CRITICA
 
A.d.P. | Antonino Bambara | Antonio Tarantino | Carlo Munari | Franco Solmi | Guy Weirlen | Paolo Rizzi
Salvatore Maugeri | Sandro Marini | Silvana Weiller Romanin Jacur | Vittorio Benvenuti

Antonino Bambara

L'arte sacra italiana, di porte lignee con pannelli bronzei, non ne annovera molte, anche per i problemi che può creare il ristagno eventuale dell'acqua piovana nei punti di contatto tra il legno ed il bronzo.
Nondimeno, se le più comuni porte integralmente bronzee sono le più diffuse nel campo artistico, non posso non rilevare che, al fedele, la porta legno-bronzo è indubbiamente più gradita.
Questa infatti è più calda, più "accogliente", più vicina al "sacro", mentre la porta di solo bronzo per quanto possa essere ben lavorata difficilmente evita un certo senso di "cassaforte" che tende a respingere il fedele.
A parer mio, anche per i puri fruitori dell'arte, la porta legno-bronzo può risultare più gradita quando la "forza" del bronzo viene accentuata artisticamente dal più "tenero e dolce" legno, per una visione generale di impianto non monumentale ma plastico-prospettica, per sceneggiature di forte suggestione sacra popolare.
Un portale di chiesa, artisticamente elaborato, èun manufatto tra i più impegnativi perché implica non solo la soluzione di problemi plastici, architettonici, compositivi ma anche più sottilmente psicologici in quanto è, per il fedele, il momento di invito ad entrare o non entrare, essendo proprio il punto di limite tra il "dentro" ed il "fuori" della chiesa, con tutte le implicazioni, non solamente fisiche, che questo sottende.
La riuscita ottimale di un portale legno-bronzo richiede oltre al lavoro dell'artista scultore anche una efficiente collaborazione di più équipes di abili artigiani del legno e del bronzo che l'artista deve ben conoscere, individuare e coordinare.
Per tale genere di manufatto, il lavoro dell'artista scultore non può mai essere di assemblaggio o di commistione del suo bronzo alla porta lignea altrui ma di sacra unione delle parti.
Necessitano decine di persone capaci di concentrare contemporaneamente in uno scopo tutto l'impegno di conoscenza ed amore per il loro lavoro.
Solo così si crea un'opera valida che, rimanendo nel tempo, va a formare quel patrimonio che arricchisce l'Italia, paese dove da secoli questo sacro spirito alligna. Poste queste premesse, invito i fedeli ad osservare il portale quale opera collettiva; con Guido Sgaravatti, scultore, responsabile primo.
E stato merito del sindaco di Saponara, avv. Leone Saiya, l'aver voluto, sollecitato e finanziato la realizzazione di questa opera.
Saponara è un piccolo centro a poche decine di km. da Messina, a 180 m. sul livello del mare. Sorta all'inizio del XI sec., ha avuto un periodo di fulgore nel 1600. A quel secolo si devono datare i monumenti architettonici presenti nel suo contesto ed atti a generare, per un paese divenuto Comune d'Europa, un interesse che viene poi potenziato dalle sue tradizionali feste del 7 e 8 dicembre.
Su questa tradizione non si trova una grande documentazione scritta o forse non si fatte ancora ricerche sufficientemente accurate ma si tramanda come, alcuni secoli fa, e probabilmente proprio nel 1700, i carbonai (che abitavano nel paese e che lavoravano nei monti vicini, ricchi di acque, necessarie alla produzione di carbone, per protesta contro il clero e contro i signori del posto, che, misconoscendo le loro fatiche, traevano profitto dalla loro assenza per escluderli sempre più da tutte le manifestazioni religiose, relegandoli a lavorare sui monti) siano scesi nel paese, e qui, scassata la porta serrata della chiesa dell'Immacolata (una bella chiesetta di modeste dimensioni, posta, per chi viene da monte, sulla sinistra del torrente Saponara, e databile, per tipo e tecnica muraria, tra il XV ed il XVI secolo, dalle forme particolarmente semplici e severe e dalle pareti nude per una costruzione in mattoni di francescana osservanza) si siano impadroniti del quadro della Madonna esposto sull'altare (trattasi di dipinto ligneo del XVI secolo, di piccole dimensioni) e se lo siano portato via in processione al lume delle torce, in una fiaccolata che, per contestazione popolare, voleva affermare la riappropiazione autonoma del valore ecumenico e non di casta chiusa della religione cattolica, al di là di meschini interessi di parte.
La conciliazione del conflitto tra carbonai e gruppi egemoni venne poi ottenuta con la restituzione del quadro alla chiesa ma restò il diritto popolare ad una festa annuale che, nel tempo, precedesse quella, ufficiale, dei ceti dirigenti: clero e podestà, e che fosse atta a ricordare il fatto e soprattutto l'affermazione di principio.
Ne consegue che, nel paese, la festa popolare, del "Quadrittu" precede di un giorno la festa ufficiale della "Madonna Immacolata".
Nel primo giorno, il 7 dicembre, il sindaco ed i notabili del paese seguono il "Quadrittu" in processione popolare, nel secondo giorno, l'8 dicembre, officiano essi stessi la cerimonia, meno sentita, cinti di sciarpe e con bandiere, e con animo compunto, quasi a penitenza della colpa delle cariche pubbliche.
La tradizione del "Quadrittu" è molto sentita nel paese e rappresenta insieme un elemento di coesione delle masse, anche se politicamente divise, e di sfogo anche di contrapposte tendenze.
La fiaccolata votiva viene effettuata con originali torce cilindriche, specie di bastoni bianchi, lunghi circa un metro e mezzo.
Le torce, secondo la tradizione si preparano impeciando radici essicate di Saponaria gypsophila e lunghe fibre di lino. Si forma cosi il nucleo interno che viene poi rotolato su gesso da presa fino a formare un involucro protettivo; ce ne è di bisogno perché quello che, a distanza, può apparire un innocente cero, sprigiona, una volta acceso, una fiamma alta e cattiva, che resiste al vento e alla pioggia ma che gocciola pece ardente che cade sulle mani, alcune volte nude, degli officianti e se la crosta di gesso si lede bisogna esser pronti a spegnere subito tutto... a martellate.
Per la cerimonia, il parroco, vestito di nero, con cappuccio e guantoni, porta avanti il "Quadrittu" (il quadro ligneo della Madonna) per un giro di tutto il paese.
I partecipanti alla fiaccolata procedono per tutto il percorso sempre e solo arretrando e spingendo le fiaccole a ridosso del "Quadrittu" che avanza, sostenuto dall'officiante. I partecipanti si proteggono con cappucci di telone avana o nero e vesti grosse, atte a difendere dal gocciolamento della pace infocata e ustionante che può cadere su di loro e c e anche chi scarica, a livello di quasi-gioco, i vecchi conflitti, dirigendo intenzionalmente il gocciolamento della pece sugli altri ufficianti, gli amici-nemici della cerimonia, primo, fra tutti lo stesso parroco ufficiante, per cui gli astanti spesso dicono che talvolta, per le defezioni degli ustionati, la processione va avanti non più alla luce delle torce quanto a quella dei "moccoli".
Ma anche questo, oggi, fa parte del rito!
Tutti i fiaccolari sono coordinati da un capogruppo che dirige il coro delle grida. Si inneggia di continuo alla Madonna al grido unanime di "Viva Maria!" e si riafferma il principio della universalità del sentimento del sacro.

Punteggia ogni fermata del "Quadrittu" una frase di rito più lunga: "Non sulu li puntenti (o "li signuri") ma puro nui dìcemu: viva Maria!". Inizialmente uno degli officianti simula simbolicamente, con un grosso chiodo lo scasso della chiesa. Esce subito dopo il prete officiante che innalza su una lunga pertica il "Quadrittu" che, da quel momento diviene il fulcro rituale.
Il gruppo dei fiaccolari si sposta retrocedendo e ritmando le grida e percorre tutto il paese seguito dalla banda municipale, dal popoìo tutto e da tutta la coreografia tipica delle sagre paesane. Curioso è il fatto che quando la banda musicale cessa di suonare taccia anche il coro delle grida e tutti arrestino la marcia.
L'idea dell'avv. Leone Saiya, di fissare tale tradizione, che si va sempre più affievolendo, in un'opera scultorea per le nuove porte della chiesa, da sostituire a quelle nude, attuali, che risalgono agli inizi dell'ottocento, è divenuto elemento gradito a tutti, maggioranza ed opposizione, perché al di là dei conflitti di partito, tipici di ogni luogo, la tradizione èanche qui l'elemento che accomuna il gruppo sociale, l'arte, in tal caso, si può alleare alla tradizione quale fonte di recupero di smarrite radici culturali.
Se genuina e depurata da gretta retorica l'arte èsempre elemento prezioso di fusione e di accordo sociale.
In un certo recente periodo storico si è arbitrariamente voluta considerare arte solo quella informale e l'arte informale ha scarsissima presa sul sentimento popolare.
Tra il mondo culturale e la gente comune si è venuto a creare un doloroso stacco per cui anche in questo settore potrebbe essere auspicabile un'operazione di riappropiazione analoga a quella che venne fatta dai carbonari con "u Quadrittu".
L'arte, sul piano formale è sempre "astratta" e per convincersene basta analizzare il perfetto gioco geometrico in ogni più piccola parte di una scultura greca, ad es., ma se all'arte togliamo la figurazione, rischiamo di trovarci con un'arte monca perché la priviamo arbitrariamente di un livello vitale.
Che succederebbe se privassimo della figurazione il mondo onirico che con l'arte ha una stretta correlazione?
I sogni senza immagini vengono percepiti come incubi perché non giungono a comunicare e quindi non generano liberazione.
la parte lignea del portale, in noce nazionale ben stagionato (oltre 12 anni) è lavorato a sezioni per impedire spostamenti del legno ed è nato con la collaborazione della CAMS di Arco (TN).
La pannellatura in bronzo è leggermente allontanata dal supporto ligneo per impedire il tenuto ristagno dell'acqua piovana ed è stata accuratamente fusa dalla Gi-Ti-Cum di Sandrigo (VI).
Il portale, che andrà collocato nella seicentesca chiesa dell'Immacolata a Saponara (ME) misura m. 1,90 di base per 3,84 di altezza ed ha un peso di circa dieci quintali.
La freschezza della fusione che utilizza l'antico e tradizionale sistema a cera persa, è dovuta anche dal fatto che tutte le cere sono state accuratamente riprese nel modellato per mano dell'artista, che ha seguito tutte le molteplici fasi della lavorazione e non si è limitato all'esecuzione del modello.
Sul piano iconografico l'opera esce dagli schemi abituali di lavori analoghi. Restano nella tradizione i due pannelli superiori dell'Annunciata e dell'Angelo ma quelli inferiori si caratterizzano per quella aderenza al vissuto quotidiano che era tipico di epoche in cui il rapporto tra la vita e la fede era sentito e costante. A destra in basso abbiamo il pannello col gruppo dei fiaccolari e a sinistra si vede la banda musicale e la partecipazione del paese.
Delle quattro formelle, proprio quella dei fiaccolan è, a parer mio, la più sentita e la più bella. Qui l'artista ha saputo, con estrema maestria, fondere in una armonica composizione di persone ed oggetti (officiante, "Quadrittu" e fiaccole), sacro e profano; la volontà popolare di riappropriarsi, in modo non violento, del sacro per un sacrificio che potesse restare ecumenico ed officiato e, come tale, non di contenuto drammatico ma eucaristico.
Lo spirito che pervade l'opera ci ricollega all'atmosfera delle raffigurazioni delle Arti e Mestieri tipiche dei portai romanici.
Artisticamente va sottolineata la forza che acquista il rilievo, sia per il suo aggetto che per il gioco che viene ottenuto tra il bronzo ed il legno che appare anche all'interno delle singole pannellature, tra i profili delle figure.
Essendo l'aggetto di oltre dieci centimetri su figure di circa novanta di altezza il rilievo appare altissimo, quasi da tutto-tondo, e ciò conferisce all'insieme della porta una plasticità che la rende particolarmente consona all'installazione in una chiesa del
1600.





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