Meste Peppe

(ritratto di un uomo qualsiasi)

di Vito Nicola Mastromarino

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L'autore è nasce a Massafra (ta) il 23 gennaio 1977, studia giurisprudenza a Lecce e si diletta nella scrittura di brevi racconti con contenuti a volte polemici, a volte divertenti, a volte molto forti. Ha collaborato alla realizzazione di alcuni giornali scolastici e universitari ma non ha grandi ambizioni come scrittore. Per contatti inviare e-mail a vitonicolamastromarino@yahoo.it

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Meste Peppe era stato un barbiere bravo a suo tempo, o forse, più che bravo, di certo uno dei primi del paese quando contava solo cinquemila anime.

Ora quel paese non è più così piccolo. Qualche industria, lo sviluppo del dopoguerra hanno formato un medio centro cresciuto all'ombra dell'Italsider, grande mostro produttore d'acciaio e divoratore di natura.

Ma Meste Peppe è sempre lì, sempre in quella piazza di paese, da oltre quarant'anni, sempre in quella piccola stanzetta acquistata con sacrificio dagli usurai, all'ombra del campanile dall'orologio non più preciso come un tempo, un po' come lui...

Da quarant'anni per lui la vita è sempre quella, quella di un barbiere che tra barbe e capelli sa i fatti di tutti ma li tiene per sé chiudendoli, come il confessore, in una cassaforte mentale, senza chiave.

In effetti Meste Peppe è alquanto taciturno e lo è sempre stato, lui con tutta la sua saggezza popolare, di un popolo mediterraneo che, a volte, capisce che l'uomo è stato creato con due orecchie ed una sola bocca, proprio per ascoltare almeno il doppio di quanto parla.

Purtroppo non tanti prendono esempio da lui, neanche quel suo socio che ebbe per dieci anni, dal sessantadue al settantadue, quel periodo d'oro, quando il Comune era in quella piazza e persino il Sindaco non disprezzava di andarsi ad appuntire i batti e riordinare quei quattro peli sulla testa prima del consiglio comunale.

E lui lì, ad ascoltare.

Anche Don Antonio, prete colto, molto colto ci andava allora, un giorno sì ed uno no; nonostante la sua cultura, non riusciva a farsi al barba da solo. Grande oratore Don Antonio, non risparmiava prediche neanche al garzone che spazzava i capelli sul pavimento. E lui lì, ad ascoltare.

Proprio un periodo d'oro per gli affari. A Meste Peppe, però, quella confusione infastidiva; il denaro gli interessava, è vero, ma non più del necessario, e poi tutta quella gente politicante di provincia e salmodiante giaculatorie non gli era mai piaciuta.

Meste Juanne, il suo socio, poi, ci navigava con gusto nei discorsi clerical-politici di quel periodo democristiano.

Grazie alla D.C. e a Don Antonio mandava già due figli all'università, a Roma, facendoli ospitare da un collegio di preti.

Ma Meste Peppe non ha mai avuto figli, né moglie, chiuso in sé come un riccio, forse, non ne aveva avuto bisogno nemmeno da giovane, figuriamoci ora...

E poi, per quei bisogni giovanili, qualche commara si era trovata a suo tempo, ma gli anni cancellano tutto e tra una insaponatura e l'altra anche l'esperienza più forte era stata lavata.

Il tempo distrugge anche gli affari e il locale non è più quello di un tempo; l'azzurrino delle pareti è ormai fuori moda e quella pianta in un boccaccio d'acqua, addirittura, di cattivo gusto. I suoi clienti, ormai sono solo i vecchi del circolo ex-combattenti e il cavalluccio in plastica per i bambini più irrequieti non ha piccolo cavalieri da quasi quindici anni.

E Meste Peppe invecchia col suo mestiere e, ogni giorno, tra un taglio e l'altro, taglia pure i suoi ricordi, tra un'insaponatura e l'altra lava pure la sua vita, ma se vuoi, sta sempre lì, ad ascoltare.

 

1997

 

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