La Città della Gioia non è a Calcutta. Non solo, almeno. Basta infilare lo
sterrato tutto buche che sfonda le balestre e uccide gli ammortizzatori,
costeggiare i mucchi di immondizia, le montagne di rifiuti che cominciano
a imputridire al sole, fare lo slalom tra le baracche dei serbi, le
roulotte dei rumeni e i tuguri dei marocchini per ritrovare la stessa
macedonia di orrore domestico e quotidiano eroismo, di piaghe e di
sorrisi, di occhi che brillano d'allegria e bambini marchiati dalla
scabbia, dalla tigna, dalle lendini, da quelle infezioni spaventose che ti
riportano all'istante tra scenari di favelas brasiliane o "pepenadores" di
Mexico city. Eccoci a raccontare il quotidiano inferno, la bomba a
orologeria, l'emergenza sanitaria senza riparo ne' soluzione che prospera
indisturbata a un quarto d'ora d'auto da Porta Maggiore, le baraccopoli
del Casilino 900 (mille persone e passa) e di via di Salone (oltre 1500
secondo gli ultimi dati) dove neanche la polizia e i carabinieri vogliono
più entrare per paura delle infezioni e meste carovane di clandestini o
semiclandestini continuano ad arrivare ogni giorno, nell'indifferenza
generale o grida d'allarme di sapore preelettorale. La realtà è che il
termometro sale e l'epidemia può divampare da un momento all'altro. Dagli
inizi del mese, scuola vietata per decine di bambini rom: il rischio di
contagiare intere classi era troppo alto. Ma le dermatiti, i parassiti
della pelle, forse sono il male minore. Piccole città confinanti, a
volte in guerra tra loro, governate da un Krisaro, quello che parla, che
siede nel consiglio degli anziani e amministra la giustizia. Niente
giudici, niente polizia. Tanti mondi, tante etnie, sfumature difficili
da cogliere. I korakanè musulmani di origine bosniaca, che dell'Islam
hanno conservato soltanto qualche rito, i kanjari e dazikanè che vengono
dalla Serbia, di religione ortodossa, una piccola aristocrazia, i
montenegrini, i macedoni. E poi i derelitti tra i derelitti, quelli che
non sono neanche nomadi, come i cento marocchini del Casilino installati
in una specie di cava di tufo ai margini dell'accampamento, che sguazzano
su una poltiglia di acqua e di fango dove i topi, i vermi, gli insetti, le
rane trovano un habitat naturale. Gli uomini sono alti, slanciati, bei
visi mediorientali dall'aria fiera, ti guardano con una sorta di cupa
rassegnazione e ti rivolgono la stessa, impossibile domanda che aleggia
dovunque: «Ma si può vivere così?». Ci sono eroi che non sanno di
esserlo, i pochissimi "gagè" che gli zingari accolgono con gioia,
abbracci, pacche sulle spalle. "Pigi" Tomassini, 49 anni, dell'Opera
Nomadi è un tipo alto, dinoccolato, uno di quelli che non si sono
rassegnati: vent'anni fa voleva cambiare il mondo, oggi si accontenta di
lavorare per gli altri, far qualcosa di utile. Lo invitano ai matrimoni,
alle feste (l'ultima è finita in una rissa generale ma senza feriti) e gli
chiedono: «Ci sono novità?» come se qualcosa dovesse cambiare. Non è
"Gadjo dilo", lo straniero pazzo di quel bellissimo film di due anni fa,
non santifica gli zingari, non si sogna neanche di negare che rubano ma sa
benissimo che non basta a giustificare questa vergogna collettiva. C'è
il medico Maurizio Di Marzio, 40 anni, Asl Roma B, che viene col camper
sanitario ogni giorno, tutti i giorni, visita bambini con la tigna, i
parassiti o la bronchite, adulti coi polmoni mangiati dal freddo e dalle
sigarette e il fegato spappolato dall'alcol e dal cibo cattivo, anziani
(ma di anziani ce ne sono pochi perché da queste parti superare i sessanta
è un record) con le ossa deformate dall'artrosi. Il tutto in un clima di
sconcertante normalità: «La tigna, la scabbia, ci sono sempre state...E'
inevitabile in queste condizioni ma non bisogna creare inutili allarmismi.
Io lavoro a mani nude e non ho mai preso niente». E sorride. Il camper del
comune, viene dal luglio scorso e ha una media di 700 visite al mese. Roba
da stakanovisti dello stetoscopio anche in ambulatorio, figuriamoci qui.
All'inizio, gli zingari lo prendevano a sassate, quello dei Medici senza
frontiere era stato devastato. C'è voluta la mediazione dell'Opera nomadi,
perché i rom accettassero di avvicinarsi vincendo quel ritegno, quel
pudore che da sempre nella cultura gitana circonda la malattia. E c'è
l'assistente sociale, Anna Campolo, 30 anni, che ha scelto questo lavoro
quasi per caso e non può più farne a meno. Ti racconta che i nomadi non
hanno il senso del tempo: tu gli dici di tornare tra tre giorni e loro non
si fanno vivi per due settimane. Allora gli spieghi: ritorna dopo che hai
dormito tre volte e te li ritrovi davanti, puntuali. Quasi puntuali.
Passeggi tra i gironi di via di Salone tra un coro di richiami. I
bambini, irresistibili, ti toccano, ti sorridono, poi raccolgono da terra
un tubo pieno di fango e liquame e se lo infilano in bocca. Cadaveri di
gatti, di topi, galline e oche che scorrazzano ovunque. «Abbiamo ripetuto
per giorni che i cani randagi portano i parassiti e la leismaniosi e ci
guardavano come esaltati: ma che, in questo finimondo, vi preoccupate dei
cani? Poi, finalmente, hanno mandato quelli del canile» racconta "Pigi"
avvicinandosi a un gruppo di bosniaci accampati in un mare di fango che
mangiano con le mani luride da una pentola unica e lo salutano con larghi
sorrisi sdentati. Giornalista, giornalista, vieni a vedere quel topo più
grosso di un gatto, senti la puzza, ecco mio figlio con le braccia tutte
piene di pustole, giornalista, ce la danno anche a noi una casa? E
qualcuno ti mostra il foglio del mercatino dove va a vendere gli oggetti
racimolati dai rifiuti, qualcun altro il furgone per trasportare il rame
(autentica ricchezza, che si vende a 2 mila lire il chilo) come a dire, lo
vedi, anche noi lavoriamo. A terra una vecchia copia di "Guerra e Pace"
con la copertina rossa. Sarebbe stupendo illudersi che c'è qualcuno,
nell'ultimo inferno di Roma, che passa il tempo grattandosi le piaghe e
leggendo la morte del principe Andrea. Ma è uno dei libri raccattati negli
immondezzai e venduti come carta da macero, quella meno cara, che comprano
a 100 lire al chilo. I fogli bianchi li pagano il doppio.
|