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CRIOGLOBULINE E
CRIOGLOBULINEMIE Prof.
Giovanni Garini°, |
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In quest'ultimo decennio l'interesse per le crioglobuline è notevolmente aumentato dopo la scoperta del virus dell'epatite C (HCV) e la dimostrazione della sua frequente associazione con le crioglobuline. La possibilità che HCV sia coinvolto nello sviluppo delle crioglobulinemie ha trasformato lo scenario della ricerca e aperto nuove prospettive eziopatogenetiche e terapeutiche. Classificazione Le crioglobuline sono classificate in tre sottogruppi sulla base delle loro caratteristiche strutturali e immunochimiche: - Crioglobuline di tipo I o "singole", costituite da una sola immunoglobulina monoclonale (di solito IgM o IgG) che mostra raramente attività di fattore reumatoide (FR), cioè attività anticorpale nei confronti di altre immunoglobuline; - Crioglobuline di tipo II e di tipo III o "miste" (CM), costituite da due diverse immunoglobuline: una policlonale (solitamente IgG) e l'altra monoclonale (generalmente IgM) con attività di FR nelle CM di tipo II ed entrambe policlonali, di cui una (solitamente IgM) con attività di FR nelle CM di tipo III. Le crioglobulinemie di tipo I si ritrovano per lo più nel Mieloma Multiplo, nella Macroglobulinemia di Waldenström e in affezioni mielodisplastiche/linfoproliferative. Le CM di tipo II e III, che costituiscono più dell'80% di tutte le crioglobulinemie, possono comparire nel corso di malattie infettive o autoimmuni oppure rappresentare un'entità distinta, non associata a fattori causali evidenti, denominata in passato "crioglobulinemia mista essenziale" (CME). Le CM di tipo II sono prevalentemente osservate nella CME, tuttavia questo termine non sembra più appropriato dopo il riscontro del virus dell'epatite C (HCV) in oltre il 90% dei pazienti con CME. I meccanismi della crioprecipitazione non sono ancora chiaramente definiti. Nelle crioglobuline di tipo I la crioprecipitazione sembra essere una caratteristica intrinseca delle immunoglobuline monoclonali, strettamente legata all'integrità della loro struttura quaternaria, poiché frammenti Fc e Fab separati perdono solitamente la precipitabilità alle basse temperature. Il processo di crioprecipitazione potrebbe essere innescato da modificazioni della composizione aminoacidica o del contenuto in carboidrati delle catene leggere e pesanti delle immunoglobuline. Ne deriverebbe un complessivo aumento della idrofobicità delle molecole con perdita della loro solubilità. Nelle CM di tipo II e III la crioprecipitazione appare legata più all'interazione fra immunoglobuline che alle caratteristiche delle singole componenti immunoglobuliniche. Nelle crioglobulinemie miste IgG-IgM è l'IgM anti-IgG la specifica componente che determina la crioprecipitazione. Nessuna delle due globuline può crioprecipitare isolatamente, tuttavia la componente IgM si comporta come una crioglobulina incompleta, essendo in grado di crioprecipitare IgG di soggetti normali, mentre non si osserva crioprecipitazione quando la componente IgG è posta in reazione con una IgM normale. Un possibile ruolo crioprecipitante è stato attribuito alla fibronectina, una proteina della fase acuta della flogosi, che è frequentemente ritrovata nelle CM, specialmente in quelle associate a processi flogistici autoimmuni, nelle quali le crioglobuline sono per lo più di tipo III. Sembra, tuttavia, che tale glicoproteina, pur potendo svolgere un'azione favorente, non sia necessaria alla crioprecipitazione. Le CM sono degli immunocomplessi, in cui l'antigene è una IgG e l'anticorpo una IgM, mono o policlonale, con attività di FR (cioè anti-IgG). Come immunocomplessi, le CM hanno la capacità di attivare il complemento. Il complemento ha la funzione di rendere solubili gli immunocomplessi e di ritardarne la precipitazione, creando le premesse per la loro rimozione dal circolo, ma nelle CM queste specifiche funzioni risultano deficitarie. La ridotta solubilizzazione e l'alterata clearance macrofagica degli immunocomplessi favoriscono il loro intrappolamento nel letto vascolare e la loro deposizione nei tessuti, dove possono stimolare una reazione infiammatoria. Si sviluppa in tal modo una malattia da immunocomplessi, istologicamente caratterizzata da lesioni infiammatorie dei vasi coinvolti e da depositi immuni negli organi bersaglio aventi la stessa composizione del crioprecipitato sierico. La vasculite crioglobulinemica colpisce prevalentemente i piccoli vasi, ma talora può estendersi a vasi di calibro medio e grande.
I meccanismi di produzione delle crioglobuline non sono
ancora chiariti. L'identificazione di HCV come agente associato alla grande maggioranza delle CM definite in precedenza "essenziali" e il riscontro di specifici antigeni HCV nei crioprecipitati hanno suggerito il possibile convolgimento del virus nella patogenesi delle CM. HCV è un RNA virus ad elevata eterogeneità genetica e con una forte propensione a sviluppare ceppi mutanti durante la replicazione. L'alta velocità di mutazione del genoma virale e il tropismo di HCV per le cellule mononucleate del sangue periferico e midollare rappresentano probabilmente i principali meccanismi di diffusione e mantenimento dell'infezione. HCV potrebbe selezionare mutanti resistenti alla risposta anticorpale e citotossica e alterare la funzione immunologica delle cellule infettate con riduzione della clearance virale e cronicizzazione dell'infezione. La prevalenza di CM nei pazienti con epatite cronica C si aggira intorno al 50%; nei due terzi dei casi le crioglobuline sono di tipo III e nel restante terzo di tipo II. In Italia e in Francia è riportata una prevalenza di CM di tipo II rispettivamente del 34 e 20%. Studi istologici, immunochimici e di biologia molecolare hanno dimostrato che nelle CM di tipo II associate ad infezione da HCV è presente a livello epatico e midollare un'espansione B linfocitaria clonale. Una quota importante di tali cellule (87%) produce FRm con idiotipo cross-reattivo WA, identico a quello che si riscontra nell'FRm circolante. La produzione di IgM FR con idiotipo WA sarebbe promossa da HCV e perpetuata dalla sua persistenza nell'organismo. Non è tuttavia noto il meccanismo utilizzato dal virus per indurre tale processo e non è chiaro perché CM di tipo II si sviluppi solo in una parte dei pazienti con infezione da HCV e perché FR venga prodotto in quantità considerevoli solo nei pazienti crioglobulinemici. La proliferazione B linfocitaria clonale, pur esprimendo a livello midollare gli aspetti istologici ed immunofenotipici di un linfoma B cellulare indolente, ha carattere benigno e raramemente dà luogo ad adenomegalie e progredisce in linfoma B cellulare conclamato. L'evoluzione in senso linfomatoso, documentatibile in una minoranza di pazienti con CM di tipo II (< 15%), potrebbe compiersi in presenza di particolari fattori genetici e/o ambientali.
Nella crioglobulinemia
di tipo I prevalgono i segni clinici della
malattia linfoproliferativa sottostante (in primo luogo MM e MW) e la crioglobulinemia
costituisce spesso un reperto casuale. Non sono tuttavia infrequenti
nella crioglobulinemia di tipo I, mentre sono di rara osservazione nella
CM, segni di occlusione
vascolare, talora associati con una sindrome da iperviscosità e lesioni
purpuriche e distrofiche della cute, solitamente localizzate agli arti
inferiori. Porpora. E' una delle manifestazioni più precoci e frequenti della CM, essendo rilevabile in oltre l'80% dei pazienti. La porpora, intermittente, palpabile, non pruriginosa, ha carattere ortostatico, localizzandosi preferenzialmente agli arti inferiori; può estendersi anche alle cosce e, seppur raramente, al tronco, susseguendosi in poussées, generalmente ad intervalli variabili di 7-10 giorni. Le aree in cui le gittate purpuriche tendono a ripetersi assumono col tempo una pigmentazione bruno-ocracea. La biopsia cutanea dimostra una vasculite leucocitoclastica dei capillari e delle venule post-capillari del derma superficiale con variabile coinvolgimento dei vasi sottocutanei. L'immunofluorescenza rivela depositi vascolari di immunoglobuline (IgG, IgM) e/o complemento (C4). Nei pazienti crioglobulinemici con infezione da HCV la vasculite cutanea si caratterizza per la deposizione di immunocomplessi costituiti da HCV, IgM FR e IgG. Fenomeno di Raynaud. E' presente in circa il 25% dei pazienti al momento della diagnosi e, pur coinvolgendo tutte le estremità, non è in genere associato a turbe trofiche. E' presumibilmente riferibile a disfunzione endoteliale con riduzione del tono vasodilatante e prevalenza del tono vasocostrittore. Artralgie. Le artralgie, a scarsa o nulla obiettività flogistica, episodiche, fugaci, prive di ritmo notturno e rigidità mattutina, interessano per lo più le mani, i polsi e le ginocchia. L'interessamento articolare è presente in oltre il 70% dei casi. Nefropatia crioglobulinemica. Il coinvolgimento renale è denunciato da alterazioni urinarie isolate con valori di creatinina sierica inizialmente normali o lievemente aumentati e in alcuni casi da sindrome nefritica acuta o sindrome nefrosica con progressione verso l'insufficienza renale cronica. L'esito in uremia è relativamente poco frequente e sono anche riportate remissioni spontanee. Istologicamente la nefropatia presenta gli aspetti della glomerulonefrite membrano-proliferativa con trombi intracapillari, che all'immunofluorescenza risultano costituiti da complemento e immunoglobuline identiche a quelle delle crioglobuline. L'associazione tra CM di tipo II e infezione cronica da HCV e il riscontro di specifici antigeni HCV negli immunocomplessi depositati lungo le anse capillari e nel mesangio indicano che HCV è probabilmente coinvolto nella patogenesi del danno renale. Neuropatia periferica. L'interessamento neurologico, rivelato da parestesie, disestesie dolorose, debolezza muscolare, sensazioni di bruciore e dolori a "puntura di spillo" alle gambe, configura una polineuropatia sensitivo-motoria distale simmetrica. Sintomi soggettivi di neuropatia e alterazioni elettromiografiche sono stati riscontrati rispettivamente nel 91% e nell'82% dei pazienti affetti da CM. Il danno neurologico potrebbe essere causato da demielinizzazione immuno-mediata, da occlusione dei vasa nervorum da parte di precipitati crioglobulinemici o da vasculite dei vasi epineurali. La dimostrazione di HCV RNA nelle cellule mononucleate, disposte attorno alle arteriole epineurali nelle biopsie del nervo surale di pazienti con CM di tipo II, suggerisce un possibile ruolo di HCV nella patogenesi della neuropatia crioglobulinemica. Epatopatia. Un coinvolgimento epatico è riportato in oltre i due terzi di tutte le crioglobulinemie e virtualmente in tutte le CM di tipo II associate ad infezione cronica da HCV. Il riscontro di infiltrati linfoidi a livello degli spazi portali, talora con localizzazione elettiva perivascolare, ha suggerito analogie con la vasculite crioglubilemica, ma non esistono dimostrazioni sicure di una attività epatolesiva delle crioglobuline in qualità di immunocomplessi. Linfoproliferazione. Nelle CM II associate all'infezione da HCV sono frequentemente documentati a livello epatico, splenico e midollare infiltrati linfoidi, costituiti in prevalenza da cellule B monomorfe con Ig di superficie dello stesso tipo della componente monoclonale del crioprecipitato. La linfoproliferazione B cellulare ha carattere benigno, ma studi compiuti su ampie casistiche di CM II definite essenziali hanno dimostrato lo sviluppo di linfomi non-Hodgkin (LNH) dopo prolungato follow-up. Altre manifestazioni cliniche. Scarsa rilevanza ha l'impegno polmonare, anche se in alcuni casi si riscontrano dispnea e occasionalmente asma. Sono talora riportati sindrome sicca, tumefazione bilaterale delle parotidi, dolori addominali ricorrenti, disturbi neurologici da interessamento del SNC (emiparesi transitorie, disartria, confusione mentale), manifestazioni cardio-vascolari connesse con quadri di vasculite coronarica. Le crioglobuline sono dimostrate nel siero e caratterizzate mediante immunofissazione o immuno elettroforesi. L'elettroforesi delle proteine sieriche può mostrare picchi monoclonali in presenza di crioglobulinemie di tipo I o II. Le crioglobuline con attività di FR condizionano la positività dell'RA-test. La dimostrazione di immunocomplessi circolanti nel sangue si associa alla caratteristica caduta del complemento nel siero per attivazione della via classica con conseguente diminuzione delle frazioni C1q e C4. L'ipocomplementemia è presente nel 90% dei pazienti e aiuta a differenziare la vasculite crioglobulinemica dalle vasculiti ANCA-associate, che sono normo- o ipercomplementemiche. E' comune il riscontro nel siero di autoanticorpi (anti-GOR, anti-Sm, anti-LKM-1, ANA, ENA, AMA, ANCA, anti-tiroide), che possono complicare la diagnosi differenziale tra malattie autoimmuni con vasculite crioglobulinemica secondaria e vasculite crioglobulinemica associata ad infezione da HCV con fenomeni autoimmuni.
La possibilità di una
infezione da HCV deve essere
ricercata mediante la determinazione degli anticorpi anti-HCV e/o
di HCV RNA nel siero. Se questi test risultano negativi ed è ancora
presente il sospetto di infezione da HCV (perché, ad es., sono alterati
i valori delle aminotransferasi), è giustificata la ricerca di
anticorpi anti-HCV e di HCV RNA anche nel crioprecipitato. Il trattamento delle crioglobulinemie di tipo I si identifica con quello della malattia sottostante. Più complessa e diversificata è la terapia delle CM, che hanno una genesi polifattoriale e si riscontrano in un'ampia varietà di condizioni cliniche. Il trattamento è indirizzato a rimuovere le cause responsabili della sindrome (ad es., malattie autoimmuni, infezioni acute o croniche) e a controllare le complicanze flogistiche connesse con la precipitazione a livello d'organo o apparato delle crioglobuline. Trattamento della sindrome crioglobulinemica associata ad infezione da HCV. Prima che fosse dimostrata la stretta associazione tra CM e infezione da HCV, il trattamento era rivolto a sopprimere l'iperattività immunoproliferativa che accompagna la sindrome crioglobulinemica e a tal fine venivano impiegati corticosteroidi e farmaci citotossici, quali il clorambucil, l'azatioprina e la ciclofosfamide, pur in mancanza di chiare evidenze di efficacia. In combinazione o in alternativa con tale trattamento sono state anche impiegate la plasmaferesi o la crioaferesi nella convinzione che la rimozione delle crioglobuline dal circolo potesse migliorare la viscosità ematica, il criocrito e le condizioni cliniche. L'a-interferone (aIFN), che si era già rivelato efficace in alcune patologie linfoproliferative (come la "hairy cell leukemia" o i linfomi a basso grado di malignità), è stato successivamente introdotto nella terapia della CM per il suo effetto immunomodulante e antiproliferativo. Ma è solo dopo la scoperta del ruolo eziologico di HCV nello sviluppo della sindrome crioglobulinemica che si è ampliato il livello di intervento dell'aIFN, per cui, oltre che per inibire la linfoproliferazione e (ri)-modulare la risposta immune, il farmaco ha trovato impiego come agente antivirale. L'impiego della terapia interferonica nella sindrome crioglobulinemica HCV-correlata si basa sul presupposto che la proliferazione B-linfocitaria sia antigene-dipendente e quindi potenzialmente responsiva alla riduzione della carica antigenica. Benchè tutti i pazienti crioglobulinemici HCV+ siano potenziali candidati alla terapia con aIFN, la decisione di trattare deve tener conto di numerose variabili: l'età dei pazienti, la durata e la gravità della malattia, lo stato clinico generale, la probabilità di risposta e altre condizioni cliniche che possono diminuire l'aspettativa di vita o controindicare il trattamento.
La terapia
interferonica risulta
efficace nel
controllare i
segni di malattia in
oltre il 50%
deipazienti, ma la sua interruzione è generalmente seguita da
recidive viremiche e crioglobulinemiche, cosicchè meno del 25% dei
pazienti rimane in remissione. L'osservazione che i miglioramenti
clinici compaiono solo nei pazienti con caduta di HCV RNA nel siero
suggerisce che l'efficacia di aIFN
è direttamente correlata con la sua attività antivirale.
Rimangono ancora da stabilire dosi e durata del trattamento con aIFN.
Nella maggior parte degli studi sono stati usati 3 MU tre volte alla
settimana per 6-12 mesi, ma sulla base dei risultati ottenuti nelle
epatiti croniche HCV+ può
essere proposto un aumento di dosaggio e durata della terapia. L'impiego
dei corticosteroidi non influenza l'efficacia della terapia
interferonica , che sembra invece potenziata dalla Ribavirina, un
analogo sintetico della guanosina, che oltre ad esercitare un'azione
antivirale diretta svolgerebbe anche un'azione immunomodulante. Recenti
studi controllati in pazienti con epatite cronica da virus C hanno
dimostrato che la percentuale di remissioni viremiche durature è due
volte più alta con l'associazione aIFN
+ Ribavirina che con il solo aIFN.
Non sono però ancora disponibili risultati sull'impiego della
combinazione aIFN + Ribavirina
nella sindrome crioglobulinemica associata ad infezione cronica da HCV.
Terapia di supporto. Trova
indicazione nei pazienti crioglobulinemici
HCV+ che
non hanno Norme generali di comportamento . E' opportuno raccomandare ai pazienti crioglobulinemici di evitare l'esposizione alle basse temperature e la stazione eretta prolungata, perché il freddo e la postura sembrano favorire la deposizione delle crioglobuline alle estremità e l'esacerbazione della porpora. Dieta ipoantigenica. In condizioni normali, proteine ad alto peso molecolare attraversano la barriera mucosale dell'intestino e vengono rimosse dal sistema reticolo-endoteliale portale. Queste proteine determinerebbero la saturazione del sistema monocitico-macrofagico, riducendo la clearance degli immunocomplessi circolanti e quindi anche delle crioglobuline. La dieta a basso contenuto antigenico, simile a quella impiegata nei pazienti con allergia alimentare, agevolerebbe la clearance delle crioglobuline, alleggerendo la saturazione del sistema monocitico-macrofagico epatico. L'aderenza alla dieta ipoantigenica è però scarsa e la sua efficacia controversa. Colchicina. Viene utilizzata nella CM per le sue proprietà antiinfiammatorie e antiproliferative. In uno studio aperto, non controllato, la colchicina, alla dose di 1 mg/die, ha determinato miglioramenti clinici e laboratoristici, soprattutto nei primi 6-12 mesi di trattamento. E' generalmente ben tollerata. Gli effetti collaterali più frequenti sono a carico dell'apparato gastroenterico e della crasi ematica. Corticosteroidi. Basse dosi di corticosteroidi (metilprednisolone 0,1-0,3 mg/kg) potrebbero essere impiegate per la terapia sintomatica della porpora e delle artralgie, ma devono essere tenuti presenti gli importanti effetti collaterali del trattamento e, nei pazienti HCV+, il rischio di aumento della viremia. PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI -
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Malattie più frequentemente associate con la crioglobulinemia
(torna
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