La vita di Vincent Van Gogh .

 A undici anni sono andato a scuola e l'ho frequentata sino a sedici. A quel punto dovevo scegliermi un lavoro e non sapevo cosa fare. Grazie all'interessamento di un mio zio, socio della Goupil & Co., una ditta di mercanti d'arte e di editori di stampe, ho trovato un posto presso la sede dell'azienda a L'Aja. Vi ho lavorato per tre anni. In seguito sono andato a Londra per imparare l'inglese, poi, dopo due anni, a Parigi..." (69A della raccolta delle lettere di Vincent Van Gogh).

Così, nel giugno del 1876, Vincent Van Gogh, a 23 anni, descriveva la sua vita. Sebbene in quegli anni non avesse ancora la minima idea di quel che avrebbe fatto poi, è certo che le sue visite a musei e mostre e il suo profondo interesse per la letteratura inglese e francese abbiano influito sul corso della sua vita futura.

Nell'agosto del 1872 da L'Aja aveva scritto una lettera a suo fratello Theo: sarebbe stata la prima di una lunga serie di lettere, tutte conservate, che I'avrebbero tenuto profondamente legato a suo fratello, amico e confidente, sino alla morte. Così Theo è costantemente partecipe delle sensazioni che la natura e l'arte suscitano in Vincent. Il 31 maggio 1875 scrive: "Ieri ho visto la mostra di Corot (...) Nel Salon ci sono tre Corot, bellissimi (...) Come puoi ben immaginare ho visto anche il Louvre e il Lussemburgo (...) Vorrei tanto che tu potessi vedere i piccoli Rembrandt, I pellegrini di Emmaus e la coppia de I filosofi" (27).

Il 6 luglio 1875 comunica da Parigi: "Ho preso in affitto una stanzetta a Montmartre. È piccola, ma guarda su un giardinetto pieno di edera e di viti selvatiche..." e dice che alle pareti ha messo stampe di Thijs Maris, Daubigny, Corot, Millet (30). L'edera deve aver avuto per Vincent anche un valore simbolico, così come lo ebbero altre piante e fiori. Per lui l'edera è simbolo dell'amicizia, quella che lo legò soprattutto a Theo. Il 21 gennaio 1877 scrive da Dordrecht: "Dalla mia finestra vedo alberi di pino e di pioppo e il retro di vecchie case dove, sulle grondaie, si arrampica l'edera". E, come ama fare, cita: "L'edera è una strana, vecchia pianta, disse Dickens" (84). Molto di quello che Vincent Van Gogh esprime nelle sue prime lettere, lo ritroviamo più tardi nel suo lavoro; egli rimane fedele per tutta la vita alle idee e ai pensieri che man mano si forma. È indicativo il fatto che il dipinto Sottobosco sarà spedito a Theo da Saint-Rémy nell'autunno del 1889 e Theo risponderà: "Penso che tu sia il migliore quando crei delle cose vere come queste (...) il sottobosco con l'edera, in altezza." (22 ottobre 1889, T 19).

Il 24 luglio 1875, Parigi: "Un paio di giorni fa abbiamo preso un quadro di De Nittis, la vista di Londra in un giorno di pioggia, il ponte di Westminster e il Parlamento. (...) Quando vidi tutto questo sentii quanto amavo Londra" (32). È un pezzo di quella Londra che vedeva spesso, durante il suo soggiorno londinese, quando andava al lavoro e per spiegarlo ancor più chiaramente a Theo fece uno schizzo nella lettera del dipinto di De Nittis che tanto gli piaceva.

Il 28 marzo 1876, scrive da Parigi: "Ieri ho visto sei o sette quadri di Van Michel (...) come pure un dipinto di Jules Dupré, un quadro molto grande. Per quanto fosse possibile vedere: sfondo scuro e paludoso, in secondo piano un fiume e in primo piano uno stagno con tre cavalli. In entrambi si riflette il banco di nuvole bianche e grigie dietro le quali si è nascosto il sole, all'orizzonte un che di purpureo e rossastro, al di sopra un'atmosfera di morbido azzurro. È da Durand-Ruel che ho visto questi quadri" (58).

Nel 1874 Vincent Van Gogh lavora sul mercato artistico in Gran Bretagna e visita la mostra annuale della Royal Academy. Lì vede il dipinto di George Henry Boughton Dio mette fretta! Pellegrino sulla via di Canterbury; Il tempo di Chaucer, e scrive a Theo che quell'anno alla mostra c'erano delle "belle cose" da vedere.

Quanta impressione susciti in lui quel quadro, lo si può dedurre dalla prima predica che Vincent, in qualità di aiuto predicatore, tiene nel novembre 1876. L'ispirazione per la sua predica, sul tema dell'uomo pellegrino sulla strada verso Dio, gli viene non solo dal quadro di Boughton ma anche dal libro di John Bunyan The pilgrim's progress (1678) che a lui è piaciuto molto e che consiglia caldamente a Theo di leggere. Il titolo della sua predica comprende i temi del quadro e del libro: "Noi siamo dei pellegrini, la nostra vita è un lungo cammino, un viaggio dalla terra al cielo". Il testo della predica ci è rimasto, poiché Vincent lo mandò a Theo. Da essa citiamo: "La nostra vita è come il cammino di un pellegrino. Una volta vidi uno splendido dipinto, rappresentava un paesaggio di sera. Sulla destra, in lontananza, una fila di colline che sembravano blu nelle brume della sera. Al di sopra di quelle colline, lo splendore del tramonto, le nuvole grigie striate d'argento, d'oro e di porpora. Il paesaggio è una pianura coperta d'erba e d'erica, qua e là le cortecce bianche delle betulle con le foglie gialle perché è autunno. Attraverso il paesaggio scorre una strada che porta a un'alta montagna, molto, molto lontana e, sulla cima della montagna, una città su cui il sole al tramonto getta una luce di gloria. Sulla strada cammina un pellegrino, ha un bastone in mano. Egli sta camminando già da molto tempo ed è stanco. Incontra una donna, una figura in nero che fa pensare alle parole di San Paolo: "Anche se triste, tuttavia sempre lieta. Quest'angelo di Dio è stato messo lì per incoraggiare il pellegrino e per rispondere alle sue domande; e il pellegrino chiede: 'Questa strada è sempre in salita?'. E la risposta è : 'Sì, fino alla fine'. Il pellegrino chiede ancora: 'Il viaggio durerà tutto il giorno?'. E la risposta è: 'Da mattina fino a sera, amico mio'. E il pellegrino continua la sua strada, triste eppur sempre lieto' ". Durante il breve soggiorno in Inghilterra, nel corso del quale dà lezioni in un collegio e pensa di diventare pastore, di tanto in tanto prende in mano la matita da disegno per trasmettere a suo fratello qualche impressione sull'ambiente che lo circonda. Come da Ramsgate, il 31 maggio 1876: "Ecco uno schizzo di quel che si vede dalla finestra della scuola (...) Avrei voluto tu potessi vedere lo stesso scorcio questa settimana, nei giorni di pioggia, soprattutto al crepuscolo quando vengono accesi i lampioni e la loro luce si riflette sulle strade bagnate" (67).

Nel maggio 1877 Vincent prende alloggio presso uno zio ad Amsterdam per prepararsi, sulle orme del padre, a seguire gli studi di teologia all'Università. Le lezioni di latino e greco che deve seguire gli riescono però troppo pesanti. Lascia Amsterdam e segue un breve corso di lezioni a Bruxelles per poter realizzare il proponimento che lo anima: diffondere il Vangelo tra gli uomini. Nell'autunno del 1878 si butta con ardore fanatico nel suo impegno di dedizione cristiana al prossimo nella regione mineraria del Belgio, il Borinage. Nelle sue lettere, non così numerose come prima, descrive in modo particolareggiato e avvincente la vita dei minatori; ma vi si trova anche il seguente passo: "Hai visto qualcosa di bello ultimamente? Ho tanto desiderio di una tua lettera. Ha lavorato molto Israel negli ultimi tempi, e Maris, e Mauve?".

Le sue lettere diventano più rare. Ma nel luglio 1880 Vincent Van Gogh scrive a suo fratello per ringraziarlo del regalo di venti franchi. Questo aiuto finanziario è il primo di una serie di elargizioni che Theo gli farà e che gli renderanno possibile cominciare e poi continuare la sua attività artistica. Questa lettera di Vincent può essere considerata la chiave per capire la sua visione della vita come uomo e come artista nei successivi dieci anni: "È con un po' di riluttanza che ti scrivo, perché da troppo tempo non faccio nulla, e questo per svariate ragioni. In una certa misura sono diventato estraneo a me stesso (...) A Etten ho saputo che mi avevi mandato venti franchi, ebbene, li ho ricevuti (...) Ed è proprio per ringraziarti che ti scrivo (...) Adesso devo annoiarti con alcune cose astratte, però vorrei che tu le ascoltassi con pazienza. lo sono un passionale, capace e incline a fare cose più o meno pazze, di cui qualche volta finisco più o meno col pentirmi. Mi capita per esempio di parlare o di agire un po' troppo in fretta, quando sarebbe meglio mostrare un po' più di cautela. Penso naturalmente che anche altri fanno di queste imprudenze (...) Per dirne una fra tante, ho una incontenibile passione per i libri, e ne ho bisogno per maturare di continuo o, se vuoi per studiare, come ho bisogno del pane per mangiare. Tu potrai capirlo. Quando mi trovavo in un altro ambiente, in un ambiente di quadri e opere d'arte, mi è venuto per quell'ambiente un trasporto appassionato, una vera e propria esaltazione. E non mi rincresce affatto, e adesso che sono lontano dal mio paese ho spesso nostalgia per il paese della pittura (...) Sarebbe però un errore se tu volessi credere che adesso io sia meno preso da Rembrandt, o da Millet, o da Delacroix, o da chicchessia, mentre è proprio vero il contrario, solo che, vedi, ci sono tante cose che dovresti capire e amare, c'è Rembrandt in Shakespeare, Correggio in Michelet, e Delacroix in V. Hugo (...) E in Bunyan c'è Maris o Millet e nella Beecher Stowe c'è Ary Scheffer (...) A primavera un uccello in gabbia sa bene che c'è qualcosa a cui potrebbe servire, sente benissimo che ci sarebbe qualcosa da fare, ma non ci può far nulla, e cos'è questo? Non si ricorda bene, ha idee vaghe e dice: "Gli altri fanno i loro nidi e portano fuori i loro piccoli e li cibano" e poi sbatte il suo capino contro le grate della gabbia. Ma la gabbia resiste e l'uccello impazzisce dal dolore. "Guarda che fannullone", dice un altro uccello che passa lì davanti, "quello è un tipo che vive di rendita''. Eppure il prigioniero continua a campare, non muore, fuori non appare nulla di quel che ha dentro, è in buona salute, e di tanto in tanto è allegro sotto i raggi del sole. Ma poi viene il tempo degli amori. Ondate di depressione. "Ma ha poi proprio tutto quel di cui ha bisogno?'' dicono i bambini che si prendono cura di lui e della sua gabbietta. E lui sta appollaiato con lo sguardo proteso verso il cielo, dove sta minacciando un temporale, e dentro di sé sente ribellione per la sua sorte. "Me ne sto in gabbia, me ne sto in gabbia, e non mi manca niente, imbecilli! Ho tutto ciò di cui ho bisogno! Ma per piacere, libertà, lasciatemi essere un uccello come gli altri!". Così, talvolta, un uomo che non fa nulla assomiglia a un uccello che non fa nulla" (133).

Un mese dopo, il 20 agosto 1880, egli scrive da Cuesmes: "Devi sapere che sono occupatissimo a far dei grandi schizzi copiando da Millet, e così ho fatto le Ore della giornata e anche il Seminatore" (134). Qualche mese dopo Vincent Van Gogh è già tutto preso a esercitarsi nel disegnare figure umane seguendo gli esempi di Van Bargue e copiando quadri. Sin dall'inizio i suoi disegni rivelano un grande talento compositivo e mostrano una cifra personalissima.

 

In autunno Vincent lascia il Borinage e si trasferisce a Bruxelles dove vuol prendere lezioni di disegno, e lì fa conoscenza con Anthon Van Rappard, un giovane pittore che aveva frequentato Theo a Parigi. Van Rappard mette a disposizione di Vincent il suo studio di Bruxelles e ne nasce un'amicizia durata vari anni. Nella primavera del 1881 Vincent torna nella casa paterna, a Etten, nel Brabante: "Sono così felice che le cose siano andate in modo che per qualche tempo io possa lavorare qui tranquillo, spero di fare tanti studi quanti più posso, perché questo è il seme da cui possono nascere in seguito i miei disegni" (144), scrive tutto allegro a Theo. Il paesaggio del Brabante in cui è immerso gli offre ispirazione e spunti.

I suoi soggetti indicano insistentemente quale potere di attrazione eserciti su di lui l'uomo che lavora, il lavoratore della terra, e l'ambiente che gli fa da sfondo. Contadini che seminano, vangano, spaccano legna, le loro casupole e i loro campi, gli alberi lungo le stradine di campagna, vengono tutti disegnati e ridisegnati, e ogni volta meglio. Nel settembre 1881 scrive: "Ho disegnato fino a cinque volte un uomo con una vanga - insomma uno "zappatore'' - in tutte le sue posizioni, due volte un seminatore, due volte una ragazza con una scopa. E poi una donna con una cuffietta bianca che sbuccia patate, un pastore appoggiato al suo bastone, e infine un vecchio contadino malato, su una sedia vicino al camino con il viso tra le mani e i gomiti sulle ginocchia (...) Adesso devo continuare a disegnare senza sosta zappatori, seminatori, aratori, uomini e donne. Analizzare e disegnare tutto quello che appartiene alla vita all'aperto" (150). "E ho anche fatto i primi tentativi con l'acquerello. E dallo zio, da Princenhage, la settimana scorsa ho avuto una scatola di colori piuttosto bella, che certo va benissimo perché io possa cominciare. Ne sono contentissimo. E ho provato subito a fare una specie di acquerello su un soggetto come detto prima" (151).

In dicembre Vincent prende lezioni di pittura a L'Aja, dal pittore Mauve, un suo nipote acquisito. Sono i suoi primi quadri: "Sinora ho dipinto cinque studi e due acquerelli, e naturalmente ho continuato anche a fare qualche schizzo.

Non posso dirti quanto Mauve e Jet siano stati buoni e cari con me in questi giorni.

E Mauve mi ha detto e fatto vedere cose che non posso certo fare così di colpo, ma che pian piano metterò sicuramente in pratica (...) Gli studi di pittura sono nature morte, gli acquerelli copie di un modello che rappresenta Scheveninggen" (163).

 

 

Dopo un litigio con il padre e una infelice vicenda amorosa la vita in comune nella canonica di Etten diventa sempre più difficile per Vincent che, nel dicembre 1881, decide di prendersi in affitto uno studio a L'Aja. Lo spingono a L'Aja non solo i suoi rapporti di amicizia con Mauve ma anche il suo crescente bisogno di contatti con altri pittori. L'attività dei pittori della Scuola di L'Aja gli era già nota sin dai tempi in cui lavorava nella ditta Goupil. L'amicizia con Mauve si rompe però in breve. Vincent viene maggiormente a contatto con pittori giovani come De Bock, Van der Weele e Breitner. Lo unisce a quest'ultimo il comune interesse per i nuovi romanzi francesi di Zola e di altri, e insieme se ne vanno a ritrarre figure di ragazze e scorci di città nei quartieri più poveri di Amsterdam. "(Breitner) sta lavorando a un grosso quadro, un mercato dove devono comparire personaggi di tanti tipi. Ieri sera sono uscito ancora insieme a lui per cercare in strada delle figure da studiare poi a casa con dei modelli" (I78).

La tecnica e l'abilità di Vincent si accrescono rapidamente al punto che suo zio Cor, mercante d'arte ad Amsterdam, gli commissiona dodici disegni di paesaggi cittadini. Vincent è elettrizzato da questo primo ordine e dal previsto compenso di 2,50 fiorini per disegno. Segue una seconda richiesta per sei paesaggi urbani di dimensioni maggiori.

Il grande disegno con un Cavallo bianco è uno degli studi eseguiti dal pittore nella scuderia della Rijnspoor a L'Aja, su cui si affacciava la finestra del suo studio. Egli racconta a Theo dei suoi schizzi di cassoni nella scuderia e di un vecchio cavallo che fruga nello strame. Nella sua lettera traccia uno schizzo in cui sono rappresentati in chiaroscuro delle donne al lavoro in primo piano e sullo sfondo il cavallo bianco. In quel chiaroscuro il gruppo delle donne e il cavallo sono le parti più in luce, mentre i cassoni e i mucchi di letame sono in ombra.

Stimolato dall'amico Van Rappard, Vincent comincia in quel tempo a disegnare figure in azione e in grande formato. Dopo un periodo difficile ricomincia con rinnovata lena a tentare di realizzare dei lavori che siano commerciabili. Alla fine di giugno scrive a Theo di essere occupato con sette o otto lavori, uno dei quali è la raffigurazione del cavallo bianco.

Poco dopo il suo arrivo a L'Aja, Vincent comincia a comprare dei giornali illustrati inglesi e francesi e a farne accuratamente collezione, specialmente giornali di mercanti d'arte. Seguendo il loro esempio, farà anche lui disegni e poi litografie da poter utilizzare per illustrazioni.

Il coinvolgimento particolare che ha nei confronti dei temi di carattere sociale è probabilmente la ragione per cui si prende in casa Sien, una prostituta incinta. Il suo desiderio di una vita familiare, il fatto che Sien avesse già una figlia e che un altro bambino fosse in arrivo, il disporre stabilmente di una modella, sono stati certo tra i motivi per contrarre un legame del genere, che scandalizzò tutto il suo ambiente. Uno dei suoi disegni più penetranti e sublimi è proprio Sorrow, che egli avrebbe poi usato anche come modello per una litografia.

Nell'estate del 1882 Vincent comincia seriamente ad applicarsi alla pittura a olio, che fino ad allora aveva tentata solo sporadicamente perché prima voleva essere ben sicuro della sua abilità nel disegno. Nelle lettere del 5 e 6 agosto realizza per Theo uno schizzo della sua tavolozza e disegna anche uno schema di prospettiva che lui stesso aveva costruito sull'esempio di Leonardo da Vinci e di Dürer. Per lungo tempo l'avrebbe utilizzato quale strumento: se ne trova infatti traccia in diversi suoi disegni.

Nell'autunno del 1883 la pressione psicologica e finanziaria che Sien e la sua famiglia esercitano su di lui diventa troppo pesante. Lascia L'Aja, abbandonando molti dei suoi studi, per cercare nuova ispirazione nel Drente. È un breve ma importante periodo, quello dal settembre al dicembre 1883, per l'evoluzione di Vincent: un periodo di ricerca di nuove immagini, un ritorno ai temi della terra sulla scia di altri pittori (come il suo amico Van Rappard), che già in precedenza avevano esplorato questa terra vasta, monotona e povera. Vincent vi ritrova i suoi contadini, le loro casupole e il loro lavoro della terra, sebbene nel Drente ci fossero anche lavoratori di torbiera; ma egli li guarda soprattutto come pittore, e il suo stile è cambiato. Nel paesaggio del Drente non vede soltanto i pittori di Barbizon, ma riscopre anche, in quegli scenari, i pittori del XVII secolo. Da Nieuw Amsterdam scrive: "Immaginati le rive del canale come chilometri e chilometri di Michel o di Rousseau, di Van Goyen o di Koninck. Piatte estensioni o strisce di colore diverso che diventano sempre più piccole man mano che si avvicinano all'orizzonte. Qui e là capanne di fango o piccole cascine, o un paio di misere betulle, pioppi, querce dappertutto mucchi di torba (...) Le figure che di tanto in tanto compaiono sulla piana hanno quasi sempre una personalità molto forte" (330).

In dicembre Vincent torna nella casa paterna, pensando di restarci per breve tempo; invece si ferma a Nuenen, dove suo padre è stato nominato pastore, e non ritorna più nel Drente: "Il Drente è stupendo, ma riuscire a starci dipende da molte cose, dipende da quanto uno sia corazzato contro la solitudine" (344). Sta a Nuenen due anni, e durante quel periodo lavora a quadri e disegni che ritraggono il paesaggio con le sue case, le sue chiese, e le persone, contadini e tessitori che egli vede a Neunen e nei dintorni.

Alla fine del gennaio 1884, Vincent scrive a Theo di aver fatto un piccolo quadro per la madre costretta a letto da un femore rotto: "Ho dipinto per lei la chiesetta con la siepe e gli alberi" (355) e aggiunge uno schizzo. Si vede la chiesetta del pastore Van Gogh, tra gli alberi spogli; davanti alla siepe cammina un uomo con una zappa sulla spalla. È l'unica figura del dipinto e rimanda a una delle fonti ispiratrici di Van Gogh, cioè la tela di Millet con la chiesa di Gréville, davanti a cui cammina un contadino con la zappa. Il dipinto prima descritto era rimasto sconosciuto. La versione posteriore, in cui è raffigurata la chiesa, gli alberi con alcune foglie, la siepe e tre piccoli gruppi di persone, è conservato nel museo Van Gogh di Amsterdam. Nel corso di un recente esame della tela, è apparsa sulla radiografia la prima versione del dipinto. Van Gogh le aveva eseguite l'una sull'altra, e dalla radiografia si possono notare le modifiche. La zappa si staglia infatti chiaramente contro la chiesetta e spunta al di sopra della siepe. Inoltre si vedono ancora le macchie bianche causate dai fori dei chiodi sulla tela.

È evidente come in questo periodo egli si occupi di soggetti e tecniche che si potranno poi ritrovare anche nei quadri e nei disegni del suo successivo periodo parigino. Un esempio, per quanto riguarda i soggetti, è dato dal campanile di Nuenen, con la torre monca e le cornacchie che svolazzano intorno alle finestre vuote, che può ben raffrontarsi, nella sua vigorosa rappresentazione, al quadro della chiesa di Auvers.

Riguardo ai tessitori, ciò che affascina Vincent Van Gogh non è soltanto il pittoresco insieme, ma anche lo stesso macchinario. Nell'aprile del 1884, scrive a Van Rappard : "Per quanto concerne il telaio, si tratta veramente di uno studio della macchina fatto da cima a fondo sul posto, ed è stato difficile, perché si deve star seduti così stretti che è arduo prendere le misure, comunque vi ho disegnato anche la figura umana (...) Quando ho finito di disegnare abbastanza accuratamente la mia macchina, ho trovato così insopportabile non sentirne il caratteristico rumore che ho fatto come resuscitare l'automa ancora in essa" (R44).

Nell'inverno del 1884 Vincent comincia a dipingere e disegnare moltissimi ritratti di contadini, con l'idea di farne studi per arrivare alla fine ad una composizione di gruppo all'interno di una capanna. Alcuni di quei ritratti sono una conturbante rappresentazione della vecchiaia o del lavoro pesante. A Theo racconta: "Sono tutto preso dal dipingere teste. Dipingo di giorno, e alla sera disegno. In questo modo ho già dipinto certamente per 30 volte e per altrettante ho disegnato" (394); e inoltre: "Al momento dipingo non soltanto finché c'è giorno, ma anche di sera alla luce della lampada, nelle case dei contadini, sino a quando riesco a malapena a distinguere i colori sulla tavolozza, e questo per capire il più possibile i particolari effetti prodotti dall'illuminazione notturna come, per esempio, una grande botta d'ombra sul muro" (395). In aprile riassume ancora una volta i suoi pensieri su I mangiatori di patate: "per tutto l'inverno ho avuto tra le mani i fili di questo ordito e ne ho fissato definitivamente il modello, e sebbene si presenti adesso un tessuto di aspetto ruvido e rozzo, i suoi fili sono stati nondimeno scelti con cura e secondo determinate regole. Può certo essere evidente che è proprio un quadro di contadini. Io so che di questo si tratta. Ma chi preferisce avere dei contadini una visione dolciastra, vada pure per la sua strada. Da parte mia sono convinto cha alla lunga dà miglior risultato rappresentarli nella loro rudezza piuttosto che attribuir loro un'amabilità convenzionale.

Secondo me una giovane contadina, con la gonna e la giacchetta blu impolverata e rattoppata che prende le più delicate sfumature dal clima, dal vento e dal sole, è più bella di una signora. Ma se indossa un vestito da signora, in realtà se ne estrania.

Un contadino quando è nei campi con i suoi indumenti ruvidi e grezzi è più bello di quando va in chiesa alla domenica con una specie di giacca da signore. E a mio avviso sarebbe ugualmente sbagliato dare a un quadro di contadini una levigatezza convenzionale. Se un quadro di contadini sa di lardo, di fumo, di vapore di patate, meglio, non è per niente insano; se una stalla sa di letame, per una stalla va bene; se un campo emana odore di grano maturo, o di patate, o di concime e letame, ciò è proprio sano, soprattutto per la gente di città..." (404).

Il 26 marzo 1885 il padre di Vincent, il pastore Theodorus Van Gogh, muore improvvisamente. L'evento produce una forte impressione su Vincent; in ottobre dipinge una natura morta che rappresenta una Bibbia aperta rilegata in cuoio su uno sfondo scuro e con un primo piano giallo bruno.

Difficoltà con il curato e con la gente di Nuenen fanno sì che egli non riesca più a trovare dei modelli e alla fine dell'estate Vincent prende la decisione di andarsene da Nuenen. Inoltre ha sempre più interesse per le nuove tecniche dei pittori francesi di cui gli parla Theo nelle sue lettere da Parigi. Da un'ampia dissertazione che manda a Theo sulle teorie dei colori basata sulle idee di Delacroix si può capire quanto stia approfondendo i nuovi impulsi della sua arte pittorica e quanto ardentemente desideri ampliare i suoi orizzonti. In novembre parte per Anversa: "Circa il fatto che ad Anversa soffrirò la mancanza di un posto in cui lavorare, questo è vero. Ma devo scegliere tra un posto di lavoro senza lavoro qui, e un lavoro senza posto di lavoro là" (435).

 

 

A metà novembre Vincent aveva già scritto a Theo che era impaziente di spostarsi ad Anversa, che aveva intenzione di andare subito a vedere i quadri del pittore belga Leys e "immagino che d'inverno deve essere anche bello, con i dock del porto bianchi di neve". Un'altra ragione per Anversa è che Vincent è attirato dal desiderio di vedere una grossa raccolta di opere di Rubens: "Rubens esercita su di me un'impressione molto forte, trovo i suoi disegni grandiosamente belli, intendo qui in particolare il suo modo di disegnare le teste e le mani. Sono assolutamente incantato, per esempio, dal suo modo di disegnare con delle pennellate di puro rosso, come pure di modellare in maniera analoga le dita delle mani. Vado ancora al museo dove guardo poco altro, oltre ad alcune teste e alcune mani dipinte da lui e da Jordaens" (439).

Dai suoi schizzi appare anche che, nei suoi primi tempi ad Anversa, Vincent si sente più allegro: non soltanto la gamma dei suoi colori diventa più luminosa, ma anche i suoi pensieri sono meno cupi. "Anversa ha dei bei colori, e vale la pena di esserci non fosse che per la musica. Una sera, vicino, al porto, ho visto un ballo popolare di marinai ecc.; era divertentissimo e si svolgeva anche con molto decoro (...) C'erano delle ragazze bellissime, tra cui una bellissima brutta (...) con un vestito di seta nera (...) ballava splendidamente con uno stile antiquato - tra gli altri con una sorta di contadino ricco che teneva sotto il braccio un grosso ombrello verde anche mentre volteggiava in un valzer tanto turbinoso da sbalordire" (438).

Nel gennaio 1886 Vincent si iscrive alla Reale Accademia delle Arti, perché sente il bisogno di perfezionare sotto una guida qualificata la sua tecnica per dipingere e disegnare copiando da modelli. Ne risulta un fiasco. Vincent insiste con Theo affinché lo faccia andare presso di lui a Parigi: "Per piacere, dammi il permesso di venire magari prima; per la miseria, dovrei dire magari immediatamente. Se a Parigi mi prendo una mansarda, porto con me la cassetta dei colori e le cose da disegno, così per quanto riguarda il lavoro posso fare ogni tanto quel che mi preme di più, gli studi dell'antico, che senz'altro mi salvaguarderanno dal fatto che io debba andare da Cormon (un rinomato studio di Parigi)" (432). Senza attendere un cenno di consenso da parte di Theo, Vincent Van Gogh arriva a Parigi all'inizio di marzo. Da un messaggero Theo riceve questa lettera: "Non volermene se sono arrivato di colpo; ci ho riflettuto molto e credo che in questo modo guadagniamo tempo. Sarò al Louvre dalle dodici in poi, o prima, se preferisci. Rispondimi, per favore, a che ora ti potrò vedere nella Sala Quadrata. Per quanto riguarda i costi, ti ripeto che non cambia nulla. Ho ancora del denaro, ovviamente, e prima di fare qualunque spesa ti vorrei parlare. Ci metteremmo certamente d'accordo, vedrai. Vieni dunque più in fretta possibile. Con una stretta di mano (...)" (459). Nei due anni che Vincent Van Gogh trascorre a Parigi, sottostà a un flusso di nuove esperienze, sia visuali che sociali, che gli riescono alla fine troppo affannose. Per cominciare si stabilisce da Theo, nel suo piccolo appartamento in rue Laval. Non vi è posto per metterci uno studio, così egli vaga spesso per Parigi a far schizzi, tornando nei vari angoli che conosceva da prima. Visita mostre e musei; grazie a Theo la sua vita si mette su binari più ordinati. Con Theo e il suo amico Andries Bonger, Vincent va ogni giorno a mangiare in ristoranti di Montmartre, e i tre giovani uomini qualche volta, alla sera, vanno insieme nei cabaret del loro quartiere, come per esempio lo "Chat Noir''.

Poiché l'abitazione di Theo è troppo piccola per due persone, i fratelli traslocano ben presto in un'altra casa, con il posto per uno studio, sempre a Montmartre, in rue Lepic. Qui Vincent ricomincia a lavorare con piena foga e la sua salute va bene. Theo scrive nel giugno 1886 alla madre: "Non potresti più riconoscere Vincent tanto è cambiato, e questo colpisce gli altri ancor più di me (...) Il dottore dice che adesso si è rimesso completamente. Fa progressi formidabili nel suo lavoro, prova ne è che comincia ad avere successo. Non ha ancora venduto nessun quadro, ma cambia i suoi quadri con quelli di altri. Così ne abbiamo messo insieme una bella raccolta che naturalmente ha anche un certo valore". Circa la sua casa Theo scrive a una vecchia amica a L'Aja, la signora Van Stockum-Haanebeck: "Di notevole nella nostra abitazione c'è che dalle finestre si gode una splendida vista sulla città con lo sfondo delle colline di Meudon, St. Cloud (...) e, al di sopra, un'apertura di cielo quasi tanto vasta come quando ci si trova su una duna. Questo è stato il soggetto, con diversi effetti prodotti dalle variazioni della luce, di non so quanti quadri" (T1a).

Attraverso Theo, che nel frattempo ha assunto la direzione della filiale della ditta Boussod & Valadon (ex Goupil) sul boulevard Montmartre, dove espone anche opere di pittori di avanguardia ritenute invendibili, Vincent viene a contatto con gli impressionisti. Nello studio del pittore Cormon, dove qualche volta segue delle lezioni, incontra dei giovani colleghi di cui diventa amico; tra gli altri Emile Bernard, Henri de Toulouse-Lautrec e l'australiano Russel. A H.M. Levens, un inglese insieme al quale aveva abitato e lavorato per un breve periodo a Bruxelles, egli scrive da Parigi: "Ad Anversa non sapevo neppure chi fossero gli impressionisti, adesso li ho visti e sebbene non faccia parte del gruppo alcuni quadri di impressionisti li ho veramente ammirati - Degas, nudo - Claude Monet, paesaggio. E quanto a ciò che ho fatto io stesso, ero troppo a corto di soldi per pagare dei modelli, altrimenti mi sarei totalmente dedicato a dipingere figure. Invece ho dipinto una serie di studi di colore, fiori comuni, rossi papaveri, azzurri fiordalisi e nontiscordardimé, rose bianche e rosa, crisantemi gialli - in cui ho cercato i contrasti del blu con l'arancione, del rosso col verde, del giallo col viola: per riarmonizzare i contrasti, colori neutri o attenuati" (459a).

Nel 1887, alla Sesta Esposizione Internazionale di pittura, viene esposta per la prima volta la tela di Monet, Campi di fiori e mulini a Rijnsburg. Vincent Van Gogh deve averlo visto certamente e con lui Theo, che era un grande ammiratore di Monet. Su intervento di Theo, il quadro viene prestato a Boussod & Valadon; così, nella filiale di Boulevard Montmartre, Theo può mostrare alla sua clientela sia quello che altri lavori di Monet, insieme con le opere di pittori d'avanguardia come Pissarro, Degas e dopo, anche Gauguin. Vincent ha quindi ampie possibilità di studiare la nuova arte nella galleria di Theo. Lo avrà fatto certamente anche col quadro di Monet, che deve aver richiamato in lui i ricordi del suo periodo trascorso a L'Aja. I colori violenti e la costruzione verticale della tela, i tratti brevi e vibranti del pennello hanno sicuramente influito sul suo modo di dipingere, anche perché, nel periodo parigino, Van Gogh è ricettivo a tutte le nuove tecniche pittoriche che lo circondano.

Durante il suo soggiorno a Parigi, Vincent scrive solo a Theo, naturalmente quando questi è in viaggio. In estate Theo andava per lo più in Olanda. Vincent, che nel 1887 era diventato l'amante di Agostina Segatori, un'italiana proprietaria del caffè degli artisti "Le Tambourin'', scrive a Theo di aver rotto la relazione: "Quanto alla Segatori, è una faccenda tutta diversa, io sento ancora del trasporto per lei e spero che anche lei ne abbia ancora per me. Ma adesso si trova nei guai; non è libera e non è padrona nella sua stessa casa (...) Ieri sono andato a trovare Tanguy e lui ha messo in vetrina una tela che avevo appena finito. Ne ho fatte quattro da quando sei partito e ne ho ancora una grande cui sto lavorando. So che le tele grandi e lunghe si vendono con difficoltà, ma poi ci si accorgerà di quanta aria e luminosità ci sia. Nel suo insieme potrà servire come arredo in una sala da pranzo o in una casa di campagna. . ." (462).

Insieme ad amici come Bernard e Signac, Vincent prende ad andare fuori a dipingere, ad Asnieres, dove abita Bernard, lungo la Senna, alle cave di pietra fuori Montmartre, col tram a cavalli.

Signac rimase sempre un fedele amico di Vincent: nel marzo del 1889 gli fa visita all'ospedale di Arles dove l'artista è ricoverato, e si reca con Vincent nel suo atelier, chiuso dai gendarmi, preoccupandosi che le opere che vi erano rimaste fossero poi di nuovo a disposizione dell'amico.

Su questo evento scrive più tardi: "Mi portò nella sua abitazione a Piazza Lamartine e ho visto quadri meravigliosi, i suoi capolavori: Viale degli Alyscamps, II caffè di notte, La berceuse, L'ecluse, Veduta di Saintes-Maries, Notte stellata e altri. Immaginate lo splendore di quei muri imbiancati a calce su cui spiccano i suoi colori in tutta la loro freschezza". Dopo questa visita, Signac scrive anche una lettera tranquillizzante a Theo Van Gogh, raccontandogli di aver potuto affrontare con Vincent tanti argomenti, anche di natura sociale, e a Vincent promette di mandare un opuscolo a cui sta lavorando che tratta "l'estetica delle forme, dove uno strumento, la relazione d'estetica di C. Henry, permette di studiare le misure e gli angoli vedendo poi se la forma sia armoniosa o meno. Tutto ciò avrà una grande portata sociale, soprattutto dal punto di vista dell'arte industriale".

A Parigi Vincent dipinge anche ritratti, e Theo scrive alla madre: "Ha fatto un paio di ritratti che sono riusciti bene ma sempre per niente. È un peccato che non gli venga proprio voglia di guadagnare qualcosa, perché se lo volesse potrebbe benissimo; ma un uomo non lo si può cambiare". Il periodo trascorso a Parigi è ricco di influssi di tipo stilistico e coloristico che vengono assorbiti ed elaborati sino a produrre uno stile molto personale. Il senso del colore di Vicent arriva a maturazione piena, ma quegli influssi lo comprimono a tal punto che egli comincia ad accarezzare l'idea di lasciare Parigi per un posto più tranquillo. Un posto in cui egli possa elaborare ancor meglio e con più calma le sue nuove scoperte, un posto caldo e pieno di sole in cui possa lavorare fuori, nella natura, per tutto l'anno. Scrive a sua sorella: "Ho intenzione una volta o l'altra, appena posso, di andarmene nel Sud, dove c'è ancor più colore e ancor più sole (...) Quest'estate, quando dipingevo il paesaggio ad Asnieres, vi ho visto più colore che in passato" (W1). La scelta cade su Arles, in Provenza e la domenica del 19 febbraio 1888 Vincent lascia Parigi. "Durante il viaggio ho pensato a te almeno tanto quanto al nuovo mondo che stavo vedendo. Solo mi dico tra me che in seguito, forse anche spesso, tu verrai qui. Mi sembra quasi impossibile venire a lavorare a Parigi, a meno che non si abbia un posticino in cui ritirarsi, e riaversi, e riguadagnarsi la propria calma e fiducia in se stesso. Senza di che uno finisce inevitabilmente instupidito" scrive subito a Theo appena arrivato ad Arles (463).

 

 

Dopo il suo arrivo ad Arles, Vincent affitta una stanza proprio vicino alla stazione. Sebbene, inaspettatamente, ci sia neve e faccia abbastanza freddo, egli si sente tuttavia meglio e più ottimista che a Parigi.

Intorno al 22 febbraio, Van Gogh compra tele e colori e dipinge tre studi: una Vecchia arlesiana, un Paesaggio sotto la neve e un Ingresso di macelleria. Egli stesso definisce quest'ultimo uno "studio'' ("Veduta di un tratto di marciapiede con il negozio di un macellaio"). Il più delle volte Van Gogh definisce un lavoro con la parola "studio'' e lo fa quando dipinge direttamente sulla tela, cosa che considerava un esperimento.

Fin dai primi giorni, esplora la città e i suoi dintorni e comincia a dipingere con l'aiuto di quello schema prospettico di cui già aveva fatto uso a L'Aja. Viene nuovamente ripresa la corrispondenza con suo fratello.

"Qui vedo cose nuove, sto imparando, e il mio fisico, se trattato con un po' di dolcezza, non mi rifiuta i suoi servigi... Ho fatto i miei ultimi tre studi con I'aiuto di quel mio schema prospettico che tu conosci. Trovo importante I'uso dello schema prospettico, tanto che non mi sembra improbabile che in un futuro non lontano se ne serviranno diversi artisti, come mi sembra certo se ne siano serviti gli antichi pittori olandesi e italiani, e suppongo non meno quelli fiamminghi" (469).

Appena fa di nuovo bello e a primavera i frutteti sono in fiore, egli li dipinge con un entusiasmo che non vien meno. Nella sua ottica vede le sue tele come una sorta di trittici appesi alle pareti.

Non è la prima volta che Van Gogh pensa a una decorazione murale, elaborandola anche in parte. A Nuenen aveva progettato qualcosa di simile per la sala da pranzo dell'orafo e pittore dilettante Hermans che abitava a Eindhoven; uno dei dipinti che aveva portato a termine è la tela molto grande e oblunga del settembre 1884, L'aratore e la raccoglitrice di patate. Anche nel 1887, a Parigi, gli era venuta l'idea di fare per la villetta di Theo dei quadri molto grandi e orizzontali per decorarne le pareti. Ad Arles quest'idea di una casa per gli amici, con le pareti tutte dipinte, diviene realtà.

"Guardando da ciascuno dei quattro lati puoi vedere come i tre frutteti formino più o meno un tutt'uno. Adesso ho fatto anche un piccolo albero di pere, in verticale, parimenti affiancato da due tele per il largo (...) Capisci che possiamo guardare i nove quadri di quest'anno come il primo passo verso una ben più grande composizione finale a ornamento delle pareti (...) Ecco l'altro pezzo centrale dei dipinti. Fondo violetto, sullo sfondo un muro con alti pioppi e un cielo molto blu. L'alberello di pere ha un tronco violaceo e fiori bianchi, una grossa farfalla gialla su uno dei fiori. A sinistra, nell'angolo, un orticello delimitato da canne gialle, verdi arbusti e un'aiuola di fiori. Una casetta rosa" (477).

Già da tempo c'è, nei pensieri di Vincent, una casa con uno studio dove egli possa lavorare tranquillamente e, nel caso, offrire un tetto agli amici. E trova la "Casa gialla'' non lontano dalla stazione di Arles, in una piazza che ha di fronte un piccolo parco; vicino scorre il Rodano. Il giorno del compleanno di Theo, il primo maggio, Vincent scrive: "Troverai qui unito un rapido schizzo su carta gialla, un'area erbosa sulla piazza che si trova all'ingresso della città e sullo sfondo una casa, più o meno così. - Bene, oggi ho preso in affitto l'ala destra della casa, che ha quattro stanze, o meglio due più due stanzucce. All'esterno è pitturata di giallo, dentro è imbiancata a calce, ed è in pieno sole; l'ho affittata per quindici franchi al mese (...) E da questo momento posso parlarti della mia idea di invitare Bernard e altri a mandarmi dei quadri per farli vedere qui (...) Finalmente potrò vedere i miei quadri in un interno luminoso - il pavimento è di pietra rossa, e fuori c'è il giardino della piazza, di cui troverai altri due disegni" (480). Vincent così parla della sua nuova casa: "Per ospitare qualcuno è migliore la stanza di sopra, destinata a tal scopo, che cercherò di rendere più bella possibile, proprio come un artistico salotto da signora" (534); e circa l'arredo della sua stessa camera da letto: "Finalmente ti mando un bozzetto per darti almeno un'idea della piega che sta prendendo il lavoro. Questa volta si tratta semplicemente della mia camera da letto; in questo caso deve farla soltanto il colore, e poiché con il suo effetto semplificante conferisce maggiore stile alle cose esso dovrà, nell'insieme, suggerire la calma del sonno. I muri sono di un viola pallido. Il pavimento è ricoperto di mattoni rossi, le testate di legno del letto e le seggiole sono gialle come il burro fresco, le lenzuola e i cuscini sono di un giallo limone chiarissimo. La coperta è rossa scarlatto. La finestra verde. Il tavolo di toilette color arancio, il catino blu. Le porte lilla (...) Dei ritratti al muro, un asciugamano, e alcuni indumenti" (554). I dintorni di Arles e i colori del paesaggio ispirano a Vincent i suoi capolavori. Raffigura la stagione del raccolto nella pianura di La Crau in un ampio panorama con in lontananza l'abbazia di Montmajour su di una collina rocciosa e il Mont de Cordes sullo sfondo. Vincent paragona il suo quadro ad un lavoro di Philips Koninck che probabilmente aveva visto a Londra: "Sto sviluppando un nuovo motivo, dei campi a perdita d'occhio verdi e gialli (...) proprio come un Salomon Koninck (sic) sai, quell'allievo di Rembrandt, che faceva quelle immense campagne piatte" (496). Dipinge il quadro nel corso di una lunga seduta all'aperto, come racconta poi a Theo, e nello studio deve averlo solo ritoccato, "per regolare la fattura, per armonizzare il tocco". Ma, aggiunge, "quando torno da una seduta come questa , ti assicuro, mi sento molto stanco (...) divento assolutamente astratto..." (507).

Vincent cerca di attuare qui il suo antico progetto di fondare una comunità di pittori dove essi possano lavorare insieme stimolandosi reciprocamente. Pensa in primo luogo al suo amico dei tempi parigini, il pittore Gauguin. Nel 1888 Gauguin vive e lavora in Bretagna e se la passa molto male sia dal lato finanziario sia per quanto riguarda la salute. Per tutto l'anno Vincent fa progetti per la venuta di Gauguin, la Casa Gialla viene sistemata per tale prospettiva. Pensando all'arrivo dell'amico, comincia a pensare a uno schema per la decorazione del loro studio. Una decorazione che consisterà unicamente in grandi girasoli, dodici tele rappresentanti questi fiori: "II tutto sarà una sinfonia in blu e in giallo" (526). I girasoli, che nell'iconografia cristiana simboleggiano il divino, occupano un posto importante nella vita di Van Gogh insieme con il sole e la luce, e sicuramente l'artista era consapevole del loro valore simbolico.

Gauguin aveva ammirato i girasoli di Van Gogh già a Parigi e ne possedeva due. Per Vincent questa era la prova che, con quelle tele, era in grado di emulare i suoi colleghi e di essere riuscito a creare un capolavoro. La tecnica a cellette (tipo mosaico) usata in queste opere viene paragonata dall'artista stesso alle vetrate di una chiesa.

Alla fine di ottobre, Gauguin finalmente arriva ad Arles e si sistema da Vincent Van Gogh. Il loro lavoro insieme avrà solo breve durata, le loro concezioni dell'arte e degli artisti appaiono così divergenti da dar luogo a forti tensioni tra loro. Una visita fatta insieme al Museo di Montpellier porta a violente discussioni tra i due pittori, causate dai diversi punti di vista su arte e artisti. In dicembre le tensioni diventano così forti che Vincent, in uno scatto d'ira, minaccia Gauguin con un coltello e poi ferisce se stesso a un orecchio. Gauguin ne è talmente scosso che lascia immediatamente Arles e Vincent deve essere ricoverato in ospedale. Si riprende presto e all'inizio di gennaio può uscire dall'ospedale. Ricomincia a lavorare con foga, ma in febbraio, in seguito ad una crisi depressiva, deve essere riportato in ospedale, dove continua a disegnare e dipingere.

Sebbene nel mese di marzo sia nuovamente dimesso dall'ospedale, gli abitanti di Arles, che dopo l'incidente con Gauguin lo vedono come una sorta di pazzo, gli rendono il lavoro impossibile. D'accordo con il curato di Arles, il pastore Salles, Vincent decide liberamente di farsi ricoverare all'ospizio di Saint-Rémy.

Theo si sposa il 18 aprile ad Amsterdam con la sorella del suo amico Andries Bonger, Johanna Bonger. Il 22 aprile Vincent scrive: "Auguro a te e a tua moglie molta fortuna (...) Alla fine del mese dovrei trasferirmi all'istituto di Saint-Rémy, di cui mi ha parlato il pastore Salles (...) Sarà, spero, un posto passabile, perché posso dire che non mi sento assolutamente in grado di cominciare daccapo, di prendermi un nuovo studio e, per il momento, di restare solo qui ad Arles o altrove (...) Avrei paura, forzandomi e soprattutto prendendomi sulle spalle la responsabilità del possedere uno studio, di perdere la capacità di dipingere che adesso mi sta ritornando. E temporaneamente resterò internato, sia per la mia stessa tranquillità che per quella degli altri. . ." (585). E a sua sorella Wil: "Vado per almeno tre mesi in una casa di cura a Saint-Rémy, non lontano da qui. Tutto sommato ho avuto quattro grosse crisi, durante le quali non mi rendevo assolutamente conto di che cosa dicessi, volessi o facessi (...) E non mi sento ancora in grado di prendermi di nuovo un atelier".

All'istituto Saint-Rémy, in principio Vincent si sente molto più disteso. Fino alla metà dell'estate la sua salute migliora costantemente. La bellezza del paesaggio intorno all'antico chiostro della casa di cura gli fa venire voglia di lavorare: "Abbiamo avuto giorni di caldo stupendo e ho cominciato a lavorare ad ancor più tele (...) Ho fatto un campo di grano, giallissimo e luminosissimo, forse la tela più piena di luce che abbia mai dipinto. I cipressi mi impegnano ancora molto, vorrei fare qualche cosa con i girasoli, perché mi meraviglia non siano stati ancora dipinti come io li vedo. Hanno una bellezza di linea e di proporzioni come un obelisco egiziano (...) Credo che tra i due quadri di cipressi quello di cui ti faccio lo schizzo sia il migliore. In esso gli alberi sono molto grossi e massicci. Il primo piano è molto basso, con rovi e cespugli. Dietro le colline violacee, un cielo verde e rosa con una falce di luna. Soprattutto il primo piano è molto denso di colore: roveti con riflessi gialli, viola e verdi" (596). Un nuovo attacco del suo male gli rende temporaneamente impossibile lavorare all'esterno della casa di cura. Così Vincent si deve limitare a dipingere copiando da stampe di Millet e altri, e a fare ritratti di persone che si trova intorno. Come aveva già fatto a Parigi, quando copiava le stampe giapponesi, anche a Saint-Rémy Van Gogh suddivide in riquadri quelle che Theo gli manda; quindi traspone questi riquadri sulla tela dandone una propria interpretazione con i colori. Questo lavoro gli dà nuovo coraggio e vigore e lo si nota sia dalle lettere che dai dipinti. Durante uno dei suoi attacchi, la litografia di Nanteuil dal quadro di Delacroix, Pietà, appesa al muro della sua stanza, cade a terra tra gli olii e le vernici insieme con altri quadri: Vincent si spaventa talmente di questo incidente da costringersi a dipingere una versione della litografia.

Scrive infatti a sua sorella Wil: "Non ci tengo tanto a vedere nella mia camera da letto i miei propri quadri, per mettervili ho copiato un Delacroix e alcuni Millet. Il Delacroix è una Pietà, cioè un Cristo morto con la Madre Dolorosa. Giace reclino all'ingresso di una grotta, le mani all'infuori dal lato sinistro, il cadavere sfinito, e la donna posta dietro. È sera dopo un temporale e la figura disperata, con una veste blu sollevata dal vento, si staglia contro un cielo in cui si muovono delle nuvole viola con contorni d'oro. Anch'essa ha le mani protese all'infuori con un grande gesto di disperazione, e si possono vedere bene le sue mani, delle buone forti mani da lavoratrice. Con la sua veste alzata dal vento, la figura assume un'ampiezza pari alla sua altezza. E mentre il volto del morto è in ombra, il volto pallido della donna spicca sul fondo di una nuvola - un contrasto che fa sì che i due volti potrebbero far l'effetto di un fiore chiaro e uno scuro messi vicino volutamente perché l'uno faccia meglio risaltare l'altro" (W14).

In settembre, scrive a Theo: "Ho copiato sinora sette dei dieci quadri dei Lavori dei campi di Millet. Ti posso assicurare che mi interessa enormemente fare copie, e adesso che non posso per il momento disporre di modelli ciò mi permette di non perdere d'occhio la figura. E poi mi procuro di che arredare le pareti dello studio (...) Sarai sorpreso di vedere quale effetto i Lavori dei campi ricavino dal colore; si tratta veramente di una serie di immagini piene di raccoglimento" (607).

Nell'inverno del 1889 i suoi fratelli cominciano a pensare se non sarebbe possibile per Vincent lasciare la casa di cura di Saint-Rémy. In quello stesso periodo, i quadri di Vincent, esposti a Parigi al Salon des Indépendants e a Bruxelles con il Gruppo dei Venti, trovano per la prima volta apprezzamento. A Bruxelles, un quadro viene acquistato dalla pittrice Anne Boch, e compare sul pittore un articolo del critico Aurier redatto in termini entusiastici. Finalmente Theo Van Gogh trova una nuova casa che va bene per suo fratello a Auvers-sur-Oise, vicino Parigi.

Nel febbraio 1890, in occasione della nascita del figlio di Theo e Jo Van Gogh al quale viene dato il suo nome, Vincent dipinge un quadro per il suo piccolo omonimo: "Una grande tela azzurro cielo (...) sulla quale si stagliano dei rami in fiore" (W20). Nel maggio 1890 arriva finalmente il momento per Vincent di lasciare la Provenza: "L'ambiente qui comincia ad opprimermi più di quanto riesca ad esprimere, santo cielo. Ho avuto più di un anno di pazienza, ho bisogno di aria, mi sento sprofondare nella noia e nella tristezza. . . ".

 

 

Sulla strada verso Auvers, Vincent si ferma tre giorni a Parigi, dove fa conoscenza con il nipotino e con la giovane moglie di Theo. Ritrova anche i suoi amici pittori, come pure i suoi stessi quadri: appesi alle pareti dell'appartamento di Theo, riempiono completamente la casa. Sono giorni intensi, emozionanti e faticosi non soltanto per Vincent: anche Johanna Van Gogh-Bonger li vive con intensità. Nell'introduzione alla raccolta di lettere, scrive: "Come eravamo contenti che fosse finalmente venuto il momento per Theo di andarlo a prendere. Da Pigalle (...) alla Gare de Lyon c'è parecchia distanza; tardavano infinitamente ad arrivare e io cominciavo ad aver paura che fosse loro successo qualcosa, sino a che vidi finalmente entrare una carrozza aperta della Cité, due facce allegre e ridenti mi fecero un cenno di saluto, due mani sventolarono - un attimo dopo Vincent era davanti a me. Mi aspettavo di vedere un malato, e di fronte a me stava un uomo robusto dalle spalle quadrate con un colorito sano, un'espressione allegra e un che di risoluto nell'aspetto (...) Poi Theo lo tirò con sé nella camera da letto dove c'era la culla del nostro bambino, che avevamo chiamato con il nome di Vincent; i due fratelli guardavano muti il bambino che dormiva tranquillamente - tutti e due avevano le lacrime agli occhi".

Il villaggio di Auvers-sur-Oise, a nord di Parigi, aveva dato ospitalità a diversi pittori, come Daubigny e Cézanne, e a un gruppo di incisori che lavorava con un medico, il dottor Gachet, anch'egli artista. Il dottor Paul Gachet prende Vincent sotto la sua protezione: "Ho incontrato il dottor Gachet, mi ha dato l'impressione di essere abbastanza eccentrico, ma la sua esperienza di medico lo deve tenere in equilibrio (...) Sto lavorando al suo ritratto, il capo con una berretta bianca, molto biondo, molto chiaro, con le mani di incarnato roseo, un vestito blu e uno sfondo blu cobalto; è appoggiato a un tavolo rosso, su cui c'è un libro di colore giallo e un ramoscello di digitale con fiori vermigli" (638). Lo stesso giorno scrive alla sorella Wil: "È stata per me una grande gioia rivedere Theo e far conoscenza con Jo e il piccolo (...) Il viaggio e il resto sinora è andato bene ed è un bel diversivo per me tornare nel Nord. In più ho trovato un vero amico nel dottor Gachet e così dovrebbe essere un po' come un nuovo fratello, tanto ci assomigliamo fisicamente e anche interiormente (...) adesso passerò ogni settimana uno o due giorni da lui per lavorare nel suo giardino. Vi ho già fatto due studi, uno con piante del Sud, aloe, cipressi, crisantemi, l'altro con rose bianche, delle viti con una figura, inoltre un mazzo di ranuncoli..." Nei giorni che aveva trascorso a Parigi, Vincent aveva visto in una mostra, al Salone Champ-de-Mars, un bel dipinto di Puvis de Chavannes. Ne aveva riportato una forte impressione, che racconta nella stessa lettera: "I personaggi sono vestiti con colori chiari e non riesci a capire se gli abiti sono di adesso oppure dei tempi antichi. Da una parte due signore in semplici abiti lunghi parlano tra loro, nell'altro angolo degli artisti, nel mezzo una donna con un bambino in braccio che coglie un fiore da un melo in sboccio. Una figura di un azzurro nontiscordardimé, un'altra vicina di un chiaro giallo citrino, un'altra bianca, un'altra ancora viola. Il terreno è un prato punteggiato di fiorellini bianchi e gialli. Lontananze azzurre, e una città bianca, e un fiume. Tutta l'umanità, tutta la natura ridotte alla lor espressione più semplice, ma come sarebbero come non sono (...) uno strano e felice incontro di un antico tempo lontanissimo con i duri tempi moderni" (W22). In una lettera incompleta a Gauguin, Vincent Van Gogh registra le sue impressioni su Parigi e parla dei suoi ultimi quadri della Provenza: "Grazie di avermi scritto di nuovo, amico carissimo, e sappi con certezza che da quando sono tornato ti ho pensato ogni giorno. Sono rimasto a Parigi soltanto tre giorni e, poiché la confusione e il rumore di Parigi hanno su di me un influsso molto negativo, ho prudentemente deciso, per i miei nervi, di andarmene in campagna, altrimenti sarei venuto a trovarti prestissimo (...) Di quei posti ho fatto ancora un cipresso con stella, un ultimo tentativo - un cielo notturno con una luna senza luce, l'esile falce di luna che appare a malapena uscendo dall'ombra opaca della terra - una stella con una luce, se vuoi, esagerata; un rosa pallido e un verde brillante nel cielo oltremarino dove galleggiano le nuvole. In basso una strada, costeggiata da alte canne gialle, al di là, le basse Alpinie blu, una vecchia locanda con le finestre arancioni illuminate e un enorme cipresso, ritto come un palo, scurissimo. Sulla strada una carrozza gialla con davanti un cavallo bianco e due viandanti solitari. Molto romantico, se vuoi, ma credo anche autenticamente provenzale" (643). Dalle lettere che Vincent scrive negli ultimi due mesi della sua vita non traspare mai che sta pensando di farla finita. Talvolta il tono è malinconico, ma ordina a Theo dei nuovi colori e afferma che il fatto che gli sia nuovamente possibile dipingere da modelli lo eccita molto. Anche il paesaggio estivo lo vede al lavoro: "Ecco qui tre schizzi: uno di una contadinella, un grande cappello giallo con un fiocco di nastri azzurro cielo, un viso molto rosso, una goffa camicetta a pois arancioni, sfondo di piante di grano (...) Poi un esteso paesaggio pieno di campi, un motivo come quelli di Michel, ma in più, nel colore, l'uso del verde chiaro, del giallo e del verdazzurro. Poi una tela con degli alberi, dei tronchi di pioppi viola, che tagliano perpendicolarmente il paesaggio come delle colonne, nella profondità degli alberi e sotto i grossi tronchi il fondo erboso con fiorellini bianchi, rosa, gialli, verdi, alti fuscelli rossigni e fiori" (646).

Persino nell'ultima lettera che Vincent manda a Theo è soprattutto la visione dell'artista ispirato che parla: "Forse lo vedrai, lo schizzo del giardino di Daubigny - è una delle mie tele più impegnate; aggiungo anche uno schizzo di vecchie capanne e i bozzetti di due tele, che rappresentano dei grandi campi di grano dopo la pioggia (...) Il giardino di Daubigny : in primo piano piante verdi e rosa. A sinistra un arbusto verde e lilla e lo stelo di una pianta dalla foglia biancastra. Al centro un rosaio, a destra uno steccato, un muro e sopra il muro un noce con fronde viola. Poi una siepe di lillà, un filare di gialli tigli tondeggianti, la casa stessa sul fondo, rosa, con un tetto azzurrognolo. Un tavolo e tre sedie, una piccola figura nera con un cappello giallo e in primo piano un gatto nero. Cielo verde pallido" (651).

Il 27 luglio 1890 Vincent, probabilmente per il terrore di una nuova crisi, tenta di togliersi la vita con un colpo di pistola. Esce, e torna ferito alla locanda dove abita. Il padrone della locanda avverte il dottor Gachet, che fa subito arrivare Theo da Parigi. Theo rimane presso Vincent fino a quando muore, il 29 luglio, acquietato e tranquillo. Per i funerali vengono gli amici di Parigi e addobbano la sua camera con fiori e con i suoi stessi quadri. Vincent viene sepolto nel cimitero di Auvers-sur-Oise, in mezzo ai campi di grano. Theo, sopravvissuto al fratello soltanto sei mesi, ha in seguito avuto una tomba accanto a quella di Vincent.

 

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