Pemba Dolma è nata nel 1972, a Namche, nella zona del
Solukhumbu (Nepal), ed appartiene all'etnia sherpa. Ha
frequentato le scuole superiori presso la High School di
Khumjung ed ha continuato il suo corso di studi durante i
viaggi in Europa, dove ha imparato la lingua inglese, francese
e tedesca. Attualmente gestisce con la sua famiglia un lodge
nella valle del Khumbu e si dedica all'alpinismo sulle alte
quote, attività nella quale ha ottenuto risultati
straordinari. Il 19 maggio del 2000 è stata infatti la prima
donna sherpa a raggiungere la cima dell'Everest dal difficile
versante nord. Il 16 maggio del 2002 Pemba ha raggiunto
nuovamente la cima della montagna più alta del mondo, salendo
dal versante sud.
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Le grandi montagne himalayane viste da chi è nato e cresciuto tra
le loro vallate. La passione per l'alpinismo e l'amore per la propria
gente. L'intervista rilasciata a Gian Pietro Verza e Patrizia Brogli
da Pemba Dolma Sherpa, astro nascente dell'alpinismo Nepalese, non è
solo un'affascinante cronaca di scalate sulle alte quote. Nelle parole
di Pemba il filo dei ricordi e quello delle emozioni si intrecciano,
disegnando la sua storia personale, attraverso la quale filtrano il
modo di sentire, i problemi e le speranze delle genti che vivono al
cospetto delle montagne più alte del mondo.
Intervista a cura di:
Gian Pietro Verza
(Guida alpina e Tecnico presso il Laboratorio Piramide di Ev-K2-CNR)
Patrizia Broggi (vicepresidente di Eco-Himal Italia)
SOGNAVO GLI 8000…
E' un luogo bellissimo per fare un'intervista.
La foresta poco lontano da Kathmandu è rigogliosa per effetto del
monsone ormai alle porte e ci accoglie mentre camminiamo con Pemba
Dolma Sherpa, che due settimane fa ha raggiunto la vetta dell'Everest
dal versante sud, dopo averlo già salito due anni fa dal versante
nord.
Abbiamo delle domande precise da farle ma l'ambiente che ci circonda
rende il suo un discorso nel quale una risposta si intreccia a quella
successiva, come le liane che legano un albero all'altro.
Quando formuliamo la prima, ovvia domanda, un sorriso compare sul suo
viso dai lineamenti decisi: Hai salito l'Everest due volte, da nord e
da sud, perché? Per un attimo sembra che lei sia lontana, forse nella
sua valle, quella del Khumbu.
Poi inizia a raccontare: "Quando ero piccola vedevo gli stranieri
passare dal mio villaggio per dirigersi verso le montagne. Così ho
cominciato a sognare di salire anch'io un giorno un 8000. Vivevo con
il nonno, dopo che la mia mamma era morta quando avevo due anni. Le
montagne erano lì davanti a noi, l'Everest, il Lhotse, il Nuptse,
l'Ama Dablam e io parlavo a loro come fossero amici, talvolta a voce
alta quando ero certa che nessuno mi sentisse e mi considerasse pazza.
Mio nonno non era una guida, e, come tutti gli abitanti della valle,
viveva in sintonia con la natura che ci circondava. Poi ho dovuto
andare a scuola a Namche Bazar, ma appena potevo ritornavo da lui, al
suo villaggio. Quando sono cresciuta ho deciso che il mio sogno di
bambina, salire un ottomila, doveva diventare realtà. I soldi per la
spedizione erano il problema più grosso e così andai in Europa a
lavorare. Imparai anche il francese, il tedesco e l'italiano. Un poco
alla volta misi da parte la somma necessaria per partecipare a una
spedizione. Nel 1999 passò dal mio lodge a Namche uno svizzero che
avevo conosciuto quando lavoravo in Europa e mi disse che stava
organizzando una spedizione all'Everest per la primavera del 2000. Gli
chiesi di poterne fare parte, anche senza sapere da quale versante
loro avevano intenzione di salire. All'inizio dell'anno seguente
incontrai in Svizzera i membri della spedizione che acconsentirono ad
avermi con loro. Avevo solo due mesi per prepararmi e nessuno sponsor,
tranne un negozio di articoli sportivi che mi disse di prendere quello
che volevo, ma io non osavo farlo e mi limitai a delle calze, un
berretto e una sottile giacca da pioggia".
UNA MATTINA SUL TETTO DEL MONDO…
Continuiamo a camminare sfiorati dal volo delle farfalle. Pemba parla
di quei momenti quasi con timidezza, come se risentisse dentro di se
l'emozione di quei momenti nei quali la realizzazione di un sogno
sembrava a portata di mano: "Tornai in Nepal, e quando il resto
della spedizione raggiunse il mio paese mi unii a loro alla volta del
Tibet. Perché era da lì che avremmo cercato di salire la grande
montagna a me così familiare. Fino al campo base tutto fu perfetto.
Poi iniziarono i problemi. Il capospedizione continuava a far
osservazioni negative e mentre la tensione saliva non fece niente
affinchè la spedizione fosse tranquilla.
Un giorno venni a sapere dagli Sherpa che era stato loro detto
chiaramente dal capospedizione, nel frattempo partito verso la vetta,
di non aiutare alcuni di noi, fra cui io. Mi arrabbiai molto e così
dissi agli altri che sarei partita da sola. Iniziai la salita e giunta
al campo tre incontrai un giapponese che conoscevo da quando ero
bambina. Continuai sempre da sola trovando sostegno in tutti quelli
che incontrai. Cercavo di rimanere per ultima sul percorso per non
intralciare il cammino degli altri, ma finalmente alle 9 del mattino
del 19 maggio, in una splendida giornata di sole, raggiunsi la cima.
Sotto di me il Nepal e il Tibet. La discesa fu difficilissima e quando
incontrai il cadavere di una donna i cui capelli biondi erano mossi
dal vento, pensai che non sarei mai riuscita a tornare giù. Ma la
montagna era con me. Aiutai un giapponese reso cieco dal sole, e con
lui raggiunsi il campo base, da dove rientrai a Kathmandu prima degli
altri. E' stata un'esperienza bellissima ma nello stesso tempo amara
nella sua componente umana".
UN ALTRO GIORNO SULLA CIMA…
Il racconto di Pemba continua, seguendo il filo dei ricordi: "La
seconda volta ho salito l'Everest da sud, semplicemente perché
dall'altra parte lo avevo già fatto". Un bellissimo sorriso le
illumina gli occhi mentre ci dà questa semplice spiegazione.
"Avrei voluto salire il prossimo anno perché nel 2003 ricorre il
cinquantesimo anniversario della prima salita, ma all'inizio del 2002
mi si è presentata l'occasione giusta per ed ho accettato. In ogni
caso questo è l'anno internazionale delle montagne e mi è sembrato
un bel modo di celebrarlo. Anche in questa occasione mi sono trovata a
salire in modo indipendente dagli altri, sola con uno sherpa. Ma anche
stavolta tutti mi hanno sostenuto, altri alpinisti incontrati, ma
soprattutto gli sherpa, perché sapevano che quello che stavo facendo
era anche per loro. L'ultima parte della salita è stata complicata
dal fortissimo vento e sono stata costretta a rimanere due notti al
colle sud, finché la sera del 15 maggio verso le 22.00 sono partita
alla volta della vetta che ho raggiunto alle 9.00 del mattino
successivo, il 16 maggio. Anche questa volta la giornata era
bellissima. Oltre a me anche un altro membro della spedizione ha
raggiunto la vetta e con noi due sherpa. Mentre scendevo ho
ringraziato molte volte la montagna e ho sentito che mio nonno era lì
con me. Forse vorreste chiedermi se non ho paura delle montagne e
allora rispondo prima di sentire la domanda: no, non ho paura. So che
ci sono molti periocli, ma sono sicura, sento perfettamente che non mi
succederà mai niente quando sono in mezzo a loro".
TRA LE CIME, CHIEDENDO PERMESSO…
Per un lunghissimo istante nessuno di noi parla. Lasciamo che l'onda
di emozione nata dal racconto di Pemba si smorzi contro la volta della
foresta e poi siamo pronti per una nuova domanda: quale era l'ambiente
delle spedizioni all'Everest in questa primavera del 2002?
"Al campo base erano presenti quindici spedizioni di cui dieci o
undici commerciali. In una di queste una sera si è verificato un
episodio assurdo. Per festeggiare il raggiungimento della vetta verso
le otto di sera, mentre tutti riposavano, hanno fatto esplodere una
bombola di gas.
Un boato si è propagato in tutto il campo e su fino ai campi alti. Lo
spavento è stato enorme. Immediatamente mi sono recata presso quella
spedizione e ho manifestato loro la mia rabbia per la mancanza
assoluta di rispetto che avevano dimostrato verso la montagna e la
gente lì presente.
Noi prima di salire facciamo cerimonie, bruciamo incenso e chiediamo
scusa alla montagna, perché la montagna va rispettata, assolutamente.
All'interno delle spedizioni commerciali questo spesso non succede e
inoltre è vergognoso lo sfruttamento che talvolta viene fatto degli
sherpa, usati come fossero yak.
Un altro grave problema è che la preparazione tecnica all'interno
delle spedizioni commerciali non è sempre di buon livello, di
conseguenza la sicurezza diminuisce per tutti quelli che sono
impegnati nella salita. La gente, sentendo che in un solo giorno 54
persone hanno raggiunto la vetta, si fa l'idea che sia una cosa
semplice, ma non è così, anzi la presenza di molta gente rende la
salita più delicata. La traccia è stretta e bisogna aspettare molto
tempo in alcuni punti dove il rimanere fermi sarebbe da evitare. La
mia opinione è che le spedizioni commerciali non dovrebbero pensare
solo al guadagno".
SAVE THE HIMALAYAN KINGDOM…
Sappiamo che hai creato un'organizzazione che si chiama "Save the
Himalayan Kingdom". Tra i suoi obiettivi ci sono degli interventi
umanitari. Quali sono gli obiettivi in quest'ambito? "Ho fondato
questa associazione perché vedo nel mio paese molte famiglie che
vivono in condizioni difficili. Vorrei prima di tutto far sì che
almeno un membro di ogni famiglia impari a leggere e scrivere, perché
penso che l'educazione scolastica sia fondamentale. Solo dopo questo
si può spiegare come sia importante preservare l'ambiente in cui si
vive.
Quindi niente grandi progetti, ma piccoli semplici passi, fatti uno
per volta." Parole semplici, che esprimono bene il pensiero di
una donna che ha vissuto nel Khumbu, ma che ha avuto l'occasione di
conoscere molto del mondo. Sei entrata in collaborazione con il
Comitato Italiano 2002 AIM ed Ev-K2-CNR, per l'organizzazione e la
realizzazione dei corsi di soccorso himalayano alla Piramide.
Quali sono le tue impressioni dopo il primo corso ufficiale nella
primavera 2002 a cui hai partecipato? "Sono stata contenta di
aver potuto partecipare a questo corso in cui ho imparato molto e
ringrazio il Comitato Italiano per avermene dato l'opportunità. Nella
mia valle, molti hanno partecipato a corsi di preparazione ma ritengo
che questi debbano essere intensificati e migliorati per quanto
riguarda il soccorso.
Questo soprattutto per i conduttori di spedizioni, che sono certamente
molto forti, ma che hanno ancora grandi carenze dal punto di vista
tecnico. I corsi come quello organizzato grazie all'impegno di
Ev-K2-CNR e del Comitato Italiano offrono una significativa possibilità
di crescita professionale alla nostra gente, per la quale il turismo
montano e l'alpinismo sono un'importante fonte di sussistenza".
Siamo quasi arrivati in cima alla collina, una collina che sulle Alpi
sarebbe già chiamata montagna. E' un buon posto per il messaggio che
Pemba vuole lanciare a favore del suo paese e non è necessaria una
domanda per questo:"Sono molto preoccupata per il Nepal.
E' vero, qui sono in corso azioni da parte dei maoisti, ma la
situazione è sotto controllo e non si è dimostrata in nessun caso
pericolosa per i turisti. Bisogna cercare di valutare molto bene le
notizie che vengono date dai mezzi di informazione, notizie talvolta
gonfiate. Mai come in questo momento il Nepal avrebbe bisogno della
presenza di turisti, sia dal punto di vista economico, sia per
testimoniare la reale situazione che pur che pur presentando problemi
in alcune aree non è drammatica al punto da dover star lontani dalla
mia terra". La voce di Pemba Dolma Sherpa si incrina. Ha salito
due volte l'Everest, è un eroina per la sua gente, ma, nel dirci
queste parole, è una semplice donna che vorrebbe aiutare questo
piccolo paese adagiato tra le grandi montagne.
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