Quinto Orazio Flacco
(Venosa, 65 a.C - 8 a.C.)
Poeta Latino
Contemporaneo ed amico di Virgilio

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Discorso dello sculture

La statua di Q. Orazio Flacco, che ho compiuta per incarico del Municipio di Venosa, patria del grande poeta latino, ha bisogno di essere presentata a Voi, o signori dell'Accademia, con alcuni cenni di schiarimento. Intendiamoci bene, un'opera d'arte non deve aver bisogno di note esplicative, e se non si presenta da sé può essere condannata a vivere tra le mediocrità dell'Arte mancata.
Ma a voi, o Signori, che avete conosciuto spiritualmente un Orazio molti dissimile da questo che avete innanzi, debbo fare il processo della statua, nel processo del fantasma togato, che m'ispiro fin dai tempi della scuola. Il poeta delle grazie latine, io lo concepii elegante nella toga orlata di porpora, altero dell'angosticlavo e degli altri distintivi dell'ordine equestre, fortunato con le donne, desiderato nei ritrovi geniali della Roma di Augusto.
Nei versi, intraducibili, come diceva il Manzoni, del cantore di Venere e delle Grazie, io vedeva rispecchiato e la pienezza dei tempi - una pienezza fatta di eleganze squisite e di civiltà raffinate - la rinascente cultura ellenica, e la rigidità della linea romana.
Era un lavorio interno che doveva precedere di molti anni l'esecuzione dell'opera, e Q. Orazio Flacco si affermava nella mia fantasia con tutti i pregi della gioventù e della bellezza; né in modo diverso avrei saputo concepirlo.
L'idea della statua oraziana si determinò nel mio cervello. Io non sentii di aver bisogno di ritratti: i lineamenti del poeta avrei potuti rintracciarli negli esametri e nei pendametri. Mi parve che la loro meravigliosa bellezza, nel concetto e nella forma, doveva essere nata in una testa armoniosamente bella, poggiata con forza e con grazia sopra un corpo elegante.
Il cavaliere mi si presentò con le seduzioni del sommo poeta, nella posa un poco molle, ma ancora vigorosa dei raffinati dell'ordine equestre. La bella testa, la vidi spiccare nelle squisite movenze della toga ed il papiro tre le dita nervose mi pareva dovessero dare maggio risalto alla grazia delle mani. Ben piantato sulle gambe, il poeta di bronzo doveva mostrare che il poeta vivo, era abituato a procedere con sicurezza nella sua via.
Accanto a questo leggiadro fantasma togato, vidi poi sorgerne un altro, come ci è tramandato dalla storia, come le biografie lo descrivono. Q Orazio Flacco, brutto, labbruto, cisposo, grasso, qualche cosa di meno di Trimalcione, con l'aria di pubblicano anziché di cavaliere. Il disinganno fu grave, dolorosa la mia separazione dal fantasma greco romano che, in versi immortali aveva celebrate le bellezze della terra e quelle dell'Olimpo. Svaniva, alla vista del volgare medaglione, il mistero amoroso dell'esilio, il personaggio togato decadeva nel plebeo tunicato, tozzo, guercio, panciuto. La dolce poesia era un anacronismo, l'inno a Venere inesplicabile nello squilibrio di forme di fattezze del poeta.
L'antico ritratto della sua sbiadita volgarità raggiungeva lo scopo di distruggere, attraverso i secoli la forma ideale del poeta. Che fare? L'Orazio che era nato nel mio cuore, più che nel mio cervello; il cavaliere profumato come i suoi versi; l'amabile cortigiano mollemente ravvolto nella toga bianca, altero del favore di Augusto, uno dei protagonisti del secolo d'oro, riportò vittoria.
Il vero, anzi, il brutto verismo, fu vinto dall'idealità e nacque quest'Orazio che ora presento, col dubbio dell'Artista, anzi del padre che si prepara a veder giudicato un figlio.
Vediamo un poco, o Signori, da quale concetto fu informata la scultura presso gli antichi.
Degli Egizii parlano chiaramente i Musei, figure allegoriche, storiche erotiche: ma tutte rese con la più alta idealità nella bellezza mistica dell'arte egizia. Iside e Osiride sono le statue più misteriose dopo la Sfinge: ma sempre belle, della bellezza che parla al cuore con la voce di quella fede solenne ed austera che costituiva l'essenza religiosa dell'antico Egitto.
Presso i greci, la forma scultoria si venne perfezionando: le loro statue sono improntate al sentimento della forma, in modo, da farci concepire che, legge suprema dell'arte greca, fu la bellezza, e quindi la necessità di idealizzare il personaggio rappresentato, tanto da farne un prototipo di eleganze nella forma.
La pleiade delle divinità elleniche, l'antropomorfismo di quei nostri avoli, ora fonte di vera bellezza, di quella bellezza che altri secoli non giunsero ad eguagliare: ma queste forme divine, quest'alta idealità artistica, fu applicata anche alle creazioni terrene, uomini e cose, sicché noi troviamo il divino, tanto nella statua di Aristide e del Discobulo, quando nelle figure che ornano il Partenone: tutte ammirabili nella alta idealità di un arte che umanizzando il divino, rendeva divino l'umano.
Nell'arte scultoria i romani furono inferiori ai greci ma l'intento fu identico. Non solo le statue degli Dei furono rappresentate con forme idealizzate: ma le figure dei Cesari e degli eroi, anche i meno virtuosi, furono rappresentati con le forme più elette dell'arte: quasi per affermare che quegli imperatori e quegli eroi furono tali anche dal lato della bellezza.
La superiorità intellettuale o di gradi sociale si manifestava in arte con una forma eletta ed aristocratica.
Passando a rassegna le statue dei Cesari, noi le vediamo modellate quasi in un tipo unico, Claudio o Eliogabalo, tutti con lo stesso carattere di bellezza nella figura. Pare che gli artisti abbiano obbedito ad una parola d'ordine rappresentando il Cesare, e non Augusto, Claudio, tiberio, Nerone o Settimio Severo, Cesari; più un mito che la riproduzione storica dei personaggi.
Erano cannoni artistici che i romani ereditavano dai greci; la rappresentazione del personaggio in alto grado, il sommo imperante, scevro da qualsiasi imperfezione, sintetizzando nella sua figura la potestà suprema, la suprema virtù: il dominatore, l'uomo di genio: tutto corretto, tutto elegante, tutto bello: un tipo anziché un uomo.
Trattandosi di un poeta del valore di Q Orazio Flacco i nostri antichi artisti non avrebbero esitato un momento a mettere in disparte il medaglione storico: al poeta delle Grazie avrebbero, certo, concesso le grazie della forma.
Eccovi dunque, o Signori, il mio Q Orazio Flacco, dico mio anche nel timore di non avervi potuto dare l'Orazio del vostro cuore e della vostra fantasia.
Mai avrei potuto rappresentarlo nelle forme delle natura madrigna, perché troppo radicata in me l'ammirazione per la divina bellezza della sua creazione poetica. Ho dato corpo conveniente al mio fantasma? Io non posso esser giudice dell'opera mia, siatelo voi, o Signori, ispirandovi a quell'amore dell'arte che nutrite vivissimo: a quell'imparzialità, senza preoccupazioni, propria degli uomini del vero merito, di quegli uomini che stanno all'alto della scala intellettuale, di quei maestri che, come dice un grande scrittore francese, si trovano insieme senza gradazione di merito, uniti nella ricerca del bello, del buono del vero.

[Achille D'Orsi]

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Lo scultore Achille D'Orsi a Venosa

Mercoledì 1 (del 12/1897, ndr.),
col treno delle 8, accompagnato dal Direttore della Fonderia Sommer, giunse tra noi il Comm. Achille D'Orsi, l'illustre artista che ha modellata la statua di Q. Orazio Flacco.
Senza fermarci, per ora, a parlare del monumento, che è opera degna dello scultore del Proximus e dei Parassiti, e che ha destato in quanti l'hanno ammirato un vero entusiasmo; ci piace intrattenerci a dir poche parole sulle liste e festose accoglienze data dai Venosini all'Uomo Egregio nel cui petto, più che in qualsiasi altro, regna sovrano l'amore per l'arte.
L'illustre artista, compiaciuto per la cura e diligenza con cui gli operai della Ditta Sommer avevano collocato l'opera sua, aveva stabilito ripartire per Napoli il giovedì seguente; ma i Venosini, con a capo il geniale pittore Andrea Petroni, non vollero permetterlo, per offrire al sommo maestro della scultura un modesto banchetto.
Il Comm. D'Orsi, sempre compiacente, non seppe rifiutarsi all'invito spontaneo che gli veniva dai compatrioti di del Poeta, alla cui statua con tanto intelletto di amore e con così squisita finezza d'arte egli aveva lavorato, e la sera del 3 in una sala dell'Albergo Roma ebbe luogo il convitto.
V'intervenne gran numero di persone, rappresentanti tutte le classi sociali e il banchetto, per quanto modesto, riuscì cordialissimo. La parte intelligente della cittadinanza vi era largamente rappresentata, né vi mancarono brindisi atti a dimostrare al Comm. D'Orsi con quanta larga simpatia di affetto i concittadini di Flacco ligavano al nome del loro Poeta quello del suo Scultore.
Al brindisi del Sindaco Avv. Rosario Di Donato, ed a quelli dell'Illustre Vice Pretore Avv. Gerardo Pinto del Teologo Dott. Giuseppe Crudo e del Prof. Ferdinando Goglia, bellissimi per forma e per sentimento, il Prof. D'Orsi, ringraziando, rispose in modo degno di Lui. Egli conchiuse dicendo: "Se fossi partito ieri avrei semplicemente portato con me un grato ricordo dei cittadini di venosa, oggi non posso a meno di lasciare con essi la miglior parte di me stesso".
L'Artista Petroni e l'Avv. Siniscalchi ringraziarono con geniale e calda parola l'egregio Prof. D'Orsi, facendo voti che al monumento di Orazio, il più grande tra i lirici latini, si facesse seguire quello al Cardinale G. B. De Luca, l'uomo sommo nel quale gareggiarono sempre insieme la scienza, il patriottismo e la filantropia.
La proposta fu accolta da ovazioni unanimi e le promesse dei maggiorenti furono larghe e sincere.
Ni ci auguriamo che alle parole tengano dietro i fatti, onde, ritemprati nelle memorie e negli esempii degli avi, i Venosini tornino alla gloria, coi la favilla del Genio, che non li ha mai abbandonati, vuole agognino e pervengano.

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La proposta Palmieri

24 Dicembre 1897
CONSIGLIO COMUALE

La sera dell'11 corrente ebbe luogo una riunione del patrio Consiglio in tornata straordinaria, ed in essa furono prese le seguenti deliberazioni:
...
Fu approvata la proposta fatta dal Palmieri nella tornata precedente, circa l'abbattimento di alcuni alberi di acacie in prossimità del Monumento ad Orazio nella piazza omonima.
...
Ha accolta l'altra proposta fatta dal consigliere Palmieri circa l'invertimento della somma fissata per l'inaugurazione del Monumento ad Orazio in L. 2000 in concorso all'erezione del Monumento al Cardinale De Luca.
Nello svolgere tale proposta il signor Pasquale Palmieri ha detto che: "ha visto con molto compiacimento dell'animo divenuto un fatto compiuto la erezione del Monumento ad Q. O. Flacco. Questa sua soddisfazione è duplice, sia perché l'aspirazione di tanti anni è oggi divenuta realtà, sia perché il Monumento, specialmente la statua, è una vera opera d'arte, ben riuscita. Ed egli sente il dovere, qui nel Consiglio comunale, deve c'è la diretta ed immediata rappresentanza del popolo venosino, di mandare un saluto ed un ringraziamento all'artista geniale, all'autore della statua, il Prof. Achille D'Orsi.
Adempiuto al dovere di questa manifestazione, crede pregare il Consiglio a non spendere le 2000 lire stanziate in bilancio per l'inaugurazione, giacché questa si è avuta di fatto, essendo la statua scoverta fin dal suo innalzamento. Anziché appagare una sentimentalità piuttosto sterile, per ora, per le angustie finanziarie di un bilancio ristretto, crede rispondere ad un'altra sentimentalità più pratica e più proficua, qual è quella di cominciare a stabilire un fondo per l'erezione di un monumento al cardinale G. B. De Luca, il quale ha arricchito Venosa, la sua città natale, con la mente e col cuore: con la mente, per le tante pregiate opere giuridiche, letterarie ed altre; col cuore, donando il suo patrimonio per istituzione di un Monte frumentario, di un monte pecuniario, maritaggi, borse di studio, orfanotrofio, ecc. Prega il Consiglio a votare la sua proposta, tanto più che oggi la inaugurazione sarebbe anche postuma, per essere la statua di Orazio scoperta, e poi la L. 2000 sarebbero anche poche, se si volesse compiere una festa inaugurale degna del sommo Poeta".
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la proposta Palmieri, circa la soppressione della festa inaugurale del Monumento ad Orazio è l'invertimento del fondo assegnato a concorso pel Monumento da erigersi al cardinale De Luca, è stata restituita dall'On. Sotto Prefettura perché "trattandosi di spesa facoltativa da stanziarsi in un bilancio che eccede il limite della sovrimposta occorre che sia deliberata nei modi prescritti dall'art. 189 legge com. e prov., e che la deliberazione sia corredata e compilata ai termini dell'art. 259 della stessa legge".

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Una statua non inaugurata

La proposta del Consiglio Comunale Palmieri d'investirne una, come prima somma per il monumento da farsi al Cardinale De Luca, le lire 2000, stanziate per l'inaugurazione della statua di Orazio, se ha incontrato il favore di molti, ha trovato pure delle forti opposizioni. Concordi con il Palmieri, ci piace esaminare la cosa sotto ogni rispetto, perché non ci pare mica vero che da una inaugurazione non fatta abbia a prodursi vergogna e dolore.
Non si può negare che:
non crepa asino
che sia padrone
di andare al diavolo
senza iscrizione,
e che per ogni iscrizione, per ogni lapide, per ogni monumento dalle grandi città, come dalle più piccole borgate si spendano migliaia e migliaia per festeggiare e per banchettare ancora al grande, o al piccolo nume che si stia onorando.
È una mania vertiginosa questa, che ha preso siffattamente noialtri italiani da un pezzo in qua, che hanno appena il tempo di nascere i nouvi semidei dà collocarsi in questo smisurato Pantheon, che è divenuta l'Italia, che già gran numerose e gran chiasso, si è fatto intorno ai loro scolpiti marmi. Sallo Iddio, se anche noi fummo tocchi da tale eccesso; e … anche noi sapemmo, con tutta la pompa onorare una lapide!…
Ma si può da ciò dedurre, adunque, che è rito questo consacrato coì e reso così inviolabile, che, se vi si manca resterà disonorato il marmo e il bronzo ravvivato dal soffio del novello artista ad onorare ed a ricordare un grande? Non ci pare puto vero. Si fanno, si, in tali occasioni delle feste solenni, e così veramente serie sotto il punto eminentemente artistico, che sarebbe grave colpa rinunziarvi: basterebbe ricordare quelle feste fatte ad Urbino ed a Bergamo; ma, ahi, quale differenza da esse ad una festa qualsiasi che sapessimo fare noi qui a Venosa! Se anche noi, da anni, ci fossimo preparati ad accogliere intorno a questo monumento ad Orazio tutto quanto si è prodotto per 19 secoli ad illustrare le grandi opere del nostro illustre Poeta; se anche noi avessimo atteso, sotto tutti i punti di vista, a fare di Venosa, se non altro, una città bene avviata a quel progresso che essa merita e per il suo ricco patrimonio, e per i suoi uomini illustri, e per un passato glorioso; se ci fossimo, in breve, preparati ad una festa simile, sarebbe stato davvero un grande errore.
Ma sventuratamente, finora almeno, siamo stati sempre neglittosi! Non possiamo, né sappiamo muoverci; facili all'entusiasmo, siamo fiacchi nell'opera. Quindi tutta la grande importanza della nostra inaugurazione dovrebbero consistere, in un dotto discorso di un valente letterato e nella venuta a Venosa di una diecina di persone illustri fra Ministri e Deputati. Un avvenimento, senza dubbio, anche questo; ma contrabilanciato con il motivo della proposta Palmieri, chi non vede come esso risti troppo poca cosa? Il Palmieri non ha combattuto l'inaugurazione, ma guidato da un senso pratico e più serio, quindi, ha intuito che erige il monumento al De Luca, resosi, per vario rispetto, tanto benemerito di Venosa, quanto Orazio, sarebbe rispondere ad un dovere più impellente che non è certamente quello dell'inaugurazione istessa. E questo può essere vergogna?.. io credo che lo spirito di Luigi La Vista avrebbe davvero esultato di gioia, se, invece di sciupare in mille pazzie, quelle 8 mila lire, spese per l'inaugurazione della sua lapide, si fossero stanziate come prima somma al monumento ad Orazio: certo che la sua memoria sarebbe stata così maggiormente onorata!
Non comprendiamo poi il dolore che dovrebbe averne il D'Orsi! Che l'encomio sia una delle belle retribuzioni che possa impromettersi un'Artista non si può negare, ma che sia la sola o la più importante è leggerezza il crederlo; chi così pensasse, mostrerebbe di non saper leggere affatto l'animo di un artista vero. Se l'opera plasmata della sue mani, n'è uscita viva de' suoi pensieri palpitante dei suoi affetti, si ritenga per certo che l'artista non ha bisogno di più, tutto il resto rimane pallida ricompensa al suo genio.
E perché poi non si potrebbe lodare ed ammirare? La stampa, adunque, non ha anche questa missione? Le sue mille bocche non vanno disseminando per l'universo la lode o lo biasimo? E può veramente dolersi il D'Orsi, se, invece della magra ricompensa della inaugurazione, gli si appresta l'occasione di suscitare un'altra scintilla del suo genio, e di incarnare un'altra sua bella visione d'artista?
Come si vede, adunque, non si disconosce, ma si sospende soltanto per menare ad affetto un'opera più seria e più meritoria, quod differtur, poi, non aufertur, ché se questa amministrazione, per lo stato deplorevole in cui ha trovato le finanze municipali, non può nulla per ora spendere per un'inaugurazione, quelli che verranno appresso potranno sempre farlo.
Anzi, mostriamoci una volta generosi e splendidi, incominciamo a sottoscrivere per il monumento al De Luca, copriamo di esuberanza la somma richiesta e prepariamoci fin da ora all'inaugurazione dell'una e dell'altra statua.