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( Fra le fiabe premiate: Premio Andersen 1996)

 

Sotto l’ombra di una grande quercia, erano sbocciati migliaia di ciclamini. Formavano un prato dai colori tenui, dal profumo intenso e, nello stesso tempo, delicato. Alcuni bambini con i loro genitori, videro quei fiori e li colsero in grande quantità.
Il ciclamino più piccolo, che si era nascosto fra i fili d’erba, tremava di terrore, dopo aver sentito le grida dei suoi fratelli mentre venivano strappati.
- E’ passato l’uomo - sospirò la grande e saggia quercia.
- L’uomo? - chiese il fiorellino che niente ancora sapeva della vita, essendo sbocciato da poco.
- E’ l’essere più forte del creato - spiegò la quercia.
- Vorrei essere un uomo - mormorò il ciclamino, affascinato dalla prospettiva di essere il più forte.
- Se proprio lo vuoi, posso accontentarti. Però "essere il più forte" non vuol  dire essere immortale -.
- L’uomo vive più di un fiore? -.

- Molto di più -
- Allora esaudisci il mio desiderio, se davvero puoi -.
- Va bene, la prossima primavera rinascerai uomo, ma ti resterà qualcosa a ricordare la tua vita di fiore -.


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L’anno seguente, in primavera, ad una giovane coppia di sposi, nacque un bambino. Ne furono tutti felici. Il piccolo era bello e roseo, ma senza capelli, come succede a molti neonati. Dopo qualche settimana, con grande sorpresa di mamma e papà, sulla testa del piccolo, cominciarono a nascere dei ciclamini. Provarono a tagliarglieli, ma gli ricrebbero nel giro di una notte.Allora la mamma gli fece fare tanti berretti, di cotone per l’estate e di lana per l’inverno, in modo che nessuno si accorgesse di quella stranezza. Il piccolo fu chiamato Mino che poi era il diminutivo di Giacomo, ma stava bene anche per "Ciclamino". IL bambino crebbe forte e robusto, allegro e vivace, ma sempre col berretto in testa. I problemi si presentarono quando ebbe l’età di andare a scuola. La mamma gli raccomandò di non togliersi mai il cappello.
- Il bambino soffre di sinusite - mentì alla maestra - E’ bene che tenga sempre il berretto in testa -.
Mino non riusciva a capire perché la mamma avesse mentito: è sbagliato dire bugie. Pensò che fosse una vergogna da nascondere, avere dei fiori al posto dei capelli. E dire che gli piacevano tanto! Soffrì molto con quel dubbio in cuore.
I compagni, per quel cappello sempre in testa, lo prendevano in giro e Mino, per paura che gli uscisse di bocca la verità, diventò taciturno e scontroso. Perfino durante la ricreazione se ne stava in disparte e non aveva voglia di giocare. Un giorno, in classe, un compagno gli strappò via il berretto ed i suoi ciclamini respirarono di sollievo. Ma lo stupore fu tale che fu interrotta la lezione e tutti i compagni gli furono intorno per toccargli i fiori sulla testa. 
Anche la maestra restò sconvolta per quella scoperta.
Fu convocato il consiglio d classe, intervenne anche il direttore didattico ed il provveditore agli studi.
Scoppiò addirittura uno scandalo. I genitori degli altri bambini sospettarono una grave malattia e, per evitare il pericolo di contagio, pretesero che Mino fosse allontanato da scuola.La mamma di Mino si ribellò: il suo bambino era uguale agli altri ed era perfettamente sano. L’ufficiale sanitario, interpellato, suggerì di strappargli tutti i fiori, radice e rizoma compresi. Di sicuro una volta espiantato il rizoma, i ciclamini non sarebbero più ricresciuti.
Ma non sarebbe stato meglio consultarsi prima con un giardiniere?
Lo portarono nell’infermeria della scuola, gli fecero una piccola incisione e poi, con una pinza, gli strapparono un ciclamino. Il dolore fu così forte che quasi svenne, una trafitta lancinante dalla testa ai piedi; urlò con quanto fiato aveva in gola, si divincolò e scappò dalla scuola. Lo inseguirono, ma correva così forte che non riuscirono a raggiungerlo.

Mino corse così tanto che uscì dalla città e raggiunse il bosco. Qui rallentò il passo e, camminando per il sentiero fra gli alberi, gli passò la paura, quel luogo gli pareva familiare. Provò una forte emozione, quando vide un intero prato di ciclamini, sotto una grande quercia. Con stupore intese il loro linguaggio.
Gli domandarono: - Come stai, fratellino? Come si sta fra gli uomini? -.
Si confuse talmente che non seppe rispondere. La quercia piegò i rami verso di lui, invitandolo a salire. Mino comprese il suo linguaggio nel sussurro delle foglie. Salì e trovò un bel posto dove mettersi comodo.
Disse: - Non mi piace essere un uomo. Preferirei essere un ciclamino -.
- E’ proprio vero - rispose la quercia - che a questo mondo non siamo mai contenti -.
- Gli uomini sono cattivi e ingiusti - infierì il ragazzo.
- Non tutti. Ma molti hanno dimenticato di essere fratelli e si sono ammalati di 
egoismo. E’ una malattia che toglie il rispetto degli altri ed alla fine anche per se stessi - spiegò la quercia.

- Si può guarire? -
- Basta volerlo. Se si vuole, c’è una magia che può aiutare a guarire. Quando si è in disaccordo con qualcuno, per un motivo qualsiasi, basta chiudere gli occhi e mettersi al posto dell’altro, domandandosi chi dei due sia più degno di rispetto.
- Se la maestra, i miei compagni e tutti gli altri si fossero messi al mio posto, avrebbero capito che merito rispetto.
- E’ importante che tu, per primo, abbia rispetto di te stesso.
- Il bambino si sentiva stanco e un po’ confuso e si addormentò.


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I ciclamini, sotto la quercia, strillarono impauriti, perché Lalla, una bambina, si accingeva a raccoglierli.
Mino si svegliò e saltò giù dall’albero.
- Se li strappi, li uccidi! Non farlo, fermati! - gridò
- Non strappo le radici: l’anno prossimo rinasceranno.
- Ma accorci la loro vita - insisté il bambino. 
- Li metterò nell’acqua e vivranno più che nel prato.
- Ma saranno più infelici. 
- Non è vero - strillò Lalla - Saranno contenti perché li regalo alla mia mamma che è a letto malata.
Mino chiuse gli occhi. Si immedesimò fino a sentire i sentimenti della bambina: quei sentimenti meritavano rispetto.
- Va bene - decise - Prendi i ciclamini che ho sulla testa. Anzi tira finché vengano via radice e bulbo.
- Sono i tuoi capelli: ti farei del male, non posso.
Mino pensò che Lalla era stata capace di mettersi al posto suo. Allora cercò di insistere e le confidò la sua pena.
- Nessuno mi vuol bene, per via dei miei ciclamini. E la mia mamma mi fa tenere sempre il berretto in testa, per nasconderli. Se me li strappi, mi fai un favore.
La bambina si convinse: tirò e strappò con forza, mentre Mino stringeva i denti per non urlare di dolore.
Cercò di mettersi nei panni di coloro che lo avevano, in qualche modo, "condannato" a quel supplizio, ma c’era qualcosa che non lo persuadeva.
I ciclamini, sul prato, strillarono: - Se li fai strappare, non capirai più il nostro linguaggio, nemmeno quello della quercia...
Giusto, la quercia... Si era addormentato sulle sue ultime parole. Di colpo gli tornarono in mente: quanto rispetto avrebbe avuto di se stesso, senza i ciclamini sulla testa? Si chiese Mino.
- Fermati! - ordinò alla bambina.
- Te ne è rimasto uno solo - si rammaricò lei.
Intervenne la quercia: - Quanto basta -. E solo Mino la comprese.
- Non preoccuparti - disse a Lalla - Me ne basta uno solo.
E la bambina se ne andò via contenta.
                                       

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Forse a Mino, col tempo, sarebbero nati dei veri capelli, o forse no, non é importante. Ma quell’unico ciclamino gli sarebbe rimasto sulla testa, a ricordargli l’insegnamento della quercia. Più tardi, ritornando a casa, dove la mamma lo aspettava preoccupata, mentre gli altri ancora lo cercavano ed erano pentiti, drizzò la testa senza cappello, ciclamino al vento.

Mariella Plumeri Caterini alias Marzia Plumeri

La fiaba è stata tratta dal sito- sezione favole

 

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