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MA RESTANO I CAMPANILI E I BASTONI TRA LE RUOTE
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di LUIGI BACIALLI |
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Il federalismo,
magnificamente compiuto o terribilmente abborracciato che dir
si voglia, è legge. Lasciamo che il Polo e l'Ulivo, per una
mera questione di opportunismo elettorale, sostengano,
rispettivamente, che si tratta di una truffa bell'e buona e
della panacea di tutti i mali. Ormai gli elettori sono fin
troppo vaccinati contro giochini e mistificazioni; certo
quanto basta per capire che il vero obiettivo del Parlamento,
anche questa volta, non era il salutare decentramento dei
poteri dello Stato e, soprattutto, il bene comune, ma lo
spostamento di voti e le manovre sul consenso in vista delle
elezioni.E' chiaro come il sole. Il federalismo è solo un
pretesto per recuperare posizioni nei sondaggi, per far bella
figura, per mostrarsi più sensibili e dinamici sul versante,
finora assai poco praticato, delle riforme. Il rush finale in
cui si realizza tutto il realizzabile (dal pacchetto
sicurezza, al canonico arresto del boss mafioso, dal bando del
marito violento alla pioggia di soldi per gruppi e gruppetti
di potere attraverso leggi e leggine:quanta grazia, per
esempio, quei 400 miliardi omaggio ai soli patronati, le
organizzazioni sindacali di assistenza e consulenza) non fa
onore a a una classe politica che racconta di avere a cuore
gli interessi del Paese ma in realtà ha un'unica
preoccupazione: le poltrone. Lo sapevamo già, ma in questo
convulso finale di legislatura lo si è capito ancora meglio
(come pure dimostra la inevitabile ma sterile polemica sulla
data del 6 o del 13 maggio, ennesima dimostrazione di quale
poca considerazione goda, nei palazzi della politica,
l'intelligenza degli italiani).
Sta di fatto che il federalismo, vero o falso che sia, è
passato in extremis. Ma ora viene il bello. Perché al di là
delle parole, delle interpretazioni e delle alchimie,
bisognerà capire quanto concretamente federalisti sapranno
diventare, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, gli
italiani.
Diceva giorni fa un imprenditore americano di passaggio a
Verona:
qui potreste sicuramente arrivare ad uno Stato federale, ma
c'è un problema: siete italiani. E, ingollando una pizza ha
aggiunto: voi, anche nelle vostre aziende, non collaborate
mai. Voi vi fate sempre la guerra.
Conditio sine qua non per un federalismo che non faccia
rimpiangere il centralismo è una piena sinergia tra gli enti
locali a cui lo Stato ha delegato una parte dei poteri e delle
competenze. E' difficile immaginare una sana amministrazione
decentrata se quanti dovranno raggiungere assieme determinati
risultati saranno più disposti a litigare e a farsi le scarpe
a vicenda che a cercare di andare d'accordo. Dopo decenni di
di guerre per bande, veti incrociati e bastoni tra le ruote
sarà difficile invertire rapidamente la rotta. Siamo ancora
oggi il Paese delle fazioni l'un contro l'altra armata, dei
guelfi e dei ghibellini. Siamo un popolo di irriducibili
solisti, di commissari tecnici convinti di avere in tasca la
formazione vincente.
Siamo il regno delle grandi «incompiute». Ovunque, in
Italia, chi ha un'idea o un progetto da realizzare finisce col
maledire il giorno in cui è nato.Nel Nordest le infrastrutture
mancano perché per uno che alza una mano e dice bianco ce ne
sono altri dieci che alzano due mani e gridano nero. E così
l'A28 procede un pezzetto
alla volta, la Valdastico Nord si perde in mezzo ai campi, la
Pedemontana non è ancora entrata in sala parto perché c'è chi
vuole la superstrada, chi l'autostrada e così ci teniamo le
solite mulattiere asfaltate grondanti Tir.A Mestre prosegue lo
scontro tra i sostenitori del tunnel e quelli della
sopraelevata, chissà quando si troverà un accordo definitivo
per l'alta velocità.
(Segue a pagina
3) |
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