Yemen: le carovane della regina di Saba

di Claudio Calabrese

Nella Bibbia si narra che la regina di Saba, quando fu raggiunta dalla fama di re Salomone, volle conoscerlo di persona. Con questa intenzione "...giunse a Gerusalemme con un grande seguito di cammelli, spezie e pietre preziose...e portò a Salomone un'abbondanza di aromi quanti non se ne vide più di uguali...". La ricchezza del regno di Saba era dovuta agli antichi marinai yemeniti che, abili a sfruttare l'azione dei monsoni, giungevano fino in India per rifornirsi di schiavi, spezie e pietre preziose, nel Corno d'Africa, per importare oro ed essenze rare. Nel Tigrai etiopico sono state ritrovate iscrizioni, statue e templi sabei che testimoniano la probabile appartenenza dell'Africa orientale al regno di Saba; anche il Kebra Nagast, una sorta di Bibbia degli Etiopi, riferisce una sua particolare versione della leggenda della regina di Saba: Menelik, figlio di re Salomone e della regina di Saba, divenne re d'Etiopia, dando così inizio alla discendenza salomonide rivendicata da tutti i re etiopi che si susseguirono (vedi articolo sull'Etiopia e l'Arca). Questi racconti, sebbene al confine tra storia e leggenda, ci danno una chiara indicazione della grandezza  del regno di Saba che si concretizzò con l'apertura delle vie carovaniere al Mediterraneo già agli inizi del I millennio a.C. . Da questa premessa traiamo alcuni spunti per introdurci al viaggio che andiamo ad iniziare da Sana'a, la splendida capitale dello Yemen (vedi articolo su Sana'a-Mille e una notte). Dichiarata dall'Unesco patrimonio universale, la città è il naturale punto di partenza per chi visita questo Paese. Un'antica leggenda vuole sia stata fondata da Sem, figlio di Noè che, dopo il ritirarsi delle acque del Diluvio, vi si stabilì.  Tuttavia le mura, che ancora oggi racchiudono la città vecchia ed il suq principale, sono state edificate nel X sec. d.C., in pieno periodo medioevale. Entrando da Bab el-Yemen, l'unica delle sei porte ad aver conservato la sua struttura originale, ci si immette nel suq da dove, attraverso un dedalo di stradine, si snoda la città vecchia. Veniamo sorpresi da un'esplosione di folla colorata e da abbaglianti palazzi dalle bianchissime decorazioni arabeggianti che, come in un salto nel tempo, ci trasportano in un mondo fiabesco. Uomini armati di un pugnale ricurvo dalle notevoli dimensioni (la jiambiya), con in capo la mashedda, il tradizionale turbante yemenita, urlano i pregi delle loro merci, donne dall'aspetto arcano, tutte velate di nero, riempono grandi borse di frutta ed ortaggi. Dopo esserci "persi" tra piccoli empori di spezie, argenti e antiquariato, concludiamo la giornata sulla terrazza del "Golden Daar" ammirando lo splendido panorama della città al tramonto. Il giorno seguente, dopo aver ottenuto i permessi e la scorta obbligatori in tutto lo Yemen, partiamo alla volta di Marib, l'antica Mariaba, mitica capitale del regno di Saba situata ai margini del deserto Rub al Khali. Qui, semisepolti dalla sabbia, affiorano i resti di una delle più ricche città dell'antichità ormai quasi inghiottita dal deserto. Oggi, situato su una collina dov'era l'acropoli, c'è un villaggio  medioevale praticamente disabitato dalle caratteristiche case in argilla a base di pietra, costruito utilizzando elementi architettonici e pietre scolpite provenienti dall'antica città sabea.  Ubicata nel punto in cui si incrociavano le vie carovaniere dirette verso i porti del Mediterraneo, Marib doveva la sua ricchezza principalmente a quella che fu la più famosa diga del passato: una colossale opera di ingegneria idraulica, probabilmente eretta nel VIII sec. a.C., di cui ancora oggi possiamo ammirare i resti. Essa consisteva in un terrapieno lungo 700 m. che, sbarrando il fiume Dhanah, lo convogliava in un sistema di chiuse con il quale ha fornito acqua a circa 100 kmq. di campi di miglio, orzo, avena e granturco. La diga, grazie alle diverse opere di manutenzione, ha irrigato la regione per più di mille anni finchè nel VI sec d.C., forse a causa di piogge catastrofiche, fu distrutta. Poco più a sud, oltre il Wadi Dhanah, affiorano dalla sabbia gli otto pilastri del peristilio ed il basamento del tempio ovale di Awwam(Tempio del Sole). Circondato da una vasta necropoli, è detto dai locali "Mahram Bilquis" (Grande Tempio della Regina di Saba), dal nome yemenita della famosa regina (Bilquis). Percorrendo circa un altro km. a sud-ovest, altre sei colonne monolitiche stanno ad indicare il tempio di Almaqah dedicato a Ilumquh, il dio luna, dove è ancora visibile una monumentale scalinata che ne consentiva l'accesso. Soffermandoci tra questi resti sembra ancora aleggiare intorno a noi l'immagine della splendida sovrana di Saba che,  con la sua storia d'amore con re Salomone, ha alimentato la fantasia del mondo negli ultimi tremila anni. Prima dell'alba, con un fuoristrada, partiamo da Marib in direzione est, per tentare di attraversare il deserto del Rub al Khali in una decina d'ore. In questo mare di sabbia fine e dorata, movimentato da scenografiche dune che si perdono fino all'orizzonte, siamo scortati da un fuoristrada condotto da beduini, guide indispensabili per la loro conoscenza delle piste e dei pericoli del deserto. Da sempre in lotta col governo centrale, le tribù di queste zone, che spesso coinvolgono i turisti in sequestri-lampo fatti al solo scopo di ottenere dallo stato alcuni bisogni primari (scuole, elettricità,acqua corrente...), hanno risolto con un compromesso la questione facendosi pagare il servizio di scorta e offrendo ospitalità nei loro accampamenti durante la traversata. Dopo alcune ore di sabbia interminabile arriviamo finalmente a Shabwa, antica capitale del regno dell'Hadramawt, un tempo crocevia di lunghe carovane di cammelli cariche di incenso e mirra, aromi molto apprezzati nel mondo antico. Citata da Strabone e Plinio come "Sabota dai 60 templi", Shabwa doveva la sua prosperità al controllo del commercio degli aromi provenienti dalle oasi di produzione e dei commerci via mare che, da qui, venivano smistati attraverso le vie carovaniere in direzione della Persia e dei porti del Mediterraneo.

Nel recente passato la città è stata oggetto di scavi archeologici che hanno messo in luce il più grande degli edifici, individuato come il palazzo reale (lo Shaquir). Situato a nord, è nei pressi della grande porta in blocchi di pietra ben tagliati, dalla quale si diparte una strada che divide in due l'antico sito. Rinfrancati da un ottimo tè dolcemente speziato, offertoci dai beduini e gustato all'ombra delle rovine, attraversiamo il restante tratto di deserto per giungere prima di sera ad Al Howta. E' un piccolo villaggio nei pressi di Seiyun, l'odierna capitale amministrativa dell' Hadramawt, dove troviamo il meritato ristoro corporale e spirituale in un vecchio palazzo degli inizi del secolo scorso splendidamente restaurato da un italiano, Marco Livadiotti, che risiede in Yemen da molti anni. Marco, chiamato per nome da tutti gli yemeniti che lavorano per lui, è impegnatissimo nella preservazione di questo paese ed ha restaurato, tra l'altro, anche lo storico palazzo di Dar al Quamiria, alla periferia di Sana'a. La sua attività principale consiste nel dirigere la Universal Travel e Tourism, un'importante agenzia di viaggi che ha filiali in tutto lo Yemen e corrispondenti anche in Italia. Contattata la sua agenzia tramite e-mail (touring.company@universal.yemen.com), abbiamo concertato insieme questo viaggio costruendolo su misura per le nostre esigenze e includendo alcune importanti località fuori dai tradizionali circuiti turistici. Il mattino seguente raggiungiamo Seiyun, città adagiata al centro di una fertile pianura che, situata lungo un'importante via carovaniera, è stata sede di un'antichissimo mercato dove i mercanti provenienti dall'est acquistavano il pregiato incenso del regno di Saba. Dopo aver visitato il suo singolare suq al coperto, ci rechiamo ad ammirare l'imponente Palazzo del Sultano che, dipinto di un bianco abbagliante, è la più grande costruzione in fango che si conosca. Nel suo interno, trasformato in museo, si può ripercorrere la storia della regione fin dai suoi albori mentre dalle sue alte terrazze si gode un ottimo panorama della città e del paesaggio circostante. Ad una trentina di km. in direzione est, troviamo Tarim, antico ed importante centro di studi della religione islamica come testimonia il gran numero di moschee: 365, una per ogni giorno dell'anno. La città è dominata dalla moschea bianca di Al Muhdar, il cui minareto quadrato alto 50 metri, si vede da ogni angolo ed è caratterizzata dai monumentali palazzi in stile giavanese che le conferiscono un'atmosfera da sud-est asiatico. Dopo una breve pausa per il pranzo, ritorniamo verso Seiyun percorrendo una strada che si snoda tra terreni coltivati  e pascoli dai quali spuntano, di tanto in tanto, gli appuntiti cappelli di paglia indossati dalle contadine. Interamente coperte dalla lunga abaia nera e dalla burdah, una maschera di velo sul viso con le sole fessure per gli occhi, hanno l'aspetto di bizzarre fattucchiere dei campi. Distratti da questo animato  paesaggio, ci troviamo d'un tratto di fronte ai grattacieli della città di Shibam, comunemente descritta come la "Manhattan del deserto" ma, data la sua antichità, la definizione ci appare alquanto impropria (non sarebbe meglio dire che Manhattan è la Shibam d'oltreoceano?). La città assume una certa importanza già nel III sec. d.C. quando, dopo la caduta di Shabwa, divenne la capitale del regno dell'Hadramawt. Shibam, con i suoi grattacieli di paglia e fango essiccato alti anche 7-8 piani che sbucano irreali e maestosi dalle sabbie del deserto, è stata dichiarata dall' Unesco "patrimonio culturale dell'umanità". Le incredibili case di questa città-fortezza, sono state costruite in altezza per difendersi dalle alluvioni del vicino wadi (fiume stagionale) e per destinare maggiore spazio alla coltivazione dei fertili terreni ad esso circostanti. Incamminandoci per la città rimaniamo incantati dalle straordinarie porte in legno sbalzato e chiodato, i cui chiavistelli  intagliati sono azionati da geniali lucchetti in legno. Varchiamo una di queste porte e con il permesso del proprietario visitiamo uno di questi "grattacieli". Queste case-torre sono usualmente abitate da una famiglia patriarcale: il piano terra è occupato dagli animali, i primi piani sono riservati alle donne e ai bambini, quelli superiori ai servizi e al soggiorno, mentre l'ultimo (il Mufredge), coperto di tappeti e cuscini, è mostrato con orgoglio dal padrone di casa che ci invita a prendere un tè in questo salotto in cui nessuna donna può entrare. Lasciamo la città e attraversiamo il wadi per raggiungere Sihayl, un paesino situato sulle alture che dominano la valle di fronte a Shibam. Seguiti da alcuni bambini che offrono il loro aiuto per una mancetta, ci arrampichiamo per qualche centinaio di metri fino a raggiungere uno spuntone di roccia dal quale possiamo assistere allo spettacolare panorama offertoci dal graduale tramontare del sole sulla "Manhattan del deserto". Il giorno seguente partiamo in direzione dell'Oceano Indiano percorrendo lo splendido Wadi Doan che taglia verticalmente la valle dell'Hadramawt. E' un wadi di terra e sabbia costellato di palme da dattero, campi di miglio, sorgo e tabacco, dove i tanti villaggi, arrampicati ai bordi del letto del fiume, sono delle oasi rimaste isolate per secoli e hanno conservato la loro originalità culturale. Il Paese finì nell'isolamento quando le carovane dell'incenso smisero di transitare per questa valle perchè sostituite dai traporti marittimi. Iniziamo questa escursione sostando brevemente ad Al Mashad, un villaggio praticamente abbandonato che conserva sei tombe ed alcuni edifici a cupola interessanti, quindi giungiamo ad Al Hajarayn, ubicato in alto come un nido d'aquila. L'insediamento, che domina la vallata, ha più di mille anni e solo ora sta uscendo dall'isolamento, con il nuovo villaggio costruito  più in basso dove stanno nascendo le prime attività commerciali.   Risaliti sul costone, in prossimità del villaggio di Al Khureiba, ci soffermiamo ad ammirare dal bordo del canyon lo spettacolare panorama del Wadi Doan, prima di proseguire verso la costa. Finalmente giunti ad Al Mukalla, sull'Oceano Indiano, ci fermiamo per una breve pausa che ci consente di toglierci di dosso la polvere di due giorni di deserto e di approfittare del suo mare limpido e caldo. La città, dalle candide moschee, si affaccia sull'oceano con il suo singolare insieme di architetture islamiche, indiane e inglesi-coloniali, ed è con Aden il più importante porto della costa. Il mattino seguente, dopo una breve visita alla piccola fortezza di Huan Al Ghuwayzi costruita su uno sperone di roccia nel 1884, raggiungiamo, a poco più di un centinaio di chilometri, il villaggio di Bir Ali. Qui, dove la sabbia bianca crea un suggestivo contrasto con la nera pietra vulcanica, visitiamo l'antico porto di Qana che costituiva il punto di partenza meridionale della via dell'incenso. Dominato da uno spettacolare picco vulcanico (Mawiyat) il cui tempio situato alla sommità è stato probabilmente usato come faro, era il luogo dove l'incenso prodotto nel Dhofar, antica regione tra Yemen e Oman, veniva caricato sulle carovane di cammelli che qui si formavano e partivano poi per Shabwa seguendo in parte il nostro percorso a ritroso. L'elevato costo dell'incenso che secondo Plinio il Vecchio, giungeva al Mediterraneo dopo sessantacinque tappe gravato da diverse imposte, portò con la scoperta del regime dei monsoni già nel primo secolo a.C. all'uso della via marittima e conseguentemente al graduale indebolimento del Regno di Saba. Rientrati a Sana'a direttamente in aereo per dedicare interamente gli ultimi tre giorni a disposizione alla visita del nord dello Yemen, abbiamo il tempo di concludere la giornata recandoci al Museo Nazionale. Ospitato nello splendido Dar as Sa'd, ex palazzo reale, contiene tra l'altro, un'esauriente raccolta permanente dedicata sia alla storia preislamica, con interessanti piantine e reperti archeologici, che al passato islamico dello Yemen, con antichi saggi di calligrafia coranica e oggetti in rame e monete. Il mattino seguente, percorsi 15 chilometri da Sana'a, giungiamo a Dar al Hajar, il palazzo sulla roccia diventato il simbolo dello Yemen. Situato nella valle del Wadi Dhaar, fu fatto costruire negli anni trenta come residenza estiva dell'Imam su uno spuntone di roccia basaltica alto 50 metri. All'interno del palazzo di cinque piani decorato da stucchi bianchi, ci soffermiamo ad ammirare i colori delle elaborate finestre Tahrim che risaltano nelle bianche stanze, mentre dalla terrazza in alto possiamo godere dell'eccezionale panorama della valle. Al termine della visita partiamo per l'attesa escursione in una zona montuosa tra le più belle a nord di Sana'a, nota  per i suoi villaggi-fortezza arroccati su cime inaccessibili ma anche per le coltivazioni di qat che qui, in altitudine, raggiungono la migliore qualità. E' una pianta usata già 1500 anni fa come energetico per i soldati e ancora oggi è la blanda droga ufficiale degli yemeniti per i quali, masticare il qat, è un rituale momento di incontro con gli amici. Percorsi circa 50 chilometri incontriamo Thula, un villaggio-fortezza la cui architettura in pietra si distacca completamente da quella della regione. Esso si presenta diviso in una parte alta fortificata e in una più in basso in cui le case in pietra si integrano perfettamente con il paesaggio rendendone difficile, in lontananza, l'identificazione. Proseguendo verso nord facciamo una breve sosta ad Hababa dove, nella sua bellissima piazza, le case si rispecchiano nell'acqua della grande cisterna ancora usata dalle donne del villaggio. Dopo una pausa per il pranzo visitiamo nel pomeriggio le due città gemelle Shibam (del nord) e Kawkaban. La prima, antico centro preislamico come testimoniano le iscrizioni sabee visibili sui grandi blocchi di pietra ai lati della porta d'accesso, è posta ai piedi del Jebel Kawkaban, una montagna dalla sommità piatta su cui sorge l'omonima città. Shibam ebbe un ruolo importante nel I sec. d.C. quando fu la capitale di un piccolo stato indipendente, in un'epoca in cui il regno di Saba si stava indebolendo e nasceva quello Himyarita. Dall'845 al 1004 dC. fu nuovamente capitale, questa volta di gran parte degli altipiani sotto la dinastia di Bani Ya'fur che edificò la moschea sui resti di un antico tempio himyarita, riutilizzandone in parte le grandi pietre. Superata la grande moschea, una delle più antiche dello Yemen, la strada si dirige in salita verso la sommità del monte dove, dopo un'ora di cammino, attraversando un suggestivo passaggio tra le rocce, lo stesso usato dagli abitanti quando aggrediti si rifugiavano nella fortezza in alto, arriviamo ai quasi 3000 metri di Kawkaban. Dopo aver passato la notte in un funduq, il tradizionale albergo yemenita dove il letto è solo un materasso steso su un pavimento coperto da tappeti e cuscini, visitiamo questa città che ci appare quasi del tutto disabitata. Molto danneggiata dal terremoto e dai bombardamenti dell'ultima guerra civile, conserva ancora quasi intatti diversi palazzi dell'antica cittadina di origine preislamica e la moschea con il minareto; dalla sua terrazza naturale, a 3000 m. di altezza, è possibile ammirare l'incredibile panorama sugli altipiani orientali e sulla città di Thula. Proseguiamo quindi in direzione nord e attraversati gli antichi villaggi di Haz e Bani Maimoon, sostiamo per una breve visita ad Amran. E' una cittadina di origine medioevale costruita su antichi edifici sabei, la cui zona vecchia è in parte circondata da mura ancora intatte dove antiche iscrizioni sabee sono ancora visibili sulla porta principale. Da Huth, piccolo paesino che incontriamo continuando in direzione nord, abbandoniamo la strada asfaltata per addentrarci nel Wadi al Wa'ar che, lungo un sentiero sconnesso e sassoso, ci porterà fino ai piedi del Jebel Shahara. Da qui iniziamo una salita di 1400 m. su una strada molto ripida e stretta, con strapiombi da brivido alternati da terrazzamenti coltivati a qat, fino ad arrivare ai 3000 m. del villaggio-fortezza più famoso dello Yemen: Shahara. Entrati dalla porta di Bab an-Nakhla rimaniamo piacevolmente sorpresi nel trovare a questa altezza un antico villaggio tuttora abitato che conserva intatta la tipica architettura yemenita ma ormai, completamente spossati, riusciamo finalmente a comprendere perchè i Turchi non riuscirono mai a conquistarlo. All'alba del giorno dopo partiamo per un trekking di qualche ora dove attraversiamo il famoso ponte in pietra di 32 m. che, in equilibrio nel vuoto in una gola profonda oltre 300 m., collega le due zone di Shahara: Jebel el-Amir e Jebel el-Feesh. Scendiamo quindi attraverso sentieri ripidi e tortuosi, circondati da un paesaggio mozzafiato, fino al bivio di Hababa da dove riprendiamo la strada per Sana'a. Siamo giunti ormai al termine del nostro viaggio nello Yemen, un paese che rimasto ai confini del tempo, ci ha affascinato con i suoi incredibili   edifici costruiti con mattoni di fango e paglia, dove le diversità esistenti tra nord e sud sembrano fondersi in un unico disegno architettonico da cui emergono,  un pò dappertutto,  le "tracce" lasciate da 14 secoli di dominio del potente regno di Saba.

(pubbl. sul Corriere di Viterbo il 18-04-2001- versione integrale)