ANTICO COMUNE DI VISSO - USI CIVICI, STORIA E NATURA GIURIDICA dalle ricerche e dalle pubblicazioni del Dr Felice Venanzoni (1902-1967) |
La
chiesa ha soltanto due ingressi posti ambedue sul fianco destro dell'unica
navata che la costituisce. Apparentemente non ha facciata, ma nel lato
inferiore, fronteggiante l'abside si notano i resti di una facciata a tetto di
capanna con un rosone ridotto in cattive condizioni e nella maggior parte
ostruito. Caratteristica é la posizione dello snello campanile, incastrato
nella parete sinistra della navata, verso la metà di questa, a fronte
dell'ingresso principale e, non come di consueto, in fondo o al principio
della Chiesa. L'impressione
che si riporta osservando il bel fabbricato dalla piazza spaziosa della quale
la Chiesa forma un lato é veramente grandiosa, e quel che colpisce di più
l'osservatore è la ricchezza della decorazione del portale che costituisce
l'ingresso principale e che da movimento alle linee semplici e severe del
fianco destro della navata, che praticamente funge da facciata. Non
appaiono all'esterno aggiunte o modificazioni recenti nella parte che guarda
verso la piazza e nell'abside, mentre nella parte opposta casette e
costruzioni addossate alla parete hanno completamente nascosta la costruzione
originale deturpandone le linee. La
chiesa risale alla prima metà del '300 stando all'iscrizione dell'architrave
del portale stesso, che forma anche la base della lunetta. Dice l'iscrizione:
"IN DI NOIE HME OPUS NOVUM PS ECLE I HONORE BTE M. VGINIS INCEPTU FUIT P.
COE VISSI SB ANIS D. MCCCXXIIII ET COMPLETU ANO D. MCCCXXXII" (In nome di
Dio. Così Sia.
L'opera nuova della
presente chiesa in onore della Beata Maria Vergine fu incominciata dal Comune
di Visso nel 1324 e finita nel 1332). E ben
a ragione può parlarsi di "opus novum" perché con il ricco
portale, la magnifica cortina della facciata e dell'abside, la serie degli
archetti pensili che corrono sull'alto dell'edificio, la costruzione assume un
carattere di severa bellezza degna della potenza raggiunta dal Comune di Visso
che ne finanziò l'opera. Che
cosa sia avvenuto nella Chiesa dal 1256 (epoca in cui fu consacrata) al 1324
(in cui cominciò l'opera nuova) non é facile dire perché tacciono i
pochissimi documenti pervenuti sino a noi. Se é esatto quanto si legge nelle
Memorie dell'Archivio della Chiesa, che risalgono però al 1631, l'Oratorio
della Madonna Bruna fu ampliato nel 1260 (Pirri) "e finalmente, non molti
anni dopo, nel 1312, venne nuovamente ingrandito ed ottenne quell'assetto
definitivo delle sue proporzioni e della forma perimetrale, che
sostanzialmente si conserva ancora oggi." Non
sappiamo se e quali danni furono arrecati alla Chiesa dal terremoto che nel
1328 distrusse buona parte di Visso ma dobbiamo pensare che non siano stati
importanti perché altrimenti "l'opus novum" sarebbe stata terminata
molto più tardi del 1332. Dall'esterno
la costruzione, che nella maggior parte delle guide e pubblicazioni locali
viene definita di stile più vicino al gotico che al romanico, mostra chiara
la sua appartenenza ad uno stile romanico di transizione, dove al romanico si
mescolano le prime infiltrazioni del gotico già affermatosi in altre parti
d'Italia. Ne de ve trarre in inganno la travatura del soffitto antico che vi
si trova al posto della volta perché, come é noto, in qualche regione il
romanico adottò la travatura in legno. E dobbiamo anche ricordare che nella
zona erano presenti ed operanti maestre comacini, senesi e toscani (che
certamente lavorarono nella Chiesa) e di cui troviamo traccia nei primi del
1400 a Visso. La
chiesa é a pianta basilicale costituita da un unica navata terminata con
l'abside. Le dimensioni della navata sono: lunghezza metri 29, larghezza metri
12, altezza del pavimento al soffitto attuale metri 14. Queste dimensioni
rappresentano lo spazio utile; lo spessore dei muri é di circa 80 cm. L'abside
é ricavato su un decagono regolare del diametro di metri 8,20 circa. La parte
esterna comprende sette lati mentre su gli altri tre lati si apre un grande
arco trionfale che collega la navata con l'abside. L'orientamento
della Chiesa é da Est ad Ovest per modo che i primi raggi del sole nascente
colpiscono l'abside ed attraverso una snella monofora colpiscono l'Altare
Maggiore che trovasi sotto l'arco trionfale al limite dell'abside stesso.
L'intera costruzione é addossata ad un colle (il colle della torre) e vecchie
costruzioni sulla fiancata sinistra ne deturpano l'armonia delle dimensioni e
la purezza delle linee. La
fiancata destra della navata e dell'abside sono prospicienti alla più grande
piazza vissana che é completata dalla facciata cuspidata di S. Agostino (ex
chiesa) e da una serie di palazzetti cinquecenteschi che ne fanno un angolo
veramente caratteristico e riposante. La
parte della chiesa prospiciente la piazza é rivestita all'esterno di pietra
locale finemente lavorata che ha assunto con il tempo un colore caldo ed
inconfondibile, quasi biondo dorato. La fiancata sinistra invece é rimasta
grezza e ad essa sono addossate costruzioni piuttosto recenti (1600 e 1700)
che la nascondono in parte ed hanno provocato in epoca imprecisata la chiusura
di tre monofore. Anche la parete minore fronteggiante l'abside è rimasta
senza rivestimento in pietra ma ciò é in parte giustificato perché questa
parete era preceduta da un piccolo porticato prospiciente un Monastero
Agostiniano, dove radunavasi la corporazione che aveva sede nella Chiesa. Tale
porticato fu demolito nel 1572. In questa parete dal prospetto a capanna si
vede in alto il rosone ostruito in parte e parimenti é visibile altra
monofora chiusa. Non si rintracciano invece altri elementi che possano far
pensare ad un ingresso della Chiesa. L'illuminazione
della Chiesa é assicurata da grandi finestre monofore trilobate di metri 3,45
x 0,90, delle quali sei soltanto risultano oggi aperte (tre sulla parete
destra della navata e tre sull'abside) mentre altre quattro (tre sulla parete
sinistra ed una sul lato minore della navata) risultano chiuse verso il 1700
per il collocamento tra l'altro dell'organo e della cantoria e la costruzione
di stanzette e di locali per ampliare la sacrestia. La
struttura dell'edificio ed i suoi principali elementi decorativi non
consentono di attribuire alla costruzione un'epoca anteriore agli inizi del
secolo XIV e l'iscrizione collocata sull'architrave del portone principale che
parla di "opus novum" compiuto fra il 1324 ed il 1332 sembra debba
riferirsi logicamente al compimento del rivestimento della facciata con pietra
levigata, agli archetti di coronamento piuttosto che al magnifico portale che
rappresenta l'ingresso principale della Chiesa. La
costruzione é sormontata da uno snello campanile romanico la cui altezza dal
piano della piazza é di circa 50 metri, ivi compresa la croce di ferro che lo
sormonta e la cuspide sulla quale é collocata. Come
dicevamo il campanile non é né all'inizio né alla fine della Chiesa. E'
quasi nel mezzo della parete sinistra della navata ed, essendo di forma
quadrata (dimensioni utili dell'interno metri 4,35 x 4,35), un lato é
incorporato nel muro della navata stessa. il campanile prende luce da svelte
finestre bifore e trifore in ciascuna delle quattro facciate e nella parte a
monte presenta la stessa mancanza di rifinitura che si riscontra nella parete
sinistra della Chiesa. La cuspide che lo sovrasta é di epoca posteriore e
forse vi fu posta per assicurane maggiormente la stabilità perché anche ora,
con il suono di tutte le campane, la snella costruzione ha lieve oscillazione. Veramente
singolare é la mancanza di notizie intorno alla Chiesa; il suo archivio di
notevole importanza comincia soltanto dalla fine del 1400. Nessuna notizia é
stata possibile rintracciare sui costruttori e progettatori della Chiesa
all'infuori dell'iscrizione contenuta sull'architrave del portale e già
citata. Neppure negli atti del Consiglio del Comune di Visso che nel 1200 ebbe
sede nella Chiesa e che in ogni tempo contribuì largamente al decoro della
Chiesa stessa, si rintracciano notizie che possono servire a chiarire questo
mistero. Indubbiamente però il progettatore o i progettatori seppero
armonizzare mirabilmente le dimensioni del nuovo tempio sorto per
l'insufficienza della vecchia Pieve, e conservarono alla base del campanile il
sacro sacello della Madonna Bruna pur dando all'edificio nobiltà di linee e
sveltezza di forme. Forse la mancanza di notizie attendibili sulla chiesa di
Santa Maria va messa in relazione con l'incendio del Palazzo Comunale del
1477, durante il quale andarono distrutti tutti i documenti della Terra di
Visso, compresi quelli che nel tardo trecento furono danneggiati dall'umidità
di un pozzo dove erano stati nascosti per sottrarli alle alterne vicende
guerriere.. Ma, come dicevamo, é indubbio che nelle vicissitudini costruttive
della Chiesa intervenne largamente il Comune che ebbe i momenti più
importanti della sua vita legati alle adunanze nella vecchia Pieve di Santa
Maria, compresa come accessorio necessario nella Chiesa attuale. E ciò
perché l'attuale Chiesa di Santa Maria in Visso compendia le due chiese
primitive dello stesso nome, la prima delle quali si fa risalire al 1143 e la
seconda alla prima metà del 1200: ambedue sorte per il culto della Madonna
Bruna, stata lignea romanica che portata a Visso da un pellegrino verso il
1100 operò molti miracoli per modo che un mugnaio, certo Giovanni da Castel
San Giovanni di Visso fece costruire una cappelletta addossata ad un suo
molino esistente sulla riva destra del Nera, il cui percorso era diverso da
quello attuale e lambiva il Colle della Torre. I resti di quella cappelletta iniziale furono rintracciati nel 1644 nel piano sotto stante l'attuale presbiterio: era un modesto locale, a pianta rettangolare terminante ad abside con un solo altare. Dopo pochi anni l'oratorio costruito dal mugnaio divenne insufficiente a contenere i fedeli quindi sorse in prossimità del primo un secondo tempietto, più grande, a doppia navata longitudinale, distinta da tre colonne di pietra poligonali, con capitelli a blocchi irregolari, appena squadrati e smussati agli angoli. La nuova Chiesa egualmente dedicata alla Vergine ebbe sin dall'inizio il titolo di Pieve. La sua principale caratteristica era costituita dalla Cappella della Madonna Bruna situata proprio alla base del campanile quadrato che sovrastava la costruzione: la sacra immagine era visibile attraverso un lunettone munito d'inferriata, le cui tracce sono affiorate recentemente a seguito di lavori fatti nella cappelletta ricavata, come si è detto alla base del campanile.
Ma anche questa nuova Chiesa
si rese presto insufficiente per il continuo incremento della popolazione che
dalle valli circostanti e dalle alture vicine scendeva ad abitare nella
cerchia delle mura del libero Comune di Visso cresciuto in estensione ed in
potenza. E quindi in epoca imprecisata si iniziò la costruzione di una nuova
Chiesa, l'attuale, molto più grande e meglio decorata della precedente. La
nuova Chiesa fu consacrata nella prima Domenica dell'Ottobre del 1256 dal
Vescovo di Spoleto con il concorso di altri sei Vescovi dell'Umbria e fu
egualmente dedicata alla Vergine. Originariamente la costruzione doveva essere
completamente isolata per modo che apparivano in tutta la loro bellezza le
armoniche linee dell'edificio. Nel suo perimetro era stato compreso non
soltanto l'oratorio che nel 1143 era stato fondato dal Mugnaio Giovanni per
onorare la Madonna Bruna, ma anche la seconda Chiesa, l'antica Pieve, con il
campanile al quale fece seguito la vecchia Sacrestia. Però, date le nuove
dimensioni dell'edificio, dobbiamo presumere che vennero riviste anche quelle
del campanile per armonizzarle alla nuova costruzione. Il livello attuale
dell'antica sacrestia é di circa m. 1120 al di sopra di quello della Chiesa.
Tale dislivello si concretò nel 1260 quando per liberare dall'umidità la
Cappella della Madonna Bruna, lasciata sempre alla base del campanile se ne
elevò il piano di circa 10 piedi. La
chiesa attuale non ha conservato nell'interno le forme primitive perché nel
1652 il visitatore apostolico Mons. Castrucci ordinò una serie di lavori per
rimetterla a nuovo o meglio per modernizzarla. Tali lavori consistettero
principalmente nella demolizione di numerosi altari (dei 17 esistenti nella
Chiesa ne rimasero solo 7), nello smantellamento dell'altare maggiore, nello
spostamento del fonte battesimale che venne collocato nella cappella
costituita dall'Antica Pieve, nella costruzione di un banco di noce per i
magistrati collocato lungo la parete sinistra della navata al posto dove
attualmente si trova. Nel 1647 si iniziavano i lavori della sacrestia nuova;
nel 1646 si toglieva dall'Altare Maggiore il quadro degli Angelucci di Mevale
dipinto nel 1549 per incarico della Società del SS. Corpo di Cristo, mentre
la definitiva sistemazione dell'altare maggiore si trascina sino al 1706, pur
essendo iniziata nel 1678. A
seguito di questi lavori molte caratteristiche della chiesa antica andarono
perdute e nel 1645 si giunse anche a togliere la statua della Madonna Bruna
dalla nicchia scavata ai piedi del campanile dove era rimasta per secoli. E'
di tale epoca infatti l'attuale altare monumentale della Madonna Bruna
costruito da mastro Silvestro di Jaco o di Rosso della Sarta di Villa S.
Antonio; e con l'entrata in funzione di tale altare si procedette alla
chiusura dell'antica cappella della Madonna Bruna e dell'arco di comunicazione
tra la Chiesa e la Cappella stessa. Ma la
trasformazione radicale dell'aspetto interno della Chiesa si ebbe nella prima
metà del primo 700 quando l'antico soffitto a travature venne ricoperto da un
ricco soffittone formato da buone cornici e da mediocri dipinti, alla cui
esecuzione lavorarono per lunghi anni l'intagliatore Domenico De Petrangelis
ed il pittore camerinese Giuseppe Manzoni che dipinse i quadri relativi dal
1741 al 1743. Questo ricco soffitto che in fondo snatura il carattere della
Chiesa non manca di qualche pregio. Il concetto ed i disegno sono di grande
chiarezza: gli intagli non sono altro che cornici e le decorazioni dei quadri
che vi figurano: principali tra essi la Vergine in gloria, San Giovanni
Battista e Santa Margherita compatroni della città di Visso. Durante
alcune recenti opere di riparazione e tinteggiatura del soffitto sono stati
apportati alcuni ritocchi ai quadri in questione danneggiandone
irrimediabilmente l'espressione originaria. Non
si rintracciano negli Archivi della Collegiata di Santa Maria o del Comune di
Visso documenti inerenti alla pianta della Chiesa o alla sua descrizione. Dati
raggranellati qua e la danno modo di dare una descrizione sia pure parziale
della Chiesa. Dice
il Pirri "Dall'ampia nave rettangolare, di severa maestà basilicale, con
la tettoia a "cavalli, l'occhio correndo alla conca absidale affrescata
da pie immagini che ancora oggi "affiorano sotto l'abbondante strato di
calce, ammirava in mezzo al coro l'altare maggiore, "sopra vari ordini di
gradini, sormontato da una magnifica tribuna eretta su quattro colonne di
"pietra corniola, sostenuta da quattro leoni e finita con capitelli
dorici " . Attualmente i leoncini che formavano la base dell'antico
altare maggiore sono collocati all'ingresso del Palazzo dei Priori (attuale
Comune) ed i capitelli dorici sopra indicati hanno contribuito a decorare
l'ingresso dell'Antica Pieve rimessa in luce nel 1912 ed a formare il
basamento delle urne funerarie che si conservano nella stessa Antica Pieve. Nel
secolo XV esistevano già nel coro gli stalli canoni cali di noce, ad un solo
ordine e privi di appoggiatoio (che fu invece messo verso la fine del 1700)
fregiati con comici intarsiate e con braccioli lavorati a sculture ed
altorilievi ispirati a soggetti tolti dal regno vegetale ed animale che
servono a decorare i simboli della religione. La
pila dell'Acqua Santa ed il fonte battesimale hanno spiccate affinità
stilistiche con il grande portale trecentesco, si da farli pensare della
stessa epoca e forse opera della stessa mano. Però mentre non si hanno
notizie di spostamenti della pila dell'Acqua Santa che deve presumersi quindi
rimasta sempre allo stesso posto, il fonte battesimale, collocato in antico
vicino alla porticina di fondo, fu spostato nel 1645 a seguito delle
trasformazioni ordinate dal visitatore Apostolico Vescovo Castrucci e
collocato nella cappella allora detta del Crocefisso, ed oggi dell'Antica
Pieve dove è attualmente "acciocché la Chiesa restasse più ampia e
decente". Con ciò veniva data alla posizione del fonte una disposizione
inconsueta ed interna e veniva eliminato il baldacchino dal quale era
sormontato.
DESCRIZIONE DELLA CHIESA: L'esterno Nell'esaminare
l'esterno della Chiesa la prima cosa che ci colpisce é il magnifico portale
trecentesco che sporge dalla facciata di 25 centimetri ed ha le seguenti
dimensioni ivi compresa la parte decorativa: altezza metri 8 , larghezza metri
5,50. Il portale é a smusso e lo smusso é ornato sia a destra che a sinistra
da tre colonnine a spira di diverso disegno alternate con tre colonnine piatte o
rettangolari. Il basamento é comune a tutte e sei le colonnine mentre il
capitello é diverso. Quelli sormontanti le colonnine a spina sono decorati con
teste di mostri fantasiosi, mentre gli altri sono decorati con foglie che
ricordano quelle dell'ordine corinzio. L'abaco é costituito da una fascia
continua decorata sulla quale si impostano gli archi a pieno centro che
continuano il disegno delle colonnine a spina e rettangolari. Sull'angolo di
ogni colonnina rettangolare, all'altezza del capitello spicca la testa di un
piccolo mostro. Lo smusso é completato sul davanti da due colonne rettangolari,
una destra ed una sinistra:ciascuna porta infisso a 65 cm. dal piano della porta
un leone di pietra vegliante in atteggiamento di riposo.
Quello di destra sembra
stringere tra le zampe davanti un animale che non é possibile individuare. I
capitelli di queste colonne rettangolari, decorate da foglie sul tipo di quelle
dell'ordine corinzio, fanno da base ad un ampio arco a tutto centro, costituito
da una fascia decorata che si spinge fin sotto la cornice e completa l'opera. Il
tutto di armonica fattura e perfetta esecuzione. Gli stipiti che sorreggono
l'architrave tutto di un pezzo e che porta incisa l'iscrizione già ricordata,
sono rettangolari, la base é identica a quelle delle colonnine dello smusso e
forma corpo unico con esso, mentre sui capitelli lisci sporgono due animali le
cui teste quasi si incontrano sullo spigolo. La fascia decorata che costituisce
l'abaco delle colonnine continua e delimita superiormente l'architrave e forma
la base della lunetta circolare nella quale nel 1441 fu dipinto l'affresco
dell'Annunciazione, recentemente restaurato a cura della Sovrintendenza alle
Belle Arti di Ancona. Come
dicevamo i leoni sporgono dal portale, ma al livello del piano della porta
sporge anche uno zoccolo ad essi sotto stante, che sorreggeva forse una
colonnina che completava la decorazione e ciò a giudicare dal buco e dallo
spuntone di ferro che ancor oggi si vede. S'ignora chi fece il portale. Forse il segreto del suo nome é custodito nelle due lettere incise vicino a due colonnine della parte sinistra e quasi nascoste: una P ed una D che tradiscono con la loro forma la contemporaneità con il portale. La porta in legno con infinite cuspidi ed anelli di ferro é suddivisa in quadrati (48 in tutto) completati con due fasce rettangolari (una in alto ed una in basso) particolarmente lavorata quella in alto e più semplice quella in basso. Le sue dimensioni sono di metri 2,30 x 3,70. Esaminando i punti di connessione del portale con la parete ci si avvede che dalla parte destra la sporgenza del portale non aderisce perfettamente alla cortina della parete, il che lascia supporre che la posa in opera delle parti decorative dell'opera sia avvenuta posteriormente al completamento della facciata. In tal punto infatti il taglio della pietra é molto irregolare ed a differenza della parte sinistra non coincide perfettamente con il limite della cortina. La
porticina che si nota sulla parte sinistra della facciata prospiciente la piazza
é molto meno decorata di quella che abbiamo descritta. E' di uno stile molto
diverso e molto modesto: un semplice arco a tutto centro sormontato da una
cornice a sesto acuto. Con lo stesso sistema sono decorate le tre monofore
trilobate che danno luce alla Chiesa e completano le aperture della facciata. L'abside
invece ha sette archi a tutto sesto sostenuti da costoloni in pietra; di tali
archi tre sono occupati da monofore trilobate che danno luce all'abside,
monofore che a differenza di quelle della navata sono sormontate da archetti a
pieno centro parallelo all'arco più grande dal quale é separato da altro
archetto decorato egualmente a tutto centro. Gli altri archi sono ciechi e nei
punti di contatto tra gli archi é collocata una piccola mensola costituita da
testa di animale fantasioso. Lungo
la parete della navata destra e l'abside si vede un semplicissimo basamento in
pietra, diversa da quella della facciata; é alto circa 45 centimetri dei quali
30 sono costituiti da una parete perpendicolare ed il resto da uno smusso
inclinato. Su tale basamento, dalla parte destra, troviamo due iscrizioni che
purtroppo non ci illuminano affatto sugli autori del lavoro e dell'opera. Una
dice "sepulcrum Joanni Mancini", l'altra dice semplicemente "Sinibaldi"
seguita da una data illeggibile. Una parte del basamento attorno all'abside é
interrato. Completano
la facciata e l'abside, in alto, una fila di archetti ed una cornice. Gli
archetti sono di modesta dimensione, e nei loro punti d'incontro si trova la
solita mensola costituita da testa di mostro fantasioso: le teste sono diverse
l'una dall'altra e la cornice é semplicissima e poco sporgente. Il
tetto ha pendenza normale ed é coperto di coppi di terracotta. In esso si
notano due sporgenze triangolari delle quali quella ad ovest completa il
prospetto a tetto dell'antica facciata, e quella ad est separa il tetto della
navata da quello dell'abside. Non sappiamo perché é stata costruita questa
sporgenza triangolare in tutto simile a quella della parte ovest: forse la
ragione é quella che si é voluto rafforzare l'arco trionfale interno che
separa la navata dall'abside. Come
abbiamo già accennato nella facciata ovest, quella prospiciente l'ex Convento
di S. Agostino, notiamo in alto un grande rosone del quale soltanto quattro
bracci sono visibili. Sotto il rosone si nota una monofora chiusa nella cui
parte superiore é stata ricavata una finestra di grandi dimensioni. In basso,
sotto la monofora chiusa, si vedono i resti dell'imposto della volta del
portichetto, demolito. Va segnalata la diversa forma della pietra che
costituisce la facciata in oggetto che lascia presumere, tanta é la diversità
con quella della parte superiore, un' importante opera di riparazione in epoca
molto remota. Quindi é difficile rintracciare elementi che possono far supporre
l'esistenza della porta da questa parte: porta di ingresso che doveva certamente
esistere perché sotto stante al rosone e perché in direzione dell'altare
maggiore. Dobbiamo quindi presumere uno spostamento dell'ingresso principale in
epoca imprecisata perché altrimenti ci troveremmo di fronte ad una costruzione
religiosa che rappresenta un'eccezione alla normalità. Tenendo
presente che il portale d'ingresso si trova di fronte alla vecchia Cappella
della Madonna Bruna ricavata alla base del campanile sin dall'epoca della
Vecchia Pieve e che lo stesso portale non si trova alla perfetta metà della
facciata (verso destra per giungere allo spigolo sono metri 12,75, verso
sinistra per giungere allo spigolo sono 12,20), ci sembra che la questione della
posizione dell'ingresso principale venga messa in relazione al desiderio di
porre di fronte alla porta il sacello della Madonna Bruna alla quale veniva data
un'importanza superiore a quella dell'altare maggiore. E' un'ipotesi la nostra
non suffragata da alcun documento ma che serve a spiegare le diverse anomalie
che si riscontrano nell'edificio in questione, non ultima quella del
collocamento delle uniche due porte della Chiesa dallo stesso lato ed a
brevissima distanza. Tutto ciò che abbiamo sommariamente descritto denuncia la natura romanica dell'opera, ma un romanico di transizione con larghe reminiscenze lombarde e toscane. Tale lo dice la forma dell'abside poligonale, la presenza degli archetti sul coronamento dell'edificio, l'antica facciata a tetto di capanna, l'ornamento dei capitelli anche con grottesche figurazioni di animali e di mostri, l'uso dell'arco acuto perfetto nelle monofore e nella porta minore: il tutto in relazione all'indubbia presenza dei maestri comacini e senesi dei quali troveremo nel secolo successivo indiscutibile presenza a Visso come riportato da antichi documenti. DESCRIZIONE
DELLA CHIESA - L'INTERNO Entriamo
nella Chiesa attuale dall'antico portale trecentesco dando un ultimo sguardo
alla sua ricca decorazione di pietra calcarea bianca ed alle figure della
lunetta che hanno linee delicate ed armoniche con colorito fresco e limpido,
quasi trasparente, che s'intona mirabilmente alla severità del portale. A
destra della porta c'é l'antica pila dell'acqua
santa, di forma quadrata che si
erge su basamento egualmente quadrato collegato alla conca, scavata in un blocco
di pietra calcarea, da un pilastro polistile. La parte superiore é intagliata
con viticci e foglie di acanto che sono separate agli angoli da quattro figure.
La decorazione é ingenua e di sapore arcaico e le figure sono più che altro
maschere. Però é un lavoro armonico, di gusto semplici ma buono che con
sobrietà di mezzi raggiunge un effetto notevole. Nella
parete interna, al di sopra della porta é collocato un dipinto di notevoli
dimensioni rappresentante la Presentazione al Tempio di Gesù. Non abbiamo
elementi per stabilirne la provenienza e l'epoca ma le figure hanno una certa
espressione e la fusione dei colori é buona. Al
disotto di questo quadro é collocata una lapide del 1600 che ricorda che la
Chiesa di Santa Maria fu consacrata del 1256 dal Vescovo di Spoleto e da altri
sei Vescovi Umbri. Il
pavimento della Chiesa non é uniforme. Esso per la parte che interessa la
navata é leggermente inclinato verso il portale per dar modo all'acqua di
defluire liberamente. E ciò perché non é infrequente il caso che in periodo
di pioggia prolungata, sotto i gradini che conducono alla vecchia sacrestia ed
al campanile, si determini una sorgente temporanea di acqua di una certa
importanza, forse in conseguenza dell'andamento degli strati della Collina alla
quale é appoggiata la parte sinistra della Chiesa. Il
pavimento dalla metà del portale verso l'altare maggiore e precisamente fino ai
gradini del presbiterio fu rifatto nel 1700 a lastroni regolari, quadrati, a
bianco e rosso, delimitati da due fasce di marmo bianco. Dalla metà del portale
in giù, verso la porticina, il pavimento é a lastroni irregolari di pietra
locale grezza. Dalla porticina sino al termine della Chiesa il pavimento é in
terracotta con mattoni rettangolari di recente fabbricazione. Parimenti
in pietra grezza locale é il pavimento dell'abside e una striscia larga circa
due metri parallela alla parete destra della navata nel tratto che va
dall'ingresso ai gradini che separano il presbiterio dal resto della Chiesa. Con
molta probabilità il pavimento rappresenta i residui dell'antica Chiesa di
Santa Maria e nella parte in esame troviamo una sola lapide ricordante un
cittadino di Cingoli venuto a far da paci ere morto nel 1573 ed ivi sepolto. Intorno
alla Chiesa, ad un'altezza di metri 10 circa dal pavimento corre un cornicione
postovi certamente all'epoca della costruzione del soffitto in legno. Il
cornicione é interrotto soltanto per il passaggio delle aperture delle monofore
per le quali dalla parte interna si rileva che non sono collocate tutte alla
stessa altezza in quanto la base inferiore non é allo stesso livello. Le pareti
delle monofore sono dotate di ampi sguinci per facilitare l'entrata della luce.
Anche all'interno le monofore sulla navata hanno l'arco acuto, mentre quelle
dell'abside hanno l'archetto a tutto sesto. In
alto sulla parete sinistra della navata é collocato un monumentale organo con
una cantoria in legno. L'organo che sorge allo stesso posto di quello che nel
1700 veniva chiamato antico, fu costruito nel 1759 a Camerino, come risulta dai
documenti conservati nell'archivio della Chiesa. Vi si accede dall'interno del
campanile. Del
soffitto abbiamo già parlato, esso é ispezionabile attraverso la travatura
dell'antica Chiesa tutt'ora conservata. E' formata da robusti cavalli squadrati
ma non operati e neppure dipinti, forse leggermente lavorati nell'imposto del
trave trasversale. Nella
parete destra, tra le due monofore, verso l'altare maggiore é collocato un
grande dipinto proveniente dall'ex. Chiesa di S. Agostino rappresentante la
Madonna tra S. Nicola da Tolentino, S. Agostino, Le vergini S. Lucia e S.
Apollonia, le vedove S. Rita da Cascia e S. Monica. Dipinto nel 1634 da Antonio
Pellegrino é un lavoro di vasta e buona concezione, ben disegnato ed
accuratamente eseguito. Continuando
lungo la parete destra della navata, a fianco dell'altare maggiore, a
"cornu epistolae" e precisamente al termine del rettangolo della
navata, si erge l'altare detto del Gallo, un tempo dedicato ai SS. Tommaso,
Eustachio e Fortunato, e dal 1649 alla Madonna del Carmine per esservi stato
trasferito il relativo quadro proveniente dalla Chiesa di S. Barnaba. L'altare
che risale a prima del 1495 ha colonne ed ornati dorati in legno eseguiti nella
prima metà del 1600 da mastro Francesco Rubbione (1646). Attualmente l'altare
porta un quadro modernissimo (anche troppo per lo stile della Chiesa) della
Madonna di Pompei, pur conservando lo stemma del gallo d'oro sopra cinque monti,
simbolo della famiglia Azzoni che ne ebbe il patronato. Dalla
parte opposta e sulla stessa linea troviamo l'altare della Madonna della Pietà
anch'esso molto antico e con un quadro rappresentante La Pietà di buona
fattura. L'altare anch'esso in legno, di "eccellente architettura ed
intaglio" é opera del maestro Giuseppe de Marino ed é ricco di fregi con
cornici e colonne dorate. Fu eretto nel 1640 dal patrono Rutilio Leopardi che lo
fregiò del suo stemma e cioè un leopardo con ramo brandito in quanto a Visso
risiedeva un ramo della nobile famiglia. Lungo
la parete sinistra, sotto la cantoria e l'organo c'é un banco in noce lavorato
ad intaglio che era riservato ai Magistrati. Segue
poi l'altare della Madonna Bruna addossato alla parete del campanile incorporato
nel muro della navata, subito dopo la porta che immette nella vecchia Sacrestia.
Fu costruito come abbiamo detto nel 1645 da Silvestro della Sarta da Villa S.
Antonio (frazione di Visso) in legno intagliato e dorato, con doppio ordine di
colonne e fregi particolarmente eleganti che disposti simmetricamente danno
all'altare un senso di maestosità non comune. In una nicchia al centro
dell'altare é collocata la statua della Madonna Bruna, statua lignea del XII
secolo in stile romanico. La vergine é rappresentata seduta in grandezza
leggermente inferiore al naturale, col Bambino in braccio, vestita con una
aderente lunga tunica oscura. Il lavoro d'intaglio finissimo dà una particolare
espressione al bel volto bruno ed alla snella persona. Il Bambino é
artisticamente inferiore perché la perizia dell'intagliatore non ha saputo
raggiungere, forse per questioni di dimensione, la stessa potenza espressiva
della Madonna. La statua é alta metri 1,28 e peccato che la fronte delle due
teste, della Madonna e del Bambino, é stata rovinata dall'apposizione della
corona di metallo che nelle solennità viene loro imposta. La fronte delle due
statue sembra attraversata da una benda grigia che accentua maggiormente il loro
aspetto un po' esotico dovuto alla colorazione ed alla natura del legno in cui
le statue sono state scolpite. I piedi hanno poi risentito maggiormente
l'ingiuria del tempo ed appaiono molto logorati. La
nicchia dove abitualmente é collocata l'immagine é circondata da una fascia di
dipinti dove in quindici quadretti sono rappresentate scene di carattere
religioso. In cima all'altare si nota poi un quadretto rappresentante altra
Madonna con il Bambino. Infine
fra la porta secondaria ed il portale c'é l'altro altare detto di San Giuseppe,
costruito nel 1646 dal maestro Francesco Rubbione, ornato di colonne e fregi
dorati e riccamente intagliato. Il crocifisso in alto vi fu posto nel 1696 e la
tela al centro rappresenta la morte di San Giuseppe. Intenzionalmente
non abbiamo ancora parlato dell'altare maggiore posto sotto l'arco trionfale che
congiunge il presbiterio all'abside e sino a poco tempo fa sormontato in alto da
un baldacchino dipinto e dorato costruito nel 1735. Come abbiamo detto questo
altare fu profondamente modificato nel 1646 e munito in seguito di palliotto in
marmo e di un caratteristico tabernacolo fatto costruire a Roma nel 1678. Al
centro di esso spicca anche un trono in marmo per l'esposizione del Santissimo
che conferisce all'altare stesso una particolare imponenza, specie quando nelle
maggiori solennità é parato con l'argenteria costituente il Tesoro della
Collegiata e della quale parleremo in seguito. Nella
Sacrestia vecchia trovasi l'ingresso al campanile e la stanzetta, a volta,
presenta due caratteristiche nicchie che si debbono far risalire ai primi del
1400 perché la più vicina alla porta é decorata con lo stemma della Comunità
senza le chiavi, che vennero concesse da Eugenio IV nel 1433. Delle due nicchie
una é adibita ad armadietto e l'altra contiene un serbatoio in pietra per
l'acqua: fra le due nicchie c'é la porta che serve d'ingresso al campanile ed
alla Cappella della Madonna Bruna alla quale si accede scendendo alcuni gradini
a sinistra. Tale Cappella rimessa in luce nel 1933 da alcuni appassionati di
cose Vissane, é di forma quadrata ed ha il pavimento allo stesso livello di
quello della Chiesa ma le lastre sono state asportate. Sotto l'intonaco dal lato
che da verso la Collegiata é apparsa la traccia dei conci dell'arco di
comunicazione con la Chiesa chiuso nel 1645. Nella parete nord é scavata una
nicchia di metri 0,90 x 2 x 0,40 dove era collocata la statua e davanti alla
nicchia si vedono i resti di un piccolo altare e di un drappo dipinto. La volta
é a crociera e sulla parete adiacente all'antica Pieve si vede in alto la
traccia di una finestrina quadrata. Il
fatto di essere la Cappellina allo stesso livello della Chiesa, di avere il
grande arco di accesso aperto verso la stessa ed il muro interno che si dimostra
contemporaneo al muro perimetrale del Campanile fan ritenere la sua costruzione
quasi contemporanea alla nuova Chiesa, cioè agli inizi del secolo XIV. Sui muri
si notano diversi resti di decorazione pittorica. Sotto l'arco verso la Chiesa,
nello spessore del muro, stanno due figure di Santi, S: Antonio da Padova di cui
rimane la parte superiore e San Nicola da Bari meglio conservata. La intera
lunetta verso la Pieve é occupata da una "Natività della Vergine dipinta
a fresco". I particolari che fanno della scena sacra una scena
caratteristica sono molto graziosi: una donna versa dall'anfora l'acqua nel
catino mentre un'altra toglie le fasce alla neonata per immergerla nel bagno.
Tali affreschi si dimostrano opera mediocre del tardo cinquecento. Sulla parte
esterna del muro che chiude l'arco di accesso di detta Cappella e precisamente
vicino al pulpito si notano tracce di decorazione ed una figura raffigurante una
monaca. Come
abbiamo detto la base del campanile é incastrata nella parete sinistra della
navata e tale disposizione provoca una sporgenza rientrante di metri 1,10. In
conseguenza di ciò la larghezza della Chiesa non é costante ma aumenta dalla
porta della vecchia Sacrestia in su verso l'Altare Maggiore. L'abside
oltre che al coro di cui abbiamo parlato ha recentemente subito alcune
trasformazioni che lo hanno riportato
allo stato primitivo. Sono state riaperte le due monofore chiuse verso il 1600
per modo che ora la luce mette in risalto le linee armoniose dei costoloni
cordonati costruiti di pietra leggerissima (spugna) e ricoperti di stucco. Ci si
dice che sotto l'intonaco attuale sono state rilevate tracce di decorazione
all'uso gotico. Che in antico l'abside doveva essere decorata come alcuni tratti
delle pareti della navata é dimostrato dal fatto che nell'abside e precisamente
nella parte sovrastante l'ingresso della nuova sacrestia affiorano, malgrado
l'imbiancatura, aureole di Santi. Naturalmente allo stato attuale non abbiamo
elementi per giudicare dell'importanza e dell'estensione di tali pitture, e
tanto meno della loro epoca. Subito
dopo l'altere della Madonna Bruna si apre l'ingresso alla Vecchia Pieve
costituito da un arco a tutto sesto di metri 3 x 3,50. Il pavimento dell'antica
Pieve é più alto di circa 60 cm. di quello della Chiesa e l'ampiezza dell'arco
é limitata da due inferriatine in ferro battuto appoggiate a due capitelli
dorici provenienti forse dagli altari che un tempo esistevano nella Chiesa.
Entrando ci troviamo in un ambiente poco illuminato, a volta ogivale, divisa in
due navate da tre pilastri ottagonali: le pareti sono decorate con affreschi di
scuola Umbro Marchigiana del XIV e XV secolo che vanno mano a mano scomparendo a
causa dell'umidità. Rimangono oggi alcuni frammenti di una vasta composizione
pittorica in affresco che narra episodi di vita di S. Caterina, il suo colloquio
con i filosofi, la prigionia e la morte della vergine alessandrina. Nelle vele
della Cappella si notano insignificanti avanzi di quattro tondi con busti degli
Evangelisti contornanti una figura centrale della Vergine. Nella parete laterale
si notano i resti di un grande affresco, forse del secolo XV dalle tinte
scolorite ma ricco di animazione con una grande figura di Santo eretto, vestito
di un manto con berretto rosso e tunica verde. Quattro minori figure che gli
fanno contorno narrano una storia miracolosa di un leone che assalisce una
mandria di pecore mentre il pastore si arrampica su di un albero. Nel secondo
riquadro il Santo che provvidamente sopraggiunge tiene nelle mani la zampa
anteriore del leone e lo ammonisce; nel terzo riquadro il pastore tosa le pecore
mentre il leone fa la guardia e nel quarto il leone domato e caricato di una
soma di legna segue mansueto il pastore che torna a casa. A
destra dell'ingresso della Cappella c'é una tavola di marmo sorretta da due
capitelli del tipo di quelli che delimitano la inferriatina dell'ingresso; segue
il fonte battesimale, ottagonale, in pietra calcarea bianca finemente lavorato
con ornamenti geometrici, foglie di acanto, colonnine e capitelli. In un lato c'é
lo stemma della comunità di Visso senza chiavi. Il fonte battesimale é sopra
elevato rispetto al livello del pavimento di circa 60 cm. divisi in tre gradini
che girano tutt'intorno al fonte e ne seguono la forma ottagonale. Nei capitelli
delle colonnine ritroviamo le stesse maschere della pila dell'Acqua Santa,
mentre al di sopra della parte marmorea il fonte é completato ed abbellito da
una parte in legno, finemente intagliata e chiuso da una specie di cupoletta,
pure in legno, poligonale. E' un peccato che il fonte sia collocato in un luogo
tanto oscuro che rimane difficile poterne ammirare le semplici e severe linee e
la perfetta decorazione. In fondo sotto due finestrine recentemente riaperte e
che illuminano molto tenuamente tutto l'ambiente, sono collocate due urne
tombali di pietra grigia e di notevoli dimensioni: quella a sinistra, di pietra
calcarea, ha nel fronte anteriore la figura scolpita di un monaco disteso nel
cataletto con un angelo turificante. Contiene il corpo di Meo da
Visso, rettore
del locale Convento di S. Barnaba, che ebbe parte importante nella
riconciliazione delle avverse fazioni che dilaniarono Visso. Quella di destra
riguarda il Beato Nicolò Siciliano, altro Apostolino morto nel 1483: questa
urna con iscrizione in lettere gotiche é di taglio più rude di quella
precedente e per quanto ne ricalchi la forma la supera per la decisione del
disegno. La persona del Beato é rappresentata distesa, con tunica ed un manto
allacciato sul petto con una borchia. Il lavoro é molto espressivo ed é
decorato da foglie di acanto. Come
al solito non conosciamo gli autori di questi lavori in pietra, ma la diffusione
di altri lavori egualmente in pietra nella zona del Vissano fanno pensare ad una
scuola locale di petraioli, vissani naturalmente che fiorì a Visso nel secolo
XIV e che diede vita ad un'arte locale con linee semplici e di sicuro effetto,
dove tralci intrecciati e serpeggianti, motivi animali e vegetali dell'età
romanica sopravvivono e s'attardano. E nei secoli successivi i documenti mettono
in risalto l'afflusso di artisti comacini e lombardi nonché toscani specie
verso la prima metà del 1400, che sparsi in tutte le Ville della Terra di Visso
sono ricordati in diversi monumenti che sono pervenuti fino a noi come il tempio
di Macereto, la Chiesa di Villa S. Antonio, quella di Mevale nonché fonti
battesimali, palazzi, ecc. L'esistenza
di tali petraioli locali spiegherebbe molte cose se si potesse dimostrare con
documenti che essi erano operanti anche durante la prima metà del secolo XIII
ed i primi del XIV. Nel
fondo della Chiesa, uno sulla parete della navata destra ed uno sulla parete
della navata sinistra, hanno trovato posto due affreschi provenienti dall'antica
Chiesa di S. Agostino, destinata ad uso profano. Sono due affreschi
importantissimi, uno del 400 e l'altro riconosciuto come opera di Giovanni di
Pietro detto lo Spagna. Il secondo dipinto staccato dal muro nel 1868 per opera
del Prof . Buccolini, fu trasportato nella Chiesa di S. Maria e collocato di
fronte alla porta minore. Tale affresco dello Spagna é diviso in 4 sezioni e
misura metri 5 x 2,50. Nella parte più bassa su una specie di nicchia piuttosto
aperta grandeggiano 6 figure su due linee: avanti S. Agostino con S. Raffaele ed
il piccolo Tobiolo, un paggio e dietro S. Nicola da Tolentino e S. Antonio da
Padova. Sovrasta una specie di lunetta semi circolare appoggiata a due
pilastrini molto ben arabescati che fanno anche da cornice alla sezione
inferiore. Nella lunetta a mezza figura, é rappresentata la Madonna con il
Bambino benedicente contornata da Angeli dei quali due in atto di preghiera.
Nella parte anteriore della lunetta c'é una iscrizione latina che spiega il
motivo del lavoro. Cinquanta centimetri sopra la lunetta sporge una cornice in
piano, sorretta da due semplici pilastrini, basati su mensole sporgenti e
racchiudenti due tondi separati da un artistico arabesco, raffiguranti
l'Annunciazione. Sopra ancora, in un'altra cornice semi circolare, spicca il
Padre Eterno contornato da puttini e serafini facenti corona. Nell'angolo destro
in basso, dove la pittura è scomparsa, c'é una iscrizione che ricorda il
trasloco dell'opera. Malgrado
che l'umidità abbia qua e là alterato le tinte e distrutto la parte inferiore
delle figure della prima sezione, il valore dell'opera é grande e la semplicità
e l'armonia di tutto l'insieme colpiscono profondamente. La dolcezza celestiale
delle figure, il colore delicato dei vestiti e dei panneggiamenti, l'intonazione
dei colori, i caratteri ben delineati nella figurazione della Madonna e nei
volti dei Santi, la maestosità del Padre Eterno rivelano l'attenzione e la
somma cura posta dall'artista nel compimento del lavoro che é indubbiamente uno
del periodo migliore dello Spagna. Di
fronte, nella parete destra della navata é collocato l'altro dipinto distaccato
egualmente dalla Chiesa di S. Agostino. E' attribuito a Paolo da Visso che lo
fece nella seconda metà del 1400 su commissione della Comunità per intercedere
la cessazione di una grave pestilenza che infieriva nel Comune. Il quadro ha
finezza di linee non comuni e traduce molto bene una concezione abbastanza
complessa. In alto il Redentore accigliato, drappeggiato con un manto rosso,
scaglia frecce malgrado che ai suoi lati due file di angeli invochino misericordia. Nella parte centrale, sotto un padiglione di tela acuminato, sulle
cui pareti si spezzano le saette divine, la Vergine, in lacrime, seduta, vestita
a lutto, con i capelli sciolti cadenti sul petto regge il Figlio morto disteso
sulle ginocchia. Due Santi in piedi, S. Agostino e S. Nicola da Tolentino,
sorreggono i lembi del padiglione sotto il quale si raccoglie affranto e
fiducioso il popolo Vissano rappresentato da una schiera di uomini ed una di
donne. Tre iscrizioni semplicissime di tenore completamente medioevale, che
alcuno vorrebbero comprendere tra i brani della prima letteratura italiana,
completano l'opera e ne spiegano il significato. La Composizione di questo
importante dipinto si ricollega a quel tipo della pittura umbra chiamata votiva
e, per il profondo sentimento mistico, per la secchezza del disegno e la
trascuranza dei rilievi anatomici delle forme, rievoca la maniera Umbra del
primo '400. Al
centro della parete minore della navata, sotto la finestra che da luce a questa
parte della Chiesa sono stati collocati i quadri che sino a poco tempo fa erano
collocati nell'abside, sopra al coro. E ciò in conseguenza della riapertura
delle monofore dell'abside stessa. La nuova sistemazione é molto indovinata e
completa la parte decorativa delle pareti della Chiesa rimpiazzando il vuoto che
sino a poco tempo fa era appena riempito da un crocefisso secentesco oggi
collocato nella Antica Pieve. In
questa parete dunque trova posto una tavola di Gaspare e Camillo Angelucci da
Mevale con tabernacolo in legno dipinto ed inciso, fatta nel 1549 e che
anticamente era collocata sopra l'altare maggiore ove rimase sino al 1646 quando
l'altare venne demolito e modificato. Tale tavola é divisa in due comparti
orizzontali, fiancheggiata da colonne scolpite a fiorami; ha nel mezzo la
sezione anteriore di un ciborio pentagonale in legno rilevato con piede ornato
di belle decorazioni ad intaglio e con i lati fregiati da vari episodi
evangelici a colori. Due gruppi di Santi fra i quali gli apostoli Pietro e Paolo
(quest'ultimo appoggiato ad una grande spada ed avvolto in ampio paludamento)
fanno ala al tabernacolo sulle cui facce sono dipinte: l'Assunzione di Maria
Vergine, l'Ascensione di Gesù Cristo e la discesa dello Spirito Santo. In alto
in una specie di lunetta semi circolare il Padre Eterno contornato da
angioletti. L'intaglio sobrio e dovizioso della cornice, le figure in grandezza
naturale, la ricchezza dei colori e la loro armonia sono indice della maturità
pittorica raggiunta dai due artisti di Mevale, appartenenti con altri ad una
dinastia di pittori montanari del 1500. Fiancheggiano
il quadro degli Angelucci due altri grandi quadri: quello verso l'affresco dello
Spagna rappresenta San Giovanni Battista, l'altro Santa Margherita, compatroni
della città di Visso: quadri di discreta fattura ma dei quali ignoriamo epoca
ed autori. E'
una svelta costruzione che si innalza per oltre 50 metri sul livello della
piazza. Di forma quadrata é sormontata da una cuspide ottagonale poggiata su di
un ballatoio e sormontata da una croce di ferro alta metri 2,50. Anche da un
sommario esame si vede che la parte superiore comprendente due celle campanarie
é di costruzione più recente della parte inferiore e ciò può spiegarsi con
il fatto che all'epoca della costruzione della nuova Chiesa si provvide anche ad
armonizzare il campanile dell'Antica Pieve con le nuove dimensioni. Alla base
del campanile, come abbiamo detto, era la Cappella della Madonna Bruna ed
esaminando l'interno sin sotto alla prima cella campanaria che si trova
collocata a metri 19 dalla base si osservano nelle pareti tre archi a tutto
sesto murati indice questi dell’esistenza di una terza cella campanaria ,
quella antica. In questo tratto il campanile non presenta aperture all'infuori
di una piccola finestra a forma di monofora di modeste dimensioni sulla facciata
sud e di altra finestra a forma stessa di monofora con arco a tutto sesto sulla
facciata est: aperture non rifinite che hanno il solo scopo di dar luce
all'interno del campanile. La
cella campanaria attuale (quella inferiore) che secondo noi dovrebbe segnare il
limite del campanile dell' Antica Pieve, é decorata su tre lati da svelte
bifore, la cui divisione viene data da tre colonnine ottagonali, con capitelli e
basamenti semplicissimi, di pietra bianca calcarea. Gli archi delle bifore sono
a tutto sesto: i capitelli quadrati con smussature agli angoli sì da sembrare
ottagonali non portano decorazione. Nella parete a nord esiste_ solo un grande
arco a tutto sesto senza la bifora che si riscontra negli altri lati. In questa
cella campanaria é collocata la Campana grande, il così detto Campanone di
metri 4, l0 di circonferenza, alto all'esterno metri 1,65 fusa nel mese di
Ottobre del 1761 come appare dalla data che segue l'iscrizione. E' decorata da
un Crocifisso, da un San Giovanni Battista, dall'Assunta e da un santo Vescovo
ai cui piedi giacciono la mitria ed una campana. L'altezza di cella é di metri
5,80 ed é sovrastata da altra cella campanaria alta metri 6,80 nella quale sono
collocata 4 campane. Su tre lati del campanile sono state aperte tre trifore la
cui separazione é data da una doppia serie di tre colonnine ottagonali aventi
le stesse caratteristiche strutturali di quelle della bifora della cella
inferiore. Anche qui la parte verso nord non presenta la trifora ma soltanto
l'arco a tutto sesto. Da osservare che colonnine ed archetti sia della bifora
che della trifora aperte nella parete est del campanile sono state recentemente,
in occasione del rafforzamento e della nuova sistemazione delle campane
effettuata nel 1929, lavori provocati dalle lesioni determinatesi nella
costruzione a seguito delle forti oscillazioni a cui era soggetto tutto il
campanile quando veniva suonato il Campanone che si trovava nella cella
superiore. Le quattro campane collocate nella cella campanaria più alta, sistemate in linea orizzontale da nord a sud sono: I
sostegni delle campane sono tutti metallici e sono azionati con corde dal piano
della volta sovrastante la Cappella della Madonna Bruna. Indubbiamente
alcune delle colonnine esistenti nelle trifore e nelle bifore provengono dalle
decorazioni delle finestre del vecchio campanile della Pieve Antica. Lo denuncia
il loro stato di logorio e la natura diversa della pietra, nonché la loro
differenziazione non solo nelle dimensioni ma anche nelle forme pur conservando
sempre quella ottagonale. Tutto
intorno alla cuspide ottagonale corre un ballatoio che costituisce la fine della
parte quadrata del campanile, che termina con cornice molto sporgente sostenuta
da una snella fila di archetti a tutto sesto che la collegano alla parete del
campanile. Fra
una cella campanaria e l'altra una semplice cornice da movimento alla svelta
linea del campanile e tale cornice é ripetuta alla base della seconda cella
campanaria quasi a delimitare la vecchia dalla nuova costruzione. Da notare
anche che mentre gli archetti della bifora sono a tutto sesto, quelli della
trifora sono invece a sesto acuto. Attualmente
al campanile si accede da una porticina collocata tra le due nicchie della
vecchia sacrestia, porticina che serve anche per l'accesso alla cappella della
Madonna Bruna alla base del campanile. Ma in antico l'accesso non doveva essere
questo, perché nella parete fronteggiante la navata della Chiesa si
rintracciano gli stipiti di una porticina murata che corrisponde all'attuale
luogo dove é collocato il pulpito. Ed in origine doveva esserci anche un'altra
entrata collocata al di sopra della porticina predetta perché si riscontrano
una fila di scalini che corrono lungo la parete est prima e nord poi sino a
raggiungere il piano del campanile dove noi abbiamo posto la cella campanaria
della Pieve Antica. I gradini in questione sono appoggiati verso l'interno ad
una parete relativamente sottile (cm. 45), che forma il lato est ed il lato
nord della Cappella della Madonna Bruna e della vecchia cella campanaria dando
l'impressione di un vecchio campanile attorno al quale sia stato costruito
quello attuale. Ma lo spessore dei muri fa scartare questa conclusione e riporta
queste pareti alla precisa funzione di tramezzi per assicurare l'ingresso e al
campanile ed alla Cappella. Per
dare l'idea della robustezza della costruzione diremo che al piano della seconda
cella campanaria i muri hanno ancora lo spessore di metri 1,10 e lo spazio utile
interno é di metri 4 x 4 contro i metri 4,35 x 4,35 della base. IL
TESORO
Non possiamo terminare queste brevi note sulla Chiesa di S. Maria in
Visso senza accennare all’importanza artistica degli arredi Sacri costituenti
il così detto “Tesoro” e custodito nella Sacrestia Nuova in una vecchia
credenza con robusta chiusura in legno rafforzata da lastre di ferro. Tale
credenza corrisponde all’ingresso, ora chiuso, della Sacrestia, collocato
nella parete sinistra della navata poco sotto degli attuali gradini che separano
il presbiterio dal resto.
La serratura è azionata da due artistiche chiavi, una delle quali è
tenuta dall’Arciprete della Chiesa e l’altra dal Comune.
Il tesoro vanta dei pezzi veramente pregevoli dal punto di vista
artistico, ed è costituito da croci, candelieri ed altro.
Nella prima metà del 1400 l’antica croce professionale romanica in
legno, rivestita di rame dorato e sbalzata a due volti (sec. XII) veniva
sostituita da una nuova croce di argento sbalzata e cesellata, grandiosa e
magnifica, detta di San Marco e nella quale si riconosce la mano di Nicola
Gallucci di Guardiagrele, del tutto simile a quella di San Giovanni in Laterano
in Roma. Nel recto è il Crocefisso coronato da un angelo e nei lobuli la
Vergine, San Giovanni e forse San Gregorio Magno. Nel verso il Salvatore in
trono con nei lobuli i simboli degli Evangelisti. Originariamente molti
finissimi smalti a vari colori fregiavano le mensole delle statuine, ma oggi ne
restano pochi frammenti. Il piede di rame porta nel nodo esagonale lastrine
rotonde con incise la Vergine con il Bambino, San Paolo, San Matteo, San Pietro,
San Bartolomeo e S. Giovanni Apostoli, piastrine di grande finezza ma che
sembrano leggermente posteriori al restante della Croce, che è tutta su lamina
d’argento.
Il turibolo con navicella di argento è opera di puro stile gotico. Il
turibolo è a pianta esagonale con pilastrini
e pinnacoli; la navicella a forma di nave è completa in tutti i suoi
dettagli: albero, corde, coperta finita in tutti i particolari comprese le
finestrine. E’ un lavoro delicatissimo e completo di magnifico effetto.
Del 1575 è un’altro pezzo degno di nota e cioè la Croce Capitolare
d’argento, con anima in ferro ed asta di legno, opera dell’orafo norcino
Clarizio Quarantotto.
Nel 1659 vennero acquistati a Roma, con il lascito Benigni, sei
candelieri d’argento per l’Altare Maggiore, a base triangolare, alti 65 cm,
con lo stemma della Comunità di Visso e del testatore. La Croce relativa fu
acquistata nel 1667 ed è d’argento ornata di testine cesellate. E nel 1678 fu
acquistata anche una grossa lampada d’argento con volute a sbalzo e cherubini
cesellati. Un grande calice, fregiato da gruppi di angeli nel piede con un
puttino sorreggente il fusto venne acquistato nei primi del 1700, mentre si
conserva ancora un antico calice di rame lavorato la cui forma richiama quella
dei calici in uso nei primi del 1300.
Le carte gloria con cornici di ebano e lastre d’argento furono
acquistate nel 1666.
Con il tesoro della Chiesa di Santa Maria sono anche custoditi due
oggetti molto preziosi facenti parte del Tesoro del Tempio di Macereto, che fu
aggregato a Visso nei primi del 1500. Una Croce stazionale in lamina d’argento sbalzata con nel verso il Crocifisso con sopra un pellicano e nelle formelle quadrilobate l’Eterno, la Madonna, San Giovanni e la Maddalena. A tergo la Madonna con il Bambino, la scritta S. Maria di Macereta e nelle formelle i quattro Evangelisti. Questa Croce è opera di Giulio Danti da Perugina (1567). La palla di sostegno è cesellata con festoni e fregi. Opera fine e di pregio molto espressiva.
Un manto della Madonna di Macereto di drappo di argento con ricchi ricami
in oro applicato svolgente un motivo a foglie ed a volute. E’ pesantissimo e
termina con una mezzaluna. Durante la recente guerra soffrì molto per
l’umidità, ma è stato poi molto ben ripristinato e riportato all’antico
splendore.
Una ricca dotazione di pianete seicentesche, magnificamente conservate,
nonché altri pezzi minori di argenteria risalenti ai secoli XVII e XVIII
completano il Tesoro in questione. LA
SACRESTIA NUOVA
Vi si accede da una porticina posta nella parte sinistra dell’abside
vicini all’arco trionfale. E’ un ambiente poco illuminato ed umidiccio di m.
8,50 x 4 x 5,30 con volta a tutto sesto. Il locale è stato ricavato appoggiando
la costruzione alla parete sinistra della Chiesa ed in parte all’abside. Non
presenta particolarità degne di nota all’infuori di alcuni armadi di noce
decorati con semplici cornici lineari, di epoca certamente non anteriore ai
primi del 1700. Tali armadi destinati alla custodia delle suppellettili e delle
pianete sono addossati al muro e fasciano la parte del locale posta a destra
dell’ingresso. In alcuni armadi è conservato l’Archivio della Chiesa,
riordinato e classificato dal Pirri.
Come abbiamo detto, in questo locale e precisamente nel muro che
costituisce la parete della Chiesa, è ricavato l’armadio corazzato dove è
custodito il Tesoro. Una porticina mette in comunicazione
la sacrestia nuova con quella vecchia.
All’infuori della lapide che ricorda la consacrazione della Chiesa,
posta come si è detto nella parte interna della parete destra della navata al
di sopra dell’ingresso principale, non ci sono lapidi di rilievo atte ad
illuminare la storia della Chiesa. Cinque lapidi sono collocate nelle pareti
della Chiesa, oltre quella sopra indicata. Risalgono quattro di esse al 1500,
mentre la quinta ricorda il Cardinale Pietro Gasparri.
Una piccola lapide è apposta nella Vecchia Pieve a ricordo dei lavori di
sistemazione effettuati nel 1912.
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