Dopo lo sgombero? Fango, palafitte
e roulotte Nel campo di via Salone vivono mille persone. Lontane
da tutti, perché la nuova "vergogna" resti invisibile
CINZIA
GUBBINI - ROMA
"Giorgio non c'è, lavora", anche la domenica,
nelle piazze. Peccato, speravamo di incontrarlo. Stefano, un
fotografo che in questi posti di nessuno ha stretto amicizie
vere, aveva un regalo per lui, rom rumeno che di professione
fa il violinista. Giorgio e sua moglie Maria vivevano in
una baracca nel campo Casilino 700: hanno il permesso di
soggiorno, ma lo sgombero del 17 ottobre 2000 non li ha
risparmiati. Non hanno neppure avuto diritto ai
container piazzati dal comune di Roma nei nuovi campi
allestiti per gli sgomberati di Casilino 700 che avevano tutte
le carte in regola per restare: permesso di soggiorno, figli
scolarizzati, nessun precedente penale ostativo. Giorgio e
Maria sono solo in due, e i container ospitano minimo
tre persone. Così, quando al Casilino arrivarono le ruspe,
portarono via anche la loro baracca. "Giorgio non c'era",
ricorda oggi Maria, "io l'ho detto alla polizia: fermi coi
tratturi". Niente da fare: tutto distrutto, compresi i
violini con cui il marito si guadagna da vivere. Di
risarcimenti da parte delle pubbliche istituzioni, quando si
tratta di rom, non se ne parla. Qualcun altro invece ci ha
pensato: un giornale danese scrisse la sua storia e il
conservatorio di Copenaghen decise di regalare un violino
nuovo di zecca al violinista rom. Un violino bellissimo,
chiuso in una custodia di pelle nera. E' questo il regalo che
oggi Stefano è venuto a portare. "Bello, bello", ringrazia
Maria, che ci fa sedere su alcune sedie di plastica
abbandonate sull'erba. Giorgio e Maria, insieme a tutti i
"residui" di Casilino 700 - gente che non sarà "regolare", ma
vive da decenni in Italia - dopo lo sgombero sono stati
buttati in aree abusive in cui si erano accampati negli anni
altri rom: Salone e Casilino 900. Trasformando accampamenti di
per sé già indecenti, privi come sono di qualsiasi servizio,
dall'acqua ai bagni, nei nuovi Casilino 700. Con una
differenza, però: questi non li vede nessuno, lontani come
sono dalle zone abitate. Giorgio e Maria sono andati a
finire a Salone, un'area enorme, fangosa, dove vivono diversi
gruppi di rom: bosniaci, serbi e rumeni. Questi ultimi sono
arrivati scortati dai vigili urbani e si sono presi il posto
peggiore, proprio alla fine del campo, in un posto in cui il
terreno è più basso, tanto da dare l'impressione di essere in
un canyon. Quando piove si creano delle pozze simili a
piccoli laghetti, attraversarli a piedi è impossibile. Una
sera Maria ha avuto un attacco di cuore. L'ambulanza l'ha
aspettata fuori dal pantano, e lei si è incamminata sotto la
pioggia. Perché le malattie nei campi rom sono tante, fisiche
e psicologiche. A volte si tratta di patologie gravissime. Il
nipote di Giorgio, nato da pochi mesi, per esempio è un
bambino down. Sembra che i suoi parenti non lo sappiano,
farglielo notare è difficile: ma possibile che i medici
dell'ospedale in cui è nato non abbiano detto niente? Come
hanno potuto rimandare mamma e bambino in un campo rom ridotto
così? Intanto, in questa domenica pomeriggio, i ragazzi del
campo si divertono: corrono all'impazzata con le auto, e ogni
tanto rimangono impantanati nel fango, e allora tutti
accorrono per spingere la macchina. In lontanza si vede un
casale, "e lì chi ci abita?", chiedo a Marco, un bambino.
"Io", risponde lui. Poi ammette "no, non è vero", e indica la
sua roulotte. Tra queste persone le "teorie" sulla politica
di integrazione sono quasi un'offesa. Intere famiglie vivono
in roulotte scassate, molte sono quelle concesse dal Comune,
ancora segnate dai numeri disegnati con lo spray rosso o nero
dei censimenti. I rom che abitano a Salone da più anni, come
Essad - detto Eso, un bosniaco - hanno superato il problema
delle pozze costruendo baracche di legno che assomigliano a
palafitte, per entrarvi bisogna salire gli scalini. Lo
stratagemma, però, non salva dall'umidità e i pavimenti sono
pieni di coperte e tappeti, molti più di quanto la cultura
bosniaca non usi. "Siamo troppi, troppi", spiegano Eso e
sua moglie. "E stiamo troppo lontano", aggiunge un'altra donna
rom. Insomma, mille persone "espulse" dalla città. Che però ci
sono, vivono. Con la penombra, la sera, nel campo si accendono
mille falò, e l'aria si impregna di musica balcanica.
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