179 (Tav. 15).
 
Stele con iscrizione bilingue latino-celtica.
 
Nel 1960, ad est della città lungo la sponda sinistra del fiume Sesia, si rinvenne alla profondità di circa 2.5 m, una grossa stele in pietra scistosa. Questa deve la sua grande importanza al fatto di recare incisa, su tutta la sua superficie, una iscrizione che ha la caratteristica di essere redatta sia in lingua latina che in lingua celtica (Sommo 1982, p. 248).
Il testo riporta nella parte latina: Finis campo quem dedit Acisius Argantocomaterecus Communem 1 deis et hominibus ita ut lapide[s] IIII statuti sunt (Confine al campo che Acisio Argantocomatereco diede conume agli dei ed agli uomini così come le quattro pietre sono state poste) ed in quella celto-gallica posta al di sotto di essa: Akisios Arkatoko[k]materekos tosokote atom tevoctom koneu. Il cippo sarebbe databile all'età romana repubblicana, e molto probabilmente anche ad una data posteriore al 49 a.C. 2 (Roda 1985, p. 102), ed apparterrebbe quindi ad un periodo di già ben consolidati contatti della città con il mondo romano. A questo proposito è da notare infatti come il testo sulla stele, nella parte latina appaia ben definito e scandito nella divisione dei vocaboli, mentre risulti, nella parte scritta in lingua celto-gallico senza interruzione tra le parole. La cosa lascerebbe pertanto pensare all'appartenenza del lapicida al mondo latinofono e la sua conseguente poca dimestichezza con un idioma non romano (Sommo 1982, p. 248).
Nell'iscrizione viene ricordato un personaggio di nome Acisius 3 Argantocometereco. Quest'ultimo, ignoto nel mondo romano, sarebbe, secondo l'opinione prevalente, da considerarsi il cognomen di derivazione gallica che presenterebbe una prima parte che riguarderebbe il denaro, ed una seconda che avrebbe attinenza con il termine "misurazione" (Baldacci 1977, p. 335). è quindi possibile che questo cognomen derivi dalla antica funzione o carica, legata alla moneta ed alla sua misurazione, ricoperta 4.
A questa funzione pubblica ed a pratiche religiose sembrerebbe comunque riferirsi la dedica che egli fece e che compare sul cippo e dalla quale si comprende come questa stele fosse stata posta, insieme ad altre quattro5, a delimitare una area sacra nella quale si svolgevano sia cerimonie pubbliche sia cerimonie religiose che ne facevano un campo "comune agli dei ed agli uomini".
Il carattere erratico del ritrovamento non permette di stabilire se effettivamente l'area sacra ricordata nell'iscrizione sia da cercarsi nella zona attigua al fiume Sesia oppure se il manufatto sia qui pervenuto trasportato dal suo luogo originale.
 
 
NOTE
 
1 Nel testo, per un errore del lapicida, è stata dimenticata una "m" della parola Communem (Roda 1985, p. 103).
2 Al periodo, quindi, nel quale Vercellae diveniva Municipium romano a seguito della promulgazione della Lex Iulia che estendeva ai Transpadani la cittadinanza romana stessa.
3 Nella onomastica romana sono presenti solo alcuni nomi che si avvicinano a quello di Acisius (Roda 1985, p. 103).
4 Secondo altri, invece, il termine Argantocomatereco non sarebbe da considerarsi come un cognomen, ma come la translitterazione in latino dall'espressione originale celtica che indicava la carica posseduta dal personaggio (Pisani 1979, p. 49).

ILLUSTRAZIONI

237. Vercelli,iscrizione bilingue latino-celtica (Roda 1985, p. 102).

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