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Davide Valentini, 32 anni, lavora e studia per l'Universita'
di Bologna, e ha appena cominciato a scrivere racconti dopo averlo
desiderato da tempo...
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Waltzing
matilda
Appena arrivato a casa, chiusa
la porta (spingendoci bene contro con la spalla, visto che la bastarda faceva di
solito finta di chiudersi per poi riaprirsi un paio di secondi dopo che mi ero
voltato), mi sono diretto con tranquillità ben dissimulata, di modo che anche
il me stesso più cosciente ne fosse ingannato, verso lo sportello aperto del
frigorifero.
La preoccupazione che il defrost ritardato (di almeno 6 mesi) avesse finito con
lo spaccare tutto, che il ghiaccio si fosse nel frattempo espanso nello
scomparto frigorifero fino a stritolare sportello, pareti e tutto lo
stritolabile, si era ovviamente rivelata tanto superflua quanto fondata. La
celletta frigorifera, così come la antica pizza ex-surgelata di Alain, era da
buttare. O meglio, Frau Sigrid Bleimeister ce l'avrebbe scalata dall'obolo
mensile che la Santa Carità dei Ricercatori Vergognosi ci versava in cambio di
un paio d'ore di chattata vespertina.
Con la testa finalmente degnatasi di lavorare a un livello più pragmatico del
solito, ho allungato la mano destra verso ciò che rimaneva della roba (mi
rifiuto di chiamarla cibo) che i fantasiosi ingegneri alimentari tedeschi
avevano partorito, probabilmente durante uno sforzo evacuatorio particolarmente
difficile o subito dopo uno di quei favolosi rutti gassosi che solo i figli di
questo popolo sanno produrre.
Vuoi questa paternità incerta, vuoi la consapevolezza interiore dell'effetto
portentoso (in male, ma forse anche in bene, chi lo sa, qui siamo in Pomerania,
a venti chilometri dal Baltico) che due ore di caldo umido di Benares, di
effetto serra da forzata assenza di elettricità potevano produrre sul contenuto
di un frigo piccolo standard, versione amatoriale di quelli in dotazione ai
container umbri (solo che noi ce l'eravamo cercata), cercavo il più possibile
di non essere consapevole di quello che stavo facendo, alla ricerca tattile di
qualcosa di vagamente masticabile.
Per alleviare ancor più il peso di questa esperienza, la mia mano sinistra l'ho
contemporaneamente diretta, come vera e propria azione diversiva, verso la
bottiglia di vino bulgaro che era rimasta sul tavolo dalla cena, a versarne
almeno un paio di centimetri nel calice opaco di untume, assorbito dall'aria e
impressovi dalla serie completa di impronte digitali che ci avevo lasciato, in
caso mi fosse venuta voglia di uccidere qualcuno (idea poi neanche tanto
strampalata, voglio dire, non peggio di tante altre stronzate che si fanno
quotidianamente. Amen.) e avessi voluto facilitare il lavoro di qualche Maigret
casalingo con la perspicacia di un cubetto di porfido e, in ordine di
importanza, una partita in video e una moglie nel letto che aspettano a casa.
Il vino faceva schifo esattamente come aveva fatto schifo qualche ora prima, né
più ne meno. Finalmente una certezza.
La diversione comunque ha funzionato. Non mi sono quasi accorto di avere preso
in mano un Bratwurst crudo, di quelli bianchi, che conservano per chiunque un
aspetto vagamente repellente per almeno i primi due mesi di vita teutonica.
Poi passa.
Come non mi sono subito accorto della piccola macchia nera in rilievo sulla
superficie lucida e umida, nonostante il contrasto di colore con la salsiccia
bianca. Appena poi ci ho fatto distrattamente caso, l'ho archiviata come
"grossa briciola di pane al burro bruciata", nella apposita casellina
cerebrale deputata a contenere le grosse briciole di pane al burro bruciate. Il
sapore dolciastro e malato del vino del Donautal non mi permetteva altre
disamine. Tratteneva egoisticamente tutta l'attenzione per sé.
Poi, presa la decisione di cibarmene, nell'atto di cicchettare via la briciola,
mi sono accorto che non era una grossa briciola di pane al burro bruciata, ma un
paffuto moscone morto paralizzato che giaceva, anatomicamente perfetto, zampe
all'aria, appiccicato alla gelatina del wurst, e andava perciò archiviato nella
casellina cerebrale deputata a contenere i paffuti mosconi morti paralizzati.
Espressione di disgusto.
Dito bloccato nell'atto dello schicchero.
Il tempo che si ferma per la durata di un battito d'ala, di mosca magari (Dio,
come sono ironico).
E poi io che la schicchero via e la osservo rotolare rigida sul pavimento umido.
Il pavimento umido, il wurstel umido, il bicchiere umido, la bottiglia umida, e
anche tutto il resto umido. Oggi. Venerdì. Il 14 di Giugno.
Alla periferia di una cittadina della Germania Est. Collocazione temporale e
geografica certa, per la collocazione mentale mi appello alla domanda di
riserva.
Me ne sono stato lì per un po' con il Bratwurst in mano, guardandolo riflettere
lui, glauco, la luce giallastra della lampadina e quella lattiginosa delle 3 del
mattino boreali, attendendo invano che qualcosa finisse. Che ho fatto poi ?
Poi l'ho cotto e me lo sono mangiato.
Waltzing matilda, waltzing matilda,
You'll come a waltzing matilda with me...