Il BadaliscFuochi di San GiovanniCarnevaleCapodannoSanta LuciaRiti di primaveraMatrimoni Cò de mort  
Home Frames No frames

IL BADALISC

La nota caratteristica di Andrista è il rituale del Badalìsc, mostro draghesco erede di culti ancestrali. Il rito è ripetuto ogni anno in forma di festa ancor oggi, nella notte che precede l'Epifania.

Incisa sopra una pietra si trova una strana figura antropomorfa, con piccole corna, posta sopra una specie di calderone;  La tradizione vuole che le donne spruzzino acqua santa nei cortili e nelle stalle prima del passaggio del mostro, per proteggerli da esso: spesso il serpente, divinità ctonia, legata alla terra, è legato al culto dell'acqua. 

Nel suo Bestiario, Leonardo da Vinci lo considera la rappresentazione della crudeltà: "Il basalischio è di tanta crudeltà che quando colla sua venenosa  vista non po occidere li animali, si volta all'erbe e le piante e fermando in quelle la sua vista, le fa seccare". In una leggenda veneta "...il basilisco era una biscia, grossa, con la testa come un gallo, munita di cresta e quando passava, bruciava l’erba. Aveva come fuoco in bocca e tutti avevano paura. Si metteva sui muretti, dove c’era un buco. Andava là a nascondersi e quando passava qualcuno soffiava". 

i giovani lo legano e lo trascinano con le corde il B entrava nelle stalle cacciando antifone contro ingenui, sprovveduti e disonesti scoprendo gli intrallazzi sconosciuti  si tenta di catturarne la benevolenza con l'offerta di cibo da sempre al b attribuiti malefici poteri  un gruppo di cacciatori muniti di lampade lo va a prendere al Coran del Düs si trova in una grotta nomi fati episodi legati alla storia delle persone di Andrista ogni anno alla vigilia dell'epifania quasi una laica purificazione delle coscienze  impersona un mondo fantastico con poteri malefici e terribili una connotazione costante nella memoria collettiva peloso con due occhi luccicanti ed una bocca gigantesca incute timore agli uomini sottolineandone le manchevolezze soste nelle stalle  rito della denuncia pubblica inizia la festa popolare scovato in un anfratto...

La parte dedicata al Badalisc è in costruzione. Se desiderate essere informati sull'aggiornamento, inviate la vostra richiesta via e-mail.

 

FUOCHI DI SAN GIOVANNI BATTISTA 

 

"Quando l'atmosfera carica di vapori minaccia procella da imporre alla campagna nell'oscurità della notte si scorgono varj lumicini di diverso numero e variato movimento che si spiccano dalle crocette dell'antico campanile e si portano sulle crocette della nuova chiesa, dove dimorano più o meno senza estendere il loro chiarore al di là del loro volume, e poi si levano nell'atmosfera e allontanandosi svaniscono all'occhio dell'osservatore." La strana epifania si manifestò anche in occasione della visita del vescovo Nava, in visita a Saviore nel 1810, che, sebbene incredulo, fu costretto a prendere atto dell'accaduto. Anche A. Morandini riporta la testimonianza di una donna del paese che aveva visto i fuochi di persona. A Cimbergo si riscontra la stessa leggenda: il patrono è lo stesso, San Giovanni Battista; in questo caso si parla di torce. Visioni di fuochi fatui nella notte del solstizio d'estate sono testimoniate anche a Vione e Temù. In occasione dei temporali si usava ricorrere al suono delle campane per allontanare il pericolo: allo scopo il comune pagava alcuni uomini per suonare "d'allegrezza".

 

La chiesa stessa solennizza non la morte ma la nascita del Santo. Per l'occasione la chiesa veniva addobbata con drappi rossi all'interno e con fronde d'abete sul portone d'ingresso. Fino agli anni '60, si usava distribuire pane bianco gratuitamente anche agli abitanti di Valle e Ponte, che erano addirittura condannati (da un decreto vescovile del 1633) a venire in pellegrinaggio a Saviore; davanti all'ingresso della chiesa, il parroco di Ponte doveva togliersi la stola, per riconoscere la supremazia del vicariato saviorese. Tanto che nel 1690 il parroco di Ponte don Santo Aiardi ed i suoi parrocchiani non adempirono all'ordine e vi furono costretti da un avvocato; nel 1744, il parroco di Ponte entrò nella parrocchiale di San Giovanni Battista con la stola pur non avendone diritto e la questione finì davanti al vescovo. Alla fine della Messa si distribuivano anche ciliege e carrube. 

 

Il fascino della festa patronale risiede nei fuochi che i savioresi accendevano, facendo ardere mucchietti di resina d'abete, tutto intorno al parapetto che circonda la chiesa, per andare poi ad osservarli da lontano, la sera. I fuochi di San Giovanni venivano accesi in tutta la Valle Camonica fino a qualche decennio fa, soprattutto dai paesi collocati più in alto, in modo che potessero essere ben visibili da lontano. I fuochi di san Giovanni continuano la tradizione di antichi riti pagani, probabilmente celtici, legati al solstizio d'estate:sono praticati dall'Irlanda alla Russia, dalla Svezia alla Grecia ed anche in Spagna; in Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern, vicino ad Hallstatt (culla della civiltà dei Celti) si usa ancor oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la sera del 23 giugno. Documenti del XVI secolo testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania; i rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità del raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai fulmini. Accurate informazioni in merito è possibile trovarle nel "Ramo d'oro" di James Frazer, ed. Universale scientifica Boringhieri (pag. 960).

CARNEVALE 

 

Tucarel: i bimbi passano di casa in casa con una ciotola a chiedere del latte; è una strana usanza perché si credeva che elargendo tale elemosina si facesse omaggio ai propri defunti: una tradizione del tutto simile ad Halloween. Di notte le donne intonavano i filò, cori alternati in una lingua incomprensibile, probabili retaggi di culti pagani, corrotti dal tempo in frasi senza senso per chi ne portava avanti la tradizione.

RITI DI PRIMAVERA

Maridà le püte è una tradizione la cui origine si perde nel tempo; aveva luogo, fino a pochi anni fa, la sera del Venerdì Santo. Due gruppi di giovani, uno alle Dase, in cima al paese, verso Fabrezza, ed uno al Dos Merlì, accendevano due grandi fuochi, che potevano essere visti reciprocamente. Partivano allora i cori:

Sta primaera sopra la tera
ghè na s-ceta bela bela
ch'ela? ch'ela?
(nome della ragazza)
dàghela a chi?
(nome del ragazzo)
e per no falà?
al camì de la sö cà
Questa primavera sopra la terra
c'è una ragazza bella bella
chi è? chi è?
(nome della ragazza)
a chi la diamo?
(nome del ragazzo)
e per non sbagliare?
al camino di casa sua

I canti epitalamici erano accompagnati da squilli di trombe e corni; inutile dire che in tale occasione si punzecchiavano le zitelle, si facevano uscire allo scoperto gli amori clandestini, si canzonavano quelli finiti.

 

Per quanto riguarda la Pasqua, i piatti tipici di Saviore sono le figasine, focaccine dolci con sopra grani di zucchero, note nel resto della Valle Camonica con il nome di spongade; l'etimologia saviorese richiama la forma, tondeggiante con una riga centrale; altro dolce era la turta de la Marapatà, un impasto di farina, latte, lardo e zucchero, particolarmente untuoso, che veniva cotta in paioli tanto grandi che vi era un forno apposito, quello appunto della Marapatà, forse una signora di Saviore. Pissaege è il termine che a Valle indica l'usanza di suonare campanacci e grì (uno strumento di legno che veniva fatto roteare su se stesso) al posto delle campane, che erano simbolicamente legate durante la Settimana santa. La mattina di Pasqua si benedivano le uova del Venerdì santo. Il giorno di San Cristoforo si benediceva il pane, che si conservava buono per tutto l'anno; ciò accadeva anche per il burro, nel giorno dell'Ascensione.

 

Ad Andrista la festa di San Marco, il 25 aprile, era dedicata alla semina dei fagioli; nei tre giorni precedenti si svolgevano le rogazioni e si andava in processione verso Berzo, il primo giorno, verso Fresine il secondo ed infine verso il cimitero si concludeva il rituale in forma solenne. 

MATRIMONI

L'"ambrasas" era un abbraccio tra le due famiglie dei promessi sposi prima delle nozze; se un giovane si sposava dopo aver lasciato una prima fidantata, la notte prima del matrimonio gli amici dello sposo dipingevano grandi croci lungo i muri della strada che, dalla casa della ragazza, portava alla chiesa; se il malcapitato era maschio, la strada era cosparsa di tritume. Tali usanze sono dette friséi, ed erano praticate fino a pochi decenni fa. Se uno dei coniugi era vedovo, erano salutati a suon di campanacci: per farli cessare, vino, latte e confetti. 

CAPODANNO

 

Se capitate a Saviore per il capodanno, attenzione a non lasciare nulla fuori dalla porta, perché è la Not dele 'ncrusère. Tutto quanto può essere trasportato (ante, carri, utensili, zerbini, vasi, persino asini) viene accatastato sul sagrato della chiesa parrocchiale, in modo da impedire l'accesso alla messa il giorno successivo. 'Ncrusere significa incroci, perché gli attrezzi sono messi in modo da essere districati con difficoltà.

SANTA LUCIA

 

La notte tra il 12 ed il 13 dicembre ogni bimbo attende Santa Lucia ed il suo asinello, portatori di dolci e giocattoli per quelli buoni e carbone nero per i birichini. E' davvero difficile risalire alle origini di tale antica tradizione, legata alla Santa siracusana, conosciuta nelle province di Brescia, Bergamo, Verona ed in Trentino. Già nel 1855 Gabriele Rosa riportava: "... i fanciulli nella notte antecedente alla festa di Santa Lucia, cadente il 13 dicembre, pongono una scarpa fuori della finestra de' loro attinenti onde ricevervi i doni di confetture e bagattelle che la mattina vi trovano e che credono recati dalla santa. Alli 13 Dicembre cadevano gli Idi, giorni di festa e di banchetti pei gentili, ed in quel torno cominciavano pei Latini le feste di Saturno, di Opi Dea della ricchezza vegetabile, e le Sigillarie, in tutte le quali, e specialmente nelle ultime, si faceano doni ai fanciulli. Nel Milanese ed in altre Provincie occidentali doni eguali ai fanciulli si fanno nella notte dell'Epifania per ricordare i doni de' Magi al bambino Gesù". Sono riconoscibili legami con il culto classico di Demetra - Cerere nella simbologia della luce. Esiste un sito dedicato a Santa Lucia dove si racconta una testimonianza di provenienza veneta, secondo cui la tradizione sarebbe nata, forse nel XVIII secolo, in seguito ad un'epidemia di "male degli occhi" che colpiva soprattutto i bambini, per cui si invocava la Santa accompagnando le preghiere a piccoli doni.

CÒ DE MORT

Halloween in Valsaviore: non è una moderna importazione americana, ma una consuetudine che a Cevo i bambini mettevano in atto la notte di Ognissanti. Scavavano l'interno di una zucca, vi mettevano un lumicino e la ponevano sul davanzale. Lo ha raccontato una gentile signora di Cevo che ha più di ottant'anni e ricorda che si tratta di una tradizione ancora più antica. La mia ipotesi è che possa risalire a riti celtici e approfindirò la ricerca. Qualcuno di voi sa qualcosa di più in proposito? L'indirizzo di posta è valsaviore@tiscalinet.it.