PREMESSA           PROLOGO           1 - LA DISFATTA           APOLOGO

Sardegna, patria ideale e idea di patria.

PREMESSA

1.
Lo sfacelo dell'Impero Romano d'Occidente (nel 476 D. C. Odoacre, re dei Goti, depone Romolo Augustolo, imperatore d'occidente con capitale in Ravenna), determinò una redistribuzione delle competenze sui territori che lo costituivano. In particolare la Sardegna fu annessa all'Impero Romano d'Oriente con sede in Costantinopoli, o Bisanzio che dir si voglia, l'attuale Istambul. I diversi imperatori che si succedettero su quel trono, per oltre tre secoli assicurarono la difesa dell'isola dalle invasioni provenienti prima dal nord (Vandali, Goti, Ostrogoti) e poi dal sud (i Mori, arabi musulmani del nord Africa). Per far fronte a tali periodiche intrusioni la Sardegna fu riorganizzata sia militarmente che civilmente: il comando militare fu trasferito a Fordongianus (nome attuale dell'antico Forum Traiani) e delegazioni a Calaris (Cagliari), Tharros (le cui rovine si trovano sulla penisola a nord del golfo di Oristano), Civita (Olbia), Turris Libisonis (Porto Torres). La suddivisione militare fu affiancata da un'analoga divisione dell'organizzazione della chiesa in curatorie, con a capo un vescovo, e di quella civile con la nomina di judex (giudici), competenti su un vasto territorio isolano.
A partire dal IX secolo i sardi dovettero iniziare a far fronte con le proprie forze alle minacce esterne, mentre l'impegno dell'Impero Orientale veniva diminuendo sempre più, dovendo a sua volta combattere contro l'espansione musulmana nel medio oriente e in nord Africa e il Sacro Romano Impero fondato da Carlo Magno non aveva ancora forze sufficienti. I sardi se la cavarono bene, riuscendo a respingere gli invasori in alcune battaglie, sia in terra che in mare, con l'aiuto delle Repubbliche marinare di Pisa e Genova.
Il tempo che va dal IX all'XI secolo è piuttosto oscuro, nel senso che la Sardegna esce del tutto o quasi dalla scena della storia (mancano completamente documenti prodotti nell'isola) e quel poco che si conosce discende dalle cronache delle ingerenze di Pisa e Genova, che intanto acquistavano sempre maggiore potenza militare ed economica nel Mediterraneo, insieme a Venezia.

2.
La storia della Sardegna dal 1000 al 1400 fu un susseguirsi impazzito di guerre di potere (e di periodiche ribellioni) fra Sacro Romano Impero d'Occidente, Papato, Pisa, Genova, Spagna (e Francia) e Giudicati. I Giudicati furono forme di autogoverno legittimo e sovrano delle genti di Sardegna, che traghettarono la Regione dal Medioevo all'Evo Moderno. Sorsero in forma, si potrebbe dire, spontanea, sulle ceneri dell'organizzazione civile e militare lasciata da Bisanzio, che i sardi mantennero in vita, adattandola alle condizioni via via venutesi a creare.
Se si volessero ridurre ad unità emblematica le vicende di quel tempo ci si troverebbe, come è accaduto a me, nella necessità di far avvenire in poco tempo azioni che nella realtà si sono svolte in un tempo dilatato sin quasi a 100 anni. La sequenza reale è così confusa, di azioni, di tempi, di luoghi, di attori, da non consentire alcuna visione logica e congruente. Le istituzioni più sopra nominate hanno agito con accordi e disaccordi così mutevoli e intricati da rendere impossibile riconoscere una qualunque linea di sviluppo, tanto da non poter individuare un "progetto" politico a lungo termine. Mille e mille volte le alleanze si sono fatte e disfatte, gli alleati di ieri sono diventati i nemici di oggi, che domani formeranno legami eterni con altri attori, subito pronti però al tradimento e al voltafaccia, inseguendo spesso piccoli ed effimeri successi personali.
Ecco, l'azione di questo lavoro si svolge proprio durante tale congerie di avvenimenti, con i soli artifici di contrarre il tempo e di considerare pochi avvenimenti concentrati in poche decine d'anni, con un solo eroe eponimo, mentre la realtà storica è ben più complessa e dilatata nello spazio e nel tempo.
I nomi dei luoghi sono quelli moderni, essendo i nomi antichi di difficile scrittura e talvolta irriconoscibili nella topografia attuale.

3.
Ecco come si esprime Leonida Macciotta nel volume "La Sardegna e la storia" Editrice Sarda Fossataro, Cagliari 1971:
a) - Difficile, per non dire impossibile oltre che inutile - salvo che non si voglia di proposito trattare dei fatti accaduti fra il 1330 e il 1350 - cercare di esporre, secondo un metodo analitico e sistematico, quanto avvenne in quel periodo, tali e tanti furono i cambiamenti di scena (l'assedio di Alghero ne fu un esempio), e gli accordi di frequente stipulati e ripudiati dai loro protagonisti: Aragona, Arborea, Pisa, Genova, Sassari, i Doria, i Malaspina, i Gherardesca; né vanno trascurati i Visconti di Milano che intendevano salvaguardare i loro diritti in Gallura, e i barbaricini che combattevano per non sottostare a nessuno. - pagina 120
b) - Il tempo che trascorse tra la partenza di re Pietro e la morte del giudice Mariano IV avvenuta nel 1376, fu tutto un susseguirsi di intrighi, di congiure, di lotte celate e palesi fra Aragona ed Arborea, durante i quali ricomparvero Pisa, Genova e i Doria. - pagina 126

4.
- Signore, qui in Sardegna è diverso: se nessuno ci attacca, noi non attacchiamo nessuno! - così conclude Gonario. (II - 2).
Questa frase è indicativa dell'intima natura dei sardi. Io ho da molti anni un sogno rivolto al passato: se i sardi al tempo dei Giudicati avessero avuto un poco più di animo guerresco, di cattiveria, di spirito di avventura, di senso della comunità, se uno dei Giudicati, per esempio Arborea o Cagliari, avesse avuto una piccola dose di desiderio di conquista, se tutto ciò si fosse avverato, la Sardegna sarebbe stata riunita in un solo Stato, forte abbastanza per respingere qualunque invasore. E sarebbe stata da allora una terra ricca e felice. Disposta dalla natura al centro del Mediterraneo, fra terre per secoli unite nel nome di Roma e culturalmente avanzate, l'isola sarebbe stata il centro di una nuova civiltà fra nord cristiano e sud musulmano.
La storia, si dice, non si fa con i "se"; invece i sogni si fanno anche con i se e i ma e i forse e a me piace pensare che, in un altro tempo, in un universo parallelo, la Sardegna diventa la culla di una civiltà nella quale il rispetto reciproco è alla base dei rapporti fra le persone e i popoli.
Perché quest'altro è un aspetto della natura sarda: - Rispetta me e io rispetto te. - E questo rispetto, dato e ricevuto, è così forte da escludere, sin dove è possibile, l'interessarsi dei fatti altrui. E ciò ad esempio nel commercio significa non fare concorrenza, perché la concorrenza significa danneggiare l'altro.
E, infine, la famiglia sarda è retta dalla madre o, meglio ancora, dalla donna anziana di casa, la quale ha sempre ragione, le sue parole sono sentenze, come quelle di Salomone. La cultura matriarcale di antichissima tradizione, fondata su un'ava, attraverso le altre donne di casa, sorelle, figlie, nipoti, nuore, costituisce il clan, l'unità di base dell'organizzazione della società sarda. Più donne che si conoscono, che hanno avi in comune, costituiscono la tribù e il villaggio. Fuori di casa la faccia della famiglia è quella dell'uomo, ma essa è costruita dentro le mura domestiche, e la faccia dell'uomo è quella di un ambasciatore. Naturalmente nessun uomo ammetterà mai che le decisioni siano prese dalle donne di casa ….
E poiché le donne non amano la guerra (ma quanto amano la vendetta, però!) ecco che i mariti e i figli non hanno spirito guerresco endogeno. Ma se li si chiama a far la guerra, allora guai al nemico di turno …..
Ecco perché l'eroe di queste pagine non è sardo, ma figlio di quella Toscana che in quegli anni ormai lontani era una fucina di idee e di rinnovamento in tutti i campi di attività umana: dall'arte alla politica, dall'economia alla guerra, dalla religione alla scienza.

5.
Prendiamo ancora due parole dal citato volume del Macciotta: c) - Con Mariano IV scompare uno dei personaggi più notevoli della storia sarda: condottiero valoroso, avversario irriducibile di Aragona, politico ambizioso e destro, legislatore saggio, egli avrebbe meritato di poter riunire sotto Arborea tutta la Sardegna, la cui storia in tal caso sarebbe stata assai diversa. Ma egli aveva contro di sé, e contro i suoi progetti un nemico troppo agguerrito e troppo potente, anche se le sue truppe erano sempre pronte ad affrontare ogni rischio al grido di "Sardegna e Arborea". - pagina 127

6.
Il sottotitolo "balente" indica una "qualità" dell'individuo molto importante nella cultura sarda, anche oggi in una relativamente piccola parte dell'isola. Balente letteralmente significa "valente, che vale, valoroso" con una connotazione speciale. Balente è in genere un uomo che è in grado di rispondere ad una offesa o ad una ingiustizia a viso aperto, aspettando tempo e luogo opportuni, per trarre vendetta con una azione nella quale la propria vita è rimessa in gioco. Chi colpisce alle spalle o spara celandosi dietro un cespuglio o un muretto a secco non è "balente" poiché non mette a repentaglio la propria incolumità e soprattutto perché l'autore dell'offesa non sa chi lo colpisce e perché. Come l'offesa copre di vergogna tutto il clan, così la gloria e la fama del balente si sparge su di esso, riscattandolo e facendolo diventare un esempio per tutta la comunità.
Normalmente la balentìa è una prerogativa dell'uomo di casa, mentre la donna ha il compito di covare anche per molti anni il rancore e l'odio, e di istigare il marito, il figlio, il nipote, alla vendetta. Ma in caso di mancanza di uomini a ciò validi, eccezionalmente è lei stessa ad assumersi tale compito, ricorrendo alle armi e alle arti "donnesche".

Quartu S. Elena 18 - 2 - 2004


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