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CRIOGLOBULINE E CRIOGLOBULINEMIE

Prof. Giovanni Garini°, Dott. Walter Catellani° ,Dott. Paolo Manganelli*
° Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università degli Studi di Parma
*
IIa Divisione Medica e Reumatologia, Azienda Ospedaliera di Parma


Le crioglobuline sono un gruppo di proteine sieriche, prevalentemente costituite da immunoglobuline, caratterizzate dalla proprietà di precipitare o di gelificare reversibilmente a temperatura inferiore a 37°C. Il fenomeno è stato descritto per la prima volta nel 1933 da Wintrobe e Buell in un caso di mieloma multiplo. Nel 1947 lerner e Watson sono stati i primi a definire le proteine crioprecipitabili con il termine di "crioglobuline" e a descriverle in associazione con la porpora e la glomerulonefrite. Studi successivi hanno documentato la presenza delle crioglobuline in un'ampia varietà di malattie infettive, infiammatorie e neoplastiche (Tab.1), dimostrando la non rarità del fenomeno.

   In quest'ultimo decennio l'interesse per le crioglobuline è notevolmente aumentato dopo la scoperta del virus dell'epatite C (HCV) e la dimostrazione della sua frequente associazione con le crioglobuline. La possibilità che HCV sia coinvolto nello sviluppo delle crioglobulinemie ha trasformato lo scenario della ricerca e aperto nuove prospettive eziopatogenetiche e terapeutiche.   

Classificazione

   Le crioglobuline sono classificate in tre sottogruppi sulla base delle loro caratteristiche strutturali e immunochimiche:

- Crioglobuline di tipo  I  o "singole",  costituite da  una  sola  immunoglobulina  monoclonale (di solito IgM o IgG) che mostra raramente attività di fattore reumatoide (FR), cioè attività anticorpale nei confronti di altre immunoglobuline;

- Crioglobuline di tipo II  e di tipo III  o  "miste" (CM),  costituite da due diverse immunoglobuline: una policlonale (solitamente IgG) e l'altra monoclonale (generalmente IgM) con attività di FR nelle CM di tipo II ed  entrambe policlonali,  di cui una (solitamente IgM) con attività  di FR nelle CM di tipo III.

   Le crioglobulinemie di tipo I si ritrovano per lo più nel Mieloma Multiplo, nella Macroglobulinemia di Waldenström e in affezioni mielodisplastiche/linfoproliferative. Le CM di tipo II e III, che costituiscono più dell'80% di tutte le crioglobulinemie, possono comparire nel corso di malattie infettive o autoimmuni oppure rappresentare un'entità distinta, non associata a fattori causali evidenti,  denominata in passato "crioglobulinemia mista essenziale" (CME).  Le CM di tipo II sono prevalentemente osservate nella CME, tuttavia questo termine non sembra più appropriato dopo il riscontro del virus dell'epatite C (HCV) in oltre il 90% dei pazienti con CME.

  Il fenomeno della crioprecipitazione

   I meccanismi della crioprecipitazione non sono ancora chiaramente definiti. Nelle crioglobuline di tipo I la crioprecipitazione sembra essere una caratteristica intrinseca delle immunoglobuline monoclonali, strettamente legata all'integrità della loro struttura quaternaria, poiché frammenti Fc e Fab separati perdono solitamente la precipitabilità alle basse temperature. Il processo di crioprecipitazione potrebbe essere innescato da modificazioni della composizione aminoacidica o del contenuto in carboidrati delle catene leggere e pesanti delle immunoglobuline. Ne deriverebbe un complessivo aumento della idrofobicità delle molecole con perdita della loro solubilità.

   Nelle CM di tipo II e III la crioprecipitazione appare legata più all'interazione fra immunoglobuline che alle caratteristiche delle singole componenti immunoglobuliniche. Nelle crioglobulinemie miste IgG-IgM è l'IgM anti-IgG la specifica componente che determina la crioprecipitazione. Nessuna delle due globuline può crioprecipitare isolatamente, tuttavia la componente IgM si comporta come una crioglobulina incompleta, essendo in grado di crioprecipitare IgG di soggetti normali, mentre non si osserva crioprecipitazione quando la componente IgG è posta in reazione con una IgM normale.

   Un possibile ruolo crioprecipitante è stato attribuito alla fibronectina, una proteina della fase acuta della flogosi, che è frequentemente ritrovata nelle CM, specialmente in quelle associate a processi flogistici autoimmuni, nelle quali le crioglobuline sono per lo più di tipo III. Sembra, tuttavia, che tale glicoproteina, pur potendo svolgere un'azione favorente, non sia necessaria alla crioprecipitazione.

  Crioglobulinemie miste: una malattia da immunocomplessi

   Le CM sono degli immunocomplessi,  in  cui l'antigene è una  IgG e l'anticorpo una IgM,  mono o policlonale,  con attività di FR (cioè anti-IgG).  Come immunocomplessi, le CM hanno la capacità di attivare il complemento. Il complemento ha la funzione di rendere solubili gli immunocomplessi e di ritardarne la precipitazione, creando le premesse per la loro rimozione dal circolo, ma nelle CM queste specifiche funzioni risultano deficitarie. La ridotta solubilizzazione e l'alterata clearance macrofagica degli immunocomplessi favoriscono il loro intrappolamento nel letto vascolare e la loro deposizione nei tessuti, dove possono stimolare una reazione infiammatoria. Si sviluppa in tal modo una malattia da immunocomplessi,  istologicamente caratterizzata da lesioni infiammatorie dei vasi coinvolti e da depositi immuni negli organi bersaglio aventi la stessa composizione del crioprecipitato sierico. La vasculite crioglobulinemica colpisce prevalentemente i piccoli vasi, ma talora può estendersi a vasi di calibro medio e grande.

  Patogenesi

   I meccanismi di produzione delle crioglobuline non sono ancora chiariti.
Le crioglobuline  di tipo I  sono quasi  esclusivamente  riscontrate nelle  malattie linfoproliferative maligne e la loro produzione sembra essere la conseguenza di un processo proliferativo autonomo.  Nelle CM di tipo III la produzione di FR policlonale potrebbe derivare dalla cronica stimolazione del sistema immunitario da parte di immunocomplessi circolanti, come avviene nel corso di alcune malattie croniche da immunocomplessi, quali l'Artrite Reumatoide e il Lupus Eritematoso Sistemico (LES). Questa ipotesi non è tuttavia applicabile alle CM di tipo II, essendo raramente documentata la produzione di FR monoclonale (FRm) nelle malattie croniche da immunocomplessi, anche dopo decenni di malattia.

   L'identificazione di HCV come agente associato alla grande maggioranza delle CM definite in  precedenza "essenziali" e il riscontro di specifici antigeni HCV nei crioprecipitati hanno suggerito il possibile convolgimento del virus nella patogenesi delle CM.

   HCV è un  RNA virus  ad  elevata  eterogeneità  genetica e con una forte propensione a sviluppare ceppi mutanti durante la replicazione. L'alta velocità di mutazione del genoma virale e il tropismo di HCV per le cellule mononucleate del sangue periferico e midollare rappresentano probabilmente i principali meccanismi di diffusione e mantenimento dell'infezione.  HCV potrebbe selezionare mutanti resistenti alla risposta anticorpale e citotossica e alterare la funzione immunologica delle cellule infettate con riduzione della clearance virale e cronicizzazione dell'infezione.

   La prevalenza di CM nei pazienti con epatite cronica C si aggira intorno  al  50%; nei due terzi dei casi le crioglobuline sono di tipo III e nel restante terzo di tipo II. In Italia e in Francia è riportata una prevalenza di CM di tipo II rispettivamente del 34 e 20%.

   Studi istologici,  immunochimici  e di biologia  molecolare hanno dimostrato che nelle CM di tipo II associate ad infezione da HCV è presente a livello epatico e midollare un'espansione B linfocitaria clonale. Una quota importante di tali cellule (87%) produce FRm con idiotipo cross-reattivo WA, identico a quello che si riscontra nell'FRm circolante.  La produzione di IgM FR con idiotipo WA sarebbe promossa da HCV e perpetuata dalla sua persistenza nell'organismo. Non è tuttavia noto il meccanismo utilizzato dal virus per indurre tale processo e non è chiaro perché CM di tipo II si sviluppi solo in una parte dei pazienti con infezione da HCV e perché FR venga prodotto in quantità considerevoli solo nei pazienti crioglobulinemici. 

   La proliferazione B linfocitaria clonale,  pur esprimendo a livello midollare gli aspetti istologici ed immunofenotipici di un linfoma B cellulare indolente, ha carattere benigno e raramemente dà luogo ad adenomegalie e progredisce in linfoma B cellulare conclamato. L'evoluzione in senso linfomatoso,  documentatibile in una minoranza di pazienti con CM di tipo II (< 15%), potrebbe compiersi in presenza di particolari fattori genetici e/o ambientali.

  Manifestazioni cliniche

   Nella  crioglobulinemia di tipo I prevalgono i segni  clinici  della malattia  linfoproliferativa  sottostante (in primo luogo MM e MW) e la crioglobulinemia costituisce spesso un reperto casuale. Non sono tuttavia infrequenti nella crioglobulinemia di tipo I, mentre sono di rara osservazione nella CM,  segni di occlusione vascolare, talora associati con una sindrome da iperviscosità e lesioni purpuriche e distrofiche della cute, solitamente localizzate agli arti inferiori.
Il quadro clinico della CM,  descritto per la prima volta da Meltzer  e Franklin nel 1966 come sindrome caratterizzata da porpora, astenia ed artralgie,  non si limita a questa triade, ma assume connotati più vasti, comprendendo patologie d'organo crio-indotte, quali la nefropatia e la neuropatia periferica, e danni d'organo non crio-dipendenti, quali l'impegno epatico e la linfoproliferazione. Il quadro sintomatologico è assai variabile, potendo palesarsi con fenomeni attenuati (scarse lesioni purpuriche, saltuarie artralgie) o manifestazioni cliniche severe, come la glomerulonefrite rapidamente progressiva e la vasculite sistemica.

   Porpora.  E' una delle manifestazioni più precoci e frequenti della CM, essendo rilevabile in oltre l'80% dei pazienti. La porpora, intermittente, palpabile, non pruriginosa, ha carattere ortostatico, localizzandosi preferenzialmente agli arti inferiori; può estendersi anche alle cosce e, seppur raramente, al tronco, susseguendosi in poussées, generalmente ad intervalli variabili di 7-10 giorni. Le aree in cui le gittate purpuriche tendono a ripetersi assumono col tempo una pigmentazione bruno-ocracea. La biopsia cutanea dimostra una vasculite leucocitoclastica dei capillari e delle venule post-capillari del derma superficiale con variabile coinvolgimento dei vasi sottocutanei. L'immunofluorescenza rivela depositi vascolari di immunoglobuline (IgG, IgM) e/o complemento (C4). Nei pazienti crioglobulinemici con infezione da HCV la vasculite cutanea si caratterizza per la deposizione di immunocomplessi costituiti da HCV, IgM FR e IgG.

Fenomeno di Raynaud.  E' presente in circa il 25% dei pazienti al momento della diagnosi e, pur coinvolgendo tutte le estremità, non è in genere associato a turbe trofiche. E' presumibilmente riferibile a disfunzione endoteliale con riduzione del tono vasodilatante e prevalenza del tono vasocostrittore.

Artralgie. Le artralgie, a scarsa o nulla obiettività flogistica, episodiche,  fugaci, prive di ritmo notturno e rigidità mattutina, interessano per lo più le mani, i polsi e le ginocchia. L'interessamento articolare è presente in oltre il 70% dei casi.

   Nefropatia crioglobulinemica.  Il coinvolgimento renale è denunciato da alterazioni urinarie isolate con valori di creatinina sierica inizialmente normali o lievemente aumentati e in alcuni casi da sindrome nefritica acuta o sindrome nefrosica con progressione verso l'insufficienza renale cronica. L'esito in uremia è relativamente poco frequente e sono anche riportate remissioni spontanee. Istologicamente la nefropatia presenta gli aspetti della glomerulonefrite membrano-proliferativa con trombi intracapillari, che all'immunofluorescenza risultano costituiti da complemento e immunoglobuline identiche a quelle delle crioglobuline.

   L'associazione  tra  CM di  tipo II e  infezione  cronica da  HCV e il  riscontro di specifici antigeni HCV negli immunocomplessi depositati lungo le anse capillari e nel mesangio indicano che HCV è probabilmente coinvolto nella patogenesi del danno renale.

   Neuropatia periferica. L'interessamento neurologico, rivelato da parestesie, disestesie dolorose, debolezza muscolare, sensazioni di bruciore e dolori a "puntura di spillo" alle gambe, configura una polineuropatia sensitivo-motoria distale simmetrica. Sintomi soggettivi di neuropatia e alterazioni elettromiografiche sono stati riscontrati rispettivamente nel 91% e nell'82% dei pazienti affetti da CM. Il danno neurologico potrebbe essere causato da demielinizzazione immuno-mediata, da occlusione dei vasa nervorum da parte di precipitati crioglobulinemici o da vasculite dei vasi epineurali. La dimostrazione di HCV RNA nelle cellule mononucleate, disposte attorno alle arteriole epineurali nelle biopsie del nervo surale di pazienti con CM di tipo II, suggerisce un possibile ruolo di HCV nella patogenesi della neuropatia crioglobulinemica.

Epatopatia.  Un coinvolgimento epatico è riportato in oltre i due terzi di tutte le crioglobulinemie e virtualmente in tutte le CM di tipo II associate ad infezione cronica da HCV. Il riscontro di infiltrati linfoidi a livello degli spazi portali, talora con localizzazione elettiva perivascolare, ha suggerito analogie con la vasculite crioglubilemica, ma non esistono dimostrazioni sicure di una attività epatolesiva delle crioglobuline in qualità di immunocomplessi.

Linfoproliferazione. Nelle CM II  associate all'infezione da HCV sono  frequentemente documentati a livello epatico, splenico e midollare infiltrati linfoidi, costituiti in prevalenza da cellule B monomorfe con Ig di superficie dello stesso tipo della componente monoclonale del crioprecipitato. La linfoproliferazione B cellulare ha carattere benigno, ma studi compiuti su ampie casistiche di CM II definite essenziali hanno dimostrato lo sviluppo di linfomi non-Hodgkin (LNH) dopo prolungato follow-up.

Altre manifestazioni cliniche. Scarsa rilevanza ha l'impegno polmonare, anche se in alcuni casi si riscontrano dispnea e occasionalmente asma. Sono talora riportati sindrome sicca, tumefazione bilaterale delle parotidi,  dolori addominali ricorrenti, disturbi neurologici da interessamento del SNC (emiparesi transitorie, disartria, confusione mentale), manifestazioni cardio-vascolari connesse con quadri di vasculite coronarica.

  Indagini laboratoristiche

   Le crioglobuline sono dimostrate nel  siero e caratterizzate mediante immunofissazione o immuno elettroforesi. L'elettroforesi delle proteine sieriche può mostrare picchi monoclonali in presenza di crioglobulinemie di tipo I o II. Le crioglobuline con attività di FR condizionano la positività dell'RA-test.  La dimostrazione di immunocomplessi circolanti nel sangue si associa alla caratteristica caduta del complemento nel siero per attivazione della via classica con conseguente diminuzione delle frazioni C1q e C4. L'ipocomplementemia è presente nel 90% dei pazienti e aiuta a differenziare la vasculite crioglobulinemica dalle vasculiti ANCA-associate, che sono normo- o ipercomplementemiche.

    E' comune il riscontro nel siero di autoanticorpi (anti-GOR, anti-Sm, anti-LKM-1, ANA, ENA, AMA, ANCA, anti-tiroide), che possono complicare la diagnosi differenziale tra malattie autoimmuni con vasculite crioglobulinemica secondaria e vasculite crioglobulinemica associata ad infezione da HCV con fenomeni autoimmuni.

   La possibilità  di  una  infezione da  HCV deve  essere  ricercata mediante la determinazione degli anticorpi anti-HCV e/o di HCV RNA nel siero. Se questi test risultano negativi ed è ancora presente il sospetto di infezione da HCV (perché, ad es., sono alterati i valori delle aminotransferasi), è giustificata la ricerca di anticorpi anti-HCV e di HCV RNA anche nel crioprecipitato.
Una volta esclusa l'infezione da HCV,  le indagini  devono  essere indirizzate verso altre patologie (infettive,  autoimmuni,  mielo-linfoproliferative).

  Terapia

   Il trattamento delle crioglobulinemie di tipo I si identifica con quello della malattia sottostante. Più complessa e diversificata è la terapia delle CM, che hanno una genesi polifattoriale e si riscontrano in un'ampia varietà di condizioni cliniche. Il trattamento è indirizzato a rimuovere le cause responsabili della sindrome (ad es., malattie autoimmuni, infezioni acute o croniche) e a controllare le complicanze flogistiche connesse con la precipitazione a livello d'organo o apparato delle crioglobuline.

   Trattamento della sindrome crioglobulinemica associata ad infezione da HCV. Prima che fosse dimostrata la stretta associazione tra CM e infezione da HCV, il trattamento era rivolto a sopprimere l'iperattività immunoproliferativa che accompagna la sindrome crioglobulinemica e a tal fine venivano impiegati corticosteroidi e farmaci citotossici, quali il clorambucil, l'azatioprina e la ciclofosfamide, pur in mancanza di chiare evidenze di efficacia. In combinazione o in alternativa con tale trattamento sono state anche impiegate la plasmaferesi o la crioaferesi nella convinzione che la rimozione delle crioglobuline dal circolo potesse migliorare la viscosità ematica, il criocrito e le condizioni cliniche. L'a-interferone (aIFN), che si era già rivelato efficace in alcune patologie linfoproliferative (come la "hairy cell leukemia" o i linfomi a basso grado di malignità), è stato successivamente introdotto nella terapia della CM per il suo effetto immunomodulante e antiproliferativo. Ma è solo dopo la scoperta del ruolo eziologico di HCV nello sviluppo della sindrome crioglobulinemica che si è ampliato il livello di intervento dell'aIFN, per cui, oltre che per inibire la linfoproliferazione e (ri)-modulare la risposta immune, il farmaco ha trovato impiego come agente antivirale.

   L'impiego della terapia interferonica nella sindrome crioglobulinemica HCV-correlata  si  basa sul presupposto che la proliferazione B-linfocitaria sia antigene-dipendente e quindi potenzialmente responsiva alla riduzione della carica antigenica.

   Benchè tutti i pazienti crioglobulinemici HCV+ siano potenziali candidati alla terapia con aIFN, la decisione di trattare deve tener conto di numerose variabili: l'età dei pazienti, la durata e la gravità della malattia, lo stato clinico generale, la probabilità di risposta e altre condizioni cliniche che possono diminuire l'aspettativa di vita o controindicare il trattamento.

   La  terapia  interferonica  risulta  efficace  nel  controllare  i  segni  di malattia in oltre il  50%  deipazienti, ma la sua interruzione è generalmente seguita da recidive viremiche e crioglobulinemiche, cosicchè meno del 25% dei pazienti rimane in remissione. L'osservazione che i miglioramenti clinici compaiono solo nei pazienti con caduta di HCV RNA nel siero suggerisce che l'efficacia di aIFN è direttamente correlata con la sua attività antivirale. Rimangono ancora da stabilire dosi e durata del trattamento con aIFN. Nella maggior parte degli studi sono stati usati 3 MU tre volte alla settimana per 6-12 mesi, ma sulla base dei risultati ottenuti nelle epatiti croniche HCV+  può essere proposto un aumento di dosaggio e durata della terapia. L'impiego dei corticosteroidi non influenza l'efficacia della terapia interferonica , che sembra invece potenziata dalla Ribavirina, un analogo sintetico della guanosina, che oltre ad esercitare un'azione antivirale diretta svolgerebbe anche un'azione immunomodulante. Recenti studi controllati in pazienti con epatite cronica da virus C hanno dimostrato che la percentuale di remissioni viremiche durature è due volte più alta con l'associazione aIFN + Ribavirina che con il solo aIFN.  Non sono però ancora disponibili risultati sull'impiego della combinazione aIFN + Ribavirina nella sindrome crioglobulinemica associata ad infezione cronica da HCV.
La  terapia  immunosoppressiva  non  è  ben  valutabile perché  utilizzata in studi non controllati e aneddottici. I corticosteroidi e gli agenti citotossici (come la ciclofosfamide o il clorambucil),  comportando il rischio di aumentare la replicazione virale ed il danno epatico, non sarebbero da considerare farmaci di prima scelta nel trattamento della sindrome crioglobulinemica HCV-correlata e, comunque, non dovrebbero essere impiegati per periodi prolungati. La terapia immunosoppressiva, eventualmente combinata con la plasmaferesi o la crioaferesi, potrebbe tuttavia rivestire un ruolo importante: (i) nelle acute esacerbazioni della malattia (ad es.,  nella glomerulonefrite rapidamente progressiva, nella neuropatia motoria, nella sindrome da iperviscosità); (ii) nei pazienti resistenti al trattamento antivirale con alti livelli sierici di crioglobuline e fenomeni vasculitici; (iii) nei casi in cui la produzione di immunoglobuline monoclonali   continua   dopo   la   soppressione  della   viremia  per   effetto  di  una  proliferazione B-linfocitaria diventata autonoma.

   Terapia di supporto.  Trova  indicazione nei  pazienti  crioglobulinemici  HCV+  che  non  hanno
risposto all'interferone, impiegato da solo o in combinazione con la Ribavirina, e nei pazienti crioglobulinemici HCV- con porpora e artralgie, senza segni di compromissione d'organo.

   Norme generali di comportamento .  E' opportuno  raccomandare  ai pazienti crioglobulinemici  di evitare l'esposizione alle basse temperature e la stazione eretta prolungata, perché il freddo e la postura sembrano favorire la deposizione delle crioglobuline alle estremità e l'esacerbazione della porpora.

   Dieta ipoantigenica.  In condizioni normali,  proteine ad  alto peso molecolare  attraversano la barriera mucosale dell'intestino e vengono rimosse dal sistema reticolo-endoteliale portale. Queste proteine determinerebbero la saturazione del sistema monocitico-macrofagico, riducendo la clearance degli immunocomplessi circolanti e quindi anche delle crioglobuline. La dieta a basso contenuto antigenico, simile a quella impiegata nei pazienti con allergia alimentare, agevolerebbe la clearance delle crioglobuline, alleggerendo la saturazione del sistema monocitico-macrofagico epatico. L'aderenza alla dieta ipoantigenica è però scarsa e la sua efficacia controversa.

   Colchicina.  Viene utilizzata nella CM per le sue proprietà antiinfiammatorie e antiproliferative. In uno studio aperto, non controllato, la colchicina, alla dose di 1 mg/die,  ha determinato miglioramenti clinici e laboratoristici,  soprattutto nei  primi 6-12 mesi di trattamento. E' generalmente ben tollerata. Gli effetti collaterali più frequenti sono a carico dell'apparato gastroenterico e della crasi ematica.

 Corticosteroidi.  Basse dosi di corticosteroidi (metilprednisolone 0,1-0,3 mg/kg) potrebbero essere impiegate per la terapia sintomatica della porpora e delle artralgie, ma devono essere tenuti presenti gli importanti effetti collaterali del trattamento e, nei pazienti HCV+,  il rischio di aumento della viremia.

  Note degli Autori: Questo lavoro è in corso di pubblicazione su “Recenti Progressi in Medicina”, Il Pensiero Scientifico Editore.

PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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 Tab. 1.  -  Malattie più frequentemente associate con la crioglobulinemia (torna al testo)

Malattie linfoproliferative

·        Linfoma non-Hodgkin

·        Mieloma Multiplo

·        Macroglobulinemia di Waldenström

·        Leucemia linfatica cronica

·        Linfoadenopatia angioimmunoblastica

 

Malattie infettive

     virali

·        Epatite B e C

·        Virus dell'immunodeficienza umana (HIV)

·        Citomegalovirus (CMV)

·        Mononucleosi (EBV)

     batteriche

·        Lebbra

·        Endocardite batterica subacuta

·        Sifilide

·        Linfogranuloma venereo

      Parassitarie

·        Echinococcosi

·        Malaria

·        Toxoplasmosi

·        Leismaniosi

·        Schistosomiasi

      Fungine

·        Coccidioidomicosi

 

Malattie autoimmuni e da immunocomplessi

·        Lupus Eritematoso Sistemico

·        Artrite Reumatoide

·        Sindrome di Sjögren

·        Sindrome di Felty

·        Sclerosi sistemica

·        Polimiosite

·        Poliarterite nodosa (HBsAg positiva e negativa)

·        Sindrome di Behçet

·        Porpora di Henoch-Schönlein

·        Vasculite autoimmune

·        Glomerulonefrite

·        Tiroidite autoimmune

·        Sarcoidosi

·        Malattia celiaca

·        Pemfigo volgare