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h = L/
Q1 = (Q1 - Q2 )/ Q1 = 1 -
Q1/Q2
Per il ciclo "ideale" di Carnot il rendimento (limite massimo) si
scrive:
h =
(T1 - T2)/T1 = 1 -
T2/T1
avendo indicato con T1 e T2 (in gradi Kelvin
[°K], cioè riferiti allo "zero assoluto") rispettivamente le temperature
massima e minima del ciclo. È immediato il calcolo del rendimento massimo
conseguibile da una macchina nell'ipotesi che segua il ciclo "ideale" di
Carnot. Una delle vecchie locomotive a vapore, ad esempio, con temperatura
massima iniziale del vapore di 200 °C (pari a 473 °K) scaricato
nell'atmosfera a temperatura di 100 °C (373 °K) avrebbe potuto avere un
rendimento pari a 100/473 = 0,21 cioè del 21%. In realtà le perdite e le
varie dissipazioni di energia ne riducevano il rendimento alla metà
(10%).
Altro esempio: una moderna centrale termoelettrica può
introdurre, nelle turbine, vapore a più di 800 °K (più di 500 °C) e
scaricare nei condensatori vapore a circa 310 °K (35÷40 °C). Il rendimento
"ideale" conseguibile sarebbe pari a 490/800 = 0,61, cioè il 61%. In
realtà nelle centrali, nonostante la complicazione e il perfezionamento
degli impianti, non è possibile superare rendimenti del 40÷42%.
In
questi due esempi vi è tutta l'evoluzione degli impianti a vapore (ed
anche dei motori a combustione interna) nell'ultimo secolo e cioè la
capacità di quadruplicare il lavoro utile consumando la stessa energia
termica introdotta.
Giova ricordare che nelle centrali termiche, negli
impianti industriali o nei motori, la "sorgente calda" è costituita dal
focolare di una caldaia (generatore di vapore), da un "combustore" o dalla
camera di combustione alimentati da carbone, olio combustibile o gas,
ovvero anche da un reattore nucleare, mentre la "sorgente fredda" di
solito è un fiume o qualche altra grande massa d'acqua o di aria (torri di
refrigerazione, radiatori).
Poiché il lavoro utile ottenibile è
dell'ordine del 40% (e, purtroppo, anche molto meno negli impianti più
obsoleti) ciò significa che del totale dell'energia termica dei
combustibili il rimanente 60% finisce nell'ambiente esterno all'impianto e
cioè si riversa sia nell'aria a varie altezze (fumi dai camini delle
caldaie o tubi di scarico) e sia nell'acqua scaricata dai condensatori ovvero nell'aria dai
radiatori, costituendo il ben noto fenomeno dell'inquinamento termico
(aria e acqua). Questo non è disgiunto dall'inquinamento chimico
costituito dagli ossidi di zolfo e di azoto nei fumi e gas di scarico, a
cui si addebitano le piogge acide e l'effetto serra.
Nella storia
dell'evoluzione delle macchine termiche, oltre alle macchine a vapore (che
fino alla metà di questo secolo hanno dominato nei settori dei trasporti
ferroviari e marittimi) è degna di grande rilievo l'evoluzione dei motori
cosiddetti a "combustione interna". In essi il "fluido motore" non viene
prodotto all'esterno della motrice (caldaia, per il vapore) ma è
costituito dallo stesso miscuglio di gas, prodotto dalla combustione di un
combustibile all'interno della stessa macchina motrice.
Già nel 1854 i
toscani E. Barsanti e F. Matteucci brevettarono e costruirono il primo
motore che abbia funzionato, a cui seguirono nel 1860 quello di E. Lenoir
che ebbe applicazioni industriali, quello di E. Langen e N. A. Otto nel
1866, perfezionato da Otto nel 1877 come motore a quattro tempi, segnando
l'inizio della più moderna costruzione industriale dei motori alternativi.
I rendimenti modestissimi (4%) salirono al 12% e come combustibile
(inizialmente gas illuminante) si preferì la benzina. In questo secolo è
sotto gli occhi di tutti il suo sviluppo che ha dato origine a nuove
conquiste sociali (automobile, aereo, urbanesimo).
Nel 1893 il tedesco
Rudolf Diesel brevettò e, dopo quattro anni di difficili esperienze,
costruì il primo motore che porta il suo nome, che non ha sistema di
accensione essendo questa realizzata dall'elevata temperatura dell'aria
compressa in cui si inietta (e si accende istantaneamente) un olio
combustibile (gasolio, ma anche olii meno pregiati). Il motore ad
accensione spontanea per compressione (Diesel) già all'inizio permise
rendimenti del 24% e rese possibili le più importanti applicazioni
nell'industria e nella propulsione navale in cui ormai non ha concorrenti,
raggiungendo e superando rendimenti del 50%.
Lo sviluppo dei motori a
combustione interna a turbina (turbina a gas), quasi nullo nella prima
metà del secolo, è avvenuto dopo il 1950 per la eccezionale evoluzione dei
materiali, delle tecnologie costruttive e degli studi fluidodinamici che
hanno permesso alte temperature di esercizio dei gas sulle pale delle
turbine (dai 700 agli attuali 1400 °C) e massima efficienza nei
compressori dell'aria e in altri componenti d'impianto.
Dalle prime
interessanti applicazioni industriali alimentate a kerosene e a gas
metano, esponenziale è stata la crescita delle applicazioni in campo
aeronautico con potenze elevate e pesi contenuti, unico motore per la
propulsione a reazione (a getto) ormai generalizzata nei trasporti aerei
d'ogni tipo.
Negli ultimi dieci anni peraltro si stanno affermando
nuovi impianti che, grazie alla continua evoluzione tecnologica delle
turbine a gas ed alle ben note caratteristiche di "pulizia" del gas
naturale, permettono alti rendimenti (fino al 55÷60%) mediante cicli
"combinati" turbogas/ciclo a vapore.
Si tratta di impianti che pongono
in cascata turbine a gas e turbine a vapore. I fumi emessi dalla turbina a
gas (500÷600 °C) sono in grado di produrre il vapore che alimenta una
turbina che a sua volta scarica a bassa temperatura in un condensatore.
Gli alti rendimenti conseguibili, oggi anche del 60% (dovuti, per Carnot,
alla maggiore differenza tra la temperatura iniziale e finale del ciclo)
permettono di limitare il più possibile i consumi di energia primaria
(fossile) e, nel contempo, di ridurre e minimizzare l'impatto ambientale
non solo in termini di emissioni nocive ma, anche, in riferimento agli
impegni internazionali assunti in merito ai gas serra (Kyoto, dicembre
1997).
Pertanto, almeno per la produzione di energia elettrica, che
supera il 40% dei fabbisogni di ogni tipo di energia dei Paesi
industrializzati (ma i vantaggi si estendono in tutti i settori
industriali), gli stessi governi dovrebbero incentivare la trasformazione
dei vecchi impianti termici in sistemi a cicli combinati e cogenerazione.
Ciò può consentire eccezionali risparmi energetici e cospicui benefici
ambientali e, persino, si può dimostrare, non trascurabili ritorni
economici.