Il ponte di Langlois

Marzo 1888
Olio su tela; cm 54 x 65

Otterlo,
Rijksmuseum Kröller-Müller

Giunto ad Arles alla fine di febbraio del 1888, van Gogh iniziò a esplorare il luogo e descrisse le sue prime impressioni in una lettera a Bernard del 18 marzo 1888: «Mio caro Bernard, avendo promesso di scriverti, voglio cominciare col dirti che il paese mi pare bello come il Giappone per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti di colore gaio. Le acque fanno nei paesaggi delle macchie di un bel smeraldo e di un blu ricco tal quale si vede nei “crepons”. I tramonti arancio pallido fanno sembrare blu il terreno. I soli sono di un giallo splendido. Eppure non ho ancora visto il paese nel suo splendore abituale dell’estate. Il costume delle donne è grazioso, e la domenica soprattutto si vedono sui viali delle combinazioni di colore molto spontanee e ben riuscite. [...] All’inizio di questa lettera ti accludo uno schizzo di uno studio che mi preoccupa, perché vorrei farne qualcosa: dei marinai che s’incamminano con le loro ragazze verso la città che staglia la singolare sagoma del ponte levatoio o contro un enorme sole giallo». È il primo accenno al Pont de Reginelle, sul canale che unisce Arles a Port-de-Buc, demolito nel 1935, e che fu il soggetto di vari dipinti risalenti a quel periodo.
La prima tela realizzata con il soggetto del ponte di Langlois è quella con le lavandaie in riva al canale conservata a Otterlo: un paesaggio che ha come riferimento le stampe giapponesi, pensato con nette campiture di colore e con una chiara suddivisione dello spazio. Più vicina allo schizzo fatto nella lettera a Bernard è un’altra tela, conservata ad Amsterdam, con il cielo grigio e l’argine più sabbioso, con tre sole piccole figure, che è successiva, forse di pochi giorni, alla tela di Otterlo.
A Theo inviò un acquerello fatto dal dipinto perché vedesse i colori, con il titolo «Le pont de l’Anglais», sbagliando l’esatto nome del gestore del ponte, il vecchio Langlois. Era talmente sicuro di avere raggiunto con la tela di Otterlo un risultato soddisfacente che pregò Theo di mandarla in dono al mercante Tersteeg dell’Aja, con cui aveva da tempo rotto i rapporti, e si dilungò nella descrizione della cornice che riteneva giusta per il quadro: «una cornice appositamente studiata blu intenso e oro, fatta in questo modo: la parte interna più larga, blu, decorata da un filetto dorato intorno al bordo esterno; se è necessario potrebbe essere di felpa blu, ma sarebbe meglio dipinta».
Del dipinto fece anche una copia destinata a Theo, oggi in collezione privata, corredata del titolo, con una trattazione cromatica meno intensa rispetto alla prima versione; spedì al fratello entrambe le tele all’inizio di maggio: quella di Theo aveva il titolo, quella per Tersteeg una dedica. Poi si pentì dell’idea di regalare il dipinto e chiese a Theo di cancellare la dedica, operazione che ha lasciato delle tracce, e frammenti dell’iscrizione sono ancora visibili sopra la firma.
Non era la prima volta che van Gogh dipingeva un ponte levatoio: anni prima, nella Drenthe, aveva fatto un acquerello, Ponte levatoio a Nuova Amsterdam, e così descriveva il colosso: «giganteschi ponti levatoi contro il cielo serale vibrante di luci».