più costruttivo di informazione e di riduzione della
domanda in casa propria. Senza l'inesauribile domanda interna USA
di cocaina ed eroina, la Colombia non sarebbe infatti mai
diventata quello che oggi, tutto sommato per sfortuna sua e dei
suoi cittadini più poveri, è: il più
importante produttore di cocaina, e il secondo produttore di
eroina al mondo.
All'alba del 2000 la Colombia, incapace di liberarsi delle
pressioni del Grande Fratello nordamericano, non riesce a
districarsi nel maledetto imbroglio in cui è finita. Del
resto, come abbiamo visto, troppe persone a tutti i livelli e in
tutti i settori chiave del paese traggono profitto dalla
situazione. I molti dollari del narcotraffico vengono più
o meno equamente divisi fra tutti quelli che contano: i movimenti
guerriglieri (la FARC nel caso specifico), le organizzazioni
paramilitari, l'esercito, le oligarchie economiche e politiche, e
nel suo piccolo - come rivelato da un recente, imbarazzante
episodio - persino la moglie del responsabile antidroga
dell'ambasciata degli Stati Uniti a Bogotà. E' difficile
dire se il presidente Pastrana era sincero nelle sue intenzioni -
e/o fiducioso nelle sue possibilità - quando avviò,
nel gennaio 1999, un "dialogo di pace" diretto con il comandante
delle FARC, Manuel Marulanda Vélez, detto Tirofijo (tiro
preciso). Certo, la "zona smilitarizzata" (nel senso che
l'esercito nazionale ne è stato ritirato) di 42.000 kmq
nel sud del paese, appena creata nell'area controllata dalle
FARC, è il primo risultato di questa trattativa.
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