NUTPSE NW WALL SLOVENIAN EXPEDITION 1997

cronaca di un'eccezionale salita e di una incredibile esperienza di sopravvivenza

 

Il 29 Ottobre, dopo due giorni di scalata pongono la tenda a 6800, il

giorno successivo vede i due alpinisti attendere l'evolversi del

tempo, incerto e con precipitazioni nevose a valle. Il rapporto meteo

dell'aereporto di Kathmandu ottenuto tramite la Piramide del CNR

dava instabilita', ma non grave peggioramento. Nelle prime ore del

31 il team deciso ad un tentativo definitivo riparte guadagnando

rapidamente la difficile parte alta della parete, ormai al disopra dei

giganteschi seracchi dello zoccolo glaciale inferiore, ma da li'

esposti all'ipossia delle quote superiori a 7000 m. Continuano in

uno stile di salita "double-solo", senza mai ricorrere alla sicurezza

offerta da qualche tiro di corda, spingendo i ritmi al massimo

possibile. Dalla Piramide la visibilita' sulla parte alta della parete e'

ottima, quando gli alpinisti sostano insieme ci colleghiamo con i

walkie talkie, con loro ed il campo base, facendo il punto della

situazione ricca di incognite per una via nuova su queste dimensioni

di parete, a queste quote e per un gruppo di soli due alpinisti.

Durante l'ultimo collegamento sotto la sommita' della parete, a circa

7600 m propongo agli alpinisti un'intervista via radio registrata

dalla Piramide. Piu' tardi assisto commosso all'arrivo di Jannez al

termine della parete, su quel cono di ghiaccio e neve che unisce la

muraglia al cielo. La radio rimane ancora muta, mentre tra folate di

nebbia e neve lo vedo proseguire per la cima piu' alta di quel tratto

di cresta, una scelta difficile, solo giustificabile da una grande

passione e forza di volonta'. Vedo a tratti quel puntino scomparire

tra flutti di nuvole strappate dal vento. La radio tace, ne io ne

Marian al campo base abbiamo il coraggio di rompere il silenzio.

Ma il tempo scorre troppo a lungo, e questo mi insospettisce. Per

diversi lunghi minuti non vedo nessuno sulla montagna, ed a tratti la

sommita' scompare in fiocchi arrotondati dalla forza del vento. Poi

la vita riappare, vedo Thomas scorrere lento verso la cima, ergersi

sopra e scomparire a sua volta. La radio finalmente rompe il

silenzio, avvio la registrazione istintivamente. Non e' una voce

esultante, la conversazione in sloveno e' secca a brevi battute, la

voce di Thomas rauca, poi nel crescere della comunicazione diventa

rabbiosa, ed infine quasi implorante, arrendevole. Marian mi

chiama, Thomas non trova piu' Janez, penso alla possibilita' di uno

stato confusionale. Stabilisco un colloquio calmo con Thomas, cerco

di fargli vagliare tutte le ragionevoli possibilita', di ricostruire una

meccanica degli avvenimenti, ma alla fine la conclusione disperata

e': "Peter, non c'e' piu' nessuno qui', tutto intorno e'

strapiombante, e' finita!". Penso che dobbiamo ricondurlo alla

ragione, dobbiamo riportarlo giu', gli spiego che a questo punto

deve iniziare al piu' presto la discesa, deve alimentarsi, riposarsi,

raccogliere tutte la sue energie e la sua concentrazione, ignorare la

realta' quel tanto che basta per soppravviverle. Thomas finalmente

si decide, chiede a Marian che io lo segua durante la discesa, e' solo

nella grande parete, ma sa che puo' contare sulle nostre indicazioni

per la discesa, ha superato il tratto iniziale nella notte ed ora teme di

non ritrovare i passaggi. Scende lento verso la valle del Silenzio,

evitando la faccia NO spazzata dal vento, dalla stessa forza che forse

ha strappato Janez dalla cima, di lui sono rimaste solo due orme nel

lembo di neve della cima, ed il walkie talkie, portato da Janez e'

rimasto miracolosamente li', in attesa di Thomas. Seguo con ansia il

puntino che riappare sulla cresta, e si avventura nella parete, faccia a

monte, una lunghissima discesa, un arto per volta, la tensione e la

concentrazione al massimo, un solo minimo errore e tutti gli sforzi

fatti per ritornare e sopravvivere saranno inutili. Sono le 15 e

rimangono poche ore di luce, il puntino ritorna a disperdersi

nell'immensita' di una parete che man mano che scende si allarga, il

filo tenue della sequenza dei passaggi percorsi lo tiene in vita,

abbiamo stabilito per lui un codice di risposta basato sulla pressione

del tasto di trasmissione della radio, ci risponde con una, due o tre

impulsi, per risparmiare le batterie e la voce. Piu' tardi, ancora alto

nel tramonto Thomas sembra nel mezzo di una colata d'oro, la

bellezza dei colori e' impassibile al destino di un'uomo compiutosi

in pochi secondi, in pochi metri. Sei in un posto splendido penso,

ma hai pochi minuti di sole, ed una parete immensa da scendere,

presto la temperatura crollera' almeno a -20 C. Il resto della sera

trascorre nel seguire la minuscola luce tra i culuoir della parete,

alcuni traversi sono i punti chiave di collegamento tra questi,

Thomas non puo' sbagliare, non avrebbe la forza di risalire a lungo.

Attorno alle 21 e' nel canale in verticale alla tenda, ma una fascia di

granito liscia e ripida impedisce l'accesso diretto al campo. Thomas

chiede dov'e' la tenda, deve arrivarci per sopravvivere, rafforziamo

la vigilanza, ma la sua luce non e' piu' ben visibile, a tratti sparisce,

e posso solo immaginare la sua posizione, scrutando la parete alla

luce delle stelle, a malapena distinguendo i tratti nevosi dal ghiaccio

e dalle rocce. Tra le 22 e le 24 e' al bordo superiore della fascia

rocciosa, per qualche motivo non riesce a trovare il passaggio,

nonostante le indicazioni che gli trasmetto, poi, miracolosamente

trova il tratto di misto e ghiaccio vivo che prima in verticale e poi in

diagonale lo conduce verso la tenda. Spendo la notte su un sasso,

avvolto in un sacco a pelo devo strizzarmi gli occhi per evitare la

persistenza delle immagini sulla retina, non mi e' sempre ben chiaro

dove sia, ma penso sia sulla strada giusta. Alle 1 di notte del 1

Novembre un filo di voce stentorea rompe il silenzio alla radio: "ho

trovato la tenda". Credo che Marian sia credente e che in questo

momento stia profondamente commosso e ringraziando Dio, prima

di lasciare Lobuche mettera" una minuscola croce nel piccolo

ometto sulla collina morenica che domina la Piramide. Gli

imponiamo di bere e mangiare qualcosa e darci il punto sulle sue

condizioni. Thomas chiede di riposare, gli concediamo quindici

minuti, chiede della musica, la Piramide diventa una stazione di

terapia musicale, la cassetta degli U2 gira sempre piu' lenta, il

walkman e' congelato. Mentre questo si scalda tra le mie gambe

trasmetto Chopin, da un altro registratore. Forse non e' quello che

gli serve, ma penso gli ricordi la vita, comunque. Nonostante

tutto e' in buone condizioni, Marian lo assiste nella sua lingua, mi

raccomando di tenerlo sotto controllo, mi butto in un sacco a pelo.

Dalle prime luci della mattina guardiamo alla tenda, ma la radio non

da' segnali, le ore passano lentamente, la microscopica macchia rossa a

tratti e' avvolta da folate di neve sollevata dal poderoso vento del

Tibet, piccole valanghe di neve polverosa scendono elegantemente nei

verdi colatoi della parete, dal grande seracco a destra del campo altra

neve prende il volo nascondendo la parete sud con un velo bianco. A meta'

mattina il campo e' ancora in ombra, sembra un posto dove non possa piu'

ragionevolmente esserci nessuno vivo. Parlo con Marian e con i Polacchi

che da ieri abbiamo allarmato per una possibile spedizione di soccorso, a

turno chiamiamo Thomas, ad ogni ora il nostro sconforto cresce, l'ultima

speranza e' per il momento in cui il sole tocchera' la tenda,

rianimandolo, speriamo. Alle 11:30 un filo di voce nella radio, Thomas e'

ancora vivo, provato da una notte gelida dopo che una perdita di gas aveva

provocato una fiammata che aveva parzialmente distrutto la tenda. Durante

tutta la notte Thomas ha dovuto lottare col vento e con la neve che si

ammassava in tenda, sette figure irreali l'avevano aiutato a trattenere la

tenda e a liberarla dalla neve, rassicurandolo continuamente. Cosi' era

riuscito a vincere la grande stanchezza, era sopravvissuto, ed ora il sole

stemperava il gelo notturno concedendogli un'ultima possibilita'.

Lo sproniamo ad iniziare la discesa subito, dai 6800 m della tenda ha

ancora 1500 m di parete da scendere, ed i primi 1000 m sono ancora

tecnicamente impegnativi, inoltre nel pomeriggio i canali ed i colatoi

sono puntualmente percorsi da valanghe mosse dal sole a perpendicolo. Dalla

sua ha solo il vantaggio di una maggiore ossigenazione man mano che

scende, ma la stanchezza che va accumulandosi puo' aver la meglio anche su

questo alpinista deciso a sopravvivere a tutti i costi. Inizia la discesa

poco prima dell'una, fortunatamente e' abbastanza veloce sui tratti nevosi

aperti, Marian lo guida nei tratti obbligati e gli da' la direttiva di

discesa nei pendii, Thomas e' cosi' solo concentrato sulla discesa,

divenendo una vera macchina da arrampicata su ghiaccio, piazzando gli

attrezzi quel tanto che basta per abbassarsi il piu' possibile.

Dalla valletta della Piramide posso seguirlo solo risalendo un tratto di

morena del Lobuche Glacier, e' un'inconsistente figura che sfida

un'ambiente verticale percorso sempre piu' spesso da smottamenti di neve,

penso che se qualcuno qui' possa avere la sensazione di sentirsi niente

questo e' lui in questo momento. Marian a meta' pomeriggio parte con

alcuni polacchi per la base della parete, ormai non resta piu' tanta luce

quando Thomas sparisce alla nostra vista dietro un contrafforte.

Nel crepuscolo e' ancora impegnato su difficili tratti di misto appena

sotto i 6000 m di quota, la squadra di soccorso deve attraversare un

complicato tratto di ghiacciaio a "cascata di ghiaccio" prima di potere

avvicinarsi alla base della parete. Nel frattempo preparo dell'ossigeno,

la camera iperbarica, ed un'altro walkie talkie che invio con un medico

dell'Himalayan Rescue Association al campo base dei Polacchi. La notte

prima avevo gia' precettato un'altro medico in visita al Kala Pattar

chiedendogli di recarsi ad attendere l'arrivo di Thomas, nell'ottimistica

ipotesi che questo avesse raggiunto vivo la base della parete.

Dall'oscurita' Thomas impreca via radio con una voce piu' inesistente che

fioca, non ha piu' energia nelle batterie della frontale, in equilibrio

sul pendio glaciale per diverse volte spegne la pila per qualche minuto

per ottenere qualche secondo di luce per cercare una posizione dove

attendere la squadra di soccorso. Ora e' solo nella notte, al buio e

quindi senza possibilita' di muoversi, ancora in parete, le stesse

batterie della radio sono alla fine, gli chiediamo di attendere, di aver

pazienza, la squadra di soccorso fara' il possibile per raggiungerlo.

Ricomincia un'altra sera di attesa, scendo al lodge perche' so' che devo

mangiare qualcosa, e' difficile affrontare la curiosita' dei trekkers, che

piu' tardi si addormenteranno soddisfatti della loro salita al Kala Pattar

da cui avevano potuto vedere quell'alpinista perso nella grande parete.

Ricomincia un'altra notte, la squadra di soccorso e' riuscita a

raggiungere la base del plateau sopra il quale si trova Thomas, Marian e'

in arrampicata sul camino di misto, tra le rocce ed il seracco, alla fine

dei primi 50 m di corda ne giuntera' altri 50, alla fine di questi

recuperera' tutta la corda e proseguira' con i 100 m da solo.

Passano ore lunghissime, ogni ora contatto i medici al Base e la squadra

di soccorso polacca rimasta alla base del plateau, Marian e' solo e senza

walkie talkie, ogni tanto Thomas da un flebile segnale. Ad alcuni

collegamenti la squadra polacca non risponde, impongo comunque ai medici

la continuita' degli appuntamenti, serve il loro parere dal momento in cui

Thomas puo'essere assistito, non abbiamo idea delle sue condizioni, ma

potrebbe essere qualsiasi cosa. Ho il timore che Thomas possa cedere da un

momento all'altro, spero che Marian riesca a trovarlo nell'oscurita' prima

che sia troppo tardi. Attorno a mezzanotte Thomas da' ancora qualche

segnale, cerco di rincuorarlo, gli sembra di vedere Marian ma gli e'

difficile valutare la distanza, gli chiedo di utilizzare le ultime energie

per farsi localizzare, deve usare gli attrezzi per far rumore, credo che

non abbia piu' gran voce e comunque nessuna luce, deve cercare di

provocare suoni in qualsiasi modo. Alle 1:00 del 2 Novembre in un rantolo

di voce Thomas annuncia l'arrivo di Marian, dieci minuti dopo i due sono

riuniti sul terrazzino, sento la stanchezza, l'emozione e la soddisfazione

nella voce di Marian quando mi conferma che le condizioni di Thomas non

sono male, scenderanno lentamente insieme usando le corde fino alla base

del camino dove incontreranno i Polacchi. Allarmo la squadra di soccorso

ed i medici, attendiamo con ansia la discesa dei due. Alle 2:30 Thomas

raggiunge la squadra di soccorso, i medici controllano le sue condizioni

via radio, le conclusioni stupefatte sono che l'alpinista e' in grado di

camminare con le sue gambe fino al campo base, ha sicuramente dei piccoli

congelamenti alle dita dei piedi, ma questo e' niente in confronto a

quello che ci aspettavamo avrebbe potuto avere. Thomas raggiungera' il

campo base alle 7:30 del 2 Novembre, la sua odissea cominciata alle 14:30

del 31 Ottobre dopo la scomparsa del suo compagno Janes sull'anticima del

Ntpse terminera' dopo 41 ore di estremo sforzo psicofisico per

sopravvivere e tornare alla base della parete, in un crescendo continuo di

impegno ai limiti delle possibilita' umane.

 

Gian Pietro Verza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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