• "LA CITTA' DELLE SCIENZE" La Reverie di Bion e la Rêverie di Bachelard

     

     In un momento in cui si parla di crisi della psicoanalisi, forse può avere un senso rileggere i percorsi di due autori (W.R. Bion e G. Bachelard) che, pur solitari nelle loro costruzioni scientifiche e pur operanti in discipline diverse (psicoanalisi, epistemologia), elaborano, a partire dal grande tema novecentesco della crisi della Ragione Assoluta, della Realtà Assoluta e della sovranità del Soggetto, modelli nuovi di conoscenza con significative analogie, la più eclatante, ma non unica, la rêverie.

    Ho esitato molto, prima di proporre questo intervento sulle intersecazioni tra la teoria bioniana e quella di Bachelard, poiché mi sembravano prevalenti i fattori contrari alla presentazione del lavoro.

    Mi sconsigliavano in particolare:

    - la difficoltà ad effettuare un discorso epistemologico, per di più attraverso sintesi, schematizzazioni e confronti: tutti processi richiedenti delle semplificazioni falsificanti pensieri in origine più sfumati e più articolati:

    - la consequenziale prevedibile reazione di perplessità di chi ascolta, accentuata anche dalla percezione di un narcisismo del relatore connesso al "sapere intorno" ed in particolare al sapere intorno alla scienza;

    - la non immediata, evidente utilità clinica di tale discorso epistemologico.

    Peraltro il recente articolo di G. Goretti (1996) sul difficile tema epistemologico del soggetto in rapporto all’oggetto, collegandolo alla necessità di riconsiderare l’ambito di "senza memoria e senza desiderio"; la precedente analisi della crisi del soggetto assoluto di L. Nissim Momigliano (1992), nonché l’ipotesi di A. Miraldi (1996) di guardare alla crisi della psicoanalisi in una più ampia prospettiva della crisi delle scienze, mi hanno fatto pensare che potrebbe, invece, essere di qualche utilità confrontare i percorsi di Bion e Bachelard, considerandoli come ricercatori che, proprio a partire dalla crisi generale epistemologica del Logos-Ragione Egemone (Ragione e Realtà Assoluta e specularmente Soggetto e Oggetto Assoluti), sviluppano, con creatività commovente, lo studio di nuove aree ed atteggiamenti mentali ai quali corrispondono radicali mutamenti dei modelli del conoscere. Modelli nuovi nei quali il conoscere è processo continuo in mutamento, ed in esso la psicoanalisi si inserisce sia con una propria specificità, come ogni scienza, sia come inevitabilmente partecipe dei problemi e modelli di tutte le Scienze, all’interno della casa comune del conoscere scientifico che Bachelard chiama la "Città delle Scienze". La crisi stessa della psicoanalisi in tal senso non è solo un problema specifico della psicoanalisi, ma momento che la fa partecipe della più generale crisi del sapere scientifico.

    Ricondurre un autore o una scienza (siano essi Bion o Bachelard, la psicoanalisi o la filosofia delle scienze) alla più generale "Città delle Scienze", ossia ad un contesto di modelli scientifici più ampi, modalità metodologica specifica della sociologia della conoscenza e della epistemologia storica di Bachelard, significa pensare, anche, che non vi è crisi solo della teoria psicoanalitica, ma che la crisi "della Ragione egemone" include e trascende la psicoanalisi. Forse la psicoanalisi si trova ad affrontarla posticipatamente rispetto ad altre scienze quali ad esempio la fisica, in relazione al suo porsi storicamente già nel declino del positivismo e perciò più aperta ad un nuovo modello di pensiero.

    Negli anni ottanta cercando di utilizzare la sociologia della conoscenza, al fine di individuare variabili caratterizzanti la costruzione del modello del Sé, inteso come espressione di un più ampio modello teorico diversificantesi dalla divinità freudiana del Logos-Ragione, rilevai con interesse che la reverie di Bion (1962) aveva un antecedente significativo nella "Poetica della rêverie" di Bachelard (1960), opera quest’ultima che costituiva quasi una summa di diversi lavori di tale autore sulla rêverie, iniziati nel 1938. Tale analogia di tematica, come la quasi sincronia delle date della "Poetica della rêverie" di Bachelard e dell’opera di Bion non costituiscono un fatto curioso ma sono, credo, un chiaro esempio dell'assunto epistemologico bachelardiano che "non esiste il lavoratore solitario: il lavoratore isolato da solo non avrebbe trovato niente, ma il soggetto della scoperta è "la Città delle Scienze", di cui sono partecipi gli scienziati che si occupano di un problema, problema peraltro non libero, ma specifico dei modelli della cultura dell'epoca (la "Città delle Scienze" di Bachelard è stata spesso messa in relazione al "terzo mondo" di Popper).

    Dal punto di vista della "Città delle Scienze" o di un’epistemologia storica hanno una scarsa rilevanza la priorità fra autori o la somiglianza di espressioni linguistiche quali "com'è senza attenzione così spesso è senza memoria " o " sogno senza sognatore", formulazioni che nella "Poetica della rêverie" di Bachelard sembrano quasi anticipare il linguaggio bioniano.

    Credo invece di qualche significato il fatto che Bion e Bachelard (1884-1962) abbiano entrambi una duplice formazione scientifica ed umanistica:

  • - il primo, storico, professore di francese, medico e psicoanalista;

    - il secondo, chimico, fisico, filosofo, professore di filosofia della scienza alla Sorbonne (dal 1940 al 1954), cultore di letteratura, arte e psicoanalisi.

    Bachelard ha formulato un’epistemologia di conoscenza tesa a recepire il mutamento della fisica, individuando proprio nella psicoanalisi uno strumento essenziale per il divenire del pensiero scientifico soprattutto della fisica e della chimica, e non solo della letteratura o delle arti.

    Alcuni suoi temi, veri punti di rottura rispetto al razionalismo assoluto, all’empirismo, al neo positivismo, al convenzionalismo, saranno ripresi dall’allievo Althusser, da Derrida e Foucault e proprio attraverso questi ultimi utilizzati dal Miraldi (1996) in "Crisi o declino della psicoanalisi in una prospettiva più ampia": tutti vertono su come muti la conoscenza a partire da una generale crisi della ragione egemone (non a caso Bion cita Poincarè, che fu uno dei primi, ma non il primo, di quell'epistemologia francese impegnata nel porsi tale domanda, domanda condivisa dallo stesso Bachelard, però con divergenza nelle risposte).

  • A partire da questo comune interrogarsi e da questa analoga duplice formazione umanistica e scientifica, Bion e Bachelard elaborano modelli teorici assai complessi e di elevato livello di astrazione, coordinando sempre il vertice poetico e scientifico, essendo essi stessi scienziati e poeti.

    Cercando ora di individuare le principali analogie, analogie ancor più significative se considerate nel confronto con il precedente modello fondato sulla Razionalità e Realtà Assoluta, si può notare che ambedue gli autori promuovono un’epistemologia così caratterizzata:

    a) si sposta e perfino si sostituisce allo studio sull'oggetto lo studio sulla conoscenza stessa: la conoscenza stessa diventa il dato da studiare;

    b) la conoscenza è considerata come procedere di un continuo cambiamento;

    c) il cambiamento non avviene per processo lineare ma per "rottura epistemologica " in Bachelard, "mutamento catastrofico" in Bion;

    d) ci si interroga su cosa impedisca il mutamento e Bachelard parla di "ostacolo epistemologico", Bion di "ostacolo";

    e) questo ostacolo epistemologico è posto all'interno del soggetto della ricerca (il ricercatore), per cui Bachelard teorizza "una psicoanalisi della conoscenza oggettiva": solo l'intervento della "psicoanalisi" svelerà i "desideri" ("desirs" - come non pensare a Bion?) dello scienziato e aiuterà il ricercatore a superare tali "ostacoli mentali epistemologici". In termini più generali gli ostacoli della mente del ricercatore e dell'analista diventano oggetto di studio e non sono più riferibili alla complessità dell’oggetto;

    f) le grandi "rotture" necessitano di un mutamento anche nel linguaggio onde evitare che lo stesso significante sottenda significati diversi, e non a caso Bion crea un nuovo linguaggio;

    g) momento significativo di queste rotture è l’individuazione di nuove funzioni ed atteggiamenti mentali, prima fra le altre la rêverie. Per Bion questa è "uno stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli oggetti, cioè capace di recepire le identificazioni proiettive del bambino [...] In conclusione la reverie è uno dei fattori della funzione alfa della madre". Per Bachelard è funzione della mente femminile, come per Bion, ma anche espressione infantile e poetica, fortemente radicata nella sensorialità.

    h) ambedue gli autori si preoccupano del come trasmettere l'insegnamento: Bachelard dice che il primo compito del formatore non è apportare nuovi contenuti, ma occuparsi dei pregiudizi degli allievi e far fare esperienza di una cultura non collegata al Super-Io, ma all'Io (termine usato da Bachelard): la cultura è l’oggetto da interrogare, perché l'atto scientifico è "tollerare che non vi sia una soluzione ma riconoscere l'esistenza di un problema" (frustrazione connessa al riconoscimento dell'esistenza di un problema - assenza del seno, per Bion). "Bisogna prima di tutto saper porre problemi, ogni conoscenza è risposta ad una domanda , ma bisogna anche saper discutere la domanda" (Bachelard);

    i) Bachelard ricorda che si tende ad irrigidire la risposta dimenticando il problema e la domanda; assolutizzando la risposta, la stessa si tramuta in ostacolo alla conoscenza (tematica più volte riproposta da Bion). Scrive Bachelard: "la conoscenza comune conosce più risposte che domande, la conoscenza scientifica più domande che risposte".

    Ciò credo rimandi anche all'uso assolutizzante che è stato fatto del "senza memoria e senza desiderio": "Mediante l’uso le idee si assolutizzano e questo è un vero e proprio fattore di inerzia dello spirito".

    In questo modello scientifico, " il senza memoria e senza desiderio", "l'uomo ultimo" di Bion si incontra con lo scienziato puro di Bachelard, risultato utopico di una catarsi intellettivo-affettiva del ricercatore.

    Bachelard, peraltro, ne sottolinea maggiormente l'aspetto utopico anche perché ritiene, analogamente a Popper, che ogni atto "mentale-scientifico" non possa che essere culturale e perciò l'atto scientifico non può iscriversi "nell'ingenuità dell’intuizione", ma nella "vigilanza critica" sulla teoria come sulla propria mente.

    Per Bachelard il conoscere, ivi compreso l'osservazione, avviene sempre alla luce della teoria. Bachelard scrive "l'origine è un concetto e non un dato", "l'intuizione è il narcisismo dato dall'evidenza prima".

    Fornari (1981) scriveva che Bion "partito dunque con l'ipotesi di un attacco alla conoscenza, messa in atto dall'Es e dagli assunti di base, finisce con il mettere in atto lui stesso - attraverso il concetto di trasformazione in O - un attacco alla conoscenza psicoanalitica in generale ed in particolare alla teoria psicoanalitica (K) elaborata da lui stesso"; "il concetto di trasformazione in O contiene dunque un'aporia non risolta. Essa rivela una contraddizione interna al pensiero di Bion, che merita una chiarificazione". Per Fornari divenire "O" era un riinfetamento; egli riteneva che K e O fossero un'altalena epistemologica (luogo del giorno, luogo della notte) alternantisi per microcatastrofi e proponeva con l'altalena epistemologica un modello fondato sull’alternanza, così come Matte Blanco (1975).

    A differenza di Bion e analogamente a Fornari, Bachelard propone la rêverie come metodo parallelo non conflittuale del conoscere e parla anch'egli dell'alternarsi della notte e del giorno.

    Peraltro alcuni autori hanno notato che tutto il lavoro di Bachelard tende a differenziare la rêverie dal rêve, essendo la rêverie piuttosto un'alba della coscienza e della conoscenza, immaginazione poetica di quell'area mentale primaria dell'infanzia che attraverso i sensi si apre alla bellezza del cosmo natura.

    L'infante, rispecchiandosi nella bellezza del cosmo, espande la propria percezione d'essere (è qui anticipato l'aspetto estetico del rispecchiamento narcisistico del bambino nello sguardo materno).

    La rêverie è perciò per Bachelard memoria immaginativa, soggettiva "dell'essere solitario", che fenomenologicamente precede "l’essere nel mondo", espressione costante dell'eterno fanciullo che è in noi di cui il poeta con il linguaggio scritto sarebbe una delle espressioni.

    Bachelard propone che questa area estetica della mente, che vive di immagini-ricordo soggettivo basato sui sensi (in particolare olfatto e vista), permanga in ogni soggetto (l'area della stupita meraviglia - Bion, 1982; Di Chiara, 1990), area che resterebbe estranea dai traumi dell'essere nel mondo e che si esprime attraverso una funzione femminile della mente umana.

    Funzione femminile della mente (il legein versus il logos, l'ascolto di un oggetto che si pone per essere accolto e non spiegato), aree primarie della mente e connesse patologie sono, credo, proprio le aree e il metodo che la psicoanalisi affronterà storicamente successivamente a Bachelard.

    Bachelard infatti conosce solo una psicoanalisi precedente gli studi sulla mente precoce, sulla relazione precoce madre bambino, e perciò dopo aver ritenuto indispensabile l'apporto della psicoanalisi per la scienza, in particolare per la fisica, la esclude proprio dalla rêverie, perché la psicoanalisi "pensa troppo e si occupa solo di traumi" e non saprebbe vedere quell'area che noi diremmo mentale in cui una presenza infantile attende che qualcuno la incontri al di là dell'infanzia "indurita" (Bachelard) dai traumi della vita e degli eventi, per riprendere il percorso delle sue potenzialità.

    Questa era ovviamente la richiesta, umana prima che scientifica, dell'ormai vecchio uomo Bachelard alla ricerca di quella psicoanalisi (non più legata alla ragione) rispetto alla quale la stessa psicoanalisi bioniana sembra porsi come una possibile risposta, con il recepimento (dopo gli studi delle aree mentali psicopatologiche degli schizofrenici) della necessita' di un pensiero femminile o meglio di una funzione femminile della mente, proprio come Bachelard aveva ipotizzato con la proposta della rêverie, reverie materna per Bion.

    Ma qui, e soprattutto rispetto alla successiva proposta bioniana del "senza memoria e senza desiderio", l'epistemologo Bachelard (analogamente a quanto poi sosterrà Popper) ricorderebbe ancora che non esiste possibilità reale di un pensiero aculturale. E se è vero che forse come psicoanalisti si tende a ricordare e privilegiare della complessa opera bioniana la "reverie" e il "senza memoria e senza desiderio", attribuendo soprattutto a questo uno statuto di assolutezza che non era in Bion, ciò è forse per sottrarsi a quella vigilanza critica della "Città delle Scienze" attenta a ritrovare in ciò che noi abbiamo creduto essere un'intuizione (frutto di senza memoria e desiderio) le tracce di aree cieche personali e di nostri modelli teorici impliciti o espliciti.

    Forse tanto più ci si avvicina alle nostre aree mentali primarie che ci permettono di incontrare la nascita estetica e psichica della mente del paziente, ancor più è necessario un "atteggiamento di vigilanza critica" (Bachelard), "l’atteggiamento continuamente vigilante" di cui scrive G. Goretti nel 1996.

    Concludo queste annotazioni sul pen.siero di Bion e Bachelard raccogliendo la loro sollecitazione a considerare la crisi come momento forte, specifico ed essenziale della creatività di un conoscere scientifico non più fondato sulla staticità e sugli assoluti, ma sul cambiamento.

    Mi sembra inoltre che esaminare il procedere parallelo (nelle convergenze e divergenze) dei due autori a partire dal tema della rêverie ci aiuti a inserire non solo la crisi della psicoanalisi ma l’elaborazione stessa dei suoi modelli all’interno della "Città delle Scienze" considerando e confrontando tra loro idee, autori, discipline diverse come espressioni singole di un continuo e più ampio mutamento, che nelle sue modalità trascende la specificità delle singole scienze; ciò al fine non di trovare nel confronto soluzioni già esistenti, ma fatti culturali per ulteriori elaborazioni.

    Mantenendo la duplicità di vertici dei due autori, scientifico e poetico, vorrei ancora aggiungere che se è stato scritto per ambedue che le loro opere lasciano uno stato di inquietudine (in quanto non tendono a fornirci sicurezze concettuali ma percorsi di cambiamento), doppia inquietudine in Bion, con la sua proposta del divenire 0 e del mistico, mi sembra che sia Bion che Bachelard lascino nel lettore anche un sedimento più tranquillizzante che a me sembra connesso all'estetica, a quel senso estetico (da Bion stesso collegato ad alcune sue interpretazioni) per il quale l'opera di Bachelard è stata definita estetica dell'intelligenza, formulazione attribuibile anche a Bion.

    Questa esperienza estetica, individuata da Bachelard all'alba della vita e presente nell'opera dei due Autori, è forse una componente di quell'F (che Bion ritiene indispensabile per "senza memoria e senza desiderio") che forse per noi analisti è essenziale nell'affrontare le incertezze della crisi, un po' come il sentimento estetico permette all’artista di continuare la sua opera anche quando la società nega un riconoscimento e l’atteggiamento mentale di verifica critica sembra cedere ad uno sterile dubitare generalizzato.

     

    Bibliografia

     

     

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    Bachelard G. (1949) Il razionalismo applicato. Bari, Dedalo, 1962

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    Fornari F. (1981) Da Freud a Bion. Rivista italiana di psicoanalisi, XXVII, 3-4

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    Oberti J. (1989) "Dall’Io al Sé: l’incontro con lo schizofrenico" in "Il giudice Schreber ed altre storie" a cura di C. Conforto. Padova, Piccin

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