Mangiatori di patate

Aprile 1885
Olio su tela; cm 81,5 x 114,5 Rijksmuseum Vincent van Gogh

il primo quadro fatto a Nuenen che van Gogh definisce «dipinto», in cui realizza il suo intento di essere un pittore di figure. Anche quando sarà a Parigi egli esprimerà in una lettera alla sorella Willemien la particolare considerazione che aveva per questo quadro: «Per quello che riguarda il mio lavoro, penso che il dipinto dei contadini mangiatori di patate, fatto a Nuenen rimane “après tout” il migliore di tutta la mia produzione».
Nel dipinto sono raffigurati alcuni contadini di Nuenen, la famiglia de Groot. Vincent in alcune sue lettere esprime ciò che intendeva raffigurare: «Ho cercato di sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protendono nel piatto e quindi parlo del lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo»: una metafora che ripete la descrizione fatta da Sensiers dei contadini di Millet, «che sembrano dipinti con la terra in cui seminano».
Giunge alla stesura finale di questo quadro attraverso vari stadi: a marzo realizza un primo dipinto con quattro figure anziché cinque, di cui esistono vari schizzi. In aprile inizia lo studio per le varie figure, una serie di ritratti a mezzo busto, una specie di versione dipinta delle stampe pubblicate dalla rivista inglese “The Graphic” che avevano suscitato la sua ammirazione (Ritratto di Gordina de Groot). Alla metà del mese circa risale la prima versione del dipinto con cinque figure, oggi conservata a Otterlo, realizzata dal vero alla luce della lampada; da questa composizione realizzò una litografia che voleva offrire agli editori di “Le Chat Noir”. Mandò una copia della litografia a van Rappard, che in una lettera del 25 maggio così reagiva: «Sarai d’accordo con me che un’opera del genere non può essere considerata seria. Sai fare più di questo tu, per fortuna; e perché allora osservare e trattare il tutto in modo superficiale? Perché non si sono studiati i movimenti? Ora posano. Quella mano civettuola della donna dietro al tavolo è ben poco vera! E che rapporto c’è tra il bricco del caffè, il tavolo e la mano che posa sul manico? E in ogni modo quel bollitore che fa? Non sta in piedi, non viene tenuto in mano, ma che fa allora? E perché, quell’uomo sulla destra non può avere un ginocchio, né pancia né polmoni? O li ha nella schiena? E perché il suo braccio deve essere un metro più corto del normale? E perché gli manca la metà del naso? E perché la donna che gli sta vicino sulla sinistra deve avere per naso un manico di pipa con un dado? E osi, con questo modo di lavorare, richiamarti ai nomi di Millet e Breton? Dai! L’arte è troppo superiore, mi sembra, per trattarla in modo così negligente».
Il quadro definitivo, quello di Amsterdam, fu realizzato entro il mese di aprile «e quasi tutto a memoria», trovando una giustificazione a questo procedimento nelle parole di Delacroix, il quale aveva detto «che i dipinti migliori sono fatti a memoria: “Par coeur!”».
Van Gogh portò subito la tela ad Anton Kerssmakers, un suo conoscente di Eindhoven, pittore dilettante, perché voleva separarsene per non cedere alla tentazione di ritoccarla. Avrebbe voluto che il dipinto fosse messo in mostra da Arséne Portier, un mercante di Parigi conoscente di Theo, e aveva pensato che il modo migliore per presentarlo fosse in una cornice dorata, o su una tappezzeria dal «colore profondo del grano maturo», perché andava messo in risalto «situandolo su una colorazione dai profondi toni dorati o ramati».
Il 6 maggio il quadro partì per Parigi, ma i mercanti Portier e Serret criticarono i «toni troppo sfacciati e lucidi del verde». Vincent sapeva che la sua opera poteva non piacere: «Non sono del tutto convinto - scrisse a Theo - che debba piacere a tutti o che tutti lo ammirino subito [...]! E potrà dimostrarsi un vero quadro contadino. So che lo è. Chi preferisce vedere il contadino col vestito della domenica faccia pure come vuole. Personalmente sono convinto che i risultati migliori si ottengano dipingendoli in tutta la loro rozzezza piuttosto che dando loro un aspetto convenzionalmente aggraziato».