Intervista in lingua danese apparsa nella rivista "Kulturo" (Copenhagen), vinter, 1998 col titolo "Simple forklaringer pa en indiklet verden".
È possibile unire Peirce e Saussure? È la stessa cosa la semiotica e lo strutturalismo? La semiotica deriva dalla critica ideologica del marxismo o al contrario della razionalità dellilluminismo? Perché luso che fa la critica letteraria dellapparato concettuale è sempre deludente? Paolo Fabbri, uno dei più acuti semiotici dellItalia, risponde a queste e altre domande in questa intervista.
di Anders Toftgaard
Paolo Fabbri, nato in 1939 a Rimini, insegna la semiotica delle arti visive alluniversità di Bologna. Ho seguito il suo insegnamento durante il semestre primaverile 1998 e lho intervistato alla fine del corso. A differenza di quanto si potrebbe pensare, questa intervista non sarà incentrata tanto sulla semiotica delle arti visive, quanto su di un discussione più ampia riguardante la semiotica generale e letteraria.
Oltre alla sua fama di linguista e semiotico, in cui ha studiato la comunicazione di massa, la sociologia, la filosofia del linguaggio e la semiotica e in cui ha contribuito a fondare il Centro di Semiotica e Linguistica dellUniversità di Urbino, Paolo Fabbri è stato Primo consigliere dell'Ambasciata Italiana a Parigi; e nel periodo 92-96 è stato Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Parigi
Non soltanto nel lavoro, ma anche teoricamente Fabbri ha vissuto a Parigi poiché il suo fondamento teorico nasce dalla semiotica generativa della "cosiddetta scuola di Parigi. La semiotica generativa si basa su una tradizione linguistica, che incomincia con Saussure a Hjelmslev fino al rappresentante più famoso della scuola di Parigi, Alrgirdas Greimas. Questa semiotica dellEuropa continentale sta in un rapporto di opposizione fondamentale alla semiotica filosofica anglosassone che è stata fondata dellamericano Peirce.
Tutte e due tradizioni sono rappresentate a Bologna, se si sceglie di vedere Umberto Eco come rappresentante della tradizione peirciana - benché egli possa esser visto anche come una figura mediante. Fabbri da parte sua ha lamentato che la Scuola di Parigi non sia più disposta a coinvolgere i pensieri di Peirce.
Non è possibile in questo luogo delineare la semiotica generativa, ma per quanto riguarda lanalisi testuale, il suo postulato di base è che la significazione di un testo può essere articolata in diversi livelli che vanno dal più astratto al più concretomuovendosi lungo il cosiddetto percorso generativo. Nella semiosi le strutture immanenti si trasformano in una manifestazione testuale. È bene ricordare che il modello greimasiano non compie questa descrizione geneticamente, ma generativamente. Vale a dire che non descrive una genesi temporale in relazione a fattori esterni, ma descrive diversi livelli di articolazione nella significazione che rendono possibile la costruzione di un modello teorico della semiosi.
Nelle note ho spiegato alcuni dei concetti di cui Fabbri si serve. Inoltre rimando alla risposta che da Fabbri alla questione del "criptico" in questa intervista, e eventualmente, alla consultazione del dizionario scritto da Greimas & Courtés, "Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la Théorie du langage" Hachette, Paris, 1979.
Può dare una definizione della semiotica che non dà paura?
Io aderisco alla definizione di Greimas che dice che la semiotica è "lo studio dei sistemi e dei processi di significazione". Adesso però diventa interessante unaltra domanda: è possibile simultaneamente uno studio dei sistemi e dei processi? Vedrai che la storia della semiotica è sempre oscillatoria. Ci sono periodi in cui si studiano i codici, i sistemi di significazione, le tassonomie, le organizzazione gerarchiche, i segni, le strutture sememiche con i classemi ecc. Poi ci sono periodi in cui si studia moltissimo la narratività, laspettualità, la semiotica tensiva. Allora sarebbe interessante vedere come una teoria può essere economica - nel senso: Quanto bisogna studiare il sistema e quanto bisogna studiare i processi. Questo è proprio interessante per me. Per dare un esempio: la semiotica di Lothman che era una semiotica del codice, delle gerarchie di significato, sta diventando processuale per via della scuola lotmaniana. Quindi io direi che la semiotica è questa: sistema e processo, con molte difficoltà di mantenere un buon equilibrio tra i due elementi.
Però ci sono almeno due tradizioni molto diverse nella semiotica?
Secondo me è importante che ci sia un tentativo di traduzione fra alcuni livelli del lavoro di Peirce e alcuni livelli del lavoro di Hjelmslev o di Greimas. Bologna è una città dove ci sono due scuole: cè una scuola che è quella di Eco che sispira a Peirce, e unaltra - a cui appartengo io stesso - che sispira molto di più alla tradizione post-strutturalista, post-hjelmsleviana e greimasiana. Semmai bisogna sapere dove si possono trovare punti di traduzione.
Ci sono almeno due imcompabilità, ed è molto bene stabilire delle imcompatibiltà, perché per tradurre bisogna pensare che cè lintraducibile. Però bisogna pensare in maniera più positiva: come dice Lotman lintraducibile è una risorsa per future traduzioni, quindi non bisogna dire che limcompabilità è definitiva, è una imcompabilità a traduzione futura.
La prima è che il concetto del segno di Peirce è pre-saussuriano e quindi non riconosce larticolazione interna del segno tra significante e significato. Questo è una separazione radicale perché tutta la forza del modello hjelmsleviano è di avere complessificato la relazione significante/ significato (con forme dellEspressione forme del contenuto ecc.) Ma questa complessificazione hjelmsleviana con la possibilità per ogni espressione di diventare contenuto e di ogni contenuto di diventare espressione ha rispetto allaltro modello la forza di mantenere lipotesi di Saussure che i segni sono articolati al loro interno, mentre per Peirce ogni segno rinvia a un segno. Quindi la teoria hjelmsleviana non è una teoria dei segni, è una teoria dei sistemi e processi di significazione. La teoria peirciana - e perciò quella di Eco - è una teoria dei segni e dei rinvii dei segni. Cioè sono due teorie completamente diverse.
Laltra differenza è che la teoria hjelmsleviana è una teoria che - allargata da Greimas - porta a uno studio delle concatenazioni narrative mentre la teoria di Peirce è una teoria che generalmente punta sullargomentazione logica. Per Peirce si passa da un segno ad un altro per via inferenziale e linferenza è dappertutto! La percezione è inferenziale, il riconoscimento di forme è inferenziale, le attività cognitive sono inferenziale, il romanzo poliziesco è inferenziale, la scienza è inferenziale. In pratica è una specie di passe-partout, una nozione passe-partout.
Dallaltra parte, Greimas e noi altri mettiamo in evidenza piuttosto i passaggi narrativi, dove i segni si trasformano nel significato, Per noi i segni si trasformano sul piano del contenuto, mentre invece la logica è tautologica in qualche modo. Non è tautologica completamente nel senso che per Peirce e per Eco, ci sono procedure di scoperte, quindi si trovano cose nuove, ma si trovano sole procedure di inferenza logica, che producono scoperte. Per noi no, per noi si tratta di trasformazioni narrative che producono trasformazioni di contenuti quindi qui siamo a una differenza molto grande.
Dovè che cè una coincidenza interessante oggi? Nella nozione dimmagine, nella riflessione sullimmagine, perché Peirce ha pensato molto sulla nozione di diagramma. Ha sempre pensato che lanello che garantisce il passaggio tra un termine e un altro nellenunciato inferenziale, è lanello diagrammatico, cioè in qualche modo il diagramma è una specie di struttura logico-visiva soggiacente ai passaggi inferenziali. Questo è molto interessante perché coincide con la definizione dei semiologi che pensano che soggiacente allimmagine ma anche soggiacente al linguaggio ci sono delle strutture più astratte di tipo configurazionale. Questo mi sembra comune.
Il secondo punto che mi sembra interessante di convergenza è il concetto di indice di Peirce. Nella prima versione hjelmsleviana e anche greimasiana, veniva messo in evidenza gli aspetti di struttura predicativa dei contenuti cioè gli enunciati. Attualmente, in seguito a Benveniste e a tutte le altre ricerche, oggi si mette in evidenza i problemi dellenunciazione, soprattutto i problemi dellenunciazione enunciata. Ora io credo che Peirce avesse già intuito ma non articolato col concetto di indice questidea che mi sembra ora finalmente articolata con la problematica dellenunciazione. Questo mi sembra un buon punto di convergenza.
Quindi la semiosi illimitata e labduzione anche possono trovare un posto allinterno della semiotica greimasiana?
In un certo senso. Cominciamo con lidea di semiosi illimitata. Il concetto di semiosi illimitata è un concetto dizionariale. Ogni elemento rinvia ad un altro elemento che rinvia ad un altro elemento. È lesperienza di un dizionario. Il primo modello di Eco, il modello Quillian con cui tentava di specificare la nozione molto vaga di semiosi illimitata, era un modello lessicale. Evidentemente la nostra ipotesi non è quella. Va bene dire che i segni si rinviano luno collaltro - basta sapere come. Guarda che in realtà le cose funzionano diversamente. Pensa alla biologia: le specie si moltiplicano a rizoma (cf. Deleuze), si moltiplicano e si moltiplicano, la morte arriva e taglia alcune parte. Cioè la storia non è il luogo della manifestazione della semiosi illimitata, è il contrario: la storia è il luogo dove vengono tagliate le possibilità della semiosi illimitata.
Anche noi pensiamo che levoluzione concettuale sia di tipo rizomatico. Però sappiamo che esiste una storia, cioè la morte. Avevano chiesto ad un altro grande studioso danese, Bohr, se le teorie riuscivano a convincere quelli che non aderivano ad una teoria. E Bohr aveva risposto: "no! È che quelli che sostengono le altre teorie muoiono!". Indubbiamente la storia seleziona delle possibilità.
"LOpera Aperta" di Eco descriveva il modello di semiosi illimitata. Come ho sottolineato anche in un volume di omaggio a Eco, la nozione di semiosi illimitata era lincontro felice tra Peirce e lEco di Opera aperta. Cioè dopo aver fatto la teoria di Opera Aperta, Eco ha incontrato Peirce e ha esclamato "cest moi!". Ma dopo Opera Aperta Eco si è molto preoccupato del contrario, cioè di come sia possibile tagliare questa semiosi illimitata? Quindi Eco oggi si preoccupa semmai delle limitazioni della semiosi illimitata: il suo tentativo è di stabilire se esistano criteri di razionalità, criteri storici. Da questo punto di vista siamo daccordo con lui. Ha avuto molto paura che il decostruzionista fosse lallievo naturale di Opera Aperta.
Adesso ha menzionato la scuola di Lothman e le due scuole di Bologna. Al seminario tenuto da Francois Rastier a Bologna (il 10/11 97), Rastier ha chiamato la semiotica una "disciplina criptica", che si pratica in modo settario. Così ci sarebbe una setta a Bologna, unaltra a Parigi, una terza a Aarhus ecc...
Io uso sempre lesempio di Freud: Quando non riesci a rompere una noce è meglio usare due noci, no? Questo è un principio di proliferazione terminologica: Quando non riesci a spiegare un concetto usi un altro concetto. Questo provoca il fenomeno di interdefinizione concettuale che effettivamente esclude quelli che usano la terminologia in maniera non interdefinita. Però! Anche se ha ragione Rastier sullaspetto esoterico, io ho limpressione che il contrario è piu pericoloso, cioè se il concetto di segno viene usato senza nessun controllo, se le persone che dicono "senso" vogliono dire "valore" o "realtà", se le persone che dicono "significante" vogliono dire "segno" se la gente per il significato vuole dire "il senso in generale" se non addirittura gli "effetti di realtà ", davanti a questa confusione concettuale forse un po di interdefinizione concettuale è necessaria, Cioè anche lì è un problema di equilibrio delicato: Fino a che punto si può andare avanti in una interdefinizione concettuale e fino a che punto puoi invece utilizzare un termine con tutta la sua gabba di significato quotidiano, con il risultato che non capisci nulla.
Nel suo libro "Structuralists poetics", J. Culler identifica lo strutturalismo con la semiotica. Secondo Lei la semiotica fa necessariamente parte di un paradigma strutturalistico?
Questo è un problema che andrebbe chiarito storicamente. Culler vede il mondo dal punto di vista americano, e pensa che cè stato lo strutturalismo poi il generativismo poi il decostruzionismo ecc. Ma questa è la storia delle case editrice, e la storia delle case editrice non è la storia concettuale. Io credo che chiamare Greimas post-strutturalista "makes no sense"(però Greimas è stato tradotto negli Stati Uniti, Minnesota University Press come "a post-structuralist"), e la semiotica è una disciplina non identificabile con dei momenti di organizzazione di altre discipline come la linguistica.
Quello che Eco sta cercando di fare - ritrovare una tradizione semiotica - mi sembra molto notevole. Con qualche rischio: Siccome si trova la parola "semiotics" o trovi la parola "sema" o "semaion", si pensa che siano le stessa cosa. Questo modo di argomentare non è corretto. La parola "atomo" usata da Niels Bohr non è la stessa cosa di "atomo" usato da Democrito. Però si chiamano "atomo" tutte e due. Bisogna ritrovare una storia, come direbbe Braudel "di lunga durata", però non bisogna neanche fare degli errori concettuali. Per esempio in La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea Eco tratta il Volapyk e lEsperanto, ma prima parla di Leibniz e di Lullo. Ma Lullo e Leibniz non creavano lingue, creavano sistemi logici di combinatorie concettuale. Non cera fonetica, non cerano forme dellEspressione. Per parlare della logica concettuale di Lullo, lui usava il catalano e Leibniz usava il tedesco. Mentre il Volapyk e lEsperanto sono forma dellespressione e forma del contenuto più sostanza dellespressione e sostanza del contenuto. Da una parte ci sono le lingue, dallaltra sistemi logici, che possono essere parlati in diverse lingue - Non sono comparabile! Sfortunatamente non si riesce a discutere abbastanza per chiarire dei problemi così semplici. Però, resta giusta lesigenza di Eco per uscire dallattualità (post-) decostruzionista, di costruire una storia.
Prima di seguire linsegnamento a Bologna avevo limpressione che il progetto greimasiano fosse un progetto fallito il cui epitaffio era lintroduzione del "S/Z" di Barthes. Come evita la semiotica generativa di vedere in ogni testo la conferma della teoria? In altre parole come si comporta la semiotica davanti alla differenza di ogni testo?
Barthes aveva già preso le sue distanze in "S/Z" dallipotesi hjelmsleviana, che lui stesso aveva per primo affermato. E le aveva prese in due modi: Prima sulla nozione di connotazione. Hjelmslev diceva che la connotazione è un aspetto sistematico, cioè cè una categoria connotativa, (peres. volgare / elegante). Al contrario Barthes dice: "non! la connotation cest de lor", oro che è sparso sul testo. Daltra parte se si guarda alla teoria dei codici, che usa per S/Z, ci si accorge che sono molto poveri sul piano della struttura narrativa: sono molto diversi luno dallaltro, e sono molto empirici. Non hanno mai fatto scuola: S/Z era Barthes con categorie costruite da Barthes - geniali a volte. Io trovo che S/Z è uneccelente libro di retorica e dell"analyse de texte" francese, ma non trovo che sia un libro di semiotica. Cè stata una risposta a S/Z, che è indefinitamente meno attraente dal punto di vista dei risultati però molto più efficace dal punto di vista del tentativo di una descrizione testuale: il libro di Greimas che si chiama "Maupassant". In questo libro esplicita quasi tutti i concetti che ha usati in precedenza applicandoli e scopre e verifica concetti diversi.
Il boom della semiotica è stato contemporaneo con limpegno politico del 68 e la critica dellideologia. Comè oggi la relazione fra semiotica e impegno politico?
Qui ci sono due problemi. Il primo - e in questo Barthes ha giocato un ruolo considerevole - è che la semiotica è stata pensata come una critica delle ideologie intendendo come diceva Barthes che lideologia fosse laspetto di visione del mondo che si possedeva appartenendo ad una certa classe sociale, Quindi era una teoria della stratificazione sociale e dei diversi linguaggi sociali, legati a diversi classi e gruppi sociali.
Il secondo: lideologia è stata considerata come una rappresentazione di storte. Oggi si intende ideologia come una rappresentazione concettuale. Invece ideologia era intesa come rappresentazione distorta. Lidea era di costruire una disciplina che fosse capace, manipolando la retorica - che era la faccia significante di una ideologia - di distruggere le ideologie. Era una macchina scientifica da guerra contro lideologia, nel caso specifico lideologia borghese. E specialmente una forma dellideologia borghese che era quella della naturalizzazione del significato. Lidea di Barthes era che il borghese è una persona che dice "una donna è una donna, un uomo è un uomo, un cane è un cane - le cose stanno così" e dimentica sempre (o mai) che in realtà il mondo è cosi perché lui ha il potere e vuole che sia così. Quindi lidea nellepoca era di usare uno strumento semiotico come una articolazione esplicita di una teoria delle ideologie che servisse come strumento contro la naturalizzazione che la borghesia dava delle proprie visione del mondo. E quindi la sua efficacia doveva misurarsi nellarbitrarietà. Più era arbitrario il segno, meno la borghesia aveva il diritto di dire "i cani sono cani, gli uomini sono uomini, le macchine sono macchine, Dio è Dio ecc." Da questo punto di vista, "Miti doggi" è stato un esempio insuperato. Resta il fatto che in Italia nessuno aveva letto Bachelard ed ad una lettura attenta di Miti di oggi ci si accorge che Barthes si era inspirato non soltanto a Brecht, (perché Barthes era un critico teatrale, molto appassionato di Brecht e delle sue teorie) ma molto profondamente anche a Bachelard.
Sempre negli anni ´70 Eco parlava di una "guerriglia semiotica". Si potrebbe dire che senza avere lo scopo rivoluzionario di una guerriglia, la semiotica usa il "metodo guerrigliere"? Nel senso che non si serve di grandi manuali, ma si serve di articoli, di antologie e di voci di enciclopedie, insomma che senza avere i suoi propri territori, opera con piccoli assalti dentro il territorio delle altre discipline?
Lidea della guerriglia semiotica veniva prevalentemente dalla televisione. In quellepoca cera una sola televisione che era nelle mani del partito al potere. E quindi non potendo controllare la televisione, lunico modo era in qualche modo di formulare una ricezione critica della televisione. Lidea di Eco di una "guerriglia semiologica", che è una metafora simpatica - era quello di tentare di leggere i testi in altra maniera. Un po come diceva Barthes. Ma oggi la sinistra è al potere e quindi il problema non è soltanto la critica ideologica. Oggi non è importante soltanto fare una guerriglia semiologica, al livello del ricevente, ma proporre testi nuovi, idee nuove. E come lottare contro lideologia al potere che in questo caso sono le nostre? Eco era unavanguardia che lottava contro lestablishment. Ora la sinistra è diventata lestablishment e come vuoi che lottino contro lestablishment?
Sarebbe interessante allinterno di una teoria semiotica che viene considerata secondo me troppo argomentativa, troppo rappresentativa, troppo consensuale, introdurre degli elementi di carattere conflittuale. La definizione che noi diamo di un racconto come non soltanto sequenza di azioni programmate, ma come conflitto tra prospettive e programmi di azione, reintroduce dentro la semiotica stessa unidea di guerra, di conflitto.
La semiotica strutturalista e soprattutto la semiotica barthesiana è cresciuta insieme con la critica ideologica marxista. Una critica ideologica che criticava la società borghese capitalista. Ma allo stesso tempo la semiotica si rifà allilluminismo razionale dellenciclopédia, che sta alla base della stessa società capitalista. Cè una contraddizione o mi sbaglio?
Nellenunciazione ci sono delle differenti istanze di soggettività che sono iscritte nel testo, cioè il soggetto non è unificato, il soggetto è molteplice, emergente, a volte conflittuale, e tutto quello che noi possiamo fare, è ricostruire dei simulacri di questo soggetto. Credo che sia una posizione del tutto diversa dellidea di postulare una soggettività razionale che si eserciterebbe nel mondo. Semmai resterebbe da sapere rispetto allidea del testo che ha la semiotica di Peirce - che è una semiotica kantiana - in cui meno male una soggettività forte esiste. Questo soggetto che argomenta, fa inferenze, abduzioni, deduzioni è per me un soggetto tutto razionale. Ebbene laffermazione della semiotica generativa: che il soggetto non è altro di un simulacro di uninsieme di istanze, che sono rappresentate in conflitto e in contratto, nel testo, risponde molto di più allidea della psicanalisi contemporanea (tipo Klein, in cui si pensa la soggettività come espressione di equilibri differenziati di conflitti tra istanze diverse in conflitto e in costante attività di trasformazione) o di una rappresentazione per complessità e molteplicità, che è caratteristica della postmodernità. Ecco, io credo che la semiotica contemporanea pensa più così, pensa al testo come un luogo di molteplicità e complessità delle istanze della soggettività che ci sono iscritte, non come risultato di unoperazione razionale costruttiva.
Spesso pare che la semiotica si consideri ancora oggi come una giovane disciplina ribelle. Comè la situazione oggi della semiotica?
Quando si crea un nuovo paradigma concettuale, vengono nel nuovo paradigma tutti gli esclusi del paradigma precedente, che sono spesso o troppo intelligenti o troppo stupidi per stare nel paradigma precedente. Quindi nella semiotica si sono trovati come in tutti i nuovi paradigmi un numero molto forte di persone molto intelligenti e molto stupide insieme, con risultati diversi. Ora, chi abbia vinto oggi, se quelli troppo stupidi o quelli troppo intelligenti è un problema che lascio agli altri a decidere. Ora il problema è la costruzione di un paradigma unificato. Non so se esso sia necessario. In linguistica tutti dicono che esiste oggi una disciplina che si chiama linguistica generale, ma nessuno metterebbe sullo stesso piano Halliday ed i postchomskiani. Sento che Halliday con la sua teoria funzionale del linguaggio sia molto vicino a me e sento molto lontano lipotesi dei generativisti per esempio come Chomsky. Ci deve essere un unico paradigma? Io penso di no. Ci deve essere, io credo, una disciplina semiotica generale come cè una disciplina che si chiama linguistica generale e allinterno della quale ci saranno dei diverse tipi di orientamento. Vedo due possibilità: la prima è quella di tipo storico-ricostruttivo, ne abbiamo già parlato: tracciare diverse storie della semiotica da una parte. Unaltra possibilità è quella di esplorare la testualità in diversi campi: pittura, cinema, letteratura, balletto, gestualità, intelligenza artificiale. E cercare in qualche modo di estrapolare e di interdefinire delle funzioni diverse. Un esempio: in intelligenza artificiale la gente si interessa sempre di più ai fenomeni di emergenza, cioè come cose molto elementare, quando vengono combinate tra loro in maniera ricorsiva, provocano fenomeni di emergenza di significati. La semiotica generativa è così: non pensa che in una teoria di rappresentazione del significato ogni livello sia tautologico rispetto al quello precedente. Postula un incremento di senso. Un logico direbbe: "che orrore, assurdo!", invece uno studioso di intelligenza artificiale direbbe: "sì, è normale, le forme di organizzazione provocano fenomeni di emergenza di significato". Noi non avevamo il termine negli anni 70 per definire il concetto di emergenza, ma lo praticavamo. Oggi invece siamo in grado di ripensare il concetto di emergenza del senso nel modello generativo.
Lapproccio semiotico ha avuto grande successo nel campo letterario. linguistico e pubblicitario. Lei sostiene lutilità di una semiotica delle arti visive. Ci sono dei campi che sono più adatti di altri per lapproccio semiotico?
Ci sono evidentemente delle mode. Nel caso della semiotica, le arti visive costituiscono un campo fortunato. Però lapplicazione letteraria è stata particolarmente deludente secondo me. Perché? Perché i testi erano troppo complessi - Il gioco dellenunciazione testuale è così complicato ed i modelli di teoria dellenunciazione in semiotica sono ancora molto deboli. Anche la teoria del discorso che è essenziale non è ancora ben descritta. Quindi molto spesso lanalisi semiotica applicata alla letteratura non ha dato la soddisfazione che si sperava, mentre è stata molto efficace a descrivere testi come i testi mitici ed i testi folklorici. Io penso però che Geninasca sia uneccellente guida per questo tipo di ricerca.
La semiotica per le scienze umane ha giocato un ruolo decisivo, e penso che non abbiano ancora utilizzato a fondo questo tipo dipotesi - vale per la sociologia e per la psicologia cognitiva.
Un altro vantaggio della semiotica è la possibilità di Gedankeneksperiment che permette. Cioè di prendere dei piccoli testi - il caso di Maupassant - e di estrarre problemi molto complessi da piccoli testi. Generalmente non abbiamo dei modelli per passare dal micro al macro. Abbiamo grande teorie sociologiche o psicanalitiche, siamo molto contenti, poi andiamo guardare un piccolo testo e diciamo: cosa facciamo? come fare?. Oppure abbiamo delle analisi molto raffinate linguistiche e stilistiche e non abbiamo nessuna connessione se non opportunistica - con grandi macro-modelli. Invece ho limpressione che la semiotica sia ancora una disciplina capace di usare con successo le stesse categorie al livello macro ed al livello micro.
Lei si è occupato molto delle passioni nella Semiotica. Quale ruolo occupano le passioni in una teoria semiotica?
Visto che abbiamo parlato prima di Barthes, Barthes ha scritto anche un altro libro fondamentale che si chiama il piacere del testo. E in questo libro Barthes aveva a posto chiaramente unidea di una definizione non puramente cognitiva della dimensione testuale. E sia per il piacere di chi prende il testo, sia il piacere che è iscritto nel testo. Ma se pensi anche a tutta la tradizione fenomenologica fino a Deleuze, ha sempre pensato che accanto al percetto e al concetto cera laffetto. Non a caso Deleuze pensa che Hjelmslev - che chiama laltro principe nero di Danimarca confrontandolo con Amleto -sia un spinozista. Secondo Deleuza il segno per Spinoza era affetto. La risposta di Greimas è stata quella di dire che Barthes aveva ragione. Ma allora come descrivere la dimensione affettiva iscritta nel testo? Una possibilità è di dichiararla ineffabile, che è una tendenza romantica. Allora ci sarebbe lanalisi testuale e più ci sarebbe il sublime. Greimas aveva avuto unidea interessante che era quella di dire: "Non opponiamo ragione e passione, ma mettiamo in relazione azione e passione, come attivo e passivo. E siccome la semiotica aveva sviluppato una complessa teoria delle azioni, programmi narrativi, lidea era di parlare delle passioni non come sistema gerarchico di passioni, ma analizzarle come processi di azione, di trasformazione e di percezione. La semiotica non è più quella di prima dopo che ha studiato la dimensione passionale ed è stata obbligata a tener conto del valore, dellaspettualità, e del ritmo. Credo che sia importantissimo e che abbia aperto la strada a quello che gli amici di Limoges chiamano la semiotica tensiva che però - secondo me - è ancora un slogan.
Ci sarebbe unaltra lacuna della semiotica generativa (oltre alle passioni) che deve tenere conto e sviluppare?
Ma sì sicuramente. La teoria dellenunciazione è molto incompleta e la teoria del discorso è drammaticamente incompleta. Manca un anello tra una teoria dei generi, e una teoria dei discorsi. Questo è molto importante. Oggi lunità di consumo dei testi nella società contemporanea sono i generi: quando vai al cinema dici "vado vedere un western, un poliziesco, vado vedere un film pornografico". Ho hai già in mente una tipologia dei generi. Ora il problema è: come a partire dalla strutturazione dei contenuti si creano delle configurazioni discorsive. Manca una teoria del discorso che però deve essere molto complessa. Allinizio erano più semplice le organizzazioni del significato ma poi mano a mano che i livelli di generazione si fanno più vicini alla manifestazione linguistica, più complessa è la situazione. In questo senso non ti devi meravigliare perché il mondo è complicato, non le nostre spiegazioni del mondo. Il linguaggio naturale non è ingenuamente dato e semplice e le spiegazioni complicate. No! Il mondo naturale ed il linguaggio sono complicatissimi e sono là, già. E non possiamo revocarli o ricostruirli. Però possiamo tentare di rispecificarli e i meccanismi di rispecificazione sono di una grandissima complessità. Però è anche molto eccitante. La forza della semiotica è una della linguistica: tutti siamo buoni giudici. Nelle scienze contemporanee non lo siamo: chi di noi è buon giudice sul funzionamento della malattia della mucca pazza? Nel caso della semiotica e della linguistica, delle cattive spiegazioni sono subito giudicate del parlante o del lettore. Il mondo è complicato, bisogna dare spiegazioni semplici.
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La bibliografia seguente dà un profilo di alcuni articoli di Fabbri in inglese ed in francese. In spagnolo è uscito un raccolto di articoli intitolato: "Tactica de los signos, Ensayos de Semiotica", Gedisa Editorial, Barcelona, 1995. Al sito di Fabbri - www.guaraldi.it/fabbri -chi legge in italiano potrà trovare una bibliografia dei suoi articoli scritti in riviste molto diverse, insieme con il suo curriculum, varie interviste ed unattacco alle case editrice.
"Du secret", Traverses, n. 19, 1980, Minuit, Paris
"Fragments sans futur", Traverses n. 33-34, 1985
"Novlangues: de la standardisation aux pidgins", AA.VV, 1984 et les présents de lunivers informationnel, CCI, Paris, 1985
"Nous sommes tous des agents doubles", Le genre humain, Paris, Seuil, 1988
Introduzione a Greimas, Semiotics and social sciences, Minnesota U.P., USA, 1989, (con P. Perron)
"Pertinence et adéequation" e "Echappée", in Nouveaux Actes Semiotiques nr. 19, Limoges, PULIM, 1992 (numero di presentazione di Fabbri)
Prefacio a Greimas e Fontanille, Semiotics of passion, Minnesota UP, Minneapolis, 1993a(con P. Perron)
"Réflexions sur le musée et ses strategies de signification", Travaux du centre de Recherches Semiologiques, (Analyser le musée), Uni. De Neuchâtel, Suisse, 1996
"Faire de limage un mouvement" in AA.VV, Image et politique, red. P. Virillo, Actes Sud/Afaa, Paris, 1998