NOI E LA PIRAMIDE
                
    Fatti di vita vissuta durante il progetto di ricerca scientifica
      d'alta montagna in Himalaya EV-K2-CNR, a 5000 metri di quota.
tratto dal volume: 
*(vedi nota alla fine del testo)
EVEREST - K2
montagne di sogno
di Agostino Da Polenza
editore Ferrari
Pumori
Dove la metteresti una piramide?
Il trasporto dei materiali
L'impianto idroelettrico
I primi soccorsi
L'incredibile Ardito Desio
Due ricercatori dell'Università di Pechino...
Rientro rocambolesco
L'Everest, un sogno
Ho perso la mia chance
Riparto
Partenza dal Campo Base
Partenza da campo 3
Partenza da Colle Sud
La cima dell'Everest
 
Perche una piramide?
Questa e' una delle classiche domande dei visitatori,
mentre a me sembra normale che lo sia,
cosi come piramidale e' la scala delle necessita' qui al
laboratorio di ricerche scientifiche EVK2CNR di Lobuche.
Sembra normale che il primo livello, il piu ampio, ospiti laboratori di
fisiologia, la meeting/dining room, la toelette, la power station.
Cosi come il secondo livello possa alloggiare i ricercatori per la notte,
in tre camere distinte, piu una seconda toelette.
Al terzo, un po' piu vicino alle divinita del Khumbu, la telecommunications
area, grazie al telefono satellitare anche un po piu vicino al resto del mondo.
Del resto qui attorno a noi le forme che si slanciano dalle morene
sono tutte piramidi, eccezionali piramidi di granito sulle quali la
neve, il vento e le stagioni disegnano sempre nuovi motivi da
scoprire all'alba o al tramonto, "durante il giorno non c'e tempo".
Nel 1989 scoprivo ammirato le forme del Pumori, irraggiungibile sotto
quella neve marcia della `coda monsonica', durante la fase di
acclimatazione mi lasciavo trasportare dalla curiosita e nei rari
momenti liberi dal lavoro esploravo dossi, vallette e morene.
Cosi' come scoprivo quanto era piu' semplice aggirare le lingue glaciali
ricoperte di detriti instabili piuttosto che attraversarle direttamente,
gli enormi ghiacciai nelle varie fasi di espansione e ritirata avevano aggiunto
e sovrapposto morene su morene che avevano modificato l'orografia creando nuovi
disegni aggiunti alla classica struttura cime-valli-ghiacciai principali
-ghiacciai affluenti-frane... un'orografia sempre in evoluzione, e con ritmi
ben piu rapidi che nelle Alpi, l'Ice fall avanza di un metro al giorno sopra
il campo base dell'Everest.
Si tratto' allora di una spedizione scientifico-alpinistica con i laboratori
montati in tende dove i ricercatori ricreavano le condizioni migliori
per portare a termine tests di fisiologia e di ricerche ambientali
mentre noi alpinisti e guide responsabili della logistica  eravamo
alle prese con la neve-marmellata del Pumori.
La piramide gia esisteva, ma attendeva in un capannone industriale 
nell'hinterland milanese (Brugherio) di essere trasportata a Rongbuk,
in Tibet, davanti alla parete N dell'Everest.
Salimmo sul Pumori in giornata dal campo 1, fu una salita rapida, da
5800 a 7150 in 7 ore, ma resto' probabilmente l'unico modo sicuro di
salire. Nel mio diario avevo scritto poche note:
PUMORI.
Cosa mi ha permesso di salire:
1) la concentrazione sul rapporto tra il ritmo di respirazione e il numero di
   passi
2) la carica psicologica derivata dalla salita al campo base in condizioni di
   assoluta rilassatezza, assenza di sforzo, armonia con l'ambiente
3) il liberarmi di zaino, vestiti anche non superflui, mangiare e bere
   (anche se poco in realta') nell'ultimo tratto sotto la cima
4) a trecento metri dalla vetta accettare di aprire la salita anche se ero il
   meno allenato di tutti e se mi sembrava gia' di essere al limite seguendo
   gli altri
Impressioni sulla cima:
ho continuato a salire fino a trovare un pianoro e poi fino a quando la neve
cominciava a scendere, una vasta cupola di ghiaccio e' la sommita'.
Dalla cima del Pumori lo sguardo spazia lontano sull'interminabile altopiano
Tibetano facendo intuire grandi orizzonti dai contorni sempre piu pianeggianti;
sotto di noi, a sud, il ghiacciaio del Khumbu si allungava in una poderosa
lingua di giaccio man mano sempre piu coperta da morena.
All'origine di quella colata la slanciata mole dell'Everest e del Lothse uniti
da quella sperduta sella che e' il colle sud, allora 850 m piu' alto di noi,
850 m sotto la cima piu alta della terra.
Quella visione scomparve in grandi nuvole a cumulo, ma rimase impressa a lungo
nella mia fantasia.
La mattina dopo il Pumori ho vagato per ore in una specie di trance alla base
dello sperone, e cercando cristalli arrivai fino al campo base dell'Everest.
Verso fine Settembre la spedizione rientro', avevamo avuto buoni
risultati scientifici, ma le condizioni di lavoro erano assolutamente
limitanti per la qualita' della ricerca e per lo stress indotto dagli
spazi angusti.
Per quanto mi riguarda, nel tentativo di stabilizzare la corrente fornita
dai due generatori ero rimasto mezzo intossicato dagli scarichi, il
rendimento delle macchine per via della quota era limitato al 25-30%
della potenza nominale, anche questo aspetto andava rivisto in prospettiva
di un laboratorio energeticamente indipendente, alimentato ad energie
rinnovabili ma stabili ed affidabili, col minimo impatto abientale.

Durante l'inverno 1989/90 le notizie provenienti dalla Cina non erano
confortanti, dopo gli avvenimenti di Piazza Thien Ammen le possibilita' di
installare il laboratorio in Tibet nella piana di Rongbuk diminuivano sempre di
piu'. Se da un punto di vista scientifico potevamo ancora contare sulla
collaborazione dei ricercatori Cinesi, dall'altro la situazione politica non
sembrava favorirci.
Fu cosi' che nel breve volgere di pochi giorni dovemmo trovare una soluzione
alternativa, pensammo alla zona dell'alto Khumbu, il versante sud dell'Everest
invece che il nord.
"Dove la metteresti una piramide con 13 metri di lato alla base e 9 di altezza,
con magari un saltello d'acqua cosi' da produrre un po' di energia..." mi
chiedeva Agostino in una telefonata piuttosto estemporanea...
Cosi' mi ricordai di quella conca idilliaca in fianco al Lobuche glacier, dove
scorreva un torrentello proveniente da un sistema di laghi, uno a sbarramento
morenico a 5076 m e l'altro di escavazione glaciale a 5250 m alimentati da un
ghiacciaio pensile a 5900 m. Si, l'acqua potabile non direttamente di fusione
c'era, ma tra il lago inferiore e la conca c'erano solo 70 metri di dislivello
e la condotta sarebbe stata lunga almeno 500 metri! C'era il dubbio di riuscire
a produrre sufficente energia.
"Ce la faremo bastare!" e poi nell'alto Khumbu non esistono alternative di
sorta.
Cosi'vennero presi gli accordi col Ronast, la Nepalese Accademia Reale delle
Scienze e delle Tecnologie, il laboratorio e le parti accessorie vennero
spediti via mare a Calcutta in otto containers.
Nella primavera del 1990 il Nepal vide un fondamentale cambiamento nella sua
storia politica: la monarchia dovette cedere il passo ad una democrazia
costituente dove per la prima volta avevano espressione forze di varie tendenze
politiche che avrebbero portato il paese ad elezioni politiche in "breve
tempo". (il "breve tempo" nepalese e' un unita' di misura temporale sulla quale
avremmo dovuto sbattere il muso piu' di qualche volta...).
A Maggio i containers erano a Calcutta, ma prima di attraversare la dogana di
Birguni tra India e Nepal e raggiungere Kathmandu attraverso una serie
innumerevole di vicissitudini doganal-burocratico, procurarono al sottoscritto
tutta una serie di situazioni antipatiche oltre a stitichezza da stress e
varie, probabilmente uno dei rari casi di stitichezza da parte di occidentali,
del resto ormai di occidentale ci era rimasto poco, tanto ci eravamo adattati a
muverci tra ministeri e funzionari nepalesi.
La nostra giornata tipo si svolgeva in fatiscenti fabbricati dove aveveno sede
gli uffici competenti, gli archivi consistevano in stanze che venivano man mano
riempite da sacchi di pratiche, dagli angoli delle scale saliva un
inconfondibile aroma di urina...
Poi la sera tutti in Hotel, alle 19 scattava il coprifuoco e col buio la
differenza tra un attivista comunista ed uno stupido turista non era poi cosi'
evidente alle solerti truppe monarchico-simpatizzanti.
La commozione raggiunse il massimo quando il primo sgangherato "indian truck"
bloccando il traffico di Maharangat road dopo mille manovre entro' in
retromarcia nel cortile del nostro magazzino, il cassone era lungo solo due
terzi del container, e cosi, inevitabilmente, nella molto piu rapida manovra di
uscita la coda del container a piu' di tre metri dalle ruote posteriori
abbatte' la colonna del cancello...
Il trasporto dei materiali fu organizzato in due modi da Kathmandu a Lukla, le
parti pesanti viaggiarono su altri camion fino a Jiri, da qui quello che poteva
costituire normale carico venne affidato a portatori che in una settimana circa
raggiungevano il magazzino di Lukla a 2800 m di quota. Alcune parti previste
unicamente per il trasporto via camion dovettero essere imbragate e portate da
gruppi di portatori non senza grosse difficolta', alcune parti d'angolo sono
lunghe fino a 5,60 metri e pesano fino a 160 Kg.
Il materiale piu' delicato venne invece caricato su arei militari che potevano
atterrare sulla "pista di Lukla".
Lukla air-strip: grass surface.
definizione ottimistica in quanto l'erba non esiste piu', al suo posto si e'
formato un fondo che ricorda il letto di un torrente. I 100 tubi speciali di
160 mm di diametro da unire per formare la condotta per il piccolo impianto
idroelettrico vennero prodotti a lunghezza standard di 6 metri, vennero ridotti
a 5,85 per entrare nei containers, i tecnici dell'areonautica nepalese li
volevano a 4,50 per farli entrare nei "Twin Otter", ma in un pomeriggio di
tentativi scoprimmo che infilando i tubi dalla coda verso la cabina, e poi
aprendo uno sportello posteriore...Trasportammo i tubi lunghi 5,50. Gli ultimi
7 tubi mancanti, dal No 93 al No 100 vennero rinvenuti in un angolo
dell'areoporto militare, tra le erbacce, dimenticanza o ...
Da Lukla quasi tutti i materiali viaggiarono con portatori, con buona pace di
quei visitatori americani che mi chiedono quanto abbiamo speso di elicottero...
In realta' un elicottero in grado di trasportare 700 Kg a livello del mare puo'
portare un massimo di 160 Kg a 5000 metri, con costi elevatissimi e grosse
difficolta' operative dovute alle condizioni meteo. Con i ritardi introdotti
dai problemi vari ci vedemmo costretti a completare il trasporto delle parti
del laboratorio nel periodo monsonico.
Il generatore idroelettrico pesante 180 Kg volo' ad un quarto d'ora dal lab.
con un elicottero durante una rara schiarita, e per essere trasportato richiese
due giorni di lavoro sotto la pioggia nel sentiero trasformato in uno scivolo
di fango.
Il mese di Luglio trascorso nella conca dove si venivano man mano ad accumulare
i materiali e' tra i ricordi piu' umidi della mia esistenza. Alle volte di
mattima un timido sole ci ricordava il significato della parola "tepore", ma
chi si arrischiava ad esporre il sacco a pelo all'aria per togliergli
quell'odore di "stallaccio" lo vedeva presto inzupparsi con il primo scroscio
che solo anticipava un'ennesima giornata monsonica. Con temperature oscillanti
tra +1 e +7 ed umidita' tra 100% e 90% le occasioni di socializzazione erano
limitate alle pause pasti. Di sera, in tenda mensa quando i piedi diventavano
freddi, il naso gocciolava e Guido cominciava a fare fantasie sui benefici
effetti di una buona bottiglia del suo vino, si affogavano le nostalgie nella
solita tazza di te' e la giornata terminava nel solito sacco a pelo bagnato.
Cosi' il gruppo di tecnici esaurite le prime installazioni rientro' in Italia
mentre a me spettava il compito di completare il trasporto dei materiali.
Il monsone concede un'intervallo allo stressato ambiente naturale delle morene
del Khumbu, durante l'inverno il gelo scende nel terreno fino ad una
profondita' di due metri ed i venti freddi dal Tibet hanno spesso la forza di
strappare gli ancoraggi delle tende, la temperatura scende a -30 e l'effetto
irradiante verso l'atmosfera raggiunge il suo massimo in quelle notti
estremamente limpide cosi' da avere un repentino crollo della temperatura nel
giro di poche ore, mentre l'umidita' crolla a minime dell' 1%. Da meta' Giugno
agli inizi di Settembre la vegetazione e' protetta, nonostante la quota, da uno
strato nuvoloso che creando un effetto serra attenua gli sbalzi negativi e 
trattiene parte del calore accumulato dal terreno che comunque viene notevolmente
riscaldato da un sole a 28 gradi di latitudine e senza l'effetto filtrante di 
5 Km di atmosfera.
Il fine tappeto di muschi e fiori si trasforma in un'ambiente incantato quando
un raggio di sole lo riscalda bruscamente provocando una rapida evaporazione,
allora i pendii piu' esposti si trasformano in uno strato di vapore...
Ad Agosto i miei amici ritornarono e potei rientrare a Kathmandu, il giorno
prima di partire corsi all'appuntamento radio con la Piramide in costruzione,
per canzonare un po i miei amici:
"Guido da Giampietro, te saludo, doman vago in Italia"
"Cio', Giampietro, qua semo nela cacca, go' bisogno da saldar dei tochi grossi
e col generator non se riese..."
Mi fu' presto chiaro, l'energia ridotta dalla quota non bastava per riparare
con la saldatrice alcune parti danneggiate dal trasporto.
Il giorno dopo volavo verso Lobuche con un elicottero carico di parti di
ricambio urgenti...
Cosi' completammo rapidamente il montaggio della condotta, e mentre i miei
amici si occupavano di creare una efficace presa d'acqua, io montavo i quadri
di controllo e regolazione della nostra piccola centrale idoelettrica in una
tenda col telo argentato.
I primi tentativi pero' permisero di produrre una quantita' di energia
superiore, ma non ancora sufficente nonostante i nostri tentativi di alzare il
piu' possibile la presa per avere piu' pressione e quindi piu' energia.
Alla fine decidemmo di sfruttare tutto il dislivello disponibile, ma questo
comportava giuntare tutti i 500 metri di tubo e inventare una presa d'acqua a
sifone direttamente nel lago.
Completammo il lavoro in breve tempo e secondo gli idraulici il sifone si
sarebbe innescato con l'acqua rimasta nella condotta. Aprimmo la saracinesca
sulla turbina con la stessa emozione di Marconi sul tasto del suo primo
trasmettitore radio, l'alternatore si avvio', si stabilizzo e poi... l'acqua
fini', non eravamo riuscitiad innescare il sifone, tutto da rifare!
Mentre i miei amici delusi tornavano ai loro lavori di carpenteria, io
convincevo l'idraulico piu' giovane e tutti i nostri aiutanti nepalesi a salire
al lago e a riempire con una catena di secchi tutta la condotta fino alla
sommita'. L'operazione duro' l'intero pomeriggio e qualche raffreddore, ma la
quantita' d'acqua in movimento innesco' il sifone ed il nostro entusiasmo.
Il montaggio della Piramide venne cosi' terminato in breve tempo anche grazie
alla saldatrice che aveva ritrovato la sua vitalita' grazie ad un'inedita (per
la quota e le condizioni) fonte di energia pulita e rinnovabile. Il laboratorio
divenne operativo a Settembre, giusto in tempo per ospitare i primi fisiologi
delle campagne di ricerca del 1990.
Cominciammo cosi' a gestire una curiosa realta', una variopinta comunita' di
scienziati, tecnici, guide e collaboratori nepalesi che formava un villaggio
scientifico.
Presto la Piramide divenne un punto di riferimento anche per locali ed
alpinisti, grazie ai nostri sistemi di telecomunicazione potevamo inviare
messaggi urgenti a Kathmandu, inoltre la presenza di "doctors" era una garanzia
per chi di passaggio in quei paraggi avesse generici problemi di salute o fosse
colto dal mal di montagna.
Un giorno un portatore apparve nella valletta, affannato entro' nella tenda
cucina e ne riusci' poco dopo con Birsing, nostro cuoco Nepalese, avevo
imparato che se un nepalese si agitava tanto poteva anche essere per qualcosa
di grave. Un vecchio sherpa di rientro dal campo base dell'Everest aveva
trovato nei pressi di Gorachep, ultimo gruppo di lodges prima del ghiacciaio,
una ragazza sola svenuta con evidenti segni di mal di montagna, l'aveva
trasportata facendosi aiutare dal portatore, fino alla deviazione per il nostro
laboratorio, ora la ragazza respirava a fatica e sembrava non riprendersi.
Immediatamente ci avviammo giu' per il sentierino, il tiepido pomeriggio
postmonsonico non sembrava essere affatto lo scenario adatto per una disgrazia,
ma avevamo gia' esperienza sulla leggerezza con cui tanti escursionisti si
avvicinano a quelle quote. I medici rapidamente diagnosticarono un probabile
edema cerebrale e la trattarono con i farmaci per le urgenze, sistemammo la
paziente nella sacca iperbarica, e la portammo per un'ora ad una quota
equivalente a 2600 metri gonfiando e mantenendo in pressione la camera.
Fortunatamente il trattamento diede i suoi effetti, la ragazza aveva ripreso
una capacita' di deambulazione sufficente per continuare la discesa, e cosi' fu
finalmente chiara la meccanica dell'accaduto. La canadese ci spiego' che la
mattina era partita per il Kala Pattar, una collina panoramica alta 5600 m, pur
accusando gia' un forte mal di testa i suoi amici avevano insistito perche'
salisse, ma a meta' strada aveva cominciato a vedere le montagne "dondolare" e
si sentiva soffocare, scese trascinandosi fino a Gorachep, dove aveva perso i
sensi. I suoi amici, ormai alti sulla collina, non avevano capito la gravita'
del malessere, non si erano preoccupati di accompagnarla e cosi' era rimasta
abbandonata a se stessa. Un uomo del nostro staff venne incaricato di
accompagnarla con lo sherpa alla clinica di Periche, dove in virtu della minore
quota (4300 m) e dell'assistenza dei medici dell'Himalayan Rescue Association
avrebbe potuto riprendersi definitamente.
In Ottobre venne la giornata dell'inaugurazione ufficiale del laboratorio,
ospiti il Primo Ministro Nepalese, un alto funzionario del Ronast,
l'Ambasciatore italiano a Kathmandu, Agostino Da Polenza e l'incredibile Ardito
Desio.
Credo che piu' di un medico l'avesse dissuaso dal salire; a 93 anni un viaggio
di un'ora e mezza in elicottero da 1300 m a 5000 m piu' mezz'ora di salita a
piedi fino alla Piramide avrebbero potuto piegare anche un fisico robusto come
il suo.
Cosi', quando lo vidi apparire in fondo alla valletta, con due medici vicino e
la bomboletta dell'ossigeno che non sarebbe servita, capii che avevamo compiuto
un'installazione importante, tanto che il professore non avrebbe mai rinunciato
a visitare quel laboratorio che era anche frutto della sua creativita' ed
iniziativa.

La Piramide supero' brillantemente il test della sua prima stagione invernale,
i pannelli avevano visto senza danni sbalzi termici  di oltre 70 gradi tra le
parti esposte al sole e quelle permanentemente in ombra.
Nella primavera del 1991 dovevamo mettere in funzione l'impianto fotovoltaico,
ottimizzare la canalizzazione dei cavi elettrici, e sistemare l'impianto idraulico.
Una manifestazione promossa da un nostro fornitore ufficiale ci vide costretti
ad un'operazione difficile con tempi ristretti (come al solito...).
Cosi' una radiosa mattina di meta' Aprile eccoci indaffarati a litigare col
solito pilota militare di elicottero sui pesi delle apparecchiature da
trasportare. Nel caso di discussioni a Lobuche e' sempre bastato aggrapparsi al
portello per impedire che prendessero il volo con carico inferiore allo
stabilito, ma qui giocano in casa loro!
Pesate le apparecchiature un'altro paio di volte si convincono a partire anche
perche credo propio che non diamo l'idea di quelli che mollano le mance
sottobanco tanto facilmente. E' con me' Seppi e la sua barbaccia e la nostra
decisione li disilludono, sono le 7 di mattina e siamo a Kathmandu, oggi
pomeriggio dobbiamo essere in grado di fare le prime prove tecniche alla
Piramide.
In tarda mattinata siamo gia' alle prese con i generatori che dopo l'inverno si
riservano il diritto di non partire, nel pomeriggio, con la corrente riesco a
fare delle riprese video all'esterno e all'interno del laboratorio, cominciamo
a sentirci un po fiacchi, dai ritratti che ci facciamo risulta sempre piu'
evidente che non siamo saliti con i tempi canonici dell'acclimatazione.
Il collegamento video in diretta con l'Italia, tra le 2 e le 3 di notte per via
della differenza di orario, riesce bene, solo non riusciamo a sorridere tanto
quando ci chiedono di mandare l'immagine sorridente dei nostri volti.
Il mattino dopo siamo un po persi, salire in elicottero, aprire il laboratorio
e lavorare per la diretta non e' propio il miglior sistema di acclimatarsi.
Scendiamo un po barcollanti fino a Lukla, Seppi torna a Kathmandu ed io ritorno
al laboratorio con Guido e Beppe.
I due pittoreschi personaggi legano bene ed il lavoro procede a gonfie vele, se
li senti porconare vuol dire che va tutto bene, mi preoccupano i silenzi, io mi
occupo del cablaggio dei quadri elettrici, mi muovo nel laboratorio con la
valigetta degli attrezzi, i cavi del tester penzolanti, le cuffie del walkman,
matasse di cavi elettrici a tracolla...A volte pensavo non fossimo propio
del tutto a posto, "sara' ea quota" dice Guido, nei momenti piu' "bui" saltava
fuori una bottiglia che veniva prontamente giustiziata a pranzo, questa
volta si era premunito, anche se puntualmente ripeteva "questa ea se' l'ultima"
Era anche riuscita una difficile operazione: il trasporto dell'elettrolita
delle batterie dell'impianto fotovoltaico con dieci voli in cinque ore. Una
mattina coordinando l'andirivieni dell'elicottero, lo scarico dei contenitori
ed il trasporto alla Piramide, il tutto con la nuvolosita' di una calda
giornata di Maggio. Gli ultimi voli riuscirono grazie all'abilita' del pilota e
la nostra esperienza nel valutare i movimenti di nuvole che ingrandivano a
vista d'occhio, enormi cavolfiori che salivano dalla bassa valle del khumbu.
Sono nel locale batterie, 48 celle che accumulano energia solare e che saranno
la riserva di corrente del laboratorio, Guido mi chiama, ci sono due
visitatori. Le public relations erano di mia competenza, i due non amavano
sforzarsi per intrattenere dialoghi in inglese cosi'... Sorpresa, questi
parlano italiano ed in piu' sono estremamente simpatici, dote non sempre comune
tra i "trekkinisti" che a fatica realizzano che siamo li' a lavorare. In piu'
mi confessano che sono un po' tristi, non sanno se potranno tornare un'altra
volta, lui ha 73 anni e lei va verso i 67, sono svizzeri, avendo saputo della
piramide avevano deciso di farci una visita, naturalmente portandoci del
cioccolato svizzero...
Commossi dai due svizzeri da 150 anni li invitammo a pranzo, prima di andarsene
lasciarono un piccolo thermos con un po di whisky, per il varo... dell'impianto
fotovoltaico...
La stagione di ricerca si apri' regolarmente, l'impianto fotovoltaico appena
entrato in esercizio era pronto ad alimentare la piramide in caso di anomalie
nel sistema idrolelettrico.
Due ricercatori dell'universita' di Pechino incaricati di fare delle misure con
una macchina GPS (Goblal Positioning Sistem) tramite una rete di satelliti che
servono a determinare con alta precisione la posizione di un sito dovevano
salire al laboratorio, per i tempi ristretti a disposizione la salita fu
pianificata con l'elicottero. Dovevano registrare i segnali dei satelliti per
due giorni e poi rientrare a Kathmandu e a Pechino.
Predisponemmo la tenda per il ricevitore nei pressi di un grosso masso piatto
dove sarebbe stato messo uno speciale tassello di riferimento geodetico.
L'elicottero non ebbe problemi di sorta, si tratto' di un volo senza storia e
noi accogliemmo con tutti gli onori i due ospiti, il mio rientro in Italia era
stato ritardato a coincidere con quello dei ricercatori, dei quali uno solo
parlava una lingua diversa dal cinese, il tedesco, del quale ero l'unico a
conoscere un po'di grammatica.
Si trattava di due gentilissimi signori, ma mentre i modi e l'abbigliamento
dell'assistente facevano pensare ad un'abitudine a lavorare "on field",
l'altro, il responsabile, sotto il piumino indossava giacca e cravatta,
panataloni grigi ed un bel paio di mocassini in cuoio...
All'inizio ci sentimmo un po sottotono con il nostro abbigliamento da guide,
del resto loro non avevano che da camminare dalla piazzola di atterraggio al
Laboratorio.
Il capo sembrava un po' in ansia per le misure ed inutili furono i nostri
tentativi per calmarlo, tutto era stato preparato secondo le loro richieste, al
primo passaggio di satellite da registrare mancavano ancora quattro ore. Sul
masso venne fissato il riferimento e sopra questo si piazzo' un cavalletto con
l'antenna collegata al ricevitore, l'interno della tenda era stato attrezzato
con ogni ben di Dio: te', biscotti, materassini, sacchi a pelo ed una bella
batteria carica per la strumentazione, su tutto troneggiava un mastodontico 
barometro che avevano religiosamente estratto da una specie di tabernacolo.
I segnali erano ricevuti perfettamente, attorno alle 13 venne iniziata
ufficialmente la misura, in realta provavo una grossa ammirazione per
l'entusiasmo e la precisione che questo professore in scarpe di vernice aveva
messo nell'installare il suo strumento.
Lo convinsi a lasciar continuare l'assistente ed a venire a riposarsi un po e a
pranzare. I dubbi che non osavamo esprimere sulle condizioni di salute dopo il
volo ed il lavoro affrettato, vennero dissipati subito dall'appetito e
dalla gioia con cui apprezzava la nostra pasta al sugo.
Dopo pranzo volle salire con noi a controllare il tutto e a portare il pasto al
collega, mezz'ora dopo era finita la prima sessione ed anche l'altro
ricercatore era rientrato, per un' attimo la pace scese nel laboratorio, gli
accaniti discorsi in cinese si erano smorzati, e i nostri ospiti si concedevano
una giusta pennichella.
Ad un tratto il capo comincia a lamentarsi, dice che non riesce a digerire, poi
si tiene la testa tra le mani e comincia a scuoterla, in piu' inizia ad
annaspare e ci implora di soccorrerlo. Fu' sicuramente uno dei casi piu' rapidi
di evoluzione di mal di montagna che avessi mai visto, in piu' il poveretto si
era spaventato e quello stress psicologico aveva peggiorato la situazione,
l'altro abituato al lavoro in "campagna" non accusava il minimo fastidio.
Slacciata la cravatta e migliorata la ventilazione capimmo da una serie di
particolari che la situazione non era grave, ma che il senso di oppressione al
petto lo inducevano ad una respirazione agitata e poco efficente.
Era molto spaventato, ma lo convincemmo a farsi trattare con la camera
iperbarica, ero sicuro che con una migliore ossigenazione e l'effetto di
rilassamento indotto si sarebbe calmato.
Un quarto d'ora dopo dormiva come un angioletto ed al termine del trattamento
era pronto a correre alla tenda per iniziare la seconda sessione di misura, ma
questa volta accetto' il consiglio, e capi' che poteva dirigere le operazioni 
con un walkie talkie, cosi' fece.
Il lavoro dei due continuo' senza altri contrattempi di sorta ed io partecipai
affascinato alle sessioni notturne, salivo alla loro tenda con il thermos di
the senza lampada. Il cielo era cosi' pieno di stelle che si poteva intuire le
sagome delle montagne la' dove non risplendevano punti luminosi, era
un'atmosfera magica, uno di quei incredibili momenti in cui non distingui piu'
i motivi per cui sei li', ci sei e quello basta, appartieni al cosmo e ti senti
avvolto da quei mondi ora cosi' vicini. Entrare in quella tenda con le due
minuscole figure assorte sul display della macchina e pensare che quei numeri
verdi provenivano da stelle artificiali mi avvinceva, quei giorni avevano
trasmesso un ritmo diverso alla nostra routine.
Come temevamo l'incredibile scintillare delle stelle era anche il segnale di un
cambiamento del tempo. Al collegamento radio delle 16 apprendiamo che le
condizioni meteo per un volo fino a Lobuche sono proibitive e quindi viene
rimandato il rientro. Il giorno dopo nulla e' cambiato, cominciamo a temere per
il volo di ritorno a Kathmandu, in piu' le liste d'attesa sono lunghe e
sarebbe un guaio perdere i posti.
Una rapida consultazione sul da farsi, Nima Sherpa, il nostro trekking agent ha
giocato tutte le sue carte con i piloti militari, ma non sono disposti a
programmare quel volo. L'ultimo tentativo e' con una agenzia privata per la
quale lavora il pilota reale, pare che sia l'unico pilota disposto a volare da
solo e a tentare il possibile. Nima si accorda con lui, ma l'unico modo per
avere buone probabilita' di riuscita e' volare da Periche, la quota inferiore
da' maggiore margine di manovra alla macchina ed un percorso meno pericoloso.
La situazione e' chiara, dobbiamo scendere a Periche, si ma come dirlo ai
Cinesi? Il tramonto era ormai vicino, il Nuptse rosseggiava sopra la fiumana di
nuvole che salivano in continuazione da Periche, il Khumbu sembrava un
calderone in ebollizione, per noi l'unica possibilita' era fare i bagagli e
partire. Malgrado tutto i due Cinesi accettarono senza problemi il cambiamento
di programma, forse perche' non si immaginavano quanti sassi si possono trovare
tra Lobuche e Periche, e quanto possono essere fastidiosi di notte. Una rapida
cena, la grossa torcia ricaricabile del laboratorio in mano, una bella tirata
alle stringhe dei mocassini e giu' per la valletta, mi voltai giusto in tempo
per vedere Guido che se la rideva tra i baffi...
"Non sta' a perderli seto!"
Nella discesa contammo tutte le pietre instabili con le nostre caviglie, io
cercavo di illuminare loro la strada, il fascio di luce scopriva le scarpe che
sempre piu' accusavano il percorso, i miei amici, perche' nel frattempo eravamo
diventati tali, erano tutto sommato di buonumore, solo ogni tanto non capivano
quanto mancava ancora.
Raggiungemmo Periche a sera inoltrata, un po inumiditi dalla nebbia bassa, ci
tuffammo nei sacchi a pelo.
L'indomani gia' dalle sette una coltre di nuvole basse chiude l'orizzonte verso
valle, il morale e' un po' basso, nel volo da Lukla l'elicottero deve passare
alto sopra Tiemboche, ma poi deve scendere ad imboccare la valle di Periche per
atterrare su un cerchio di sassi a monte del villaggio.
Insisto nel mantenere il gruppo pronto, anche se non posso continuare ad
ignorare l'evidenza.
Alle 8:30 un ronzio discontinuo sembro' mischiarsi al fruscio del torrente,
solo quando fu piu' continuo cominciai a sperare, poi l'elicottero sbuco' alto
sulle nuvole, viro' contro la lingua del ghiacciaio e finalmente scese da noi.
Il pilota reale col berretto a visiera da elicotterista canadese ci fece un
esplicito cenno non appena toccata terra, in un minuto eravamo a bordo con i
bagagli, mentre decolliamo aggancio le cinture ai cinesi, poi metto le cuffie.
Il pilota e' sincero, il tempo tra Lukla e Kathmandu non e' bello e fara' del
suo meglio per rientrare rapidamente.
A Lukla assisto alla piu' breve sosta per rifornimento nella storia
dell'aviazione nepalese, di solito e' d'obbligo il te' al Khumbu Lodge, oggi il
pilota non si allontana dalla macchina. Decolliamo giusto in tempo per
beccarci una fitta pioggia salendo verso il passo a 3500 m sulla normale rotta
per Kathmandu, la sella e' sbarrata da un nuvolone nero niente bello...
Mentre ritorniamo a scendere verso la valle il pilota dice che dobbiamo fare
un'altra strada, seguiremo il torrente verso sud e poi tenteremo di ritornare
ad est. Fu la scelta migliore, a parte qualche violento scroscio di pioggia da
obbligare all'uso dei tergicristalli, qualche scossone tipico del tempo
perturbato, tutto ando' bene ed io cercavo di rassicurare i miei amici che
trovavano il percorso decisamente meno tranquillo dell'andata.
Ci affacciammo sulla conca di Kathmandu alle 10, avevo perso l'aereo, ma tutto
sommato avevamo raggiunto terra tutti intieri. Davanti ai capannoni
dell'areoporto militare un gruppo di persone si sbraccia ad indicare il nostro
arrivo, e' Nima, i nostri collaboratori nepalesi, e qualcuno dei nostri.
Scendiamo come naufraghi recuperati da un mare in tempesta, grosse calorose
strette di mano al pilota, questa volta se l'e' guadagnata, qualcuno mi strappa
via "se corriamo ce la fai a prendere l'aereo!".
I miei solerti collaboratori avevano gia' fatto il check in per me', Beppe mi
aspettava colla carta d'imbarco ed il passaporto, un po' spazientito, ma felice
di ritornare a casa, in piu' avevamo ottenuto di straforo due posti in business
class.
Saluto Nima commosso da tanta efficenza e ci avviamo decisi all'immigration
check, i soliti moduli da compilare, mezz'ora al decollo, Beppe sbarbato e
pulito, io meno distinto, eccoci al banco controllo passaporti.
L'ufficiale scorre il passaporto di Beppe, fa dei conti, poi scorre il mio
"devo cambiarlo" penso tra di me "troppi visti, adesivi e permessi nepalesi, se
li controlla tutti..." ritorna a controllare l'altro e poi ancora il mio.
Allora mi spazientisco e gli spiego che paghiamo un'agenzia nepalese per
sbrigare le formalita' di visti e permessi, l'ufficiale impassibile mi dice
"si, ma anche le agenzie sbagliano, il vostro visto non e' stato rinnovato per
gli ultimi quindici giorni!".
Non mi scompongo,
"ok, allora lo rinnoviamo adesso"
"sta bene, sono cento rupie al giorno di multa per il ritardo, che fanno
millecinquecento per due, tremila, piu..."
"PIU???"
"piu la ricevuta per il cambio di trecento dollari secondo la legge sulla
sussistenza con valuta straniera..."
Beppe ed io ci scambiamo uno sguardo interrogativo, lui ha speso tutto al
mercatino di Thamel il giorno prima, io arrivo dalla Piramide e ho solo
rupie... Sotto lo sguardo divertito degli ufficiali apriamo i portafogli, le
buste, i nascondigli vari ma tutto cio che rimane e' 100 dollari e 100.000
lire. Volo alla banca dell'areoporto, momento investo il locale manager della
Lufthansa, gli spiego il problema e lui mi assicura che si prendera' cura del
mio amico. Alla banca cambiano i dollari, ma poi davanti alle Lire rimangono
perplessi, durante l'operazione un impiegato della Lufthansa con il walkie
talkie mi dice che stanno imbarcando. Cerco di stringere i tempi, dopo cinque
minuti siamo ancora li', l'impiegato riappare, parla con i cassieri e mi fa
cenno di correre appena finito. Qualche minuto dopo il cassiere sta compilando
la ricevuta, l'impiegato arriva ancora, parla in nepalese col cassiere, poi in
inglese col pilota, sento la risposta con uno spiccato accento tedesco, e' gia'
in ritardo di dieci minuti, non puo' aspettare...
Volo al controllo passporti, non c'e' nessuno, nemmeno Beppe, nemmeno il mio
zaino, attraverso il controllo di sicurezza deserto, il corridoio di accesso
alla pista, esco dal cancello, eccolo li' il mio aereo, allontanata la scaletta
si avvia verso la pista...
Recuperato lo zaino esco sudato fradicio dall'areoporto, (25 gradi contro i 5
della Piramide) indosso ancora il mio vaporoso maglione di yak, cosi' confortevole,
a Lobuche. Mi siedo sull'unica aiola che sembra pulita, tolgo il
maglione e tutto il resto, resto in braghe, ma non di tela, ho ancora quelle
calde, di pile...
Nel Novembre 1991 ritornavo alla Piramide con Garda, Bianchini e Giovannetti,
scopo della visita preparare le basi per una spedizione alpinistico-scientifica
all'Everest.

Durante l'inverno l'idea della spedizione si concretizzo' in un complesso
progetto, oltre ai test di fisiologia, c'era un ambizioso programma di
geodesia, si trattava di misurare la quota dell'Everest con la piu' evoluta
tecnologia disponibile: distanziometri laser e l'ultimo leggerissimo tipo di
ricevitore GPS.
Nella primavera del '92 ritornai al laboratorio con Guido, anticipammo l'arrivo
dei primi ricercatori installando i due generatori eolici previsti per
completare gli impianti di produzione energia. Ogni alternatore pesante due
quintali e a forma di cilindro, sembrava fatto apposta per rotolare giu' dai
dossi, il nostro compito invece era portarli sopra la collina, a 300 m dal
laboratorio. Il problema venne risolto costruendo una slitta da trascinare sul
pendio con l'aiuto di argani a leva, passammo un paio di giorni inventando
ancoraggi dai quali trainare il carico, usando tutti i sassi sporgenti e la
fantasia disponibile.
Poi, messe in funzione le macchine, scesi a Phadking per incontrare i
ricercatori inglesi in arrivo. Le discese dalla Piramide sono un momento
particolare nel nostro lavoro, nel giro di poche ore si passa dall'atmosfera
quasi asettica di quell'ambiente incontaminato ad una natura sempre piu
aggressiva, capace di imporsi su un'orografia superba dando vita a profumate
foreste d'alta quota.
Ero inebriato da questi colori, inondato dagli aromi dei rododendri in fiore,
la cima dell'Everest sporgeva dalla cresta Nutpse-Lotse, un pennacchio di neve
si stendeva verso la valle di Dingboche, ricordandomi l'impegno autunnale
all'Everest. Coprii il tratto tra Thienboche e Namche in un'ora e mezza contro
le tre richieste con un buon ritmo, al saluto incuriosito degli sherpa che
incontravo correndo sulla salita di Namche rispondevo con un gran sorriso, ero
soddisfatto dei progressi dell'allenamento. Risalii con i ricercatori inglesi e
programmai con loro tutta una serie di campionamenti nei corsi d'acqua
dell'alto Khumbu.
Per il primo intervento venne deciso l'ambiente del ghiacciaio del Lobuche
East, praticamente dietro casa...
Mi sentivo perfettamente compreso nel mio ruolo di guida mentre inventavo
tornantelli sull'erta morena, il respiro affannato dei miei compagni era la
tipica risposta dei loro organismi non ancora acclimatati. Ci riuniamo sul
culmine della morena, poco oltre la valle e' una impressionante fiumana di
sassi e blocchi di granito, qua' e la' occhieggiano marroni laghi glaciali, sul
piu' grande galleggiano blocchi di ghiaccio. A monte una poderosa colonna di
ghiaccio, e' la seraccata che domina la valletta della Piramide, gradinate,
balconi, pareti, sembra una folle architettura che un misterioso equilibrio ha
voluto mantenere a rendere meraviglioso lo scenario dalla piramide. La
seraccata sembra uscire da una ferita della montagna, cosi' come il vento ne e'
il respiro, la neve e' il travestimento, prima di diventare ghiaccio e
continuare il ciclo eterno.
Spiego quindi che per effetto del continuo movimento del ghiacciaio anche le
pietre della morena superficiale sono instabili, sotto, il ghiaccio e' il
nastro trasportatore che muove tutto il sistema. Ha nevicato durante la notte,
la scarpata che scende verso il letto del ghiacciaio e' un toboga gelato per
l'effetto di congelamento della neve umida, un bel cordino fa tornare il
sorriso sugli sguardi dei miei "clienti", e' sempre bene concedere qualche
momento di suspance, aiuta la concentrazione...
Il percorso sulla lingua glaciale richiede molta attenzione, a monte del grande
lago c'e' una gigantesca spiaggia lunare con onde e canyons, colline e
avvallamenti, la sabbia e' bianchissima, ad alto contenuto di quarzo, i dossi
piu' alti sono colonizzati da bizzarre microscopiche pianticelle. Seguendo il
torrente immissario giungiamo a quella che potrebbe essere definita sorgente
glaciale, gli inglesi sono esterefatti dalla grandiosa bellezza dell'ambiente,
si decide di iniziare il campionamento qui'. Mentre loro si concentrano sulla
meticolosa operazione di filtraggio, catalogazione e raccolta dati ambientali,
io vado in cerca dell'altro corso d'acqua superficiale che doveva ancora
esistere dagli anni scorsi.
Vago per un po' doppiando grossi massi erratici, poi una volta nella zona
prevista mi arrampico sul piu' alto masso e scruto il caotico insieme, mi sento
un po' esploratore, questa visione non e' la stessa che ricordavo, ne potra'
essere uguale per altri nei prossimi anni. Ho una sensazione, scendo dal masso
e monto su una nervatura del ghiacciaio, un po piu' avanti.
Eccolo finalmente la` il torrentello glaciale promesso ai ricercatori del-
l'Imperial College, c'e` tutto: il pianoro sabbioso, le conchette con il
muschio e l'erba, l'enorme masso erratico con la fascia di cristalli di
quarzo. OK! Devo chiamarli, passero` tra il masso ed il fianco della morena,
c'e` solo da scavalcare questo boccione incastrato. Pochi secondi e ci sono
sopra, c'e` un momento in cui sono a cavallo del masso, in quel momento il
masso si assesta, due o tre quintali di quarzo amorfo schiacciano il piede
sinistro e incastrano la gamba destra contro il terreno.
L'EVEREST! HO PERSO LA MIA CHANCE DI SALIRE SULL'EVEREST!
Sono senza fiato dallo choc, sicuramente il ginocchio destro e` rotto, e
tanto meglio non sara` andata al piede sinistro.
Piano piano facendo pressione sulle braccia mi libero e cerco di montare in
piedi: riesco barcollando a stare in equilibrio, e a malapena ad azzardare
qualche passo.
Non riusciro` a tornare alla Piramide coi miei piedi...
Mi trascino come posso zoppicando, ed aiutandomi con le mani raggiungo un punto
da cui vedo i ricercatori.
Come puo' cambiare rapidamente la nostra esistenza, un attimo prima ero il
leader del gruppo, a loro davo sicurezza, da solo saltellando sulla morena
gioivo del piacere di muovermi con disinvoltura in un ambiente cosi', credo che
i camosci facciano lo stesso e che in qualche modo possano cogliere il lato
ludico del vivere su un terreno sconnesso. Ora saro' io ad avere bisogno di
aiuto, peccato adesso che tutto sembrava andare bene, Guido era partito da due
giorni. I ricercatori mi raggiungono, li rassicuro, quando hanno finito il
lavoro li prego di rientrare e di mandare degli sherpa con una barella. Rimango
solo con la montagna, col ghiacciaio, con questo mondo di pietre instabili,
eppure non riesco ad odiarlo, ne posso biasimarmi per poca prudenza, penso che
faccia parte del gioco e infilo le gambe nello zaino.
Il tempo cominciava a guastarsi, e dopo il vento gelido comincio' a nevicare,
accettai anche questo, del resto dopo ore in quella posizione l'unica difesa
era il tremore da freddo, mi trascinai sotto un masso piatto dopo aver
ingrandito l'ometto di sassi per riferimento ed aver aggiunto un sacchetto di
plastica rossa. Poi salirono delle nuvole basse, abbracciarono tutta la parte
alta del ghiacciaio, dove ero, realizzai che in quelle condizioni non sarebbe
stato facile trovarmi, freddamente elaborai un piano d'emergenza che consisteva
nel trascinarmi fin sotto la morena laterale e risalirla nel punto piu' basso,
anche se erano comunque un centinaio di metri di dislivello, inoltre la traccia
che avrei lasciato sui venti centimetri di neve fresca avrebbe aiutato gli
sherpa a trovarmi. Passo' un'altra mezz'ora, anche la luce era diminuita,
quando nella nebbia sentii delle voci con la tipica cantilena nepalese. I miei
uomini erano felici di avermi trovato, il rientro fu penoso a causa della neve
che ricopriva le pietre scivolose, a tratti ero costretto a scendere,
sottobraccio a due di loro superavo un po' tutte le asperita' infine riuscii a
scendere dalla morena appoggiandomi sul piede buono e su due bastoncini.
In piramide ero l'unico operatore, in piu' qualche giorno dopo arrivo' anche
un'altro ricercatore francese. Con i bastoncini mi muovevo nel laboratorio come
un "capitan uncino" dalla gamba di legno, nel frattempo riuscivo anche ad
aiutare il francese nel suo lavoro di connessione geodetica tra il punto GPS
fatto dai Cinesi e la sua macchina trasmittente segnali orbitografici di
riferimento per i satelliti del progetto "DORIS". Alla mattina chiamavo "taxi!"
ed un selezionato gruppetto di quattro sherpa arrivava con la scala di
alluminio ad uso portantina, le mie operazioni outdoor dipendevano da loro e
naturalmente trovavano la cosa molto divertente... Un giorno con un dito di
neve per terra rischiammo tutti una rovinosa scivolata fino alla tenda cucina,
decisi che il rischio era troppo elevato con elementi cosi' esuberanti,
inaugurai l'era della trazione integrale con mani e ginocchia. In quel modo
riuscivo, in un discreto lasso di tempo, a raggiungere il francese al lavoro o
potevo spingermi fino ai generatori eolici, per salire sui tralicci dovetti 
invece adottare una tecnica d'arrampicata a saltello con bloccaggi sulle mani
e lancio, del piede buono, naturalmente.
Mauro, la guida che veniva a sostituirmi doveva arrivare in pochi giorni quando
un mattino ricevemmo la visita di due elementi di una spedizione francese
all'Everest. Si trattava di un medico e di una ragazza, chiesi un po' di
informazioni sulla spedizione mentre sedevamo davanti ad una cioccolata
fumante, quando mi alzai zoppicando chiesero cos'era successo, dopo la
spiegazione il medico volle vedere la caviglia, dopo averla palpata ben bene
scosse la testa dicendo che era ora di riabilitarla e che doveva trattarsi solo
di una gran botta. Anzi, disse, "sei fortunato, c'e' con me' la nostra
bravissima fisioterapista, che potrebbe farti un massaggio risolutore, dopo di
che potrai camminare". Attrezzammo il terzo livello per l'operazione, la gamba
lavata e rasata era pronta e dopo averla spalmata di crema la francese inizio'
il trattamento, per cominciare mi disse che sarebbe stato doloroso, e che una
guida avrebbe saputo soffrire in silenzio.
Poco dopo sudavo caldo, e lei continuo' con energia, anche quando gli altri
scesero a pranzo e io le suggerii di fare altrettanto, lei ammise di essere una
stakanovista, a me rimase l'emozione di essere massaggiato da una francese
energica e carina che avrei voluto incontrare in altre condizioni...
Naturalmente per non deludere nessuno ritornai a camminare caricando il piede
che era stato schiacciato.
Mauro arrivo' e cosi' potei finalmente tirare il fiato, per una settimana lo
avrei coadiuvato nella gestione del laboratorio, dopo di che potevo rientrare:
a piedi secondo il medico francese, in elicottero se la situazione non
migliorava.
Per i primi tempi il mio amico doveva uscire ogni giorno con i ricercatori per
campionare laghi e corsi d'acqua attorno al ghiacciaio del Khumbu.
Alla fine di questo periodo avrei dovuto istruirlo su vari particolari tecnici
per l'uso dei sistemi di produzione energia e telecomunicazione. Dopo l'ultima
escursione comincio' ad accusare dei fastidi allo stomaco, in piu' la solita
dissenteria che e' indice di problemi intestinali.
Sulle prime non demmo grossa importanza alla faccenda, ma il persistere del
fastidio ebbe l'effetto di indebolire il mio amico, anche i consigli via radio
del medico non migliorarono la situazione. La terza sera visitai diverse volte
il mio amico cercando di fargli assumere bevande con zucchero, l'unico alimento
che riusciva ad assimilare. Andai a dormire preoccupato, l'indomani avremo
dovuto prendere una decisione, non si trattava questa volta di un problema di
acclimatazione, il mio collega aveva partecipato a diverse spedizioni e aveva
una certa esperienza.
Alle due di notte mi chiama, e' estremamente indebolito e provato dal malessere
e dall'impossibilita' di alimentarsi, decidiamo di richiedere un elicottero per
domani, e' ormai necessario sia trasportato in ospedale.
Grazie al telefono satellitare contatto il nostro rappresentante a Kathmandu,
deve andare di persona all'areoporto militare di primo mattino a richiedere il
volo di soccorso. Siamo fortunati, l'indomani le condizioni meteo sono buone,
veniamo informati dell'arrivo dell'elicottero, mando due sherpa con Mauro alla
piazzola di atterraggio, ha il morale a terra, ma e' contento di sfuggire ad un
malessere che l'aveva piegato giorno dopo giorno.
Al collegamento radio apprendiamo che sta' meglio, la diagnosi fu
gastroenterite, probabilmente dovuta a del cibo guasto preso salendo alla
Piramide. Cosi' la situazione si inverte ancora, il volo di soccorso richiesto
per me fu utilizzato per lui, a questo punto dovetti assumere di nuovo tutta la
responsabilita' della gestione, che portai avanti regolarmente fino alla fine
del programma di ricerca. 
Quindi, come gia' previsto il laboratorio venne chiuso temporaneamente, per me'
fu comunque necessario un'altro volo di soccorso.
Appresi in un pronto soccorso in Italia di avere una frattura al malleolo, la
preparazione finale per l'Everest inizio' con un'ingessatura.
Ritornai in Nepal a meta' Agosto, salii al Laboratorio imbottito di
antiinfiammatori, la forma fisica era stata intaccata dalla frattura, non mi
era ancora comprensibile come avrei potuto mettere i ramponi.
Al laboratorio guardando le cime innevate dal monsone mi chiedevo come potessi
tentare l'Everest in quelle condizioni.
Avevo cercato in tutti i modi di mantenermi allenato, poi decisi per i dieci
giorni che mancavano all'arrivo della spedizione di impormi un'allenamento
quotidiano. Un dosso erboso sale dietro la Piramide fino ad una zona di
pietroni a quota 5350, decisi di percorrerlo di corsa ogni giorno mantenendo il
piu' veloce ritmo umanamente sopportabile. Cosi' giorno dopo giorno portavo il
tempo necessario da 50 min a 30 min, i primi giorni rientravo con un grosso mal
di testa, alcune volte dovevo fermarmi per il mal di milza, ero una corda di
violino che doveva essere tesa ancora un po.
Il trattamento mi permise di rinforzare la preparazione psicologica, strappare
un po' di allenamento in quota e cominciare, timidamente, a sperare.
Sul mio diario annotai gli avvenimenti degli ultimi giorni di Settembre 92:

23 Sett, masso q. 5350, sopra la Piramide,
da quando sono qui sono salito di corsa a questo masso ogni giorno, quello
e' l`Everest, ha dei curiosi riflessi argentei, nella luce del mattino.

24 Sett, Piramide,
oggi e` deciso! Partiro` per il Base, il tecnico - guida alpina si trasforma
in Alpinista! Gian Pietro "curent" ritorna ai piu alti impianti fotovoltaici
del mondo (pannelli solari al base e nei campi).
Le otto: dobbiamo collegarci con Ktm. Le nove: alcune telefonate... Le dieci:
puoi vedere un attimo il COssimetro? A pranzo saluto i ricercatori:
"un'insalata e vado!". Poco dopo appare dalla valletta un altro gruppo di
ricercatori in arrivo... Partiro` per il base solo alle h 16. Il tempo
nebbioso e l'ora tarda mi consiglieranno il pernottamento a Gorachep.

25 Sett, Gorachep,
mattinata nebbiosa, ma tra le nebbie si avverte l'azzurro del cielo sopra i
6000 m, attendo saggiamente che si faccia anche un po piu tiepido l'ambiente.
Desidero mettere a fuoco le motivazioni che mi legano a questa grande
montagna, poi voglio trovare quello speciale stato di forma che solo una
completa armonia con l'ambiente ti puo` dare, un po come fu' al Pumori
nell'89. Passeggiando concentrato tra le guglie di ghiaccio arrivo al base,
vera e propia platea davanti alla ciclopica colata di ghiaccio dell'Ice Fall.
Al base oltre ad Agostino e Sandro (medico della spedizione), c'e` Benoit e
l'operatore Royer, che partiranno stanotte per il c2, poi il "mio" gruppo
costituito da Barmasse, Blanc, Santin. Nel pomeriggio apprendo che la nostra
partenza e' stata ritardata di un giorno.  Tutti gli altri sono al c2 in
ottima forma e partiranno domani per il c3.
Simone, ripresosi perfettamente dal principio di edema, e` diventato un
ottimo operatore radio, morde il freno, Sandro non vuole ancora lasciarlo
andare al c2 per recuperare il suo materiale; il dover rinunciare alla
montagna deve essere un sacrificio inaudito per lui che si era accostato in
maniera cosi entusiasta alla salita!

26 Sett, campo base,
Splendida giornata! Non mi sono alzato ad assistere alla partenza di Benoit e
compagno, loro sicuramente arriveranno in cima, ma e` il freddo e la pigrizia
piu dell'invidia a farmi insistere sui soliti sassi su cui dormo da giorni.
E poi stanotte parto anch'io! Quindi riposiamoci un po ancora.
La radio gracchia qualcosa, sono messaggi dal campo 2, il guppo e' in
partenza ed il canale si anima di voci assonnate e di preparativi febbrili.
C'e` da portare verso l'alto la strumentazione, speriamo bene.
Cosi mi alzo e la giornata comincia con una cioccolata calda, davanti alla
tenda mensa facciamo previsioni, si discute sulla tattica da seguire.
Una cosa e' evidente, questa e' la migliore chance meteo che abbiamo
e dobbiamo giocarcela al meglio, il tempo e' bello e cio che piu importa
calmo, si deve andare in cima ora.
Poi qualcuno ricorda che sara' ancora freddo per almeno due ore, finche alle
8:30 non arrivera' il sole: decidiamo di attendere nei sacchi a pelo!
Quando arriva il sole salgo all`altarino dove gli sherpa mettono le offerte
e bruciano arbusti aromatici, mi perdo guardando le alte creste del Lotse e
cercando di indovinare il vento. Mi vedo salire l'Ice Fall, abbrustolire nel
pianoro tra c1 e c2, respirare affannosamente sotto c3...
Inspiro profondamente sentendo la carica che la bellezza dell`ambiente mi
scatena, accetto la provocazione e decido che questo momento duri altri dieci
minuti...
Trascorro la giornata in preparativi, non deve mancare nulla, non deve
esserci un etto in piu`, pranzo abbondante, pennica pomeridiana, musica...
Dal campo 3 giunge la notizia che Massimo non sta bene, inoltre tossisce
saliva mista a sangue, Sandro lo assiste via radio e decide di farlo scendere
al c2. Massimo vorrebbe fermarsi al c2, ma sara costretto a scendere al Base.

27 Sett, campo base,
Ancora prima che suoni la sveglia delle 4 sono fuori dietro un masso: buona
la pizza di ieri sera, ma...
Lo stomaco di Osvald, mio compagno di tenda, e' dello stesso parere.
Alle 4 chiamo gli altri del gruppo, si inizia una veloce colazione, Agostino
e Sandro sono assonnati ma pronti a farci gli auguri, anche per loro che dal
base dirigono le operazioni e ci assistono inizia un periodo intenso.
Partiamo! Ho subito la sensazione che dovro' presto cercare un'altro masso.
Gli amici mi distanziano alla base dell'Ice Fall, vedo le luci spargersi
sulla seraccata, l'avevano detto che non era semplice trovare l'inizio delle
corde fisse...
Bene, aspetto che si faccia un po piu chiaro e intanto... toilette!
Sulle corde fisse stento a trovare il ritmo, la caviglia non e' tanto
dolorante e poi non ho messo i ramponi per non sollecitarla, sto salendo
moltissimo di braccia.
Poi capisco: le tre tazze di cioccolata sono ancora a meta` stomaco
e mi sono venuti dei forti crampi da congestione. Resisto una mezzora, poi i
crampi sono tali da piegarmi in due, indosso la giacca butto lo zaino su una
selletta di ghiaccio e mi ci sdraio sopra.
Vedo gli amici sparire tra le torri di ghiaccio, il Pumori si colora di rosa
e giu nella valle dietro le cime bianche il cielo e' indaco; penso ai
ricercatori in Piramide con 6000 watt di riscaldamento...
Fortunatamente la cioccolata va un po piu giu, e decisamente intirizzito
riparto, ma ora non posso certo volare, non importa, ho tutta la giornata per
raggiungere c2, devo giocare al risparmio.
Con l'arrivo del sole il malessere si attenua, mi lascio sedurre dalle
pareti del Nutpse, quando sono in vista della piramide dell'Everest, 2600 m
piu in alto evito volutamente di pensare che quello e' il mio obiettivo.
Da qui non puoi non scoraggiarti, se hai il mal di stomaco poi...
Arrivo al c2 alle 12 circa, non e' il caso di mangiare, anche se e' una delle
ultime occasioni per farlo in maniera decente.
Trovo tutto il gruppo e anche Mauri che non si e' sentito bene salendo verso
il Colle Sud, gli altri alpinisti partiti dal c3 stanno salendo al c4 a
8000 m , tallonati da Benoit e compagno partiti stamattina presto dal c2.
Mi caccio nel sacco a pelo a combattere con i residui delle cioccolate, Abele
sentenzia che avrei potuto accontentarmi di due. Domani e' il giorno della
vetta per il primo gruppo, ce la faro` ad arrivare al c4 al Colle Sud?

28 Sett, C2,
Ci siamo! Adesso si fa sul serio, sono di turno in cucina per la bevanda
calda, un po` alla volta nell'altra tenda si animano le sagome nei sacchi a
pelo.
Alle 5:30 siamo pronti per partire, il nostro aspetto non e' propio
leggiadro, siamo vestiti con le tute d'alta quota, abbiamo gia' i guanti fino
al gomito, qualcuno si trattiene a malapena dal rientrare in tenda con i
ramponi...
In fila sul ghiacciaio cerchiamo di riparare la faccia dalla brezza gelata
che scende dal Lotse. Rimango volontariamente indietro, i 1600 m che ci
separano dal colle sud vanno dosati uno per uno, altrimenti domani come
facciamo ad andare in cima? In una sella tra due crepacci metto i ramponi,
ora bisogna cambiare ritmo, stiamo cominciando a salire sul ripido versante
ovest del Lotse.
Mi concentro, salgo iperventilando ed evitando di fare soste, la respirazione
diventa frequente e ogni tanto tossisco per l'aria secca e fredda. Alzo il
bavero della giacca per trattenere un po di aria espirata e mescolarla con
quella ambiente. Lo sguardo passa continuamente tra le punte dei ramponi e
quella gobba del pendio dietro la quale c'e` campo 3. Questo tratto di 500 m
nelle Alpi mi impegnerebbe per mezzora, qui ci vogliono ore. E' determinante
trovare un ritmo continuo, che poi deve essere il tuo ritmo, il sorpasso di
uno sherpa lento mi sconvolge la sequenza di passi/respiri, ci vorranno 15
minuti per recuperare. Il Pumori che domina la valle del Kumbhu sta
diventando una piccola montagna - satellite del gruppo Everest, Lotse,
Nutpse, cosi come appare lontana in fondo alla valle del Silenzio.
Arrivo al c3 alle 10 circa, ci sono tutti i componenti del gruppo e davanti
ad una tenda troneggia un pentolone di minestra fumante. Prendo poche
cucchiaiate, il fastidio di ieri non si e' completamente esaurito. Osvald si
rimette i ramponi, non vuole prendere troppo sole salendo al c4, Abele si
carica la pesante macchina 6 x 6... e qualcuno fa scivolare nel suo sacco il
cubo di grana che mi ero amorevolmente portato dal base (ma questo lo
scopriro` piu tardi). Marco decide di aspettarmi e di salire con me,
guardiamo con scarso interesse gli altri due arrancare verso le corde fisse,
il loro passo e' decisamente lento, vedremo il nostro!
La nostra ora arriva presto, constatiamo subito che per quanta cura sia stata
impiegata nell'alleggerire lo zaino, questo continua a non essere leggero...
Nel mio  poi c`e' anche la tuta che trasformerebbe in una sauna la salita.
La nostra progressione risulta anche piu lenta di quella dei nostri amici, ma
ci adattiamo, basta pensare che hai con te un cliente poco allenato...
La fascia di rocce gialle e' decisamente alta e ancora lontana, comunque
teniamo duro, sappiamo che domani potremo essere sull'Everest. Dalle rocce
intanto scendono due figure che intuiamo essere della nostra spedizione;
quando sono vicine riconosciamo Marco Dalla Longa ed Edmund Joyeusaz.
Stanchi ci raccontano della partenza notturna del gruppo, la salita nel
freddo intenso del mattino, poi i dolori addominali di Edmund ed il
principio di congelamento di Marco, quando erano poco sotto la spalla, a
poche centinaia di metri di dislivello dalla sommita'.
L'Everest seleziona spietatamente, penso, poi mi chiedo quale puo' essere la
riuscita mia e di Marco, se continuiamo con questo ritmo cosi lento.
Chiedo a Marco Della Longa quanto manca alla fascia, quando mi dice "un'ora
almeno" mi ridimensiono subito.
Do un'occhiata al mio compagno e mi attacco alla radio:
"Ago da Giampietro, sono con Barmasse sotto le rocce gialle, ma siamo
piuttosto stanchi e temo che domani schianteremmo sulla via per la cima,
chiediamo il permesso di fermarci al tre"
"Verza pensi di recuperare molto dormendo al c3? E poi cosi perdete la
possibilita' di salire domani!"

"Si, ma aumentiamo le possibilita' di salire dopodomani, temo che domani non
avremmo molte chances!"
"OK, valutate voi, ma tenete conto che il tempo puo' anche cambiare."
"Va bene, torniamo al tre."
Questa per ora e` gia` la nostra piccola sconfitta, vedo tutto un sogno
andare in fumo: l'allenamento in canoa col piede ingessato, le camminate per
riabilitare la caviglia, le corse quotidiane dalla Piramide; ecco, tutto un
progetto perverso del destino, suadente nel creare illusioni quanto abile nel
distruggertele!
La discesa al c3 non e' neanche male, almeno interrompiamo la salita che ci
stava spianando del tutto, domani si vedra.
Ci buttiamo nelle tende ospitando i due amici e mentre riprendiamo il fiato
apriamo la radio. Il silenzio e' rotto da messaggi concitati, sono le 14 e
non si hanno notizie del gruppo salito da c4. Il tempo si fa nuvoloso e
comincia a nevicare, qualche giorno fa il gruppo di spagnoli saliti sulla
cima ha dovuto bivaccare al ritorno riportando gravi congelamenti, speriamo
che i nostri se la cavino! I due compagni scendono, rimaniamo soli in due
tende separate, Marco preferisce dormire piuttosto che bere o mangiare un po
di minestra.
Improvvisamente qualcuno si affaccia dall'abside della tenda: e` Thsion, il
capo sherpa, ha un dito di neve sui capelli ed il respiro affannato, arriva
dall'anticima sud e secondo lui cinque membri sono sicuramente arrivati in
cima. Piu tardi sul canale radio un segnale debole:
"China one call Everest expedition, we see some people on the summit!"
Sono i cinesi a vedere per primi i nostri alpinisti sulla cima. Il canale
radio si anima di esultazioni ed anche in Piramide il clima si fa gioioso.
Benoit ha una radio e ci informa che la strumentazione scientifica e' alla
cima Sud, dove e' arrivato senza ossigeno, da qui scende al c4.
Ormai si sta facendo sera quando i primi alpinisti in discesa vengono
avvistati da Osvald dal c4, gli ultimi arriveranno spossati a tarda sera.
Per quanto mi riguarda ho finalmente trovato una bustina per fare una bevanda
fresca, e' aperta , non e` piena, ma non posso andare per il sottile:
immediatamente la verso nella pentola con acqua tiepida e bevo d'un fiato
meta pentola. Purtroppo il sapore non segue le aspettative, la bustina
conteneva sale  ed ora non ho piu acqua "dolce". Pazienza, allunghiamo la
minestra, quella del mattino, sulla quale galleggiano chiazze grigie. Trovo
perfettamente rispettata la strategia di gestione del campo 3, che per
definizione doveva essere un campo di transito; ora lo e' rigorosamente anche
per quanto riguarda i viveri che sono stati integralmente trasferiti al campo
4...
Scaldo la minestra salata e chiamo Marco (vediamo se in due e' meno grama?),
ma viene solo un attimo a bere un po di caffe e poi va a dormire ancora.
Chiudo la radio e dormo.

29 Sett, c3,
Grazie alla cena leggera ho dormito discretamente bene, mi preoccupa un po il
mio compagno, che ha appena mal di testa e si sente ancora assonnato. Preparo
una mezza pentola di caffe e chiedo a Sandro di parlare con Marco, questo
decide di ritardare ancora un po la partenza, mi suggerisce di partire
tranquillo, mi raggiungera' tra mezzora, sono le 8.
Dunque parto solo, la mattina e' gelida, mi impongo un ritmo molto lento per
poter facilmente essere raggiunto, mi sento meglio di ieri e subito sprofondo
nei miei pensieri...
Sono un minuscolo puntino che sale sul fianco del Lotse,
in un ambiente fantasticamente grandioso, le corde fisse sono sotto la neve
di ieri e le mie scarpe imbottite lasciano gigantesche orme che si perdono
sotto di me nel pendio che va nascondendo c3. Mi sento veramente solo e
realizzo che durante questa salita sono stato quasi sempre solo, del resto mi
affascina questo rapporto diretto, senza scappatoie, con questo mondo cosi
selvaggio.
Mi avvicino alla fascia di rocce gialle e vedo due puntini salire dietro di
me, poi scorgo un terzo puntino, uno di questi e' sicuramente Marco, eravamo
soli al c3, ed ho visto arrivare al campo solo due sherpa.
Come prevedibile il tratto sulle rocce mi lascia senza fiato, qui non si
riesce a rallentare i movimenti fino a dosare lo sforzo ad un ritmo
compensabile dal respiro. Mi impongo soste ogni 5 metri. All'uscita della
fascia rocciosa mi sento un po provato, e' tempo di bere e mangiare qualcosa,
intanto il sole comincia a rinforzare in maniera preoccupante. Anche qui sara
bene togliere la tuta, ci deve essere stato uno sbalzo di temperatura di
almeno 30 gradi.
Questi 300 m di dislivello al c4 si preannunciano duri, l'aria e'
estremamente secca ed il sole riempie di energia questa conca, sto
disidratandomi fisicamente e psicologicamente, le fantasie riguardo botti di
birra e bottiglie di prosecco si fanno ricorrenti in maniera preoccupante...
Dallo sperone dei Ginevrini un paio di puntini scendono, sono Panzeri,
Petigax e Mazzoleni, appena identificato Giampietro "curent" mi sono addosso,
hanno un entusiasmo travolgente, mi lascio coinvolgere nei loro abbracci,
siamo commossi, hanno davvero raggiunto la cima, sono stanchi, ma per loro la
spedizione e' finita, potranno riposarsi e festeggiare al base.
Sicuramente stasera verranno giustiziate almeno un paio di quelle bottiglie
di spumante che ho visto nascoste al base...
Ritorno ai miei pensieri fissi e ai miei affanni, loro scendono un po
barcollanti. Poi incontro l'operatore Royer, decisamente stanco, a tutti i
compagni incontrati l'Everest ha chiesto molto, e molto bisogna essere
disposti a dare se vuoi salire. L'ultimo tratto sullo sperone dei Ginevrini
richiede tutta la concentrazione e la capacita di resistere allo sforzo in
ipossia, il sole e' a picco e non c'e' quasi vento, a tratti delle nuvole
transitano su colle sud e provocano brevi violenti nevicate. La traccia e'
praticamente formata dalle orme di discesa che costringono a lunghi passi
estenuanti nella neve alta e ormai indebolita dal sole, quando sprofondo un
po di piu non me la prendo e ne approffitto per recuperare, anche
psicologicamente e' molto dura. Finalmente raggiungo il bordo dello sperone,
quasi a quota 8000, la larga sella del colle sud e' davanti a me, mi siedo
sullo zaino a riprendere fiato e mentre aspetto che la neve aggiunta nella
borraccia si fonda mi guardo intorno: qui sono veramente in alto, penso, sono
alto come la cresta Lotse-Nutpse e dietro si vedono le familiari montagne del
Kumbhu dalle quali ho tante volte guardato alla parete sud del Lotse e alla
maestosa piramide dell'Everest che sporge dalla cresta... Ora sono li!
Mi avvio al c4 e trovo Abele che mi da subito da bere.
Bella figura di guida alpina! Un montanaro tutto di un pezzo, credo tagliato
fuori col "scigurin" (o piccola scure) e riconoscibile dai piedi, ai quali,
se fuori dal sacco a pelo, ha sempre gli scarponi pesanti con le ghette
integrali...Abele non stava tanto bene al mattino e non e' partito con
Oswald, il quale e` salito con Benoit.
Chiedo notizie di Marco che purtroppo e' rientrato al c3, pare non stia tanto
bene e debba rientrare al base.
A questo punto l'unica possibilita di salire e' legata ad Abele che aveva
gia' parlato di scendere l'indomani...
Ci consultiamo cercando di analizzare freddamente la situazione, cosi come e'
possibile farlo qui in una tendina ad ottomila metri, unici abitanti di
questo colle ai limiti del mondo, ai piedi di quella montagna che da tanto e'
nei nostri sogni e che potrebbe rimanere un sogno.
Cosi negli ultimi 850 m sta la differenza tra sogno e realta.
Non c'e' altro ossigeno disponibile e non sappiamo quale puo'essere la
riuscita senza, nelle previsioni avremmo dovuto essere sufficientemente
acclimatati attorno al 10 di Ottobre, che fare?
Nel frattempo due minuscole figure appaiono sul pendio sotto la spalla, si
tratta di Benoit ed Oswald che hanno avuto il difficile compito di installare
sulla cima il treppiede con i riflettori laser dopo averlo trasportato
dall'anticima sud.
Seguiamo la loro discesa intuendo la stanchezza accentuata dalle due ore di
lavoro a quasi 9000 metri, ogni tanto si siedono nella neve.
Noi ci siamo organizzati per assisterli in due tende separate, quando
arrivano si sdraiano e tra una tazza e l'altra ci raccontano e noi li
invidiamo, poi, lentamente si avviano verso valle lasciandoci ancora una
volta soli con i nostri dubbi e le nostre speranze.
"Dobbiamo provare!" penso...
L'idea si fa azione, mi attacco alla radio e tengo un concitato collegamento
col "capo" che evidentemente e gia` piu` che soddisfatto dai risultati
scientifici ed alpinistici dei due giorni precedenti.
Insisto promettendo la massima prudenza anche nel caso tentassimo la salita
senza ossigeno, inoltre bisogna verificare l'ancoraggio dei prismi e lo
spessore del manto nevoso.
Pochi minuti dopo, in virtu` di un baratto d'alta quota diveniamo stupiti
possessori di bombole russe grandi e pesanti il doppio rispetto alle nostre.
Prepariamo gli zaini, proviamo a sollevarli... e in uno sguardo raccogliamo
tutta la durezza della nostra "lotta coll'Alpe".
Prima di infilarci nei sacchi a pelo prepariamo l'attrezzatura nei minimi
particolari, in ultimo monto i ramponi sugli scafi degli scarponi, le punte
luccicano alla luce della frontale, cosi come luccica di brina il telo della
tenda, fuori e' un impressionante scintillare di stelle, siamo cosi alti che
quasi mi sento avvolto da loro.
Ora guardo il buio nella tenda, mille pensieri mi accompagnano alla fine di
un lungo giorno, domani sara' ancora piu lungo...

30 Settembre, Colle Sud
"Oh, Verza!..." la voce di Abele e' il brusco passaggio alla realta dopo che
avevo finalmente trovato il modo di avere naso e piedi caldi.
Il vento che aveva scosso la tenda ed i miei sogni e' svanito, il silenzio e'
assoluto, il freddo rallenta i movimenti.
I preparativi sono quasi automatici, e' difficile essere alpinisti romantici
ora, dobbiamo essere efficienti, rapidi, e non commettere errori.
La maschera per l'ossigeno si rivela subito inadatta al mio naso con gli
occhiali, l'unica soluzione e' appoggiarla tra naso e bocca, lasciando una
grossa apertura sotto il mento.
Parto anticipando Abele, ho regolato l'ossigeno ad un litro al minuto cosi`da
essere raggiunto presto, poco dopo sono un barcollante essere notturno
sperduto nella solitudine di questa sella.
Il pendio aumenta di ripidezza e cosi mi scaldo un po, tuttavia e' esclusa
l'eventualita di avere caldo, anche se indosso sopra l'abbigliamento da
montagna la tuta integrale d'alta quota e sopra il duvet.
Abele mi raggiunge dopo un po, qui ormai il tempo non ha piu valore, le
tracce di ieri si fanno piu esili fino a scomparire nella neve dura. Ogni
tanto ci troviamo in equilibrio sulle punte dei ramponi, quando sostiamo ci
raffreddiamo rapidamente, non voglio pensare a cosa potrebbe accadere se
fossimo costretti a fermarci.
Salgo rapito dagli effetti di luce sulle nervature della neve ventata, cosi`
la realta` si trasforma in sogno: amo questa montagna e sono attratto verso
l'alto e la luce che verra', talvolta sfondo un cumulo di neve crostosa ed e'
come se fossi trattenuto dal pendio nell'oscurita' della notte...
Cosi continuiamo sospesi tra il buio ed i coni di luce delle frontali finche'
lentamente un po di luminosita' stempera la notte ad est.
Le stelle piu piccole cominciano a svanire quando ci affacciamo sul pendio
sotto la spalla a 8500. Lentamente guadagno un dosso dove mi siedo a guardare
i colori dell'alba, Abele mi raggiunge, scambiamo poche affannate parole, il
resto e' una febbrile ricerca di una respirazione piu calma. Le tracce di
salita sono scomparse, decido di tracciare la nostra via lungo una crestina
sfruttando la neve ventata e affacciandomi spesso sulla parete est,
finalmente i miei occhi si possono riempire di serie interminabili di cime,
ghiacciai, valli, semplicemente senza fine.
Sulla spalla ci concediamo un po di the e ci scarichiamo di una bombola e
della frontale, che recupereremo al ritorno, l'anticima sud e' li` o... la`?
Quanto grande e` questa montagna?
Il sole illumina la cresta che porta alle roccette sotto l'anticima sud, e'
finalmente meno ripida dei pendii appena superati, ma se quella e'
l'anticima, quanto sara' distante la cima? Sappiamo che sulla cresta si
trovano enormi cornici, la risposta a tutti i quesiti e' ancora una volta:
andare avanti!
Ripartiamo, nella limpida mattina ci accorgiamo della nostra lentezza, ogni
punto di riferimento che mi impongo di raggiungere sembra non avvicinarsi
mai.
Riesco a togliermi il duvet sulle sottili corde fisse sotto l'anticima, il
sole comincia a scaldare: il freddo e' piu' sopportabile ora, ma la
disidratazione sara' spietata, sotto la maschera abbiamo delle piccole
stalattiti di ghiaccio, siamo buffi ma non riusciamo a coglierne il lato
comico...
Poi le corde fisse finiscono e solo una cresta nevosa mi separa
dall'anticima, guardo verso sudovest e la' in basso oltre il solco della
valle del Silenzio e l'ormai familiare profilo del Lotse intuisco la valle
del Khumbu e tutti i villaggi dove come ogni giorno scorre la vita.
Sono consapevole che sotto di me si rinnova la quotidiana lotta per la
soppravvivenza, noi abbiamo propio scelto un singolare terreno per questa
disputa, siamo contemporaneamente gli attori e gli spettatori di questa
scena.
Un gradino di ghiaccio e monto sull'anticima, la cima e' ora propio davanti a
me, la cresta che ci separa e' talmente elegante nelle sue pieghe appesantite
da vaste cornici da rimanere fortemente impressa nella mia memoria.
Abele arriva, e' impaziente di raggiungere la cima, nel frattempo montate le
batterie sulla radio chiamiamo il base, sono le 8:15, un'ondata di entusiasmo
ci arriva anche dalla Piramide, ci sentiamo immediatamente meno soli nella
conchetta nevosa oltre l'anticima, la cresta terminale e' ora davanti a noi
in tutta la sua bellezza.
Ho ancora la radio in mano quando Abele decide di continuare verso la cima,
lo vedo scendere rapidamente verso la sella e poi proseguire cautamente nella
diagonale.
Riparto, sulla cresta a monte si puo' forare la neve con la picozza ed avere
pittoresche vedute del Rombuk Est gacier, ora mi sento veramente vicino ai
confini della terra, e sempre piu vicino al cielo.
Dalla cresta cerco di individuare la zona dei miei allenamenti quotidiani
presso la Piramide, laggiu' c'e' quel masso sul quale mi sono sdraiato tante
volte sognando questa cima.
Poco dopo sono vicino ad Abele sulla vetta dell'Everest, siamo commossi,
sotto di noi una marea di montagne che da qui sembrano piccole, piu lontano
una distesa ininterrotta di nuvolette sparse che si riuniscono verso
l'orizzonte da l'illusione di un mare polare pieno di icebergs...
"Base da Giampietro, non so di quanti metri siamo sotto i 9000 m, ma piu di
cosi non possiamo salire..."
Sono le 9 e dalla radio arrivano urla di gioia, noi siamo eccitati come
bambini che hanno finalmente ottenuto il permesso per un gioco tanto bello
quanto pericoloso, sotto questo cielo dal blu cosi scuro e severo, ai confini
tra il Pianeta e l'Infinito.

Passammo un'ora in cima valutando lo spessore della neve, fotografando
e parlando coi ricercatori, la sera alle 18 eravamo di nuovo al c2 a 6400 m,
il giorno dopo al base. Il 2 Ottobre eravamo in Piramide, in collegamento
audio/video via satellite con l'Italia.
Prima di lasciare la Piramide salii ancora al masso e guardai l'Everest, era
ancora di un colore argento.

La spedizione rientro'nei primi giorni di Ottobre, mi trattenni una settimana
ancora al laboratorio per le operazioni di chiusura. Le voci nel Khumbu corrono
presto, cosi' tutti i locali che conosco ormai da tre anni volevano farmi le
congratulazioni e durante la discesa di due giorni fino a Lukla collezionai
diverse fasce augurali di seta bianca. L'entusiasmo tocco' il culmine a Namche,
presso il Thamserku lodge, dove mi festeggiarono strappandomi i pantaloni,
effetto di una confidenza reciprocamente scambiata di stagione in stagione.

Ritornai in piramide nel maggio 93 per un periodo di manutenzioni, mentre la
stagione di ricerca ebbe inizio a meta' settembre. I primi a salire furono il
gruppo di Bengt, che fu' anche l'ultimo a scendere, la loro ricerca duro' circa
40 giorni durante i quali un gruppo di otto tibetani nati a Kathmandu si
sottopose a piu' cicli di test per individuare quanto la trasmissione
genetica dai genitori nati in Tibet aveva conferito loro in termini di
adattamento e resistenza alla alta quota.
Qualche giorno prima della partenza degli ultimi ricercatori una grande falce
di luna tagliava il cielo buio, nella valletta della Piramide si era condensata
l'ormai poca umidita' presente nell'aria e si annusava un'atmosfera magica.
Salutai i ricercatori intenti alla rivincita a carte, presi un walkie talkie 
e mi lasciai portare dalle gambe. Pensavo che sarebbe iniziato un'altro periodo,
alle operazioni da fare sulla stazione meteo, ai controlli sulla stazione
sismica, ai giorni che mancavano al rientro.
Mi accorsi di aver raggiunto il lago, cosi' seguii la riva sassosa, mi ero
incuriosito di vedere il riflesso del Nutpse illuminato dalla luna, il silenzio
era assoluto, dominato dalla mole delle grandi montagne, guardando l'immagine
dondolante nell'acqua pensai che era ancora presto, cosi' cominciai a salire il
bordo della collina.
Mi venne naturale seguire una pendenza costante, aiutato dai sentierini degli
yak, ero in ombra fino alla sommita', ma quando sbucai in alto rimasi
abbagliato.
Raggiunsi l'ometto in sassi, potevo vedere tutto il ghiacciaio del Khumbu, la
sua ansa sotto il Lola pass dove viene piazzato il campo base, il Pumori
dominava la scena a Nord, il Nutpse scintillava, a valle, molto lontani si
scorgevano i lampeggi di chissa' quale temporale, la Piramide oggetto alieno e
pure cosi' ben integrata coll'ambiente mandava l'unica luce calda in quella
notte, la neve sulle parti alte dei ghiacciai rifletteva bene la luminosita'
lunare, la luce fredda dava un'aspetto arido, ma anche di straordinaria
bellezza, e perfezione. Sostai presso l'ometto il tempo per lasciarmi
coinvolgere da quella visione, poi i 15 gradi sottozero si fecero sentire, e
ritornai al Laboratorio.

La clinica di Periche era rimasta senza collegamenti radio per via di una
batteria, i dottori volontari ci avevano contattato chiedendo di dare loro
aiuto in caso di emergenza. Mandai un walkie talkie con batterie ricaricate da
pannelli solari, da quel giorno stabilimmo tre collegamenti radio giornalieri.
Partiti i ricercatori pensavo di potermi dedicare completamente alla messa a
punto della stazione meteo, una mattina vedo arrivare tre occidentali con un
nepalese, prima ancora di dire che sono molto preso col lavoro capisco che
qualcosa non va. Mi chiedono di usare il telefono satellitare per un'emergenza,
appartengono alla spedizione americana al Pumori, hanno raggiunto la cima, ma
sullo sperone una corda fissa probabilmente danneggiata ha ceduto ed uno dei
loro compagni e' precipitato sul ghiacciaio. Ora devono chiedere alla famiglia
che cosa fare della salma.
Mi sento molto vicino a questi ragazzi, la montagna e' anche questo: orgoglio,
successo o sconfitta, ma anche tragedia, la schiettezza dell'alpinismo e' che
la "sfida" coinvolge totalmente lo "sfidante", la nostra ricerca di sensazioni
puo' mettere la parola fine ad un'esistenza. La sola arma che abbiamo e' sapere
in che ambiente ci stiamo muovendo, capire cosa succede, allertare i nostri
sensi.
Poi ci sono le fatalita', come questa, non sempre facilmente prevedibili, una
corda fissa puo' essere danneggiata dalla caduta di una pietra tagliente.
Il giorno dopo arriva una richiesta di un elicottero di soccorso dalla clinica
di Periche, informo via radio il nostro ufficio in Kathmandu, dalle 16 alle 20
ho diversi contatti con la capitale e Periche, alla fine l'elicottero e'
confermato. Il giorno dopo sono ancora in collegamento alle 7 e dall'ufficio ho
la conferma definitiva, attendiamo l'arrivo del volo. Di ora in ora l'attesa e
sempre piu' stressante, alle undici in un consulto via radio con la clinica i
medici mi informano che uno dei due pazienti soffre di edema cerebrale,e che le
condizioni stanno continuamente peggiorando, desiderano quindi trasportarlo a
piedi visto che l'elicottero non arriva. Mi oppongo alla decisione, prima di
portare il paziente ad una quota di sicurezza e' necessario trasportarlo per
ore, dobbiamo ancora attendere l'arrivo dell'elicottero. Mi chiedono di
contattare l'agenzia di trekking responsabile, al telefono trovo solo un
guardiano che non sa niente di elicottero e di soccorsi. Sono perplesso, ho
spesso la sensazione che una buona parte del pubblico qui, dopo aver pagato
agenzie e permessi sia alla balia di se stesso. Poi telefono al nostro
ufficio, dove mi confermano l'arrivo dell'elicottero. Alle 11:30 vengono
recuperati i due pazienti, l'elicottero aveva dovuto operare un'altro volo
prima. Il gruppo a cui appartengono i due passo' a dieci minuti di cammino
dal Laboratorio, nessuno si fece vivo per pagare le costose telefonate via
satellite. Dopo qualche giorno casualmente incontrai una guida sherpa mentre
saliva a Gorachep a raggiungere il gruppo, mandai con lui Nima, uno dei nostri
sherpa, tanto buono quanto forte, con la faccia da bambino, gli diedi un walkie
talkie e l'incarico di recuperare il credito.
Due giorni dopo il recupero dei due arriva un'altra richiesta, ancora piu'
urgente, al collegamento delle 18 mi informano che una ragazza con appendicite
in gravi condizioni deve assolutamente essere recuperata l'indomani. A
quell'ora bisognava sperare in un miracolo per riuscire a trovare qualcuno in
un ufficio a Kathmandu, fortunatamente trovo un funzionario dell'ambasciata
americana, ma la comunicazione e' poco buona e lui non si rende conto
dell'urgenza, oltre a non sapere dove' il Khumbu.
Gli invio un fax con una richiesta ufficiale di intervento da parte dei dottori
di Periche e la diffida a sottovalutare l'urgenza. Alle 21 il volo di
elicottero era stato concesso, l'indomani mattina poco oltre le 7 e 30 il
recupero e' gia' effettuato, potenza dell'ambasciata americana...
Gli ultimi avvenimenti mi hanno fatto molto riflettere e a parte l'aspetto di
riconoscenza o rimborso delle spese vive sostenute (senza contare il tempo e le
persone interessate), ho avuto modo di verificare con mano la quantita' di
interventi da parte dei dottori volontari di Periche nei confronti di turisti
colti da mal di montagna.
Oggi un gran numero di escursionisti si avvicinano a quote anche superiori a
5000 metri, pochi pianificano il trekking in modo da consentire una corretta
acclimatazione, molti sono presi dalla frenesia di "arrivare" quando dovrebbero
pianificare un ritmo di salita piu' lento, mentre tengono dei giorni "di
riserva" per la discesa, che e' fattibile in tempi molto piu' ristretti.
Inoltre, quando si e' nella necessita' di un intervento di recupero, non si
tiene affatto conto della approssimativa organizzazione di soccorso che si basa
su volontari che fanno del loro meglio, collegamenti spesso frammentari,
elicotteri non sempre disponibili (anche per le condizioni meteo). Insomma, per
gli occidentali e' ovvio che esistano certe strutture, mentre in realta' molto
e' affidato al caso o alla fortuna.
In ogni caso il progetto EVK2CNR con il suo laboratorio Piramide e' divenuto
una realta' di riferimento per la ricerca in alta quota, ma nello stesso tempo
una importante struttura di aiuto per il Parco Nazionale dell'Everest,
L'Associazione Himalayana per il Soccorso (HRA), e chiunque, nepalese oppure
occidentale, si trovasse nell'alto Khumbu e avesse bisogno di soccorso.

                                    ***

                                                Gian Pietro Verza
 
EVEREST - K2
montagne di sogno
di Agostino Da Polenza
editore Ferrari
 

Il volume è disponibile contattando: peterpyr@tiscali.it