IL CASTELLO CECONI

L’edificio, monumento all’opera del munifico benefattore della Val d’Arzino, ora di proprietà pubblica, dopo numerosi restauri conservativi, è in attesa di una adeguata e definitiva destinazione, che possa essere da traino allo sviluppo del turismo in tutta la valle.

   

   
 

I testi di questa presentazione sono liberamente tratti dal volume "Giacomo Ceconi un impresario friulano" di Lucia D’Andrea e Alessandro Vigevani, edito dalla Camera di Commercio di Udine (1994).

   

   

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Il castello visto da Pielungo

Il cancello di accesso al viale.

 

La facciata principale con in primo piano la fontana.

Particolare dell'affresco opera del pittore Barazzutti di Gemona.

L’area delle scuderie, crollate col sisma del 1976.

Il conferimento del titolo di conte della Corona d’Italia richiedeva, secondo una tradizione ormai secolare, che Giacomo Ceconi erigesse una residenza dalle caratteristiche e dalle proporzioni di un castello. Si trattò di una villa che negli intenti del Ceconi avrebbe dovuto tenere legati i suoi discendenti alla natale Pielungo. Per i lavori dell'edificio (in Val Nespolaria) Giacomo Ceconi si trattenne sempre più frequentemente e sempre più a lungo nel suo borgo natio (1890-1908) per attendere alla progettazione e alla costruzione di tale sua residenza nobiliare, non mancando pure di adoperarsi nel contempo anche per il suo paese. Nella costruzione della favolosa villa padronale che sorge ai margini del paese, il Ceconi palesò tutta l'ingenua ammirazione dell'uomo privo di cultura per alcune personalità, come ben osserva il Filipuzzi, fra loro slegate e quasi isolate; lo dimostrano le statue di quattro poeti, due vissuti nel '300 e due nell'età rinascimentale: Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, statue erette a decorare la facciata del palazzo. Il castello Ceconi, bizzarra e imponente costruzione neo-gotica dallo stile eclettico con venature di liberty e dai riflessi medioevali e rinascimentali, presenta merlature e balconi gotici accanto a finestre rettangolari. I loggiati dalle calde tonalità cromatiche fanno da contrappunto agli affreschi che si snodano lungo le due ali del palazzo e a quelli inseriti nelle lunette dei finestroni gotici. Accanto alle figure del genio italiano, nonché friulano (otto emblemi dell'amor patrio del Ceconi, uomo che visse lontano dal proprio paese), vi è un unico straniero: George Stephenson, l'inventore della locomotiva. Nelle due lunette delle finestre, situate ai lati dell'ingresso principale, si trovano gli affreschi, a sinistra di Stephenson e a destra di Alessandro Volta. Le due personalità geniali e scientifiche, forse le uniche che presentino un reale significato e un aggancio con l'operato del Ceconi, affiancano la raffigurazione della Madonna con Bambino, sopra il portale principale. Nell'ordine superiore, sopra le tre finestre del primo piano sono raffigurate Irene di Spilimbergo e, per l'esigenza di una sorta dl simmetria femminile, Vittoria Colonna. Tra le due figure muliebri trova posto nella lunetta centrale Leonardo da Vinci, ivi collocato senz’alcun apparente collegamento. Uno degli imponenti torrioni merlati reca l'effigie di Alessandro Manzoni. Fra le torri la più alta e sottile era stata così concepita per accogliere una campana che era servita nei cantieri per chiamare a raccolta gli operai. Il piazzale antistante al palazzo si apre imponente fra i boscosi pendii montani. Tale piazzale viene impreziosito da una fontana in cemento, a forma circolare e a due piani concentrici. L'elegante fontana fu oggetto di contesa tra un alpigiano, un certo Nànol ed il Conte. La disputa finì davanti a un pubblico ufficiale: l'uomo ottenne il diritto di passaggio nel cortile del castello per portare la propria mandria ad abbeverarsi alla fontana. Il castello veniva riscaldato a legna; un certo Florio era addetto all'alimentazione delle enormi stufe di maiolica che si trovavano in ogni stanza. L'illuminazione era, invece, ad energia elettrica, ricavata dalla centrale presso il torrente Arzino, ove, attraverso delle tubature a condotta forzata, giungeva l'acqua dell'acquedotto "Agaviva". Nei sotterranei del castello vi erano dei forni per cuocere i cibi secondo la più schietta tradizione austriaca. Il Ceconi aveva poi designato una stanza del castello a museo, in cui conservava gelosamente, accanto agli arnesi da muratore, usati in gioventù, disegni dei lavori eseguiti, dediche, medaglie, pergamene e diplomi ricevuti e anche ritratti di maestranze e di ingegneri con i quali aveva collaborato durante la sua lunga attività imprenditoriale. Dopo l'ultima guerra l'edificio venne ceduto all'Ente Provinciale di Economia Montana; a detto ente la famiglia Ceconi aveva già devoluto tutto il terreno boschivo, acquistato e ripopolato dal conte. L'ente pubblico provvide all'opera di restauro del palazzo, che tuttavia ebbe a subire nuove mutilazioni a seguito del terremoto.

Nella panoramica, realizzata prima del ‘76, si possono ancora notare gli edifici adibiti a scuderie (sulla sinistra) e la cappella di famiglia (sulla destra).