Presentazione di G. Sommo al volume "Vercelli Antica"

 
Non appaia ne' semplice ne' facile affrontare un tema delicato e complesso come quello che gli Autori si sono prefissi di sintetizzare per i concittadini interessati, i turisti, i giovani, i visitatori delle sale del Museo C. Leone dedicate alle antichità locali. L'apparentemente scarna esposizione per schede topografiche della materia nasconde alcuni anni di lavoro dedicati allo spoglio della totalità delle fonti edite e all'organizzazione dei dati raccolti sulla cartografia urbana, alla stesura ed al controllo incrociato dei riferimenti, alla raccolta e alla verifica di notizie inedite, documenti ed immagini.
Questa lunga fase preparatoria e l'encomiabile dedizione che gli Autori vi hanno profuso sfocia ora in un'edizione che certamente non rende giustizia all'energia impiegata, in quanto già superata da nuovi ritrovamenti che vanno arricchendo e precisando di anno in anno la vasta documentazione archeologica sulla Vercelli preromana e romana. Tuttavia di una carta dei ritrovamenti era sentita la mancanza trascorso un ventennio dalla sintesi che dell'archeologia territoriale fece Vittorio Viale e ad a più d'un secolo ormai dall'opera illuminata di padre Luigi Bruzza e dall'oscuro lavoro di raccolta del notaio Camillo Leone. A questi due ultimi antichisti Vercelli deve la sopravvivenza della memoria di sé e la fondazione di una tradizione locale di studi che fortunosamente prosegue, pure fra alquante avversità, sebbene non solida quanto sarebbe auspicabile.
Non si cerchi fra queste pagine la carta archeologica che altre città, anche di minore importanza nell'Antichità, possono vantare in quanto una "carta archeologica" vera e propria prevede attenti rilievi topografici dei ritrovamenti prolungati nel tempo, cosa che da noi non si è verificata se non in tempi molto recenti e non certo per meriti locali.
Per troppi anni i ritrovamenti archeologici vercellesi non solo non sono stati gestiti da chi ne avrebbe avuto il compito istituzionale, ma hanno dato luogo a sordidi mercati e a volontarie e interessate sottovalutazioni, fatti ben noti e che in questa sede pare inutile rinvangare se non per spiegare le ragioni di una vasta e fortunatamente intermittente lacuna documentaria che collocherei fra la fine del secolo scorso e gli anni Ottanta del nostro, proprio nei decenni di espansione urbanistica, culminata negli anni Settanta con i grandi insediamenti in periferia.
Un dato sconcertante emerge con evidenza dalla ricostruzione topografica del quadro dei ritrovamenti noti quando si prende in esame il territorio comunale extraurbano. Esso consiste nella immediata rarefazione di attestazioni, pari a poco o nulla, nelle campagne circostanti.
A tale proposito, fatta eccezione per i pochi ritrovamenti ottocenteschi, si rileva la pressoché totale assenza di trovamenti tra la fine dell'Ottocento ed i giorni nostri.
L'unica interpretazione possibile di tale evidenza, a dir poco straordinaria, non è certo quella che parrebbe la più semplice. Purtroppo va detto che se la notevole densità di ritrovamenti attestati nel centro storico e nell'immediata periferia non è sicuramente pari alla totalità dei ritrovamenti realmente effettuati, ma valutabile intorno al 40%, nelle campagne la totale mancanza di dati è dovuta sia al tipo di coltura prevalente, sia ad un atteggiamento universalmente noto presso gli addetti ai lavori, e particolarmente radicato nel Vercellese, dei nostri agricoltori. Non certo alla reale mancanza di dati.
Un enorme vuoto circonda quindi l'antica città romana ed è forse tardi per colmarlo, ogni anno infatti arature, spianamenti e riporti rendono sempre più difficile il compito dell'archeologo.
Per molti decenni, inoltre, si è interrotta la tradizione di studi locali, segnatamente fra le due guerre mondiali, e da quegli anni di espansione urbanistica della città pochissimi dati ci sono stati conservati.
Era infatti stata messa da parte, alla scomparsa di Camillo Leone, la vocazione municipale alla conservazione e alla ricerca archeologica, affidata a pochissimi continuatori.
Brilla pertanto, in un periodo caratterizzato dal languire degli studi, la preziosissima tesi del professor Fortunato Guala del 1938, ineguagliata dal successivo lavoro del Viale, per alquanti versi infatti lacunoso.
Al professor Guala e alla sua prima carta dei ritrovamenti il presente lavoro vorrebbe ispirarsi e rendere omaggio.
Fatte le lodevoli eccezioni, dunque, per circa un secolo l'archeologia vercellese ha potuto contare solo su alcuni entusiasti cultori e su alquanto disinteresse municipale e statale. Anche l'opera di Associazioni come la nostra, che a partire dal 1972, vanta alcuni fortunati successi, come la pubblica denuncia dei crimini archeologici che si compivano alla necropoli di San Bartolomeo, l'aver tenuto a battesimo in città la moderna archeologia medievale, l'aver saputo individuare e salvaguardare memorie di notevole importanza come le ceramiche medievali e il ritratto marmoreo femminile della chiesa di S. Agnese (inspiegabilmente assente dalle più recenti opere sul territorio piemontese dell'archeologia ufficiale), non è stata sufficiente a colmare il disavanzo di attenzioni e di sensibilità di cui soffre tuttora l'archeologia locale ed in generale il settore dei Beni Culturali. A una tale situazione di degrado, ben rappresentata dai fatti di via Nigra e di S. Bartolomeo, tuttavia, non si è certo giunti per caso e le responsabilità sembrano soprattutto da ricercare nella sostanziale impreparazione delle amministrazioni nel valutare correttamente e con lungimiranza l'interesse del patrimonio archeologico vercellese, nel non aver saputo costruire un rapporto ordinato, duraturo e corretto con gli Uffici di tutela e con le risorse locali.
Tutti i materiali di scavo rinvenuti in città dopo gli anni Ottanta, infatti, non sono esposti ne' tantomeno conservati a Vercelli, gli scavi archeologici blindati, i rapporti fra l'archeologia ufficiale e il territorio esclusivamente formali. Molti oggetti esposti al Leone necessitano di urgenti interventi di restauro, basti ricordare le anfore del cortile in pessime condizioni di conservazione. Certo la responsabilità di una tale disaffezione vercellese non va ricercata solo a Torino e nel suo cronico e secolare torinocentrismo, ed occorrerebbe riflettere su altri accadimenti analoghi, disinteressi e insipienze locali, trascuratezza evidente nella gestione del centro storico, scadimento o, peggio, assenze di politiche culturali illuminate e costruttive a livello municipale. Imbarbarimento inevitabile o scelta politica inespressa che porta dalla cultura alla cultura della fruizione, regolata dalla ferrea legge della domanda e dell'offerta ?
I Beni Culturali, comunque la si voglia rimestare, non sono certo il punto di forza della città, con buona pace delle incaute affermazioni fatte in campagna elettorale o nelle raffazzonate premesse dei politici a costose e paludate pubblicazioni tecniche.
Concordiamo pienamente con l'analisi fatta da F. M. Gambari (Gambari 1996, p. 20) circa le speranze indotte dalla presenza universitaria a Vercelli e circa la colpevole assenza di un museo locale aggiornato. Purtroppo in entrambi i casi rischiamo cocenti delusioni.
Attualmente un numero di oggetti antichi provenienti dalla città perlomeno pari al numero di quelli conservati al Museo Leone è immagazzinato a Torino. Inoltre alcuni pezzi mancanti in vetrina - sono da alcuni anni in restauro - i lettori li potranno ammirare, non si sa per quanto ancora, proprio solo fra queste pagine.
Se non nell'allestimento di un nuovo Museo Nazionale, proposta recentemente non bocciata ma nemmeno promossa dai nostri amministratori, che prudentemente hanno preferito sopprimerla, potremmo forse sperare in una mostra temporanea che potrebbe aprire il nuovo millennio con un segno di rinnovamento.
Per quanto concerne l'Università giunge notizia della sospensione delle iscrizioni agli insegnamenti di Archeologia e di Storia dell'Arte. Beni culturali ed archeologia a Vercelli dovranno quindi attendere tempi migliori per un serio rilancio. L'edizione che presentiamo è sicuramente in controtendenza, non è orientata al mercato e vorrebbe riaffermare il diritto dei Vercellesi di conoscere le antichità locali, di occuparsene, di visitarle, di frequentarle, di avere un quadro complessivo delle loro provenienze, di poterne reclamare, all'occorrenza, la proprietà morale e culturale.
In particolare abbiamo pensato di fare cosa gradita al mondo della scuola nel raccogliere in un'unico volume il compendio dell'informazione sulla città antica, nella speranza di stimolare i docenti ad utilizzare meglio e più frequentemente il Museo Leone come laboratorio di storia antica, senza essere scoraggiati dalla vasta pleiade di pubblicazioni ed articoli specialistici che sino a ieri sarebbe stato necessario conoscere e consultare per avere dati aggiornati e sintetici sugli oggetti conservati e la loro provenienza territoriale.
Tuttavia, proprio per la necessità di sintetizzare, siamo ben consci delle lacune fatalmente insite nel lavoro, che tuttavia potranno essere colmate dall'ampio corredo bibliografico fornito a corredo di ogni scheda.
Infine occorre sottolineare come una carta dei ritrovamenti possa anche costituire un valido strumento di pianificaione urbanistica, sempre che il vocabolo abbia ancora qualche significato in questa straordinaria città.
Nell'attesa vi invitiamo numerosi a visitare le antichità del Leone con la nostra divulgativa carta dei ritrovamenti, rendendo omaggio a un grande concittadino che, anticipando i tempi e con generosa lungimiranza,vide nell'attività privata di studioso, in contrasto con l'impostazione municipalista e nazionalista del Bruzza, l'unica alternativa concreta alla tutela e alla conservazione delle antichità vercellesi.
E' imbarazzante oggi riconoscere, ma necessario, quanto Leone avesse saputo vedere lontano.
 
 
Vercelli, marzo 1999
Giovanni Sommo
 
 
Aggiunte e consigli per la consultazione dell'edizione elettronica
 
La trasformazione dell'edizione cartacea di "Vercelli antica" in una struttura elettronica ipertestuale ha comportato alcune scelte, fra cui quella di mantenere il corredo iconografico (per quanto non di ottima qualità) al piede di ogni scheda testuale. Ciò permette di identificare e localizzare nelle sale del Museo C. Leone i materiali che vi sono conservati, pertinenti alle località dei ritrovamenti segnalate dalle schede. E' stato pertanto rispettato il duplice scopo che si prefiggeva il volume: da una parte quello di informare nel modo più puntuale sui ritrovamenti territoriali documentati a Vercelli, localizzandoli topograficamente (cosa del tutto inedita), dall'altra quello di rendere ai materiali conservati nelle raccolte del Leone il loro significato ed il loro contesto locale. La consultazione del lavoro può quindi svolgersi sia partendo dalle tavole topografiche, sia dai testi, nei quali sono evidenziati i materiali illustrati al piede delle schede, che vi sono collegati. I materiali conservati al museo sono segnalati con identificativo di sala e/o vetrina e tali identificativi sono a loro volta collegati ad una pianta schematica del Leone.
Un ulteriore passo avanti per la "lettura" del museo sarebbe la creazione di una rete di informazioni che partisse dagli oggetti stessi, ma tale progetto, di notevole complessità, sarà uno dei futuri obiettivi del nostro lavoro.
La cartografia utilizzata, appositamente creata sulla base del vecchio piano regolatore, consente di avere la visione complessiva del territorio comunale (tav. 14), la visione complessiva della città con le aree periferiche (tav. 15), la visione particolareggiata dell'area del centro storico compresa nella cerchia fortificata sabauda (tavv. 1-13).
Riteniamo che mettere a disposizione del pubblico l'opera praticamente nella sua interezza possa essere utile non solo al lavoro didattico nel museo e nella scuola ma anche ai concittadini e agli studiosi interessati alla nostra città antica.
Essendo inoltre la carta dei ritrovamenti un archivio basato sui dati noti a tutto il 1998, sarà necessario aggiornarlo periodicamente con le nuove scoperte.
 
Vercelli, dicembre 2000
Giovanni Sommo

 
 
 
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