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Nella Calcutta romana ora è allarme epidemie  
Le baraccopoli dimenticate, un inferno ad orologeria
Viaggio nelle favelas del Casilino 900 (oltre mille persone) e di via del Salone (più di 1500 accampati)
Bimbi marchiati da scabbia, tigna, lendini e da altre infezioni. E dall'inizio del mese scuola vietata per decine di rom: pericolo contagio

MASSIMO LUGLI


La Città della Gioia non è a Calcutta. Non solo, almeno. Basta infilare lo sterrato tutto buche che sfonda le balestre e uccide gli ammortizzatori, costeggiare i mucchi di immondizia, le montagne di rifiuti che cominciano a imputridire al sole, fare lo slalom tra le baracche dei serbi, le roulotte dei rumeni e i tuguri dei marocchini per ritrovare la stessa macedonia di orrore domestico e quotidiano eroismo, di piaghe e di sorrisi, di occhi che brillano d'allegria e bambini marchiati dalla scabbia, dalla tigna, dalle lendini, da quelle infezioni spaventose che ti riportano all'istante tra scenari di favelas brasiliane o "pepenadores" di Mexico city. Eccoci a raccontare il quotidiano inferno, la bomba a orologeria, l'emergenza sanitaria senza riparo ne' soluzione che prospera indisturbata a un quarto d'ora d'auto da Porta Maggiore, le baraccopoli del Casilino 900 (mille persone e passa) e di via di Salone (oltre 1500 secondo gli ultimi dati) dove neanche la polizia e i carabinieri vogliono più entrare per paura delle infezioni e meste carovane di clandestini o semiclandestini continuano ad arrivare ogni giorno, nell'indifferenza generale o grida d'allarme di sapore preelettorale. La realtà è che il termometro sale e l'epidemia può divampare da un momento all'altro. Dagli inizi del mese, scuola vietata per decine di bambini rom: il rischio di contagiare intere classi era troppo alto. Ma le dermatiti, i parassiti della pelle, forse sono il male minore.
Piccole città confinanti, a volte in guerra tra loro, governate da un Krisaro, quello che parla, che siede nel consiglio degli anziani e amministra la giustizia. Niente giudici, niente polizia.
Tanti mondi, tante etnie, sfumature difficili da cogliere. I korakanè musulmani di origine bosniaca, che dell'Islam hanno conservato soltanto qualche rito, i kanjari e dazikanè che vengono dalla Serbia, di religione ortodossa, una piccola aristocrazia, i montenegrini, i macedoni. E poi i derelitti tra i derelitti, quelli che non sono neanche nomadi, come i cento marocchini del Casilino installati in una specie di cava di tufo ai margini dell'accampamento, che sguazzano su una poltiglia di acqua e di fango dove i topi, i vermi, gli insetti, le rane trovano un habitat naturale. Gli uomini sono alti, slanciati, bei visi mediorientali dall'aria fiera, ti guardano con una sorta di cupa rassegnazione e ti rivolgono la stessa, impossibile domanda che aleggia dovunque: «Ma si può vivere così?».
Ci sono eroi che non sanno di esserlo, i pochissimi "gagè" che gli zingari accolgono con gioia, abbracci, pacche sulle spalle. "Pigi" Tomassini, 49 anni, dell'Opera Nomadi è un tipo alto, dinoccolato, uno di quelli che non si sono rassegnati: vent'anni fa voleva cambiare il mondo, oggi si accontenta di lavorare per gli altri, far qualcosa di utile. Lo invitano ai matrimoni, alle feste (l'ultima è finita in una rissa generale ma senza feriti) e gli chiedono: «Ci sono novità?» come se qualcosa dovesse cambiare. Non è "Gadjo dilo", lo straniero pazzo di quel bellissimo film di due anni fa, non santifica gli zingari, non si sogna neanche di negare che rubano ma sa benissimo che non basta a giustificare questa vergogna collettiva.
C'è il medico Maurizio Di Marzio, 40 anni, Asl Roma B, che viene col camper sanitario ogni giorno, tutti i giorni, visita bambini con la tigna, i parassiti o la bronchite, adulti coi polmoni mangiati dal freddo e dalle sigarette e il fegato spappolato dall'alcol e dal cibo cattivo, anziani (ma di anziani ce ne sono pochi perché da queste parti superare i sessanta è un record) con le ossa deformate dall'artrosi. Il tutto in un clima di sconcertante normalità: «La tigna, la scabbia, ci sono sempre state...E' inevitabile in queste condizioni ma non bisogna creare inutili allarmismi. Io lavoro a mani nude e non ho mai preso niente». E sorride. Il camper del comune, viene dal luglio scorso e ha una media di 700 visite al mese. Roba da stakanovisti dello stetoscopio anche in ambulatorio, figuriamoci qui. All'inizio, gli zingari lo prendevano a sassate, quello dei Medici senza frontiere era stato devastato. C'è voluta la mediazione dell'Opera nomadi, perché i rom accettassero di avvicinarsi vincendo quel ritegno, quel pudore che da sempre nella cultura gitana circonda la malattia. E c'è l'assistente sociale, Anna Campolo, 30 anni, che ha scelto questo lavoro quasi per caso e non può più farne a meno. Ti racconta che i nomadi non hanno il senso del tempo: tu gli dici di tornare tra tre giorni e loro non si fanno vivi per due settimane. Allora gli spieghi: ritorna dopo che hai dormito tre volte e te li ritrovi davanti, puntuali. Quasi puntuali.
Passeggi tra i gironi di via di Salone tra un coro di richiami. I bambini, irresistibili, ti toccano, ti sorridono, poi raccolgono da terra un tubo pieno di fango e liquame e se lo infilano in bocca. Cadaveri di gatti, di topi, galline e oche che scorrazzano ovunque. «Abbiamo ripetuto per giorni che i cani randagi portano i parassiti e la leismaniosi e ci guardavano come esaltati: ma che, in questo finimondo, vi preoccupate dei cani? Poi, finalmente, hanno mandato quelli del canile» racconta "Pigi" avvicinandosi a un gruppo di bosniaci accampati in un mare di fango che mangiano con le mani luride da una pentola unica e lo salutano con larghi sorrisi sdentati. Giornalista, giornalista, vieni a vedere quel topo più grosso di un gatto, senti la puzza, ecco mio figlio con le braccia tutte piene di pustole, giornalista, ce la danno anche a noi una casa? E qualcuno ti mostra il foglio del mercatino dove va a vendere gli oggetti racimolati dai rifiuti, qualcun altro il furgone per trasportare il rame (autentica ricchezza, che si vende a 2 mila lire il chilo) come a dire, lo vedi, anche noi lavoriamo. A terra una vecchia copia di "Guerra e Pace" con la copertina rossa. Sarebbe stupendo illudersi che c'è qualcuno, nell'ultimo inferno di Roma, che passa il tempo grattandosi le piaghe e leggendo la morte del principe Andrea. Ma è uno dei libri raccattati negli immondezzai e venduti come carta da macero, quella meno cara, che comprano a 100 lire al chilo. I fogli bianchi li pagano il doppio.