Rom in calzoncini
corti LA
STORIA Ricordate Serbo? Aveva solo 14 anni quando
fu espulso dall'Italia. Ora è tornato, ma non è stato
facile
CI. GU. - ROMA
Serbo è tornato, ne è passato del tempo.
Adesso vive bene, nel container che divide con i cugini
nel nuovo campo attrezzato di Tor de' Cenci, a Roma. E' un
ragazzino sveglio, allegro. Ma l'ultimo anno per lui è stato
duro e ora vive praticamente da solo, aiutato dalla
zia. Serbo è il quattordicenne rom deportato dall'Italia
alla Bosnia il 4 marzo 1999, insieme ad altri 57 rom. Il
manifesto ne scrisse molto a suo tempo. Caricato su un
aereo diretto a Sarajevo, era stato abbandonato lì dalla
polizia italiana insieme a un'altra trentina di rom, che
vivevano con lui nel campo di Tor de' Cenci, sgomberato per
farne il fiore all'occhiello della nuova politica comunale.
Serbo, secondo Comune, polizia, Viminale e persino secondo il
console bosniaco, non poteva restare, era un "clandestino".
Lui e sua nonna. Nonostante i suoi genitori vivano in Italia:
il padre in carcere, la madre con una nuova famiglia. Ma,
secondo chi doveva decidere di sbatterlo fuori dall'Italia, la
nonna era la tutrice, nei fatti. Ed essendo la nonna
"irregolare", e lui minorenne, si decise per l'espulsione.
Tutto in regola. Nessuno tenne conto del fatto che
Serbo non era mai stato in Bosnia e che in Italia viveva da
anni e frequentava la scuola, giudicato da tutti "un ragazzo
modello". "Ho meno problemi con lui che con gli altri
ragazzini italiani", ripeteva in quei giorni il suo allenatore
di atletica nella squadra delle Fiamme gialle. "Il tesserino
me lo hanno rifatto - racconta ora Serbo - perché quella notte
la polizia me lo aveva strappato". Lo aveva tirato fuori in
questura, per dimostrare che lui una vita in Italia ce
l'aveva, che conosceva tanta gente e che, insomma, che ci
andava a fare in Bosnia? Una volta arrivato laggiù,
oltretutto, non poteva nemmeno tornare a casa perché a
Vlasenica ormai c'erano i serbi. In quei giorni Serbo e gli
altri si rifugiarono a Kladanj, in montagna, dove un rom aveva
ancora una casa: ci vivevano in 20. "Ascoltavo soltanto musica
- ricorda Serbo - i ragazzi del posto non erano contenti della
nostra presenza, perché i rom sono considerati ancora
collaborazionisti. Quindi era un po' pericoloso andare
in giro. Stavo chiuso in casa". Con la speranza di tornare a
scuola, in Italia. Serbo non ama scendere nei dettagli,
soprattutto riguardo al suo viaggio di ritorno. Il
rientro infatti non è stato "ufficiale". Il viaggio lo ha
fatto quasi tutto a piedi, scontrandosi, oltretutto, con la
polizia croata che è abitualmente molto dura con chi tenta di
attraversare la frontiera. Se poi si tratta di un rom, è
ancora peggio. "Non ne voglio parlare". Non vuole ricordare,
perché quel viaggio non avrebbe mai voluto - e non avrebbe mai
dovuto - farlo. Ora è contento di essere in Italia, di aver
ricominciato la scuola, di aver ritrovato gli amici: "ma non
ce la farò mai a studiare tutto quello che ho perso in un
anno", dice sconsolato. Sta persino pensando di non iscriversi
alle superiori. Bel risultato. Ma adesso il permesso di
soggiorno glielo hanno dato, e lo hanno affidato alla zia.
Quasi un indennizzo.
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