Sito web di Rosetta Viglietti

I MIEI RACCONTI BREVI

RICORDI NEGATI

Mi guardi.
Nei tuoi occhi un lampo di luce mentre scorrono pennellate di colori sulla mia tela: il blu intenso, l’azzurro, il grigio e poi…il bianco, tanto bianco come le tue notti insonni.
“Ti piace?”
Ti chiedo scoprendomi un sorriso.
Tu fatichi sulle tue parole e poi…
con la mano segui il tratto di una nuvola sulla finestra.
Quel breve lampo nei tuoi occhi s’è spento e le tue mani tornano a volteggiare sul capo come pervaso da mosche fastidiose.
Non hai più capelli.
Da tanto li ho rasi per meglio tenerti pulito. Così calvo mi ricordi un film che vorrei dimenticare: bianco, tanto bianco; camici bianchi, lettini allineati, lenzuola, divise bianche e poi…
poi gli occhi vuoti o pieni di febbre come i tuoi.
La notte scorsa ti sentivo parlare.
Eri al buio, eppure guardavi al soffitto chiamando per nome persone che tu solo vedevi.
E poi…il tuo lamento feriva la luna e chi dormiva accanto.
Allora ho versato delle gocce nella tua bocca serrata, rifiutavi il mio aiuto di pace, preso dall’ansia della lotta.
Chi sono i tuoi nemici?
Sei qui disteso su questo letto con le sbarre come una prigione. Forse pensi sia io quella che devi combattere, io che ti accudisco ogni giorno.
Eppure ricordo ancora quando la prima volta ti trovai davanti allo specchio con un pettine in mano e mi chiedesti cos’era. Forse un giorno anch’io me lo chiederò. Allora sarà la fine, come è già finita da tempo la tua vita con noi.
Ti vedo rannicchiato come un bimbo e con la testa vuota d’ogni ricordo. Solo una frase perdura sulle tue labbra: “Ho paura, fammi dormire con te!”
M’avvicino tenera sperando che una mia carezza possa calmarti. Quanto ho atteso questo gesto da bambina! Ora papà sei tu il bambino. Ed io sono qui a volte con dolcezza, a volte con rabbia a lottare contro un morbo che chiamano Alzheimer e che ti ha ucciso lasciandoti vivo.
Sono qui frustrata, ad aspettare e sperare che nel tuo corpo non si fermi anche l’ultimo respiro.
Ora c’è di buono che posso parlarti tranquilla.
Ti racconto i miei segreti e le mie speranze senza più il timore dei tuoi rimproveri a volte violenti.
Vedi papà? Qualcosa di buono questo morbo l’ha fatto!
Ha sciolto il gelo nel mio cuore e così finalmente ti perdono e mi perdono.
Sarà più facile ora guardare il tuo soffitto con immagini di fantasmi che non fanno più paura.
Sono fuori, papà. Sono usciti da te e da me come farfalle a primavera. Ogni stilla di cielo ce lo dice.
Oh papà! Come vorrei tu guardassi con me questo infinito azzurro che io maldestramente ho dipinto sulla tela; un azzurro che cela il mistero delle tue ali. O forse sono io piuttosto che, troppo legata alla mia vita, non vedo che a questo infinito i tuoi occhi ormai appartengono.

Tratte da “Sul sentiero della fantasia”, raccolta di racconti surreali.
La raccolta di racconti surreali è stata segnalata al concorso "Caro Diario" di Ortucchio anno 2003

IL MIO CAMMINO

Fuori piove tutto il cielo grigio.
Questa finestra che s’apre sull’onda del vento, è così piccola che non rischiara l’enorme stanza. Quest’ultima era stata un tempo un granaio.
La volta altissima ancora scopre a tratti travi di legno sulle quali si sentono passeggiare ratti di campagna.
Mi sdraio sul vecchio divano.
La credenza di fronte mi parla di giochi di tarli che vi abitano indisturbati da anni. Un lavabo di pietra posto nell’angolo, non ha rubinetto. Attingo da una conca di rame con un mestolo.
E’ l’acqua di una fontana che è a pochi passi da casa. Ha il sapore della montagna e di fresche ombre di boschi.
Chissà!! Forse un giorno la rimpiangerò, quando avrà uno strano sapore di cloro.
La finestra ancora scopre, come un dipinto stinto dalla pioggia, un paesaggio vago. E vagano i miei pensieri insieme alle gocce che poi scompaiono. A volte li sento annegare sui miei sogni.
“Posso giocare sul muretto?”
“No! Le bimbe non possono. E’ un gioco da maschietti!!”
Sento il ronzio fastidioso nell’orecchio. Il mio posto è dentro o sull’uscio di casa. Oltre è l’avventura che non si perdona.
Voglio uscire.
La pioggia ha smesso di suonare ed il cielo sta scoprendo a tratti il colore. Voglio andare dove possa mescolarmi senza chiedermi se quello è il mio posto. Voglio rispondere alle voci piccole e grandi e cantare con la musica o senza.
Sto uscendo.
Lascio alle spalle questa stanza antica. M’incammino saltellando tra le pozzanghere del giardino. Così gocciolante, l’erba alta, salutandomi, sfiora le mie gambe.
Ora la strada è mia.
Il muretto sul ciglio m’accompagna, così come lo spicchio di sole tra le nuvole rosa.
Allungo il passo. Devo raggiungere il mio tempo. Volgo lo sguardo indietro forse sperando che qualcosa o qualcuno mi trattenga, ma neppure i miei sedici riescono, anche solo per un attimo, a fermare il mio cammino.

Non ci sono lampioni sulla mia strada e la sera sta scurendo l’orizzonte.
La campagna scorre silenziosa sui miei occhi che reclamano riposo.
Dietro un colle appare una luce…poi un’altra…e poi ancora…
E’ un immenso tappeto di minuscole stelle pronte ad accogliermi. Anche il mio cuore brilla. Tra poco non sarò più sola.
“Posso accompagnarti?” una figura s’affianca.
Acconsento timorosa della notte che ha in bocca il buio. Le luci diventano più grandi e qualche sagoma di tetto si profila all’orizzonte. I miei passi fanno eco ai suoi e di lei guardo solo i piedi piccoli come i miei.
Non le ho chiesto il nome, né la sua meta. Forse è un’anima come la mia in cerca di un lume nel buio.
Sono stanca.
All’improvviso quel tappeto di stelle sembra allontanarsi. Chiedo di sostare in un capanno che incontriamo sul ciglio della via. E’ duro il pavimento su cui mi poso.
Finalmente chiudo gli occhi su me stessa. Non m’importa dove sia l’altra. Sento solo il suo respiro regolare, il ritmo della vita nelle sue pause.
Poi il mio corpo inizia a fluttuare svuotato di memorie e desideri. Le labbra accennano ad un sorriso. Non sento più il peso del giorno, quasi che la notte mi sia amica. L’accolgo prendendole in mano il capo. Ha due occhi di stelle che sgranano i miei ed una bocca di luna crescente dove io possa sedere.
Mi sento leggera.
Non c’è più capanno intorno ma solo la figura che mi è accanto. Ancora non le chiedo il nome; è come se la conoscessi da sempre. La guardo nel volto e scopro che è il mio.
Ma questa forza che emana….questa pacatezza nei gesti…questo dolce ascolto di chi già conosce la verità…, non sembrano miei.
“T’accompagno”. Insiste fluttuando con me oltre il capanno.
Fuori è sorto il giorno con la sua esplosione di colori. Potrei esserne uno e confondermi, o ad essi oppormi, perché so di non essere sola.
Lei è al mio fianco con il mio volto; è dentro con la mia forza…
Questa figura dal nome Pensiero.

PAPAVERI BIANCHI

I papaveri sul bordo della strada appaiono bianchi questa mattina.
Chissà la notte scorsa dove hanno perso il loro colore. Forse è stato il riverbero della luna o piuttosto ciò che appare è un sogno.
E così mi sorprendo a ricordare innumerevoli quadri appesi alle pareti in cui erano ritratti campi di papaveri.
Colori su tele, rossi occhieggianti tra fili d’erba.
Eppure io entravo in esse scoprendomene parte e tutto poteva essere…, persino gocce di cielo che bagnavano le foglie in una informe mescolanza di un tiepido azzurro e quel sentiero appena accennato che bucava le ultime ombre.
Colori…tanti colori che ora ritrovo davanti al mattino.
Ma un papavero bianco non l’ho mai visto. E così facilmente pongo al di fuori l’insolito, quasi un rifiuto di qualcosa a cui non posso dare un nome. Quali limiti che la fantasia può far crollare!... che può aprire il mio sguardo oltre gli schemi e far apparire bianco ciò che è rosso in un papavero del primo mattino.
Sono ancora qui appesa a questo prato mentre il capo dondola su folate d’ansia. Stringo nella mano una chiave, quella che apre la mia porta. Dietro di essa trovo me che ero e che sono, e mi trovo scomposta in parti. Se potessi farei a meno di quelle del dolore, dell’ansia e dell’angoscia…
Dondolo sulla mia testa.
Mi preferisco intera, magari con una borsa a tracolla colma di giorni che in seguito riempirei d’anni.
La fronte si bagna di rugiada e questo improvviso fresco smuove la mia aria. Il mattino corre ed io torno a camminare posando gli occhi per un attimo sul campo dove i papaveri sono ora, o lo sono sempre stati, rosso fiamma.

Il respiro si fa di grosso quando la calura s’estende. Un odore pregno di terra bagnata come un’onda sale sulla pelle. Dietro il colle m’appare un piccolo torrente con acqua veloce ed un rumore che copre la voce della mia testa. Mi siedo su di un masso ben levigato dove la pioggia del tempo ha sostato a lungo.
Una corrente bagnata arriccia i miei capelli ed un piccolo cespuglio di rose selvatiche.
I petali ballano un ritmo frenetico ed ho il timore che vadano via. Anche le gocce che scivolano sul fondo fanno via.
Mi chiedo se nascano dal cielo o dalla terra.
Affondo le mani ma non le afferro come non fermo l’ora con cui vado
Dicono che ogni ruscello muore nel mare.
Anch’io avrò una terra lontana che un giorno mi accoglierà nelle sue braccia.
E così vi prego, quando il mio cuore si fermerà per sempre, fate un falò del mio corpo e spargete le ceneri in un campo con papaveri rossi come quello che ho appena lasciato.

UNA NOTTE DALLE LUNGHE NOTE

Sporgo la testa oltre il muretto. Il piccolo ponte che sto attraversando, è bianco di polvere e sassi.
Guardo il vuoto che s’apre tra il verde.
Una vertigine vola sul petto dandomi un colpo, e gli occhi colano nebbia. Non amo il vuoto, né le ripide discese. La mia casa sarà su una terra piatta con tante colline intorno ed il mare di fronte.
Ora ho davanti un campo di mais che mi sovrasta.
“E’ tempo di raccolta!” mi gridano le pannocchie scuotendo le loro chiome.
Questa sera ci sarà festa e tutti canteranno nell’aia di quella casa colonica poco distante.
Apro le braccia e le stringo a me. Non le vedrò più così libere e svettanti, bensì, in seguito, represse in vaschette dei supermercati.
Corro tra le larghe foglie che scuotono i capelli. Giro le lancette dell’orologio ed è già sera.
Mi unisco ai raccoglitori di pannocchie che ora cantano. La musica s’estende tra i campi e, come una brezza, mi entra nei polmoni e poi nella testa.
Un giorno ricorderò…sì ricorderò questa sera, perché la mia memoria avrà meno spazio per il nuovo.
Raccolgo l’ultima pannocchia scivolata ai miei piedi e la introduco nella tasca dove ho nascosto i sogni ma anche le paure, e domande…tante domande.

Questa è una notte speciale, una notte dalle lunghe note che m’accompagnano e che in lontananza sembrano o forse sono quelle degli angeli.
Mi chiedo se esistono. Non mi hanno mai detto, anche da bambina, se accanto a me c’è un angelo a vegliarmi.
Non lo vedo, ma ho visto mia madre, i fratelli ed altri.
Inciampo nel mio cilindro.
Ora lo indosso fino ai piedi così dormirò tutta la notte nell’attesa di risposte che forse domani il sole mi darà.

VENTO DI BAMBINA

Nella camera, lo specchio davanti a me, accoglie una figura che non sembra mia.
Chiudo gli occhi e mi sento tutta e niente, come la linea appena tratteggiata di un disegno.
Mi corico sul letto con gli occhi rivolti ad un soffitto muto. Dalla finestra aperta tu entri gonfiando impetuoso la tenda.
Poi m’accarezzi lievitando sul corpo, mentre la tua voce soffia tra le fessure.
“Dimmi quando sono nato!” mi chiedi.
Non conosco il tuo primo giorno né ricordo il mio, quando il primo vagito è stato il segno dello strappo dal grembo. Nulla era ancora scritto nella memoria.
Eppure quando mi sdraio sulle ansie, mi stringo le ginocchia fra le braccia e mi lego la testa per non ascoltarti.
“Perché?”
Ancora mi chiedi continuando ad accarezzarmi.
Non t’accorgi del tuo sibilo a volte stridente, delle voci lontane che trasporti e che si confondono con la mia.
Mi raccontano che, quand’ero in fasce, mi portavano all’aperto mentre tu soffiavi, pur sapendo del mio pianto sicuro. E ancora mi chiedi perché non voglio ascoltarti?
Quante volte nelle notti di gelo hai battuto alla mia finestra spegnendo il mio sonno, ed i cardini iniziavano a gemere! Le tue tempeste sembravano eterne, eppure ogni inverno ha una fine.
Così, al primo germoglio, ti ho ascoltato e tu mi hai donato profumi di fiori, d’erba e d’infanzia.

Di nuovo m’accarezzi tra le pieghe della tenda e sogno mia madre che mi tiene fra le braccia, ed il soffitto scompare. Il cielo corre con stormi ed io canto al suono d’arpa.
Sette note s’intrecciano in una danza speciale, quella che apre un girotondo.
Al centro sono io vestita d’oro come le mie fiabe.
I miei occhi riflettono l’alba.
Sono giovane oppure no, poco importa.
Mi sveglio con te che ancora mi soffi teneramente gli anni addosso…ed io non li sento…sono ancora bambina.

GIORNO DI PRIMAVERA

Giro l’interruttore del cielo ed il mio volto s’illumina.
Cerco i miei abiti bianchi poggiati su un cono d’ombra. Li infilo senza cura, come lo spaventapasseri che mi guarda di fronte.
Lo saluto, e da un ramo un merlo risponde prendendo il volo. Lo seguo ma urto nel mio corpo pesante.
Allontano la mia fantasia poggiandola sull’albero accanto. Tra le foglie, i raggi del giorno rasente il prato, mi scaldano i piedi.
Sono pronta alla vita se respirare quest’aria significa inoculare pensieri divini come questo, prima nascosto e poi concesso all’alba di foglie e prati.
Ora penso…decido…
Ora decido che, l’angolo che ha accolto il mio sonno, resti nel ricordo.
Sono fresca come queste che sembrano margherite ed invece sono fiori di camomilla.
Ancora ho la visione di mia madre che le raccoglieva per farne tisane…e poi le foglie di malva per decotti o prezzemolo per infusi.
Domani avrò pillole e bustine a lenire i miei dolori.
Ora però cammino col pensiero che pulsa e s’apre al giorno. Porgo le spalle al vento e lascio che mi conduca. La spinta delicata s’arruffa nel mio abito a palloncino.
Volgo lo sguardo al cielo scoprendo l’azzurro.
Questi sono giorni di primavera ed anche di ore colme di meraviglia!! Come meraviglioso è registrare il ritmo del mio cuore sul campo di trifoglio che s’aggiusta tra i piedi, e scoprirne diversi dai quattro petali che dicono porti fortuna.
E fortuna è l’essere sul bordo di questo campo di girasoli con le teste rivolte al sole in un ritmo di danza condotta dal vento.
Una nube stinge l’orizzonte mentre in alto il blu diventa intenso.
Dicono vi aleggino le anime.
La mia un giorno farà parte sicura di un coro universale, di un unico e magnifico cuore che pulsa ed emana amore.