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L'America che canta la pace

Esistono altre stelle e altre strisce, diverse da quelle bandite con provinciale presunzione dai bellicosi manifestanti di piazza del Popolo. Sono quelle che compaiono sulle copertine dei dischi dell'altra America, che sono entrate nell'immaginario di almeno tre generazioni. "Possediamo metà del mondo non ve ne siete accorti/Il nome del nostri profitti è democrazia/Così, vi piaccia o no, sarete liberi/Perché noi siamo i poliziotti del mondo,ragazzi". Così cantava nel 1966 Phil Ochs, un americano degli Stati Uniti che ieri(sabato 10 novembre) non avrebbe voluto essere a Piazza del Popolo. Fortunatamente esistono altre stelle e altre strisce, diverse da quelle brandite con provinciale presunzione dai bellicosi manifestanti con piglio guerrafondaio e spirito da comparsa. Sono quelle che compaiono sulle copertine dei dischi dei cantori dell'altra America e che sono entrate nell'immaginario di almeno tre generazioni. Sono le stelle e strisce dell'album Volunteers dei Jefferson Airplane, di Kick out the jam degli MCS o di Born in USA di Bruce Springsteen. Sono le stelle e strisce dell'altra America, quella che ha iniziato tanti anni fa, pur tra enormi difficoltà, a sollevarsi contro le ingiustizie sociali, le discriminazioni razziali, la guerra e l'imperialismo e non ha smesso più. Ha assorbito parole e idee dai popoli di tutto il mondo e ne ha regalate altre grazie al linguaggio universale della musica, a quel miracolo di fusione tra i generi e le culture che ancora oggi, per semplicità, si chiama rock. In questo lungo cammino ci sono state defezioni, ripensamenti, nuovi arrivi e anche qualche tradimento, ma le parole sono restate nell'aria e ancor oggi alimentano la voglia di dire "no alla guerra". È terribile, anche se affascinante scoprire l'attualità di brani come I- feel-like-I'm-fixin'-to-die rag del buon vecchio Country Joe McDonald del 1970 ("Coraggio, uomini di Wall Street non c'è tempo da perdere/questa guerra è un grosso affare... /Uno, due, tre/Per che cosa combattiamo/Non chiedetemelo,non me ne frega niente") che si allacciano alle riflessioni di Jackson Brown nel 1986 nella sua For America ("La cosa che mi domando a proposito di padri e madri/ che hanno mandato i loro figli a morire nel Vietnam/ è se loro davvero pensavano che il loro modo di vita/ sarebbe stato protetto fino alla prossima guerra"), per arrivare agli anni Novanta con la cinica e disincantata denuncia dei rapper come Jello Biafra (Sarà come se fossi giù in El Salvador/farò saltare in aria con il mio fucile/e ammazzerò il povero...»). C'è un filo non tanto sottile che collega tra loro le diverse generazioni dei cantori dell'altra America ed è il rifiuto della guerra, visto come il rifiuto di un sistema basato sulla sopraffazione e sul profitto. Non c'è differenza tra i canti di pace, lavoro e rivoluzione di Woody Guthrie negli anni Quaranta e le riflessioni che più di vent'anni dopo fanno i Doors ("il milite ignoto/ fa pratica alla lettura televisiva del notiziario/ bambini televisivi morti... la pallottola colpisce la cima dell'elmetto/ed è tutto finito per il milite ignoto...") o le più recenti storie di John Trudell ("uomo ricco/ si nasconde dietro a Dio e alla bandiera/ e guadagna sempre più..."). È caso mai straordinaria la capacità con la quale la musica riesce a semplificare elementi concettuali e analisi tutt'altro che elementari. Spesso sfida le ire del potere e si mette decisamente dalla parte dell'altro, il nemico che qualche volta è fuori, come il Nicaragua sandinista, altre volte è interno, come accade per i pacifisti, visti spesso come "traditori e basta". Quando l'establishment, la Cia e l'intero sistema sono impegnati ad appoggiare i sanguinari Contras antisandinisti ci vuole coraggio a cantare strofe che dicono «Sandinista, continua a credere nel sogno/ la verità è più forte delle ombre/ continua a farla risplendere nei tuoi occhi» come Kris Kristofferson o «Tu sei meglio di quanto noi siamo/ non lasciare che ti fermino adesso/ Nicaragua" come fa Bruce Cockburn. È lo stesso coraggio della ribellione che spinge i Suicidal Tendencies a cantare «ti rapiranno la coscienza/ ti colpiranno il cervello fino a liquefarlo/ questo è il cibo preferito dai fascisti». C'è una forza notevole che ogni volta alimenta un movimento che non è solo musicale, è la forza delle idee. Non è passata indenne neppure la crociata contro Saddam Hussein, il grande Satana di turno, perché anche quella volta c'è stato chi, come Mojo Nixon, non si è fatto catturare dalla mobilitazione mass mediatica a favore della civiltà occidentale. La stessa cosa sta accadendo ora. Pur con qualche inevitabile cedimento da parte di alcuni vecchi dinosauri troppo invischiati nel rock business per resistere, ancora una volta i cantori dell'altra America rispolverano l'antica Give peace a chance scritta da John Lennon,un britannico che però ha passato metà della sua vita negli Stati Uniti a dispetto dei santi e dei molti tentativi di espellerlo. Ancora una volta altre stelle e altre strisce, diverse da quelle cucite sulle camicie dei soldati che se ne vanno in Afghanistan. Sono le stesse che da decenni fanno da corona all'invocazione di Volunteers: «...bisogna fare una rivoluzione/ una generazione sta invecchiando / una generazione sta prendendo coscienza/ questa generazione non ha una posizione da difendere/ raccogli il suo grido!».
di Gianni Lucini (Liberazione,11/11/2001)