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Emiliano Bertocchi
22 anni, Romano, studente universitario. Per contatti e.bertocchi@tiscalinet.it


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Storia di una sbronza

di Emiliano Bertocchi

 

 molliche di pane in fila distese sul tavolo. accanto ad un giornale sporco di caffè. odore di chiuso e sigarette nella vacuità circostante. io disteso sul letto spoglio e vuoto di qualche stanza. gli occhi gonfi di sonno. il tempo che trapassa le imposte della finestra e cerca di venirmi a svegliare. ma io sono da un' altra parte. il mio corpo è lì immobile, stanco, incoerente fino all' ultimo, deciso ad aspettare. il telefono non è più in funzione, la cassetta delle lettere è piena di volantini e quindi è come dire che fosse vuota, i vestiti sono sparsi un pò ovunque e c'è in questo momento una sensazione di attesa che aleggia disinvolta nell' aria che non posso più respirare. il mio corpo è supino, non riesco a svegliarlo, vorrei provare, ma mi sento come immobilizzato in un luogo che non riconosco o che non ho mai conosciuto. la stanza è semibuia, proprio come piace a me, e la temperatura è quella ideale per fare qualsiasi cosa. morire amare fumare parlare scopare guardarsi negli occhi e rimanere in silenzio.

 

CITTA'  DEL  MESSICO

apro gli occhi alla luce del sole.

mi ferisce la luminosità, l' oro, il riflesso azzurro del sole ma sono ferite da cui non vorrei mai guarire. mi alzo dalla panchina.

un vortice mi svuota lo stomaco di ogni possibile decisione. mi giro e vomito accanto alla panchina. la testa è leggera, non c' è rimasto più niente dentro. e mi viene da sorridere a questo pensiero. è così buffo. chissà che forma hanno i pensieri nella nostra mente o le emozioni e la forma dell' amore quale può essere. forse non hanno forma forse sono elementi gassosi che galleggiano nella scatola cranica e poi si condensano un pò come le nuvole e quando parte un fulmine allora arriva il pensiero dentro di noi e allora ci rallegriamo di essere così perfetti e la vita ci appare così naturale. un prodotto della nostra intelligenza. ma nella mia testa, invece di nubi e lampi è rimasto un profondo e caldo deserto, dal quale ho estirpato nel corso degli anni e con molta cura varie manifestazioni dell' agire umano. la competizione la vittoria il successo la verità la soddisfazione e le parole. soprattutto le parole. demoni travestiti. l' inferno di ogni uomo è nelle sue parole.

mi alzo comunque. per veder cosa ho intorno. mi sembra di essere in un parco. e l' aria è calma e confortante. i bambini mi girano intorno giocando. mi tocco la faccia. è ruvida. penso chissà come è la mia faccia. cioè come la vedono gli altri. sono parecchi giorni o forse settimane che non mi guardo in uno specchio. comunque sia, i fatti non sarebberro cambiati. ma quali sono i fatti? non ne ho la più che minima idea. è tanto per pensare qualcosa. anzi a dire la verità non so neanche dove mi trovo, voglio dire in che città o cosa ci sia venuto a fare, o forse non mi sono mosso, ma questo parco nella mia città non l' ho mai visto. comunque la cosa non mi interessa. mi sento stanco dopo solo cinque minuti che sono in piedi. la vita. la candela che brucia. mi rimetto a sedere. mi guardo le scarpe. vicino al mio piede, anzi alla mia scarpa mi sembra di vedere un giornaletto porno, lo prendo. lo apro e lo sfoglio. interessante. era un pò di tempo che non vedevo una bella fica. da vicino voglio dire. e a pensarci bene devo dire che mi mancava. anzi mi era sempre mancata. e lì su quelle pagine vedevo una scopata dietro l' altra e donne che succhiavano cazzi e uomini che leccavano fiche e posizioni sempre più assurde ma quelle persone mi sembravano stranamente consapevoli di quello che stavano facendo, e forse il pensare di sopravvivere, di guadagnare soldi scopando o masturbandosi li doveva in qualche modo far sorridere e sollevarli dallo stato di apatia e dolore nel quale era caduto la gran parte delle persone. e mi venne da pensare che la pornografia era la nostra vita. o per lo meno il modo in cui la stavamo sprecando o vendendo. al migliore offerente. comunque.

lascio il giornaletto sulla panchina. accanto a me. come un mio amico.

mi alzo. di nuovo. ho voglia di fare un giro per il parco. ma appena in piedi vedo dietro la panchina un prato così pulito e verde e calmo che non resisto. faccio alcuni passi, supero la panchina, mi porto proprio nel centro luminoso del verde, lascio cadere i miei pensieri e mi sdraio. di nuovo ho solo l' azzurro caldo negli occhi e mi chiedo se questo sia il paradiso.

rimango disteso. in pace. ascoltando senza capire quello che accade intorno. mi metto un braccio sugli occhi. e il nero che mi ricopre è rassicurante. cerco di riaddormentarmi un poco. cerco di rilassarmi. di lasciarmi andare. inizio a sentire anche un poco di caldo. mi levo la giacca. la appallottolo. e me la metto sotto la testa. come un cuscino. che meraviglia. che perfezione. ma che posto è mai questo? sono così tranquillo. e appacificato con il mondo. non mi sembra reale. è un angolo di sicurezza. un misterioso frammento di pace. mi accomodo sempre meglio. mi stiro. mi giro. ed ho sempre nel corpo questa sensazione di benessere. è fantastico. sento una voce cantare "nella meraviglia del mondo non è possibile concentrarsi". poi la voce si allontana e non riesco più a sentire le altre parole della canzone. che comunque mi pare di non avere mai conosciuto. pazienza. nel mondo esistono milioni di cose e di persone di cui non avrei saputo mai nulla. era la vita. meglio non pensarci. meglio restare sdraiati a dormire. e lasciare scorrere il tempo. meglio farsi come amica la noia. piuttosto che cercare di trovare sempre qualcosa da fare. sento la gola secca. il sole si sta alzando. è meglio che cerchi qualcosa da bere. mi alzo. raccolgo la giacca. me la metto in mano. e mi incammino per il parco. ora nasce un problema.

 

SOLDI

mi metto una mano in tasca. in quella dei pantaloni. in quelle della giacca. ma niente. non c'è niente. tranne qualche sigaretta. un accendino. una scatoletta di fiammiferi. cazzo i soldi. non ho un cazzo. per comprare da bere. si intende. forse anche qualcosa di differente mi sarebbe servito. ma a suo tempo. ora il mio unico bisogno è di bere qualcosa. a scuola avevo imparato che per ogni problema c' era una soluzione. soprattutto nella matematica. è per questo che non l' ho mai sopportata. è la questione delle soluzioni. io sono incapace a trovare soluzioni. mi bastano i problemi. però questa volta sono costretto a muovermi. si capisce. sono senza soldi. soluzione. mi metto a chiedere la carità. forse qualcuno si ricorda di essere un uomo, mi vede in difficoltà e mi fa dono di una parte del suo denaro. molto improbabile. ma ci provo. è una cosa che ho sempre desiderato fare. alle persone piace sentirsi superiori. la carità non è altro che egoismo. a meno che non sia io a farla. io la faccio, quando posso permettermelo, perchè sento una unione con quelle persone silenziose in ginocchio con gli occhi bassi, che aspettano i soldi per arrivare alla notte. per arrivare alla loro morte. il più tardi possibile. per strappare ancora alla vita una piccola illusione che non sia di dolore. mi metto inginocchiato per terra. con gli occhi bassi. le mani stese lungo i fianchi. e aspetto. aspetto la carità. aspetto l ' altruismo e la fratellanza umana. aspetto. in silenzio. come un santo. un idiota. un umile servo di dio. ma la mia attesa non è ricompensata dalla benchè minima fortuna. nessuno ha gettato o posato davanti a me qualche soldo. l' indifferenza mi è passata intorno più volte. tirando avanti. ma io sono deciso e continuo ad aspettare e mentre lo faccio perdo sempre di più il contatto con la realtà e credo di entrare in una sorta di meditazione e inizio a ricordare. qualcosa. qualcosa di quando ero giovane. e anche allora mi piaceva aspettare o forse ero costretto a farlo. e mi mancavano le ragazze e la fortuna e il successo e la tranquillità. e desideravo di poter passare ogni notte del mio futuro con una donna diversa. e con ognuna di loro avrei voluto ridere e scopare e fargli vedere quanto fossi spiritoso se preso per il lato giusto. e mi vengono in mente i volti di quelle persone che credevo mi restassero accanto per tutta la vita. credevo in un legame magico tra me e loro. e ci sono stati dei momenti di sconforto. intorno ai ventanni mi sembra. in cui tutto era così confuso e io ero letteralmente sommerso da una insolita forma di pazzia che mi danzava nel cervello. e credo di aver fatto in quel periodo molte cose senza senso. soprattutto perchè un senso mancava alla mia vita. e tutto quello che volevo era una ragazza con cui poter dividere il mio letto. ma ancora non lo sapevo. e mi affannavo dietro all' inutilità di ogni azione che mi distoglieva dal mio più profondo istinto vitale. l' amore. ma ora sono passati anni e alla confusione, alla follia di allora si è aggiunta quella di oggi, quella di ogni giorno che passa e mi lascia stordito, ma ora sono diverso in un modo differente. ora ho smesso di preoccuparmi. ma questo è solo l' inizio di un altro drammatico viaggio nell' esistenza. qui siamo in un' altra parte. qui siamo. e io sono sempre inginocchiato. e i pensieri si sono sciolti improvvisamente. e io non so quanto tempo è passato. so solo che sono ancora in questa posizione. con gli occhi abbassati. e gonfi. con la sete che aumenta. basta. affanculo i soldi e la carità. basta. mi sono rotto. mi alzo. senza aver guadagnato niente. senza aver perso niente. solo più vecchio di qualche ora. solo più stupido e solo. senza nulla da perdere. ora sono in piedi. mi incammino guidato dal caso.

e giro per le stradine del parco. facendo un gioco che mi faceva sentire speciale quando ero ancora un ragazzo. camminare fra le persone senza guardarle mai negli occhi, anche se ci sbatti contro o se ti ci fermi vicino. tirare dritto con gli occhi persi a mezzaria, con aria indifferente come se possedessi un segreto che ti rende migliore di tutti gli altri. è stato questo il mio peggiore difetto per molti anni. sentirmi il migliore. ma la vita ha trovato sempre la sua fantasiosa maniera per mettermelo nel culo. ormai ci ho fatto l' abitudine. comunque mi trascino in questo modo fra la gente, fino a quando non sono stanco di nuovo e mi siedo accaldato su una panchina. differente e uguale a quella sulla quale mi ero svegliato.

 

LA TEORIA DEL CAOS

bene. la vita è governata dal caos. la vita è semplicemente dolore e angoscia. ma ha i suoi trucchi. per farti andare avanti. per farti continuare. quindi la felicità è l' eccezione che conferma la regola. la felicità è l' illusione che ti fa vedere la vita come potrebbe essere e non sarà mai. ed è questa contraddizione che spinge gli uomini verso la follia. o per lo meno ha spinto la mia mente ad impazzire o forse a raggiungere un più alto grado di conoscenza. o di idiozia. non ho termini di paragone con cui confrontarmi. comunque sia è il caos che guida le nostre scelte, l' amore, la fortuna e tutto il resto.

 

IL VINO

che strani pensieri mi sono passati nella testa mentre sono stato seduto. è molto tempo che non ascolto più la mia mente. credo che sia morta alcuni anni fa. in un tragico incidente d' amore. mi piacerebbe pensare. comunque non mi ricordo cosa sia successo. e non lo voglio neanche sapere. cristo di un dio, sono seduto qui a pensare e invece dovrei starmi a scolare una bella bottiglia. ho così sete. perdio. devo fare assolutamente qualcosa. la morte aspetta sorridendo le vittorie dell' uomo.

 

cosa hai detto amico? si parlo con te che mi stai fissando. perchè mi dici queste cose? io non le capisco. io sono un fallito. perdi il tuo tempo in un altro modo. ma smettila di guardarmi ti prego. lasciami andare. liberami dai tuoi occhi.

 

e il tizio con gli occhiali continua a fissarmi. ma chi cazzo è mi domando. mi sta innervosendo. è immobile e fisso nei miei occhi. distolgo lo sguardo. sono un vigliacco e non voglio problemi. lui allora si decide e si avvicina. mi si ferma davanti. tira fuori dalla tasca un pò di soldi e me li mette nelle mani. le sue sono fredde. strano penso. è una così bella giornata.

" io ti conosco" mi dice.

poi si gira e se ne va chissà dove. e questa è la teoria del caos.

mi metto i soldi in tasca. mi alzo e una strana euforia mi trattiene lo stomaco. che sensazione lontana. dove sono stato in tutto questo tempo? dove sono ora? e soprattutto dove è un negozio di liquori?

cerco l' uscita del parco. forse ce ne sono due penso. o forse migliaia e allora a cosa serve pensare dove sia l' uscita? mi allontano. vagando. seguendo la strada. seguendo quella strana forza che ci sospinge quando non abbiamo più la forza di andare avanti. l' inerzia di vivere. la nostra ultima e precaria risorsa. e giro e cammino e vago. e il sole è ormai alto forse le tre del pomeriggio forse le quattro forse nessuna di queste ore forse è notte e io sto sognando che sia giorno non c'è nulla che mi dia sicurezza non c' è  nulla a cui possa aggrapparmi. mi lascio andare. lascio andare le gambe. fino a quando saranno stanche e io dovrò fermarmi.

continuo a camminare. con gli occhi bassi. guardando ogni tanto i bambini che giocano e mi sorridono. e le bambine, così innocentemente stupende, correre nei loro vestiti di carta. e cammino seguendo queste stradine di terra battutta che si distendono sotto i miei occhi. e inizio a pensare che il parco deve essere enorme. ancora non ho visto un ' uscita. una via di uscita. forse dovrei fermarmi e chiedere a qualcuno.

 

INTRUSIONE

"Vorresti dirmi di grazia quale strada prendere per uscire di qui?"

"Dipende soprattutto da dove vuoi andare" disse il Gatto

"Non m' importa molto" disse Alice

"Allora non importa che strada prendi" disse il Gatto

 

DOMANDE

cosa cazzo hai detto? Alice? un gatto? guarda che la panchina dove mi sono fermato è vuota. anzi a dire la verità non so neanche io perchè mi ci sono fermato. e poi quelle strane parole nella mia mente. ma che cazzo è successo? cosa significa? perchè non riesco a uscire da questo maledetto parco? voglio solo trovare qualcosa da bere. adesso ho anche i soldi. ma Alice... cristo questo nome mi ricorda qualcosa. Alice. dove...

alzo gli occhi. è quasi sera. è quasi il tramonto. cristo. una bella sorsata. è il momento più bello di tutti questo e io sono qui. sul baratro della follia. ho avuto una visione. direi. non c' è altra spiegazione. ma spiegazione a cosa? cosa dovrei spiegare? forse io ero Alice? forse io sono Alice. e il gatto? il gatto forse è la mia mente. allora mi sono domandato e risposto da solo? forse. l' incertezza è ovunque. l' incertezza è la vita. meglio così. basta. è meglio che mi rincammini. non vorrei svegliarmi di nuovo su una di queste panchine domani mattina. riabbasso lo sguardo. sono di nuovo in cammino. ora l' aria è fresca. e il cielo sta diventando di quel colore che piace a me. e io sono troppo agitato e ho troppe domande per un' ora come questa. sembra che sia tornato indietro di ventanni. silenzio. lascia riposare la testa. silenzio e passi. i miei. silenzio e voci di uomini e bambini che si preparano per tornare a casa. chiudo gli occhi. buio e tranquillità. sono di nuovo io. sono di nuovo la memoria di me stesso.

 

SBRONZA

esco da un locale. non so come si sono arrivato. non so perchè ora sono uscito. forse ho finito i soldi. forse mi hanno cacciato perchè infastidivo i clienti o qualche bella signora. sono ubriaco.

...una certezza che ti vuota la testa...

mi gira tutto. i passi sono incerti. barcollo. non mi preoccupa molto il mio apetto. anzi mi fa piacere che mi vedano così. loro. mi fa sentire importante. differente. migliore forse per un attimo.

...la sintesi è che la vita è una merda...

un passo dietro l' altro. a caso. così come capitano. leggero. mi trascino. vagando. guardando le persone finalmente negli occhi. ridendo. sentendomi stranamente allegro. disposto a parlare. ad aprirmi. a raccontare quel dolore che ormai mi accompagna da anni. è notte. tra un' onda di disattenzione e un' altra. e la gente mi scivola accanto. e io regalo sorrisi. e urlo. e grido. e canto. e sembra tutto uno spettacolo così divertente. e dico un parola a quello e sorrido ingenuamente a quella ragazza appoggiata a un muro.

...domani sarà tutto finito...

e cosa ci posso fare. è la vita. domani viene sempre. e ogni cosa ogni volta finisce. e ogni volta si muore e si rinasce. bisogna farci l' abitudine. bisogna provare a non trattenere nulla. ma io non riesco neanche a trattenere tutta la roba che mi sono bevuto. mi sale una botta alla testa. mi viene su tutto. mi piego in due. vomito tutta la mia allegria sulla strada. vomito le parole leggere e gli sguardi carichi di sensualità. vomito la mia felicità e il riposo di alcuni momenti trascorsi senza soffrire. mi sento uno schifo. mi sento svuotato e povero. mi sento una vera merda ambulante. mi passo una mano sulla bocca. mi devo sedere. mi devo fermare. ma sono fermo. e tutto si muove e mi trascina lontano e chiudo gli occhi e mi lascio andare e sento le gambe muoversi e lo stomaco muoversi e mi ripiego in due e lascio di nuovo che gli ultimi istanti di consapevolezza cadono caotici e inorriditi dalla mia bocca. non so dove sono. voglio solo chiudere con tutto. voglio solo sdraiarmi e porre fine a tutto. mi lascio cadere.

 

IN QUALSIASI POSTO LONTANO DA QUI

non sento più nulla. gli occhi sono aperti ma è tutto buio. il mio corpo è immobile. la testa è così sensibile. ma per fortuna non c'è nessun rumore a disturbarla. che strano. questa quiete mi ricorda qualcosa. mi ricorda di quando da ragazzo mi svegliavo dopo essermi ubriacato. e certe mattine la cosa era insopportabile. perchè la testa mi martellava e io non potevo soffrire nessun rumore. nè le parole. nè la musica. nè il mio respiro e poi a volte mi riaddormentavo e strani giochi faceva la mia mente. e si allontanava da sola e io rimanevo lì disteso. nella mia camera semibuia. con un odore di sigarette e chiuso per il resto della casa. e molliche di pane dolcemente distese sul tavolo. indifferenti come sempre a quello che le circondava.