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Antonino Bambara
L'arte sacra italiana, di porte lignee con pannelli bronzei,
non ne annovera molte, anche per i problemi che può
creare il ristagno eventuale dell'acqua piovana nei punti
di contatto tra il legno ed il bronzo.
Nondimeno, se le più comuni porte integralmente bronzee
sono le più diffuse nel campo artistico, non posso
non rilevare che, al fedele, la porta legno-bronzo è
indubbiamente più gradita.
Questa infatti è più calda, più "accogliente",
più vicina al "sacro", mentre la porta di
solo bronzo per quanto possa essere ben lavorata difficilmente
evita un certo senso di "cassaforte" che tende a
respingere il fedele.
A parer mio, anche per i puri fruitori dell'arte, la porta
legno-bronzo può risultare più gradita quando
la "forza" del bronzo viene accentuata artisticamente
dal più "tenero e dolce" legno, per una visione
generale di impianto non monumentale ma plastico-prospettica,
per sceneggiature di forte suggestione sacra popolare.
Un portale di chiesa, artisticamente elaborato, èun
manufatto tra i più impegnativi perché implica
non solo la soluzione di problemi plastici, architettonici,
compositivi ma anche più sottilmente psicologici in
quanto è, per il fedele, il momento di invito ad entrare
o non entrare, essendo proprio il punto di limite tra il "dentro"
ed il "fuori" della chiesa, con tutte le implicazioni,
non solamente fisiche, che questo sottende.
La riuscita ottimale di un portale legno-bronzo richiede oltre
al lavoro dell'artista scultore anche una efficiente collaborazione
di più équipes di abili artigiani del legno
e del bronzo che l'artista deve ben conoscere, individuare
e coordinare.
Per tale genere di manufatto, il lavoro dell'artista scultore
non può mai essere di assemblaggio o di commistione
del suo bronzo alla porta lignea altrui ma di sacra unione
delle parti.
Necessitano decine di persone capaci di concentrare contemporaneamente
in uno scopo tutto l'impegno di conoscenza ed amore per il
loro lavoro.
Solo così si crea un'opera valida che, rimanendo nel
tempo, va a formare quel patrimonio che arricchisce l'Italia,
paese dove da secoli questo sacro spirito alligna. Poste queste
premesse, invito i fedeli ad osservare il portale quale opera
collettiva; con Guido Sgaravatti, scultore, responsabile primo.
E stato merito del sindaco di Saponara, avv. Leone Saiya,
l'aver voluto, sollecitato e finanziato la realizzazione di
questa opera.
Saponara è un piccolo centro a poche decine di km.
da Messina, a 180 m. sul livello del mare. Sorta all'inizio
del XI sec., ha avuto un periodo di fulgore nel 1600. A quel
secolo si devono datare i monumenti architettonici presenti
nel suo contesto ed atti a generare, per un paese divenuto
Comune d'Europa, un interesse che viene poi potenziato dalle
sue tradizionali feste del 7 e 8 dicembre.
Su questa tradizione non si trova una grande documentazione
scritta o forse non si fatte ancora ricerche sufficientemente
accurate ma si tramanda come, alcuni secoli fa, e probabilmente
proprio nel 1700, i carbonai (che abitavano nel paese e che
lavoravano nei monti vicini, ricchi di acque, necessarie alla
produzione di carbone, per protesta contro il clero e contro
i signori del posto, che, misconoscendo le loro fatiche, traevano
profitto dalla loro assenza per escluderli sempre più
da tutte le manifestazioni religiose, relegandoli a lavorare
sui monti) siano scesi nel paese, e qui, scassata la porta
serrata della chiesa dell'Immacolata (una bella chiesetta
di modeste dimensioni, posta, per chi viene da monte, sulla
sinistra del torrente Saponara, e databile, per tipo e tecnica
muraria, tra il XV ed il XVI secolo, dalle forme particolarmente
semplici e severe e dalle pareti nude per una costruzione
in mattoni di francescana osservanza) si siano impadroniti
del quadro della Madonna esposto sull'altare (trattasi di
dipinto ligneo del XVI secolo, di piccole dimensioni) e se
lo siano portato via in processione al lume delle torce, in
una fiaccolata che, per contestazione popolare, voleva affermare
la riappropiazione autonoma del valore ecumenico e non di
casta chiusa della religione cattolica, al di là di
meschini interessi di parte.
La conciliazione del conflitto tra carbonai e gruppi egemoni
venne poi ottenuta con la restituzione del quadro alla chiesa
ma restò il diritto popolare ad una festa annuale che,
nel tempo, precedesse quella, ufficiale, dei ceti dirigenti:
clero e podestà, e che fosse atta a ricordare il fatto
e soprattutto l'affermazione di principio.
Ne consegue che, nel paese, la festa popolare, del "Quadrittu"
precede di un giorno la festa ufficiale della "Madonna
Immacolata".
Nel primo giorno, il 7 dicembre, il sindaco ed i notabili
del paese seguono il "Quadrittu" in processione
popolare, nel secondo giorno, l'8 dicembre, officiano essi
stessi la cerimonia, meno sentita, cinti di sciarpe e con
bandiere, e con animo compunto, quasi a penitenza della colpa
delle cariche pubbliche.
La tradizione del "Quadrittu" è molto sentita
nel paese e rappresenta insieme un elemento di coesione delle
masse, anche se politicamente divise, e di sfogo anche di
contrapposte tendenze.
La fiaccolata votiva viene effettuata con originali torce
cilindriche, specie di bastoni bianchi, lunghi circa un metro
e mezzo.
Le torce, secondo la tradizione si preparano impeciando radici
essicate di Saponaria gypsophila e lunghe fibre di lino. Si
forma cosi il nucleo interno che viene poi rotolato su gesso
da presa fino a formare un involucro protettivo; ce ne è
di bisogno perché quello che, a distanza, può
apparire un innocente cero, sprigiona, una volta acceso, una
fiamma alta e cattiva, che resiste al vento e alla pioggia
ma che gocciola pece ardente che cade sulle mani, alcune volte
nude, degli officianti e se la crosta di gesso si lede bisogna
esser pronti a spegnere subito tutto... a martellate.
Per la cerimonia, il parroco, vestito di nero, con cappuccio
e guantoni, porta avanti il "Quadrittu" (il quadro
ligneo della Madonna) per un giro di tutto il paese.
I partecipanti alla fiaccolata procedono per tutto il percorso
sempre e solo arretrando e spingendo le fiaccole a ridosso
del "Quadrittu" che avanza, sostenuto dall'officiante.
I partecipanti si proteggono con cappucci di telone avana
o nero e vesti grosse, atte a difendere dal gocciolamento
della pace infocata e ustionante che può cadere su
di loro e c e anche chi scarica, a livello di quasi-gioco,
i vecchi conflitti, dirigendo intenzionalmente il gocciolamento
della pece sugli altri ufficianti, gli amici-nemici della
cerimonia, primo, fra tutti lo stesso parroco ufficiante,
per cui gli astanti spesso dicono che talvolta, per le defezioni
degli ustionati, la processione va avanti non più alla
luce delle torce quanto a quella dei "moccoli".
Ma anche questo, oggi, fa parte del rito!
Tutti i fiaccolari sono coordinati da un capogruppo che dirige
il coro delle grida. Si inneggia di continuo alla Madonna
al grido unanime di "Viva Maria!" e si riafferma
il principio della universalità del sentimento del
sacro.
Punteggia ogni fermata del "Quadrittu" una frase
di rito più lunga: "Non sulu li puntenti (o "li
signuri") ma puro nui dìcemu: viva Maria!".
Inizialmente uno degli officianti simula simbolicamente, con
un grosso chiodo lo scasso della chiesa. Esce subito dopo
il prete officiante che innalza su una lunga pertica il "Quadrittu"
che, da quel momento diviene il fulcro rituale.
Il gruppo dei fiaccolari si sposta retrocedendo e ritmando
le grida e percorre tutto il paese seguito dalla banda municipale,
dal popoìo tutto e da tutta la coreografia tipica delle
sagre paesane. Curioso è il fatto che quando la banda
musicale cessa di suonare taccia anche il coro delle grida
e tutti arrestino la marcia.
L'idea dell'avv. Leone Saiya, di fissare tale tradizione,
che si va sempre più affievolendo, in un'opera scultorea
per le nuove porte della chiesa, da sostituire a quelle nude,
attuali, che risalgono agli inizi dell'ottocento, è
divenuto elemento gradito a tutti, maggioranza ed opposizione,
perché al di là dei conflitti di partito, tipici
di ogni luogo, la tradizione èanche qui l'elemento
che accomuna il gruppo sociale, l'arte, in tal caso, si può
alleare alla tradizione quale fonte di recupero di smarrite
radici culturali.
Se genuina e depurata da gretta retorica l'arte èsempre
elemento prezioso di fusione e di accordo sociale.
In un certo recente periodo storico si è arbitrariamente
voluta considerare arte solo quella informale e l'arte informale
ha scarsissima presa sul sentimento popolare.
Tra il mondo culturale e la gente comune si è venuto
a creare un doloroso stacco per cui anche in questo settore
potrebbe essere auspicabile un'operazione di riappropiazione
analoga a quella che venne fatta dai carbonari con "u
Quadrittu".
L'arte, sul piano formale è sempre "astratta"
e per convincersene basta analizzare il perfetto gioco geometrico
in ogni più piccola parte di una scultura greca, ad
es., ma se all'arte togliamo la figurazione, rischiamo di
trovarci con un'arte monca perché la priviamo arbitrariamente
di un livello vitale.
Che succederebbe se privassimo della figurazione il mondo
onirico che con l'arte ha una stretta correlazione?
I sogni senza immagini vengono percepiti come incubi perché
non giungono a comunicare e quindi non generano liberazione.
la parte lignea del portale, in noce nazionale ben stagionato
(oltre 12 anni) è lavorato a sezioni per impedire spostamenti
del legno ed è nato con la collaborazione della CAMS
di Arco (TN).
La pannellatura in bronzo è leggermente allontanata
dal supporto ligneo per impedire il tenuto ristagno dell'acqua
piovana ed è stata accuratamente fusa dalla Gi-Ti-Cum
di Sandrigo (VI).
Il portale, che andrà collocato nella seicentesca chiesa
dell'Immacolata a Saponara (ME) misura m. 1,90 di base per
3,84 di altezza ed ha un peso di circa dieci quintali.
La freschezza della fusione che utilizza l'antico e tradizionale
sistema a cera persa, è dovuta anche dal fatto che
tutte le cere sono state accuratamente riprese nel modellato
per mano dell'artista, che ha seguito tutte le molteplici
fasi della lavorazione e non si è limitato all'esecuzione
del modello.
Sul piano iconografico l'opera esce dagli schemi abituali
di lavori analoghi. Restano nella tradizione i due pannelli
superiori dell'Annunciata e dell'Angelo ma quelli inferiori
si caratterizzano per quella aderenza al vissuto quotidiano
che era tipico di epoche in cui il rapporto tra la vita e
la fede era sentito e costante. A destra in basso abbiamo
il pannello col gruppo dei fiaccolari e a sinistra si vede
la banda musicale e la partecipazione del paese.
Delle quattro formelle, proprio quella dei fiaccolan è,
a parer mio, la più sentita e la più bella.
Qui l'artista ha saputo, con estrema maestria, fondere in
una armonica composizione di persone ed oggetti (officiante,
"Quadrittu" e fiaccole), sacro e profano; la volontà
popolare di riappropriarsi, in modo non violento, del sacro
per un sacrificio che potesse restare ecumenico ed officiato
e, come tale, non di contenuto drammatico ma eucaristico.
Lo spirito che pervade l'opera ci ricollega all'atmosfera
delle raffigurazioni delle Arti e Mestieri tipiche dei portai
romanici.
Artisticamente va sottolineata la forza che acquista il rilievo,
sia per il suo aggetto che per il gioco che viene ottenuto
tra il bronzo ed il legno che appare anche all'interno delle
singole pannellature, tra i profili delle figure.
Essendo l'aggetto di oltre dieci centimetri su figure di circa
novanta di altezza il rilievo appare altissimo, quasi da tutto-tondo,
e ciò conferisce all'insieme della porta una plasticità
che la rende particolarmente consona all'installazione in
una chiesa del
1600.
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