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LE MACCHINE TERMICHE
PAGINA TRATTA DA http://www.quipo.it/villaggioglobale/macchine1.htm
Lo studio e il funzionamento delle macchine termiche fanno specifico riferimento al secondo principio della termodinamica, nell'intuizione dell'ingegnere Sadi Carnot, che propose un ciclo che si dimostrò essere il ciclo a più alto rendimento possibile. Ad esso si raffronta lo studio termodinamico e il funzionamento di qualunque macchina termica il cui "rendimento" si esprime nel rapporto tra "lavoro ottenuto" e la "energia fornita" alla macchina.
In termini termodinamici si potrà dire che: "una macchina termica è un qualunque congegno che, operando ciclicamente, assorbe una quantità di calore Q1 da una sorgente a temperatura T1, cede una quantità di calore Q2 minore di Q1 (Q2 < Q1) ad una sorgente a temperatura più bassa T2 (T2 < T1) e realizza al contempo un lavoro L = Q1 - Q2 . Pertanto il rendimento ( h) si scrive:

h = L/ Q1 = (Q1 - Q2 )/ Q1 = 1 - Q1/Q2

Per il ciclo "ideale" di Carnot il rendimento (limite massimo) si scrive:

h = (T1 - T2)/T1 = 1 - T2/T1

avendo indicato con T1 e T2 (in gradi Kelvin [°K], cioè riferiti allo "zero assoluto") rispettivamente le temperature massima e minima del ciclo. È immediato il calcolo del rendimento massimo conseguibile da una macchina nell'ipotesi che segua il ciclo "ideale" di Carnot. Una delle vecchie locomotive a vapore, ad esempio, con temperatura massima iniziale del vapore di 200 °C (pari a 473 °K) scaricato nell'atmosfera a temperatura di 100 °C (373 °K) avrebbe potuto avere un rendimento pari a 100/473 = 0,21 cioè del 21%. In realtà le perdite e le varie dissipazioni di energia ne riducevano il rendimento alla metà (10%).
Altro esempio: una moderna centrale termoelettrica può introdurre, nelle turbine, vapore a più di 800 °K (più di 500 °C) e scaricare nei condensatori vapore a circa 310 °K (35÷40 °C). Il rendimento "ideale" conseguibile sarebbe pari a 490/800 = 0,61, cioè il 61%. In realtà nelle centrali, nonostante la complicazione e il perfezionamento degli impianti, non è possibile superare rendimenti del 40÷42%.
In questi due esempi vi è tutta l'evoluzione degli impianti a vapore (ed anche dei motori a combustione interna) nell'ultimo secolo e cioè la capacità di quadruplicare il lavoro utile consumando la stessa energia termica introdotta.
Giova ricordare che nelle centrali termiche, negli impianti industriali o nei motori, la "sorgente calda" è costituita dal focolare di una caldaia (generatore di vapore), da un "combustore" o dalla camera di combustione alimentati da carbone, olio combustibile o gas, ovvero anche da un reattore nucleare, mentre la "sorgente fredda" di solito è un fiume o qualche altra grande massa d'acqua o di aria (torri di refrigerazione, radiatori).
Poiché il lavoro utile ottenibile è dell'ordine del 40% (e, purtroppo, anche molto meno negli impianti più obsoleti) ciò significa che del totale dell'energia termica dei combustibili il rimanente 60% finisce nell'ambiente esterno all'impianto e cioè si riversa sia nell'aria a varie altezze (fumi dai camini delle caldaie o tubi di scarico) e sia nell'acqua scaricata dai condensatori ovvero nell'aria dai radiatori, costituendo il ben noto fenomeno dell'inquinamento termico (aria e acqua). Questo non è disgiunto dall'inquinamento chimico costituito dagli ossidi di zolfo e di azoto nei fumi e gas di scarico, a cui si addebitano le piogge acide e l'effetto serra.
Nella storia dell'evoluzione delle macchine termiche, oltre alle macchine a vapore (che fino alla metà di questo secolo hanno dominato nei settori dei trasporti ferroviari e marittimi) è degna di grande rilievo l'evoluzione dei motori cosiddetti a "combustione interna". In essi il "fluido motore" non viene prodotto all'esterno della motrice (caldaia, per il vapore) ma è costituito dallo stesso miscuglio di gas, prodotto dalla combustione di un combustibile all'interno della stessa macchina motrice.
Già nel 1854 i toscani E. Barsanti e F. Matteucci brevettarono e costruirono il primo motore che abbia funzionato, a cui seguirono nel 1860 quello di E. Lenoir che ebbe applicazioni industriali, quello di E. Langen e N. A. Otto nel 1866, perfezionato da Otto nel 1877 come motore a quattro tempi, segnando l'inizio della più moderna costruzione industriale dei motori alternativi. I rendimenti modestissimi (4%) salirono al 12% e come combustibile (inizialmente gas illuminante) si preferì la benzina. In questo secolo è sotto gli occhi di tutti il suo sviluppo che ha dato origine a nuove conquiste sociali (automobile, aereo, urbanesimo).
Nel 1893 il tedesco Rudolf Diesel brevettò e, dopo quattro anni di difficili esperienze, costruì il primo motore che porta il suo nome, che non ha sistema di accensione essendo questa realizzata dall'elevata temperatura dell'aria compressa in cui si inietta (e si accende istantaneamente) un olio combustibile (gasolio, ma anche olii meno pregiati). Il motore ad accensione spontanea per compressione (Diesel) già all'inizio permise rendimenti del 24% e rese possibili le più importanti applicazioni nell'industria e nella propulsione navale in cui ormai non ha concorrenti, raggiungendo e superando rendimenti del 50%.
Lo sviluppo dei motori a combustione interna a turbina (turbina a gas), quasi nullo nella prima metà del secolo, è avvenuto dopo il 1950 per la eccezionale evoluzione dei materiali, delle tecnologie costruttive e degli studi fluidodinamici che hanno permesso alte temperature di esercizio dei gas sulle pale delle turbine (dai 700 agli attuali 1400 °C) e massima efficienza nei compressori dell'aria e in altri componenti d'impianto.
Dalle prime interessanti applicazioni industriali alimentate a kerosene e a gas metano, esponenziale è stata la crescita delle applicazioni in campo aeronautico con potenze elevate e pesi contenuti, unico motore per la propulsione a reazione (a getto) ormai generalizzata nei trasporti aerei d'ogni tipo.
Negli ultimi dieci anni peraltro si stanno affermando nuovi impianti che, grazie alla continua evoluzione tecnologica delle turbine a gas ed alle ben note caratteristiche di "pulizia" del gas naturale, permettono alti rendimenti (fino al 55÷60%) mediante cicli "combinati" turbogas/ciclo a vapore.
Si tratta di impianti che pongono in cascata turbine a gas e turbine a vapore. I fumi emessi dalla turbina a gas (500÷600 °C) sono in grado di produrre il vapore che alimenta una turbina che a sua volta scarica a bassa temperatura in un condensatore. Gli alti rendimenti conseguibili, oggi anche del 60% (dovuti, per Carnot, alla maggiore differenza tra la temperatura iniziale e finale del ciclo) permettono di limitare il più possibile i consumi di energia primaria (fossile) e, nel contempo, di ridurre e minimizzare l'impatto ambientale non solo in termini di emissioni nocive ma, anche, in riferimento agli impegni internazionali assunti in merito ai gas serra (Kyoto, dicembre 1997).
Pertanto, almeno per la produzione di energia elettrica, che supera il 40% dei fabbisogni di ogni tipo di energia dei Paesi industrializzati (ma i vantaggi si estendono in tutti i settori industriali), gli stessi governi dovrebbero incentivare la trasformazione dei vecchi impianti termici in sistemi a cicli combinati e cogenerazione. Ciò può consentire eccezionali risparmi energetici e cospicui benefici ambientali e, persino, si può dimostrare, non trascurabili ritorni economici.