Mi guardi.
Nei tuoi occhi un lampo di luce mentre scorrono pennellate di colori sulla mia tela: il blu intenso, l’azzurro, il grigio e poi…il bianco, tanto bianco come le tue notti insonni.
“Ti piace?”
Ti chiedo scoprendomi un sorriso.
Tu fatichi sulle tue parole e poi…
con la mano segui il tratto di una nuvola sulla finestra.
Quel breve lampo nei tuoi occhi s’è spento e le tue mani tornano a volteggiare sul capo come pervaso da mosche fastidiose.
Non hai più capelli.
Da tanto li ho rasi per meglio tenerti pulito. Così calvo mi ricordi un film che vorrei dimenticare: bianco, tanto bianco; camici bianchi, lettini allineati, lenzuola, divise bianche e poi…
poi gli occhi vuoti o pieni di febbre come i tuoi.
La notte scorsa ti sentivo parlare.
Eri al buio, eppure guardavi al soffitto chiamando per nome persone che tu solo vedevi.
E poi…il tuo lamento feriva la luna e chi dormiva accanto.
Allora ho versato delle gocce nella tua bocca serrata, rifiutavi il mio aiuto di pace, preso dall’ansia della lotta.
Chi sono i tuoi nemici?
Sei qui disteso su questo letto con le sbarre come una prigione. Forse pensi sia io quella che devi combattere, io che ti accudisco ogni giorno.
Eppure ricordo ancora quando la prima volta ti trovai davanti allo specchio con un pettine in mano e mi chiedesti cos’era. Forse un giorno anch’io me lo chiederò. Allora sarà la fine, come è già finita da tempo la tua vita con noi.
Ti vedo rannicchiato come un bimbo e con la testa vuota d’ogni ricordo. Solo una frase perdura sulle tue labbra: “Ho paura, fammi dormire con te!”
M’avvicino tenera sperando che una mia carezza possa calmarti. Quanto ho atteso questo gesto da bambina! Ora papà sei tu il bambino. Ed io sono qui a volte con dolcezza, a volte con rabbia a lottare contro un morbo che chiamano Alzheimer e che ti ha ucciso lasciandoti vivo.
Sono qui frustrata, ad aspettare e sperare che nel tuo corpo non si fermi anche l’ultimo respiro.
Ora c’è di buono che posso parlarti tranquilla.
Ti racconto i miei segreti e le mie speranze senza più il timore dei tuoi rimproveri a volte violenti.
Vedi papà? Qualcosa di buono questo morbo l’ha fatto!
Ha sciolto il gelo nel mio cuore e così finalmente ti perdono e mi perdono.
Sarà più facile ora guardare il tuo soffitto con immagini di fantasmi che non fanno più paura.
Sono fuori, papà. Sono usciti da te e da me come farfalle a primavera. Ogni stilla di cielo ce lo dice.
Oh papà! Come vorrei tu guardassi con me questo infinito azzurro che io maldestramente ho dipinto sulla tela; un azzurro che cela il mistero delle tue ali. O forse sono io piuttosto che, troppo legata alla mia vita, non vedo che a questo infinito i tuoi occhi ormai appartengono.