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Venerdì, 9 Marzo 2001

MA RESTANO I CAMPANILI
E I BASTONI TRA LE RUOTE
di LUIGI BACIALLI
Il federalismo, magnificamente compiuto o terribilmente abborracciato che dir si voglia, è legge. Lasciamo che il Polo e l'Ulivo, per una mera questione di opportunismo elettorale, sostengano, rispettivamente, che si tratta di una truffa bell'e buona e della panacea di tutti i mali. Ormai gli elettori sono fin troppo vaccinati contro giochini e mistificazioni; certo quanto basta per capire che il vero obiettivo del Parlamento, anche questa volta, non era il salutare decentramento dei poteri dello Stato e, soprattutto, il bene comune, ma lo spostamento di voti e le manovre sul consenso in vista delle elezioni.E' chiaro come il sole. Il federalismo è solo un pretesto per recuperare posizioni nei sondaggi, per far bella figura, per mostrarsi più sensibili e dinamici sul versante, finora assai poco praticato, delle riforme. Il rush finale in cui si realizza tutto il realizzabile (dal pacchetto sicurezza, al canonico arresto del boss mafioso, dal bando del marito violento alla pioggia di soldi per gruppi e gruppetti di potere attraverso leggi e leggine:quanta grazia, per esempio, quei 400 miliardi omaggio ai soli patronati, le organizzazioni sindacali di assistenza e consulenza) non fa onore a a una classe politica che racconta di avere a cuore gli interessi del Paese ma in realtà ha un'unica preoccupazione: le poltrone. Lo sapevamo già, ma in questo convulso finale di legislatura lo si è capito ancora meglio (come pure dimostra la inevitabile ma sterile polemica sulla data del 6 o del 13 maggio, ennesima dimostrazione di quale poca considerazione goda, nei palazzi della politica, l'intelligenza degli italiani).

Sta di fatto che il federalismo, vero o falso che sia, è passato in extremis. Ma ora viene il bello. Perché al di là delle parole, delle interpretazioni e delle alchimie, bisognerà capire quanto concretamente federalisti sapranno diventare, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, gli italiani.

Diceva giorni fa un imprenditore americano di passaggio a Verona:

qui potreste sicuramente arrivare ad uno Stato federale, ma c'è un problema: siete italiani. E, ingollando una pizza ha aggiunto: voi, anche nelle vostre aziende, non collaborate mai. Voi vi fate sempre la guerra.

Conditio sine qua non per un federalismo che non faccia rimpiangere il centralismo è una piena sinergia tra gli enti locali a cui lo Stato ha delegato una parte dei poteri e delle competenze. E' difficile immaginare una sana amministrazione decentrata se quanti dovranno raggiungere assieme determinati risultati saranno più disposti a litigare e a farsi le scarpe a vicenda che a cercare di andare d'accordo. Dopo decenni di di guerre per bande, veti incrociati e bastoni tra le ruote sarà difficile invertire rapidamente la rotta. Siamo ancora oggi il Paese delle fazioni l'un contro l'altra armata, dei guelfi e dei ghibellini. Siamo un popolo di irriducibili solisti, di commissari tecnici convinti di avere in tasca la formazione vincente.

Siamo il regno delle grandi «incompiute». Ovunque, in Italia, chi ha un'idea o un progetto da realizzare finisce col maledire il giorno in cui è nato.Nel Nordest le infrastrutture mancano perché per uno che alza una mano e dice bianco ce ne sono altri dieci che alzano due mani e gridano nero. E così l'A28 procede un pezzetto alla volta, la Valdastico Nord si perde in mezzo ai campi, la Pedemontana non è ancora entrata in sala parto perché c'è chi vuole la superstrada, chi l'autostrada e così ci teniamo le solite mulattiere asfaltate grondanti Tir.A Mestre prosegue lo scontro tra i sostenitori del tunnel e quelli della sopraelevata, chissà quando si troverà un accordo definitivo per l'alta velocità.

(Segue a pagina 3)


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