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Festa in piazza per sostenere il progetto di via
dei Gordiani, dove era previsto un centro per alloggiare gli
zingari, cui la Regione ha tolto i finanziamenti. Si tratta di un
progetto innovativo a livello europeo, un esempio di integrazione,
destinato almeno per ora a restare fermo nel cassetto. Ma per la sua
realizzazione si mobilita tutto il quartiere: è la prima volta che
succede qualcosa di simile
Per realizzare il villaggio rom
insieme i residenti e i nomadi
di LENA CICCONCELLI |
Roma - Forse non era mai successo
prima: gli abitanti del quartiere Casilino 23 e i Rom di via dei
Gordiani hanno festeggiato insieme l’ultimo giorno di carnevale. Una
festa necessaria, hanno spiegato, dovuta agli ultimi interventi
della giunta regionale, che hanno provocato il definanziamento del
progetto del villaggio rom di via dei Gordiani. Nomadi e residenti
insieme, quindi, in un’inedita manifestazione: stavolta,
contrariamente a tante altre occasioni in passato, nessuno protesta
contro la realizzazione di un campo di sosta; anzi, tutti insieme ne
chiedono la realizzazione. Ecco, allora, che la festa del 27
febbraio assume una sua valenza specifica e propone una valida
convivenza civile tra tutte le realtà del quartiere. È stata una
risposta forte e inaspettata alla manifestazione del 4 febbraio
scorso organizzata da Alleanza nazionale per festeggiare il
definanziamento del progetto e la proposta di realizzare al suo
posto un residence per anziani e handicappati. Così, l’ultimo
giorno di carnevale il quartiere ha espresso la sua solidarietà ai
rom alla presenza di intellettuali da sempre impegnati nella
battaglia per i diritti dei nomadi e dei migranti: Moni
Ovadia, Erri De Luca, Predrag Matvejevic,
Sandro Portelli. Vi hanno partecipato musicanti rom rudari e
decine di associazioni, centri sociali, scuole insieme a
Rifondazione comunista e ai Ds, che hanno aderito all’iniziativa
patrocinata dalla VI Circoscrizione. Roberto Pignoni, del
Coordinamento cittadino per la realizzazione del villaggio rom in
via dei Gordiani, spiega: «Il progetto del villaggio è nato cinque
anni fa. L’Istituto autonomo case popolari (Iacp), proprietario
dell’area su cui sorge la baraccopoli, dell’area incolta adiacente e
di molti stabili del quartiere, ha siglato un accordo con la Regione
Lazio e il Comune di Roma che prevedeva sostanzialmente due cose. La
prima è la costruzione del villaggio. La seconda è la realizzazione
del parco pubblico nell’area incolta, la sistemazione delle strade
del quartiere e la ristrutturazione di molti appartamenti dello Iacp
stesso. Insomma, il progetto del villaggio rappresentava solo una
parte di un programma più vasto diretto alla riqualificazione di
tutto il quartiere. Un anno e mezzo fa un protocollo d’intesa ha
definito i tempi di realizzazione del progetto; poi non si è fatto
nulla. I motivi vanno cercati nei timori di alcuni politici,
incapaci di schierarsi dalla parte dei rom». Per la realizzazione
del villaggio mancava un ultimo passaggio: il Comune doveva
approvare la variante urbanistica dell’area. «L’amministrazione
capitolina - sostiene Pignoni - ha dunque le sue responsabilità. Ciò
ha portato al definanziamento del progetto e alla proposta, avanzata
dalla Regione Lazio, di utilizzare le risorse per costruire un
residence per handicappati e anziani». Dodici i miliardi
stanziati, una piccola parte di quei duecentoventuno riservati dalla
precedente giunta regionale alle categorie speciali previste dalla
legge 179. Categorie nelle quali rientrano anche i rom. Sfuma così
la possibilità di costruire quarantasei casette di cinquanta metri
quadrati, concepite con uno spazio antistante, con pannelli solari e
con ampie zone del villaggio destinate agli incontri assembleari,
ancora molto presenti nella vita dei rom. Si tratta di un
progetto innovativo a livello europeo, destinato almeno per ora a
restare fermo nel cassetto. Un esempio di integrazione e di
convivenza reciproca, cominciato da diversi anni, quando molti
italiani vivevano nella baraccopoli insieme ai rom. Ora tutti i
bambini del campo frequentano la scuola, indice di una nuova presa
di coscienza, della consapevolezza che la convivenza è possibile. Ma
le condizioni igienico-sanitarie del campo sono disastrose. I
bambini vanno scuola con i morsi dei ratti: una situazione indegna
che avrebbe potuto essere risolta. E invece... Eppure, questa
volta, forse per la prima volta, la gente non ha ceduto alle
lusinghe politiche. In piazza sono scesi giovani, anziani,
handicappati, operai e insegnanti. La mobilitazione c’è stata,
eccome, non per cacciare via gli oltre duecento rom che da oltre
vent’anni vivono nel quartiere, ma per chiedere soluzioni abitative
dignitose.
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