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      LA VATS NELLE AFFEZIONI BENIGNE DEL TORACE        



INDICAZIONI NELLE AFFEZIONI BENIGNE

La VATS è indicata nelle seguenti affezioni benigne:

     1) Blebs sub-pleuriche (causa di episodi di PNX recidivanti);

     2) sinechie pleuriche;

     4) PNX post-traumatico persistente;

     5) masse mediastiniche posteriori (disontogenie cistiche, adenopatie, meningoceli, emangiomi, lipomi);

     6) biopsie pleuriche e linfonodi;

     7) empiema pleurico;

     8) fistole bronco-pleuriche;

     9) chilotorace;

     10) diverticoli esofagei;

     11) asportazione di gozzo mediastinico;

Il paziente verrà sottoposto a trattamento fisioterapico per la cinesi respiratoria, verrà proibito il fumo e verrà eseguita una profilassi antibiotica specialmente nelle persone anziane o a rischio (broncopatici cronici, defedati).

 

V.A.T.S. NEL TRATTAMENTO DEL PNX.

Il pneumotorace spontaneo è una patologia frequente con una incidenza stimata in 4-9 casi ogni anno per 100.000 abitanti. Il drenaggio toracico rappresenta il trattamento di scelta nella maggioranza dei casi riuscendo ad ottenere una rapida e completa riespansione del parenchima polmonare.

Tuttavia la frequenza di recidive dopo tale procedura può essere molto elevata essendo compresa tra il 20-80% dopo il primo episodio di pneumotorace e tra l’80-100% dopo il terzo o quarto episodio. La causa più comune nell’insorgenza del PNX spontaneo è rappresentata dalla presenza di Blebs site, di solito, in sede sottopleurica, in posizione apicale.

La seconda causa più comune di PNX che necessita di terapia chirurgica è costituita dalle bolle di enfisema.
La terza causa più comune di PNX, è rappresentata dalla rottura di bolle di enfisema in pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva.

Tutti i pazienti vengono sottoposti a fibrobroncoscopia preoperatoria per escludere patologie endobronchiali cause potenziali di PNX. La resezione di blebs apicali o di bolle di enfisema, in associazione con la pleurodesi con talco deasbestato o la pleurectomia per ottenere l’adesione della pleura viscerale a quella parietale, viene considerata la terapia di scelta in caso di recidiva. Nei pazienti sottoposti a questo intervento chirurgico si registra un’incidenza minima di recidive, inferiore al 5%. Le indicazioni al trattamento chirurgico comprendono il PNX recidivante, le perdite aeree prolungate, la mancata riespansione del parenchima polmonare dopo posizionamento del drenaggio toracico, l’emotorace.

 


Immagine 1: Distrofia bollosa

In letteratura sono state descritte molte tecniche chirurgiche toracoscopiche: ablazione delle blebs con il cauterio, resezione delle bolle di enfisema con suturatrici meccaniche, coagulazione delle piccole e grosse bolle con laser a CO2 o con Nd-YAG laser, legatura o sutura endoscopica delle bolle e la pleurectomia o molti tipi differenti di pleurodesi.

La videotoracoscopia (VATS) viene impiegata in alternativa alla toracotomia per il trattamento di numerose patologie del torace. Il PNX spontaneo rappresenta un delle indicazioni ideali al trattamento con la VATS.

Si pone diagnosi di pneumotorace spontaneo in presenza di repentino e violento dolore toracico, il quale può associarsi a tosse secca, stizzosa, a dispnea ed a riduzione dell’escursione respiratoria dell’emitorace colpito. La radiografia standard del torace, eseguita nelle due proiezioni ortogonali, conferma la presenza di aria libera nella cavità pleurica. L’esecuzione di una tomografia computerizzata del torace si rende necessaria per localizzare con precisione l’eventuale area distrofico-enfisematosa, solitamente individuabile nella porzione apicale dei lobi superiori. La T.A.C. toracica deve essere in tal caso eseguita in strato sottile (con piani a 2 mm) , per un più minuzioso ed accurato studio delle regioni possibilmente distrofiche.

Nel 1937 Sattler per primo descrisse l’impiego della toracoscopia per il trattamento del PNX spontaneo. Attualmente, è possibile eseguire per via toracoscopica la coagulazione e l’exeresi delle bolle di enfisema responsabili del pneumotorace, e la pleurodesi o la pleurectomia con gli stessi risultati ottenuti con la chirurgia tradizionale, ma con minore trauma chirurgico, minore dolore post-operatorio e ridotta degenza ospedaliera.

Il toracoscopio utilizzato è di 10 mm con canale operativo di 7 mm, ottica a 0 gradi. Dopo aver inserito un trocart da 11 mm al VI spazio intercostale tra la linea ascellare media e quella posteriore si esplora il cavo pleurico ed il parenchima polmonare, con particolare attenzione all’apice polmonare ed al segmento apicale del lobo inferiore frequenti sedi di bolle di enfisema. Di solito viene inserito un secondo trocar al VI spazio intercostale lungo la linea ascellare anteriore e se necessario viene posizionato un terzo trocar al V spazio intercostale sulla linea ascellare posteriore. Blebs delle dimensioni di 5-10 mm vengono coagulate con il cauterio mentre le suturatrici meccaniche endoscopiche (endo-Gia) si usano per la resezione delle bolle di enfisema. La linea di sutura delle suturatrici meccaniche può essere ricoperta con colla di fibrina  per assicurare la completa tenuta aerea.

Il tempo medio operatorio per questi interventi è di circa 10 minuti.

Il decorso post-operatorio è sicuramente migliore rispetto alla toracotomia classica e per il tempo di degenza (in media 3 giorni) e per le basse complicanze. 

Nel panorama delle opzioni chirurgiche è utile precisare la serie di criteri che selezionano la corretta indicazione alla scelta dell’approccio videotoracoscopico. E’ da ritenere corretto indirizzare a toracoscopia operativa videoassistita pazienti di giovane età, affetti da pneumotorace spontaneo plurirecidivo, la cui eziologia sia con sicurezza attribuibile alla presenza di piccole lesioni bollose o isolate “blebs” in sede subpleurica e nei quali il numero di episodi (superiore ad almeno tre) lasci presupporre un’incrementata probabilità alla recidiva.

 

 

FENESTRATURE DEL PERICARDIO PER VIA TORACOSCOPICA NEL TRATTAMENTO DEI VERSAMENTI PERICARDICI.

I versamenti pericardici possono essere provocati dalle cause più diverse, le più frequenti delle quali sono rappresentate da uremia, radioterapia mediastinica, pericarditi idiopatiche, collagenosi e carcinosi  pericardica. Vista la molteplicità delle patologie una diagnosi eziologica precisa assume un ruolo determinante sia in funzione dell’approccio terapeutico che della prognosi. La clinica, le metodiche di immagine, la pericardiocentesi con esame cito-batteriologico, possono portare elementi utili alla diagnosi eziologica, ma molti casi rimangono non completamente diagnosticati e richiedono l’impiego di metodiche d’indagine invasive.

Il versamento pericardico presenta due aspetti che possono essere di competenza chirurgica, il drenaggi del liquido in caso di tamponamento sintomatico e l’esecuzione di un prelievo bioptico ai fini di una diagnosi eziologica. Entrambi questi problemi possono essere risolti dalla resezione di un lembo pericardico di 3-4 cm di diametro sul quale può essere eseguito un esame istologico e che contemporaneamente crea una “finestra” dalla quale il liquido fuoriesce dal cavo pericardico.

Le vie di accesso di questo intervento sono quella sottoxifoidea, quella laparoscopica e quella toracoscopica.

La via sottoxifoidea, già descritta da Larrey 1829, prevede una piccola incisione mediana sottoxifoidea con la separazione della cute e dei muscoli retti. Per via smussa si crea un canale tra il processo xifoideo e il diaframma nel quale si introduce un mediastinoscopio che viene spinto per via extra pleurica fino al pericardio. Dopo aver evidenziato il sacco pericardico, si apre sulla sua parete anteriore una finestra di 4x4 cm. attraverso la quale si evacua il versamento. L’interno del cavo pleurico e la superficie epicardica possono essere ispezionate con un coledoscopio flessibile. L’intervento viene terminato con una sutura per piani della parete addominale lasciando però aperta la finestra pericardica.

La fenestratura del pericardio per via toracoscopica può essere eseguita in anestesia locale, ma sia per il chirurgo che per il paziente è preferibile un’anestesia generale con intubazione orotracheale che permette l’esclusione del polmone. Di solito è preferibile l’accesso sinistro, anche se l’intervento può essere eseguito anche da destra. La prima incisione di due centimetri viene eseguita a livello del VII° spazio intercostale sull’ ascellare media; i piani muscolari vengono progressivamente divaricati con una Kelly fino a raggiungere la pleura parietale. Questa viene lacerata con un dito che viene poi spinto nel cavo pleurico per verificare l’assenza di aderenze. Attraverso la braccia così creata si introduce un tubo di drenaggio per permettere l’istituzione di un pneumotorace. A questo punto si può inserire senza alcun rischio il port n°10 per il toracoscopio. Sotto controllo visivo vengono poi introdotti altri due port per gli strumenti operativi, generalmente sul V spazio a livello delle linee ascellari anteriori e posteriori.

Il pericardio è facilmente identificabile, disteso, debolmente pulsante. Dopo aver identificato il decorso del nervo frenico, si afferra una plica di pericardio con una pinza da presa tipo Allis e su di essa con un endoscissor si evacua il liquido. Aperta la cavità pericardica per quattro centimetri la si ispeziona all’interno.

Con questa tecnica la divisione di Chirurgia Toracica di Trieste ha eseguito la fenestratura del pericardio in tre pazienti tutti affetti da versamento pericardico con un quadro clinico di tamponamento. Il risultato immediato è stato in tutti i casi ottimo.

   

BLEBS PLEURICHE (CAUSE DI PNX RECIDIVANTE)

Le blebs in sede subpleurica o in sede intraparenchimale o parascissurale (bulla) anche se associate a PNX, possono essere trattate con la VATS. La resezione delle bolle può essere effettuata con un filo a forma di cappio attraverso un trocar (endeloop) o con endo-GIA, quest’ultima da preferire poiché con esse possono venire trattate anche bolle di grandi dimensioni.

    Le bolle subpleuriche, derivate da un progressivo assottigliamento e successiva distruzione di setti interalveolari, a scoppio avvenuto, possono presentarsi con caratteristiche estremamente eterogenee: quelle andate incontro a rottura da alcuni giorni sono generalmente ricoperte da materiale di origine fibrinosa dal colore bianco-giallognolo; quelle di più recente lesione (entro due giorni) sono invece circondate da tessuto emorragico. 

Una blanda ventilazione manuale eseguita dall’anestesista  sul polmone precedentemente escluso può rivelarsi un utilissimo espediente nel reperimento delle bolle andate incontro a rottura e nell’individuazione delle più minute brecce aeree.

     Immagine 2: distrofia bollosa


Una volta individuate le bolle si pone indicazione alle loro resezione o legatura, secondo un criterio differenziativo basato sull’indice volumetrico. Secondo l’esperienza di alcuni autori, le formazioni bollose con diametro compreso fra 0,5 e 2 cm vanno fotocoagulate con luce laser ad onda continua a bassa-media potenza (30-40 Watt), con apparecchio al noedimio-yttrio-alluminio-granato (Nd:YAG) o ad anidride carbonica (CO2). La luce del laser a CO2 è fortemente assorbita dall’acqua, ha una bassa penetrazione (0,2 mm) ed una scarsa coagulazione tissutale, mentre le caratteristiche del leaser Nd:YAG lo differenziano per un preponderante assorbimento da parte delle proteine tissutali, per una notevole profondità d’azione (fino a 5 mm) e per le buone doti di emostasi ed aerostasi.

La fibra o l’estremità ottica del manipolo laser, mantenuta ad una distanza di un paio di cm dalla superficie della bolla, svolge un’azione destruente, mediante fotocoagulazione e retrazione fino alla completa sintesi della lesione per meccanismo termico. Tale metodica permette la radicale eliminazione dell’evento casuale del PNX, con il massimo risparmio possibile del parenchima polmonare integro e funzionale.

Per lesioni bollose oltre i due centimetri, alcuni autori fanno ricorso alla legetura mediante Endo-loop: si tratta di un’ansa di filo a lento riassorbimento (generalmente catgut cromico o analogo) che viene caricata su di un applicatore apposito per suture e viene introdotta nel cavo pleurico, andando ad avvolgere la bolla con un nodo molto serrato. La tenuta dell’ansa è resa più facile dal momento che il nodo in catgut, irradiato dagli essudati sieroematici, tende al rigonfiamento, incrementando così la sua capacità alla resistenza dopo la riespansione polmonare. In altri casi è possibile applicare una clip metallica direttamente sulla bolla distruggendola ed eliminando definitivamente la comunicazione tra le vie aeree e cavo pleurico.

Dopo la bollectomia la cavità pleurica viene detersa mediante instillazione di soluzione fisiologica ed antibiotici; si  passa dunque ai controlli docimasici per eventuali residue perdite aeree. La negatività della prova viene data dall’assenza di bolle nell’ambito del liquido di lavaggio, durante le fasi di insufflazione del polmone fino ad ora collassato.

 

Immagine 2: distrofia bollosa

 

 

 

LA CHIRURGIA TORACOSCOPICA NELL’EMPIEMA, FISTOLE BRONCO-PLEURICHE E NEL CHILOTORACE

 La potenzialità della toracoscopia nel controllo dello spazio pleurico non si è espressa del tutto completamente; le sue indicazioni continuano ad evolversi e ad allargarsi poiché esistono ancora alcune nicchie di patologia pleurica nelle quali, pur essendo stato intravisto un suo uso vantaggioso, tarda ad affermarsi per la loro rarità e quindi per l’impossibilità di confronti adeguati sull’efficacia della procedura. Ciò è quanto avviene nell’empiema pleurico con o senza fistola bronchiale e nel chilotorace.

 -Nella toracoscopia dell’empiema pleurico, a primo approccio diagnostico, l’indagine non ha alcuna giustificata indicazione, essendo possibile ottenere la diagnosi con mezzi più semplici e meno invasivi. Diventa irrinunciabile allorquando la malattia non è responsiva alla terapia antibiotica e toracoscopica chiusa o quando la diagnosi non è perfetta. L’osservazione diretta del cavo empiematico consente il totale sbrigliamento con l’elisione di tutte le eventuali sepimentazioni, la sistemazione ottimale del drenaggio, la detersione più efficiente del cavo e l’individuazione delle cause concomitanti e concorrenti alla persistenza della suppurazione. Si possono così asportare corpi estranei; rilevare eventuali fistole bronchiali e fistole esofagee. Recentemente è stata proposta la decorticazione in videotoracoscopia.

-Nella toracoscopia delle fistole bronco-pleuriche il trattamento attraverso il cavo pleurico ha una maggiore razionalità rispetto all’esclusivo trattamento broncoscopico poiché si domina contemporaneamente la fistola ed il cavo.

L’indicazione ideale è la fistola di dimensioni modeste, indipendentemente dal calibro del bronco interessato, con cavo pleurico di volume ridotto e scarsamente suppurante. Si procede all’esplorazione diretta del cavo allontanando i detriti necrotici e detergendone la parete per identificare sul suo versante mediale la soluzione di continuo bronchiale. La presenza del tessuto di granulazione rende più indaginoso il rilievo per cui diventa preziosa la transilluminazione del bronco deiscente con il fibrobroncoscopio. Localizzata la fistola se ne possono recentare e cruentare i margini direttamente o con fotocoagulazione mediante laser Nd-YAG oppure ostruirne il lume con colla biologica che oblitera totalmente anche il cavo.

-Parlare dell’utilizzazione della procedura nel trattamento del chilotorace è alquanto problematico poiché nonostante il discreto incremento della frequenza dell’affezione, i casi osservati sono pochi e le proposte di interventi toracoscopici limitatissime. Il chilotorace post-traumatico o iatrogeno, che rappresentano la grande maggioranza di tutti i chilotoraci, solitamente rispondono favorevolmente alla terapia medica ben condotta.

La toracoscopia trova precisa collocazione nella definizione diagnostica delle rare forme di chilotorace da linfedema primario - Yellow nails syndrome; da linfangiomiomatosi polmonare dove l’indispensabile biopsia parenchimale viene facilmente ottenuta evitando il ricorso alla toracotomia. 

La chirurgia mininvasiva toracoscopica con i suoi ingrandimenti di immagine può enormemente facilitare l’identificazione del dotto toracico e delle sue lesioni, difficilissima nella chirurgia tradizionale per l’impossibilità di ottenere un campo operatorio perfettamente asciutto da dove potesse affiorare il gemizio linfatico anche se la gestualità operatoria non differisce da quella degli interventi tradizionali.

La chirurgia mininvasiva deve essere patrimonio esclusivo di chirurghi esperti in toracoscopia come viene ormai da tutti raccomandato, per potere affrontare con successo tutte le eventuali complicazioni.

BIOPSIE POLMONARI PER VIA TORACOSCOPICA NELLE INTERSTIZIOPATIE POLMONARI CRONICHE

Sotto la denominazione di interstiziopatie polmonari croniche vengono comprese diverse patologie che interessano gli alveoli ed il tessuto perialveolare che, pur essendo tra loro eterogenee per etiologia e patogenesi, portano tutte ad uno stesso stadio finale di fibrosi.

L’interstizio polmonare può essere diviso in due compartimenti, uno centrale, costituito dal connettivo lasso che circonda l’asse broncovascolare, ed uno periferico, formato da setti che delimitano gli acini polmonari e gli alveoli. Nel primo decorrono i bronchi, le arterie e le vene polmonari, le arterie bronchiali ed i linfatici. Nei setti interacinari decorrono i linfatici e le vene che drenano il lobulo. Il setto interalveolare è formato dalla fusione della membrana basale dell’epitelio e dei capillari. Tutto l’interstizio polmonare è riempito da fibre collagene imbibite in una matrice gelatinosa prodotta da cellule endogene e contiene liquido filtrato attraverso capillari polmonari che è poi drenato nel sistema venoso attraverso i vasi linfatici.

A seguito di un insulto flogistico a carico del parenchima alveolare ha inizio un processo infiammatorio caratterizzato da essudazione di liquido e proteine all’interno dell’alveolo che può risolversi ma che più spesso tende a cronicizzare per il persistere del fattore causale.

       Tabella n° 1. Intersitiziopatie polmonari croniche da agente etiologico noto

 

Sostanze organiche

pneumoconiosi

Sostanze inorganiche

alveoliti allergiche estrinseche

Veleni

paraquat

Agenti fisici

radiazioni, ossigeno ad alte concentrazioni

Agenti infettanti

micobatteri, miceti

Stasi cronica

scompenso cardiaco

 

I dati anamnestici, la clinica, gli esami radiologici del torace, permettono facilmente di diagnosticare un interessamento interstiziale polmonare, ma per ottenere una diagnosi etiologica  è però quasi sempre necessario disporre di un prelievo bioptico. La diagnosi di interstiziopatia, infatti, non può essere generica, ma deve portare all’indicazione della natura etiologica della malattia: solo così è possibile istaurare una terapia razionale.

Una biopsia polmonare può essere ottenuta attraverso una toracoscopia operativa, come suggerito da Boutin. Nel suo lavoro originale del 1982 egli ha sottolineato la necessità di una procedura che possa fornire la stessa qualità di una biopsia a cielo aperto con minor morbilità e mortalità.

La biopsia polmonare toracoscopica può essere eseguita sia in anestesia generale che in locale. Quest’ultima può essere particolarmente indicata in caso di severa insufficienza cardiorespiratoria, mentre negli altri casi è preferibile l’anestesia generale con intubazione endo-bronchiale selettiva (tubo di Carlens).

Dopo aver posizionato il paziente in decubilto laterale, si pratica una piccola incisione cutanea di circa un centimetro sulla linea ascellare media i una zona scelta in base all’area di parenchima polmonare di cui si vuole ottenere il prelievo. L’incisione viene approfondita dissecando i muscoli della parete toracica con una pinza di Kelly fino al raggiungimento della pleura parietale che viene rotta con un dito. Lo scopo di questa manovra è di accertare che il polmone sia libero da aderenze con la pleura parietale per evitare lesioni parenchimali durante l’introduzione del toracoscopio. Attraverso l’incisione si introduce nel cavo pleurico un tubo di drenaggio in modo da permettere l’ingresso di aria dall’esterno ed ottenere il collasso polmonare. Il tubo viene poi estratto e sostituito con un “port” da 10 mm attraverso il quale viene introdotto il toracoscopio.

Una volta che il toracoscopio è penetrato nella cavità toracica viene esaminata la pleura parietale alla ricerca di una sede atta all’introduzione degli strumenti operativi. Essi consistono in pinze da presa o da sezione, forbici e staplers realizzati per questo particolare fine. Determinante per la realizzazione di biopsie polmonari a torace chiuso, è stata l’introduzione in commercio di staplers endoscopici che forniscono prelievi di parenchima polmonare delle stesse dimensioni e qualità di quelli ottenuti con la tecnica a cielo aperto, assicurando un’ottima emostasi ed assenza pressoché totale di perdite aeree.

Al termine dell’intervento un tubo sottile viene introdotto nella cavità pleurica ed accompagnato sotto controllo endoscopico verso la superficie anteriore dell’apice polmonare. La ventilazione polmonare sottoposto a biopsia viene ripristinata controllando con il toracoscopio la piena espansione parenchimale ed il corretto posizionamento dei tubi di drenaggio. Questi vengono collegati con una valvola a due centimetri  di acqua . I suddetti tubi di drenaggio vengono rimossi e il paziente dimesso quando la colonna d’acqua non si muove durante il respiro profondo o i colpi di tosse e la quantità di liquido raccolta è inferiore a 50 cc al giorno.

La biopsia parenchimale per via toracoscopica è tecnicamente molto semplice e la sua esecuzione non presenta dal punto di vista chirurgico problemi particolari. Tuttavia se si vuole essere certi di ottenere campioni di tessuto utili per una diagnosi anatomopatologica circostanziata, è necessario che il prelievo venga eseguito su aree parenchimali che radiologicamente appaiono mediamente interessate dal processo, nelle quali è massima la probabilità di osservare aspetti istologici diagnostici.

E’ universalmente accettato che la toracoscopia operativa sia una procedura gravata da una mortalità operatoria pressoché nulla, rappresentata da pneumotorace residuo, emottisi non importante, aritmie cardiache e febbre. Poche sono la controindicazioni che possono essere identificate nel reperimento di multiple tenaci aderenze che non possono essere resecate.

Uno dei molti vantaggi della biopsia toracoscopica è dato dalla possibilità di usare l’anestesia locale nei pazienti particolarmente compromessi.

Anche i pazienti hanno accolto entusiasticamente l’avvento di questa tecnica per il risultato estetico, minor dolore post-operatorio e diminuito periodo di ricovero.

 

DIVERTICOLI EPIFRENICI DELL’ESOFAGO

Il trattamento tradizionale dei diverticoli da pulsione dell’esofago toracico (diverticoli epifrenici) consiste nella resezione della sacca diverticolare associata alla miotomia dell’esofago distale e ad una plastica antireflusso parziale, eseguita per via toracotomica sinistra.

Il recente progresso tecnologico e l’esperienza acquisita in chirurgia mini-invasiva ha indotto a valutare la possibilità di trattare i diverticoli epifrenici per via toracoscopica. Allo stato attuale, grazie all’impiego delle suturatrici meccaniche endoscopiche, è possibile realizzare per via toracoscopica la resezione del diverticolo, che generalmente si estrinseca sul versante destro dell’esofago.

Vista la complessità all’accesso del margine sinistro dell’esofago inferiore, indispensabile per eseguire una miotomia completa e la plastica antireflusso, si è pensato di sostituire alla miotomia una dilatazione pneumatica preoperatoria del cardias, da riservare ai pazienti in cui la manometria dimostra un’alterazione motoria.

Previa intubazione selettiva con tubo di Carlens, il paziente viene posto in decubito laterale sinistro. L’esclusione del polmone destro è sufficiente per ottenere un campo operatorio libero senza necessità di insufflare anidride carbonica nel cavo toracico. La disposizione dei trocars è in relazione alla sede del diverticolo, in modo da raggiungere l’esofago con l’angolo d’incidenza più favorevole. Generalmente si utilizzano quattro trocars due da 10,5 mm e due da 11,5 mm di diametro, che vengono posizionati fra il IV ed il IX spazio intercostale fra le linee ascellare anteriore o posteriore. Nel trocar più anteriore (10,5 mm) viene inserito il divaricatore Auto Suture Endo Retract  per reclinare il polmone destro escluso verso il mediastino. IL posizionamento della telecamera è variabile a seconda della posizione dei diverticoli. Dagli altri due trocars vengono inseriti gli strumenti operatori propriamente detti.

Prima di iniziare qualsiasi manovra di dissezione, l’esofago toracico ed il diverticolo vengono localizzati con l’endoscopia intraoperatoria, che consente l’insufflazione e la transilluminazione; riduce il rischio di lesioni della mucosa e calibra il lume esofageo al momento dell’applicazione della suturatrice meccanica. Al termine delle manovre di dissezione si introduce la suturatrice meccanica Auto Suture Endo Gia. Completata la resezione del diverticolo, i bordi muscolari dell’esofago vengono riavvicinati con punti staccati o con una sutura continua a copertura delle graffette metalliche. Al termine dell’intervento, verificata l’emostasi del cavo toracico, si posiziona un drenaggio pleurico attraverso la canula più posteriore e declive.

La somministrazione di analgesici è sistematica durante le prime 24 ore post-operatorie.

Il sondino naso-gastrico viene mantenuto in aspirazione fino alla sesta giornata post-operatoria. Il paziente può quindi iniziare una dieta idrica e quindi, progressivamente, l’alimentazione per via orale. Il drenaggio toracico, mantenuto anch’esso in aspirazione continua, può essere rimosso il giorno successivo.

MASSE CISTICHE DEL MEDIASTINO POSTERIORE

Le disontogenie cistiche, pur se poco frequenti, si collocano al secondo posto per incidenza tra le masse del mediastino posteriore e sono essenzialmente cisti broncogene, cisti esofagee, e cisti anterogene. Le cisti broncogene sono le più frequenti fra le cisti del mediastino. Si presentano radiologicamente come masse arrotondate od ovali, la loro parete ricalca la struttura della parete bronchiale con epitelio respiratorio ciliato, fibre muscolari e bottoni cartilaginei. Sono ripiene di liquido chiaro, mucinoso, talora simile a pus; si sviluppano a contatto con l’albero respiratorio, ma generalmente non sono con esso comunicanti. La classificazione topografica di Maier riconosce 5 diversi gruppi in relazione alla sede di sviluppo: paratracheali, carenali, ilari, paraesofagee e varie. Il decorso clinico può essere del tutto asintomatico oppure, può essere caratterizzato da segni della sepsi per l’infezione della cisti o dalla conseguenza della compressione sull’albero respiratorio o sull’esofago. La terapia chirurgica va sempre concordata caso per caso, in riferimento alle dimensioni, alla sintomatologia ed alle possibili complicanze causate dalle diverse patologie.

Prima dell’avvento della chirurgia toracica viedeo-assistita, la toracotomia costituiva l’unico possibile approccio alle strutture del mediastino posteriore. Anche di fronte a patologie “minori”, quindi, si doveva ricorrere ad una toracotomia postero-laterale o, più recentemente, ai vari tipi di toracotomia senza sezione muscolare.

La chirurgia toracoscopica si propone oggi anche per questo gruppo di patologie come vera alternativa alle tecniche chirurgiche classiche in quanto l’anatomia della regione mediastinica posteriore ed il tipo di neoformazione che vi può insorgere, è tale da rendere estremamente efficace l’utilizzo di questa nuova metodica. Trattandosi per lo più di masse extrapleuriche peduncolate, la magnificazione e l’ingrandimento offerti dell’immagine video rendono l’apertura della pleura mediastinica, la dissezione della massa, l’individuazione ed interruzione del peduncolo estremamente semplice e sicura.

Ovviamente, a ciò si aggiungono i vantaggi generali della chirurgia toracoscopica: il minor trauma operatorio, l’assenza del danno estetico e funzionale della toracotomia, il minor dolore nel post-operatorio, la diminuzione delle complicanze post-operatorie e dei tempi di degenza.

Per queste ragioni è possibile affermare che la chirurgia videoassistita è una metodica che nel trattamento delle masse mediastiniche posteriori ha pari efficacia rispetto alla chirurgia toracotomica con in più tutti i vantaggi di una tecnica notevolmente meno invasiva.

 

UTILIZZO DELLA COLLA DI FIBRINA  IN CHIRURGIA VIDEOTORACOSCOPICA

  La Fibrina svolge un ruolo di fondamentale importanza nella riparazione delle lesioni con perdita di sostanza e nella guarigione delle ferite. Numerosi studi hanno confermato l’importanza della fibrina; alcuni in particolare, hanno studiato la formazione del tessuto di granulazione in condizione di defibrinogenazione, dimostrando che la carenza di fibrina comporta l’irregolarità e la mancanza di integrità della trama.

Il primo impiego di una “colla” in chirurgia toracica risale al 1955, quando Eder installò nel cavo pleurico un collante composto da plasma autologo, trombina e cloruro di calcio, al fine di chiudere piccole fistole bronco-pleuriche dopo resezioni polmonari.

La colla di fibrina oggi disponibile è un sistema biologico a 2 componenti: il primo è un crioprecipitato liofilizzato contenente fibrinogeno e fattore XIII in elevate concentrazioni, fibronectina ed altre plasmaproteine umane coagulabili da ricostituire con una soluzione di un inibitore della fibrinolisi.

Il secondo componente, la trombina liofilizzata, si ricostituisce in una soluzione di cloruro di calcio 40 mM per ottenere concentrazioni di trombina di 500 e 4 UI in relazione al metodo di applicazione scelto.

La più importante delle proteine collanti del primo componente è il fibrinogeno. Attraverso l’azione della trombina, questa viene divisa nei fibrinopeptidi A e B ed in un monomero di fibrina.

Al fine di ottenere la massima forza tensile è necessaria la formazione di legami crociati tra le catene alfa di fibrina. Nella colla di fibrina ciò è assicurato dalla presenza di una sufficiente quantità di fattore XIII che produce un alto grado di legami crociati risultati in sufficiente forza tensile dopo circa 3-5 minuti.

Il paventato rischio di trasmissione di epatite mediante i due componenti della colla di fibrina, è stato studiato da Eder e Coll.: nessuno dei 69 pazienti entrati nel loro studio randomizzato controllato, dimostrò di aver contratto epatite B o C. Il crioprecipitato dei componenti della colla di fibrina, infatti, è preparato dal plasma di donatori selezionati, i quali sono controllati ad ogni donazione sulla presenza di HbsAg mediante dosaggi radioimmunologici.

Il riassorbimento della colla di fibrina inizia nelle prime 24 ore e si completa nell’arco di tempo di 7-21 giorni. La percentuale di degradazione del collante dipende dai seguenti fattori:

a)   l’attività fibrinolitica nell’area di applicazione;

b)  lo spessore dello strato di collante;

c)   la quantità di apoproteina presente.

In sintesi, si può quindi concludere che le principali azioni della colla di fibrina sono: l’azione emostatica, quella collante e lo stimolo di tessuto di granulazione. La colla di fibrina possiede inoltre una elevata biocompatibilità ed il coagulo da essa formato è rapidamente e completamente riassorbito, senza eccessive reazioni tissutali.

La chirurgia toraco-polmonare è frequentemente complicata dalla mancata aerostasi delle suture bronchiali, parenchimali, delle anastomosi tracheo-bronchiali. Queste lesioni possono essere responsabili di prolungati periodi di drenaggio post-operatorio o di gravi complicanze quali le fistole bronchiali, la mediastinite o la deiscenza delle suture. La colla di fibrina è stata considerata un valido complemento alle tradizionali metodiche di prevenzione e trattamento di tali complicanze ed i risultati delle esperienze riportate in letteratura sembrano confermare tale ipotesi.

Numerosi sono i campi di applicazione che la colla di fibrina umana ha trovato in chirurgia videotoracoscopica:

1)  suture bronchiali;

2)  suture vascolari;

3)  suture parenchimali;

4)  lo pneumotorace recidivante: al fine di facilitare l’adesione dei due foglietti pleurici e la riparazione di eventuali lesioni sulla pleura viscerale, può essere apposta la colla mediante videotoracoscopia.

5)  fistole bronco-pleuriche: può essere usata la colla di fibrina a rapida coagulazione apposta sulla fistola mediante videotoracoscopia.

Si può quindi affermare sulla base delle varie esperienze, che gli ottimi risultati finora ottenuti con l’uso della colla di fibrina in videotoracoscopia dimostrano l’efficacia di tale materiale e la molteplicità dei suoi possibili usi.