«Più fantasia alla solidarietà attraverso il rilancio di una strategia
dell'attenzione verso il più debole, l'uomo delle periferie più estreme,
il senza fissa dimora o, come è il caso dei campi nomadi del Casilino 9000
e di via del Silone, verso quella parte della popolazione rom costretta a
vivere in condizioni pietose e drammatiche». Monsignor Guerino Di Tora,
direttore della Caritas di Roma, di fronte alle nuove e vecchie Calcutte
della periferia romana si indigna, invoca più «solidaretà e attenzione»,
chiede interventi immediati, ma confessa di avere un timore: «Sì, temo che
queste tragedie - spiega - possano diventare oggetto di campagna
elettorale. Sarebbe una vera beffa». Perché, monsignor Di Tora, ha
questo timore? «Per il semplice motivo che questi problemi riguardano
tutti, non una sola componente politica. Tutti devono sentirsi toccati da
questi problemi, non solo la Chiesa, i volontari, ma ogni singolo
cittadino. Ognuno deve sentirsi toccato di fronte a scene come quelle del
Casilino. Ma temo che queste tematiche diventino ogni giorno sempre più
impopolari e persino fastidiose». Come è possibile che in una città
come Roma prendano forme aree di degrado così a rischio? «I motivi sono
tanti: ma credo che il principale sia l'indifferenza e una certa voglia di
rimozione che va sempre più crescendo sia tra le istituzioni, che nella
stessa gente comune. Invece, va ricordato che questi campi nomadi a
rischio di degrado e di abbandono rappresentano problemi molto, molto
gravi, che riguardano tutti, non solo le istituzioni, la Caritas o la
Comunità di S.Egidio. Non si può far finta di nulla di fronte ad adulti, a
bambini, a neonati costretti a vivere in mezzo all'immondizia. E'
intollerabile». Che fare? Cosa dire ai futuri amministratori della
città? «Ai nuovi amministratori, indipendentemente dal loro colore
politico, lancio un forte appello a farsi subito carico, appena metteranno
piede in Campidoglio, di questi problemi, attraverso un grande intervento
di risanamento di tutta la periferia cittadina e dotando tutti i campi
nomadi di adeguate infrastrutture, a partire dai presìdi sanitari. Ma
tutto questo va fatto mettendo al centro dell'attenzione cittadina la
figura dell'uomo, specialmente di quello che soffre, che è solo, che è
malato. Se non si va incontro a questo salto di qualità culturale, tutto
il reso sarà vano. Il Papa, di fronte ai crescenti problemi di
emarginazione, invoca più fantasia per la sodidarietà e una radicale
conversione dei cuori. E' proprio quello che mi sentirei di indicare ai
futuri inquilini del Campidoglio».
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