Giorgio Rossetti

Vorrei presentare una lettera non in gergo, ma in dialetto di Varzo, scritta nel 1941 da Giorgio Rossetti alla madre, quando faceva il militare. Giorgio Rossetti, detto Gino, nato a Varzo nel 1920, morto in circostanze tragiche nel 1958, sempre a Varzo. La lettera mi e' stata gentilmente fornita , con il permesso di pubblicarla, dalla figlia Laura che me l'ha letta poi con la pronuncia e gli accenti giusti. La scrittura dell'originale e' chiara e nitida. Racconta dei suoi problemi di vita militare, richiede notizie dal paese, chiede di interessarsi di soldi da riscuotere.

Guido Pedrojetta, professore di lingue e dialettologia all'Universita' di Friburgo, a cui l'ho sottoposta, la giudica e mi scrive: "documento prezioso e forse quasi unico di scambio epistolare familiare in puro dialetto. Il "rispetto dell'originale" porta penso io a riprodurre dapprima come ti ho detto in forma diplomatica, cioè esattamente corrispondente all'originale, più una sbarra per gli accapo e due sbarre per il cambiamento di pagina. Poi eventualmente, per le parole problematiche, se non per tutto il testo che è, penso, comprensibile al 95 per cento per un dialettofono indigeno, potrai mettere in forma interpretativa cioè più chiara (per esempio scrivendo le parole agglutinate tipo - invento l'esempio - "tapensi" per "ti penso", in forma più parlante: ta pensi", come effettivamente è in lingua."

Segue quindi la trascrizione diplomatica, senza la forma interpretativa, perche' mi sembra molto intelligibile, con l'accorgimento che una persona ascolti senza vedere il testo ed essere disturbato dalla grafia, mentre un'altra lo legge esattamente come e' scritto. Come dice il testo " su capimi mia tut, af scrivaro' in Italian, ma uili' be' capi', va!"

La grafia non segue forme specialistiche standardizzate, da dialettologo, quindi il testo va letto come in italiano, con qualche accorgimento riportato in fondo. Giorgio Rossetti aveva fatto la quinta elementare, presumibilmente scriveva correttamente in Italiano, la sua grafia rappresentava quindi il modo di scrivere che riteneva opportuno per farsi comprendere da una persona che ovviamente era padrona del dialetto.

Non tutte le parole tronche hanno indicato l'accento ("cia" si pronuncia con l'accento tonico sulla a, similmente "lunasdi" con l'accento sulla i).

Busolegn 30-1-41 A XIX

Oi da cia qu fef? / Avegni qum al solit buciari', tant par fe / pase' un pol temp, avo' scric lunasdi speri che / uiavri' ricevu' no? Mi asum qua' sempar / al solit post, a continui a fe' ul solit lavor, / e asum giusta augnu' ista dal servizi, e aio' duvu' qunse' tut una tascia dul pastragn, che / alo' strascia in tuna maneta dlusc, a. a. / che barba su fis a esa a cia', quisti lavor / i sresin mia par mi e'? insuma fign che / asim qua' a farem tut cusa ui vol. / Alura qum i van sti puntur? ui mumenti / finii'? ustei puse' begn? Iumin i van a laure? / Mandei po' subit a laure' in ca Geni pal vost / spirat, che insi' u turnei po arcada e' ? / Ciuref par begn e pensei mia tanci cos. / Mi estai be begn, ma aio' mi, e tut ieut // una sfugaziugn par la vita, tut piegn at / brusciulit, che noia chin dan! L'aut di' aio' / be' tlec una grosa purga, credentan che laures po' fam tant begn, invece lama' propi / fac ma ciaie', a. a. a . ... / A marcares be' visita ma aio' poria, che / pos da perda ul post, ma se avegi che i / pasin mia! avoi si ubligou e po' cla vaia / qum la vol, prima di tut uie' la pliscia no ? / Ul temp qua' afe' senpar balort parec, o chu' / fioca, o chu baiorda, o la nebia basa che squas / us vec gnianca dua usva', ma quant usra' / po' stufi da fe brut, uignira' in cal bel no? / e quant isran stufi da tegnam qua' in / mandaran a cia' ? chisa'? / Oo'! unauta cosa che minteresa inca. quii' / sool ca feva dic da ne in qumuna a / toi, par quii' di ca a sum stac a cia' / u si nec ?? i fian dec ?? femul save' che / alin hui in ca par noi, alin 72 franc, se // i pain tut 12 di', sadanu' i duuresin esa 60 / insuma bui in ca lor no? / A! Mama uili inco' tut i meis col libretign / dla Gesa at Vars, chu parla at tut i buciari' / dul mes, e cale' fign scric un po' indverugn? / Uili' inment? ale' col intitulou Bolettino della / Parocchia di Varzo disegnato da Remi Paggi. / Ebe' suili mandemul che aio' la curiosita' / da vegia un po' du quel stori, chredi che / um fari' quest piase' no? / Ades a ! pianti indo', parche' asum be' sicur / chu si scia' bela' che stufi a lenscia questi / buciari', e su capimi mia tut, af scrivaro' / in Italian, ma uili be' capi va! E scrivi' / svenz sadanu' avegni balort mi quansi' / astai alegar ma quant aricevi posta / Ista a pianti propi indo' / af saludi tuti propi com tut ul cor / af mandi un munt at bascit / Vost areei Gino / ciau stei begn e scrivi' //

Qualche nota:

buciari' = stupidate
qunse' = cucire
leggere "s" davanti a consonante, o in finale di parola, ", o anche in "subit", come "sh"
leggere "c" finale come "leccio"
svenz = sovente
u si nec = dove siete andati
Geni era il fratello Eugenio, guardia comunale a Varzo
spirat = giudizio
alin bui = sono buoni
suili' = se volete
areei = figlio
qualche "u", non indicata con segni particolari, va pronunciata con la dieresi, come diceva il Savaglio nel suo "Dvarun" del 1911, " Ü con due punti sopra si pronuncia come in tedesco che non si pronunzia in italiano, ma poco presso come dicono i carrettieri ai loro cavalli per farli andare: ü".

Esempi di parole agglutinate:

uiavri' = ui avri'
Iumin = i umin
lama' = la m'ha
cale' = ca l'e'

Buona lettura