Recensioni
Il giorno 6 Ottobre 2010, presso la sala Carroccio del Campidoglio si è tenuta la presentazione del libro
“ONORA IL PADRE E LA MADRE”
Presentazione su “La
difficile lotta per la sopravvivenza nell’età dei giochi”
Editore A&B (collana Sguardi)
Sono intervenuti:
Enzo Foschi, Consigliere regionale
Vito Manduca, autore del libro
Paolo Masini, Consigliere comunale
Maria Grazia Passeri, Ass. Salvamamme e salvabebè
Ha coordinato Salvatore Rondello
Quest'ultimo saggio affronta
questioni sociali di grande attualità e di difficile soluzione quali
quelli dell’adolescenza e dei bambini sfortunati.
Dall’accattonaggio nella metropolitana di Roma o sulla piazza del Viminale
alle tragedie di dimensioni che sfuggono ad ogni stima quali quelle delle baby
prostitute, della pedopornografia in rete e dei bambini soldato..
In appendice vengono segnalate le Associazioni e le Organizzazioni impegnate
sul campo; tra le altre:
Save The Children, ILO, Telefono Azzurro, Unicef, CIAI, Progetto Aquilone blu,
Consulta Rodari, Associazione Alessandro Bini, Fondazione Giorgio Castelli
Alcune immagini dell'evento:
Guarda il video della presentazione de "Il doppio gioco" presso la libreria La Rinascita
Prefazione di Enzo Foschi* su "Il doppio gioco"
Il libro
di Manduca “Il doppio gioco” nel titolo, certamente curioso, sembra
introdurre un messaggio leggero, o almeno un tentativo goliardico di affrontare
tematiche spinose.
In realtà l’intento dell’autore è quello di avvicinare
lo sguardo del lettore, eventualmente distratto ad un fenomeno, il calcio,
ritenuto in genere un gioco appassionante di massa ma che muove enormi interessi
economici e, al contempo, non può prescindere da essi.
E’ bene che il lettore, accanito tifoso o indifferente, abbia un approccio
consapevole e critico, evitando di rimanere chiuso nel “bozzolo”
della passione o di girare lo sguardo dall’altra parte con la solita
reazione di distacco. Entrambi gli atteggiamenti allontanano sempre di più
la conoscenza della realtà.
Il libro invita ad una doppia chiave di lettura nell’affrontare, in
particolare, il calcio minorile che, nel comune sentire, da una parte produce
passioni e speranze e, dall’altra, genera spesso delusioni che lasciano
il segno.
Le interviste e testimonianze genuine, ma non ingenue, di bambini ed adolescenti
che vi si dedicano con evidente passione, le opinioni e le considerazioni
di genitori e di tecnici che ripongono in loro aspettative a volte superiori
alle reali possibilità, rafforzano e fanno meglio comprendere quanto
la cronaca riferisce quotidianamente su un mondo immaginato esaltante da chi
lo ama, ma troppo spesso reso opaco e cosparso da troppe ombre e poche luci
da chi sfrutta i sogni degli adolescenti.
Sogni talvolta realizzati, certo, ma sovrastati da delusioni diffuse, da abusi
sui giovani calciatori troppo spesso abbagliati nell’inseguire una vaga
idea di successo .
Qualsiasi analisi sul calcio, sia minore che professionistico, sarebbe oggi
parziale se non affrontasse anche il fenomeno violenza che si riproduce sistematicamente
sia a margine che dentro i campi di gioco.
La coincidenza del libro con le iniziative governative, sia centrali che sul
territorio, magari casuale, è una ulteriore testimonianza di un problema
su cui si rischia di non fare mai abbastanza.
L’autore, nell’affrontare anche questo aspetto, attinge fedelmente
dalla cronaca e, anziché semplicisticamente demonizzare un gioco antico,
denuncia gli errori che si commettono ai diversi livelli di responsabilità.
Per esempio agli ultimi Mondiali, meritatamente vinti dagli azzurri, ma comunque
non esenti da comportamenti violenti in campo, la storica testata di Zidane
è un episodio per niente isolato .
Insomma Manduca intende dare un forte contributo fra i tanti per diffondere
la consapevolezza che occorre maggiore cultura del rispetto dell’altro,
specie se più debole: un messaggio tutt’altro che banale.
*Enzo Foschi – Consigliere Regionale del Lazio
Una
riflessione saggia che vuole ricordare una tematica scomparsa nei media italiani
Rottami eccellenti di Riccardo Mazzoni
Presenti Salvatore Rondello, Daniele Cerri, Pierluigi Sorti, Leo Traversi
e Giovanna Tripodi
E' avvenuta
ieri la presentazione del libro di Vito Manduca, Rottami eccellenti, contro
ogni forma di schiavitù, edizione Ediesse.
Tema del libro è un fenomeno attuale nel mondo lavorativo, aggravatosi
con un uso spregiudicato ed a senso unico della flessibilità: il non
uso, lo spreco di risorse umane lavorative dopo i quarant'anni. Spesso tale
non uso si trasforma in perdita del posto di lavoro o in accantonamento della
forza lavoro. Il cursus honorum di un lavoratore tipo in Italia è il
seguente: si laurea mediamente tra i 27 e i 30 anni, cerca un lavoro, lo trova,
spesso precario, arriva ai quarant'anni e l'azienda lo considera vecchio,
inutile, da rottamare. E sceglie personale più giovane. La rottamazione,
però, non conduce, come alludono i primi capitoli del libro in merito
alla rottamazione di macchine od oggetti vari, ad un riutilizzo di una parte
del pezzo buttato, che equivale a dire non si cerca di mettere a frutto almeno
una parte dell'esperienza maturata dal lavoratore e delle competenze acquisite.
Il lavoratore viene lasciato andare alla deriva, senza reti sociali che lo
aiutino o quanto meno lo indirizzino nella ricerca di nuove opportunità.
E non lo si cerca più, perché considerati non utili. Si potrebbe
pensare che l'aver scartato il lavoratore non utile possa portare, almeno,
ad un avvicinamento più rapido verso la pensione o verso forme di lavoro
diverso da quello precedente ma comunque utile per la società civile.
No, neanche questo. Il lavoratore rottamato viene considerato inutile per
l'azienda ma troppo utile per la società per poter considerare archiviata
la sua pratica lavorativa. Ma non essendoci percorsi che lo aiutino e non
essendoci soggetti che lo ricerchino, dove va a finire il disoccupato? Rottamato.
E non basta essere operosi, attivi nella ricerca di nuove opportunità,
magari anche preparati sul versante linguistico. Il mercato, e soprattutto
la globalizzazione, ha modificato profondamente l'assetto di domanda ed offerta
di lavoro, ormai spostato verso quelle aree estere che consentono un più
basso profilo salariale, a fronte di una qualità scadente di professionalità.
Nello scenario descritto di sfruttamento delle qualità intellettuali
finché sono utili, si inserisce un discorso sociale importante. L'impossibilità
di avere la certezza di una certa stabilità del proprio lavoro, la
precarietà perenne che può durare troppi anni, porta con sé
due conseguenze fondamentali: gravi problemi di re-inserimento sociale del
disoccupato, impossibilità di poter progettare un futuro che non sia
solo il giorno dopo. L'effetto risultante, se lo si può riassumere
in un sol colpo, è la mancanza di fiducia in un futuro, l'assenza di
una progettualità, l'oscuramento di ogni sogno. Viene a mancare la
dimensione del sogno, che è un'importante radice di speranza verso
il domani. Le ricadute sono pesanti e si propagano necessariamente verso il
prossimo e verso i propri figli.
L'esperienza di ogni giorno conferma la bontà dell'analisi e della descrizione proposta da Vito Manduca. Alla luce della modalità di eliminazione di ogni discussione attuata dai media nazionali, tale libro sarà ovviamente inserito nella categoria "libri sovversivi". E invece ricorda ancora una volta una tematica difficile ma essenziale della nostra società, che rappresenta uno strumento di verifica della sua coesione ed integrità sociale.Si Si ringrazia il coordinatore dell'incontro Salvatore Rondello
(articolo pubblicato il 16/12/2005 su www.universytv.it)
Immagini gentilmente concesse da Riccardo Mazzoni
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Intervista a Vito Manduca
Un pomeriggio ci siamo incontrati e di fronte al libro è iniziata una
chiacchierata che riporto, naturale completamento della presentazione.
Legenda:
M == Vito Manduca
R == Riccardo Mazzoni
M: Le conseguenze le vediamo sempre a posteriori. Siamo abituati a ragionare
in maniera di causa-effetto. Il problema è che la conseguenza la vediamo
sempre dopo...
R: Infatti il Machiavelli
illustra, nel capitolo XXV del Principe, il problema di anticipare gli eventi,
di prevederli in modo tale da non essere rovesciati dagli stessi. Problema
che all'epoca era molto sentito nelle signorie italiane: infatti erano dimensionalmente
piccole e la possibilità che un esercito straniero potesse rovesciare
la situazione interna, ossia il signore, era molto probabile.
Solo che, se Machiavelli è un personaggio positivo, crede negli argini,
coi quali si possono contenere le piene del fiume, nelle esperienze descritte
nel libro compaiono delle situazioni per le quali, pur uniformandosi al tempo,
è proprio difficile rimanere sul trono, od almeno sullo sgabello. E
se negli accorpamenti, o nelle multinazionali, l'obiettivo del profitto è
tale per cui si subordinano tutti i possibili restanti obiettivi, significa
che, quando decidono di cambiare, l'uniformarsi non porta ai risultati previsti
dal Machiavelli, sia in termini di felicità personale che in termini
di mantenimento della propria posizione lavorativa.
M: Penso che la cosa
più drammatica sia che, secondo la mia percezione, non si vogliano
le dighe. Oggi sembra che chi detiene potere non si interroga sulle conseguenze
del fenomeno del quale stiamo parlando, ossia della rottamazione di personale
dipendente, che definisco come processi messi in atto da chi detiene il potere
per escludere coloro che non ritiene più utili allo scopo, vedendo
le persone non come fine ma come mezzo per raggiungere il fine del profitto.
Se si diffonde questa filosofia, si attiva un processo ad escludendum dell'altro,
anche dell'altro da sé, anche fra me e lei. Fino ad arrivare al microcosmo
della famiglia, dove la persona che non produce reddito, col fine, attenzione,
non di soddisfare i propri bisogni primari, ma per aumentare ancor di più
il reddito altrui, c'è il rischio che, quando non viene percepito questo
tornaconto, l'altro viene considerato inutile, non mi serve più. Proprio
oggi leggevo di un fatto di cronaca. Forse non entra nel nostro contesto,
però: l'ennesimo marito che massacra a martellate la moglie dormiente.
E' un esempio, tra i peggiori, di rottamazione. Le cause potrebbero risalire
ad una cieca gelosia che, portata all'ennesima potenza, non ha portato la
persona oggetto della gelosia ad essere vista come oggetto in quanto tale?
E quindi posso averlo come disfarmene come qualsiasi oggetto di uso domestico,
come una bottiglia dell'acqua? Anche se il fatto accaduto parte da una diversa
fonte di sfruttamento, emerge chiara l'idea di possesso di un oggetto, da
usare finché serve. Astraendo, le conseguenze sociali della rottamazione
sono gravi, a livello lavorativo per la rottamazione dei dipendenti così
come dei manager, a livello della famiglia, con il problema di mettere l'una
contro l'altra le generazioni dei padri e dei figli.
R: Ma comunque si può creare tensione quando la differenza di età tra padre e figlio è tale per cui, se il figlio ha circa 27 anni, il padre 53-54 anni ed è in zona rottamazione, mentre il figlio sta per entrare in zona utile per l'azienda, anche se i soggetti non vivono sotto lo stesso tetto. Una persona di 53 anni è ancora giovane per i nostri standard di vita, è ancora utile per la società, ma viene buttato via, ed oltre al problema economico, si crea un problema a carattere psicologico di confronto. Anche se il figlio cerca di non dimostrare o di rendere troppo evidente tale stato.
M: Sicuramente, si sviluppa
gelosia, si sviluppa tensione che può sfociare in atti come quello
di cronaca prima citato, anche se non rientra nelle categorie da noi proposte.
La rottamazione si sviluppa, secondo quanto ho scritto nel libro, verso le
cose (umanofatti), che quando non mi servono più li devo collocare
in qualche luogo; verso le piante ed animali; l'uomo. Le tre forme di rottamazione
hanno tre gradi di importanza diversi. Per il primo caso, si tratta di capire
come metto in atto le forme di rottamazione, come tento di utilizzare dei
pezzi se potranno essere utili, oppure trasportarli ad un deposito che non
comporti danno all'ambiente circostante. Non come un esempio tratto dalla
Cina, dove si rottamano i PC e gli uomini che stanno dentro!
Per quanto riguarda la seconda categoria, ad esempio, perché devo andare
a caccia di animali se poi posso andare in una banale macelleria e comprarli?
Ma se arriviamo all'uomo, l'unica rottamazione che riesco a pensare è
quella post-mortem. E lo cito nel libro, dove mi diverto macabramente! La
chiamo archiviazione.
R: Archiviazione è un bel termine. In informatica significa che l'informazione contenuta in uno o più files viene presa e memorizzata in un supporto e messa da parte, come memoria storica perché ormai non più utile. E spesso, dopo tanta polvere, si buttano. Ed indica pertanto il gesto di rimuovere, di togliere da un certo contesto perché di ingombro.
M: Però se applichiamo
tale concetto non al dopo ma al prima, agli esseri viventi, agli umani, penso
si possa utilizzare, anche se il termine è forte, la parola pulizia
etnica.
Allora non c'è limite. Ora parliamo del sociale, non certo del biologico.
Però il passo è breve.
R: Passando ad un caso concreto come quello del lavoro dipendente, spieghi perché si agisce sul fattore umano piuttosto che sui processi produttivi, eppure su di essi si potrebbero avere, sia nel medio che nel lungo periodo, effetti benefici strutturali permanenti.
M: Il tagliare sui fattori
di produzione più agevoli, ossia le materie prime e la manodopera,
è una visione molto miope ma molto incisiva ed immediata. Se spendo
100 per i lavoratori e 50 mi viene da un gruppo di quarantenni, basta che
mando via questi, oppure riduco il loro stipendio e il bilancio dell'anno
lo ottengo. Poi il prossimo anno si vedrà. Nel frattempo ho creato
un effetto diverso da quello che dovrebbe essere la mia mission di imprenditore:
creare beni servizi grazie ad un forza lavoro che si arricchisce insieme a
me (ma sempre meno di me!). Il problema è quando tale azione del singolo,
che non risulterebbe così colpevole, diventa sistema, per altro favorito
dalla collettività come, ad esempio, i contributi all'esodo dalle aziende.
Il fenomeno diventa di massa e apparentemente sembra che nessuno ne soffra.
Il personale dipendente prende forti buonuscite oppure prende la cassa integrazione
lunga, come proposto da FIAT qualche giorno fa. Si immagini un dipendente
di 50 anni, che prende una cassa integrazione di 10 anni. Vivere di cassa
integrazione significa che in città passa il tempo a fare....cosa?
Follia, anche se possiede reddito. Negli anni in cui la cassa integrazione
era molto in voga mi risulta che ci sono stati diversi suicidi nei primi tre,
quattro anni. In generale, ottieni come effetto quello di avere in casa persone
che girano senza scopo e si avvitano intorno al coniuge ed ai figli.
R: E per la famiglia l'effetto della rottamazione è immediato, tanto quanto la rottamazione stessa. Nel corso dei successivi cinque anni, con l'allargarsi del fenomeno, gli effetti sociali diventano manifesti. A conferma di ciò, le ultime statistiche diramate dall'ISTAT attestano un aumento delle violenze domestiche soprattutto al Nord, luogo nel quale è maggiore l'industrializzazione.
M: Ora per rimanere al tema, se negli anni '70-'80 il fenomeno della rottamazione di lavoratore dipendente aveva il fenomeno prima descritto, cassa integrazione, licenziamento, esplosioni in famiglia, nel contempo nella famiglia il giovane incominciava ad avere una speranza di reimpiego, ricominciava il ciclo. Ora siamo arrivati, con il conforto dell'evidenza quotidiana, al paradosso che il quarantenne-cinquantenne diventa flessibile nel senso che, obblighiamo allo spostamento in avanti dell'età pensionistica, intanto eliminiamo la pensione di anzianità e poi consentiamo il super bonus: ma non è quella la strada. Perché si premia chi sta bene, chi ha capacità negoziale in azienda, depauperiamo le casse dell'INPS. Ora il giovane, rispetto a 20 anni fa, non ha neppure la prospettiva immediata di sostituirsi al genitore. Della certezza del lavoro. Non come posto fisso, come minestra sicura. Ma la società chiede un'alta specializzazione senza però consentirmi di esercitare durevolmente tale lavoro, è un paradosso.
R: E pensiamo a tutti quei ricercatori universitari........
M: E si crea la situazione nella quale non sono i giovani ad essere il bastone della vecchiaia dei propri genitori ma sono quest'ultimi ad essere i bastoni della loro giovinezza! E se si interrogano i giovani sulla loro percezione del futuro la risposta è: non lo so!
R: Infatti Machiavelli lo inserisco proprio in questo, perché parla al principe, che è un singolo. E tale singolo deve trovare la forza per non essere schiacciato dagli eventi. Ora, egli propone un suo metodo, oltre alla costruzione degli argini: quello di uniformarsi al tempo e capire i mutamenti in anticipo. Il punto fondamentale è che noi giovani questa percezione la possediamo già, sappiamo a cosa andremo incontro, ma non troviamo un modo per uniformarci al nostro tempo! Machiavelli non sembra applicabile in questo caso. Infatti egli ritiene che la conoscenza di ciò che mi potrà accadere rappresenti di per sé l'antidoto, riesca a contenere gli eventi ed andare avanti. Noi giovani siamo nel futuro, lo vediamo ma non riusciamo a costruire una strada nel presente che risulti consona, concorde col tempo.
M: E perché? Perché
tutti noi siamo inseriti in un sistema dove è presente una gerarchia
di poteri. E più si sale e più domina il senso d'impresa. Quello
che dicevamo prima. Se i governi ritenuti più illuminati, ossia eletti
dal popolo, democraticamente, hanno instillato questo concetto e quindi la
nazione diventa impresa, il continente diventa impresa, torniamo al punto
di partenza. L'AD di un'impresa, delle sacrosante battaglie per l'orario flessibile
e per la mensa, ma cosa gliene importa? Deve chiudere il bilancio a fine anno,
e deve registrare un incremento.
La maternità, i diritti, il senso della nuova flessibilità come
deregulation, se il fine ultimo è l'incremento sul bilancio inteso
come unico valore, dato che di per sé non rappresenta scandalo ed anzi
è necessario, allora lascio sulla strada che mi porta all'obiettivo
una scia di cadaveri.
R: L'adattarsi non basta più, il problema è che non serve arginare il fiume perché manca proprio esso! Il fiume è stato dirottato da un'altra parte e si costruiscono degli argini su un percorso che non sarà suo e non solo, non ti lasciano andare verso la nuova zona dove passa il fiume.
M: Pertanto serve ricostruire il fiume.
(articolo pubblicato il 16/12/2005) su www.universytv.it
Anche gli Umani
possono essere rottamati?
Domande e Risposte tra Vito Manduca
e Leo Traversi
Segretario Generale Fisac/Cgil di Roma e del Lazio
Non è mia consuetudine recensire libri, ma quando è
uscito, edito dalla Ediesse, “Rottami eccellenti” di Vito Manduca,
conoscendo l’autore e incuriosito dal titolo, ho iniziato a leggerlo
e pian piano alcune delle nostre esperienze di questi anni ed alcuni elementi
di analisi sul precariato, che sono all’origine del giorno nella nostra
società, si sono ricongiunti con le tesi del libro. Inoltre in tutte
le nostre aziende stiamo assistendo ad un lento ma inesorabile “mettere
da parte”, del personale più “anziano” con l’obiettivo
di metterlo in condizione di uscire dal processo produttivo il prima possibile
e anche questo coincideva con le tesi del libro. A questo punto una telefonata
ed ecco come è nata questa mini intervista con Vito Manduca.
D. Senti Vito, sei un iscritto alla Fisac ma non ti conoscevo
come autore, da dove nasce l’idea bizzarra di “Rottami eccellenti”?
R. Viene da lontano. Dai tempi dell’università.
Avrei voluto elaborare la tesi sul disagio giovanile, suggestionato ancora
dalle letture pasoliniane “Ragazzi di vita” etc.
Inaspettatamente la professoressa Icclea Pico, prossima alla pensione, di
fatto mi impose il tema degli anziani, dicendo testualmente “l’Università
mi sta espellendo, i lavoratori anziani sono considerati dei rottami! Lei
deve sviluppare il tema legandolo all’Educazione Permanente quale possibilità
di “riciclo” dei vecchi”.
Il termine “rottame”, alla prima percezione un po’ macabro,
è stato da me riposto nel cassetto; sviluppai con successo la tesi,
diventato poi argomento del mio primo libro “Vite Rubate”.
D. Ma il termine “rottamazione” non era riferito
ai manufatti, in modo particolare del settore metalmeccanico?
R. Infatti riapro il cassetto e riprendo il termine quando,
vigendo governi di centro-sinistra, un provvedimento legislativo illuminato
favoriva, con contributi, la rottamazione di autovetture di età superiore
ai dieci anni con l’obiettivo evidente di migliorare la sicurezza, l’ambiente
e generare circoli virtuosi sull’economia. Altri settori, istituzionali
e non, nello stesso periodo hanno usato il termine con riferimento ai lavoratori
cinquantenni obsoleti, la cosiddetta “rottamazione dei cinquantenni”.
D. Quindi è riferito solo a noi cinquantenni?
R. Niente affatto! Da una riflessione più profonda
ho considerato, come poi scriverò nel libro, che chi detiene potere,
a qualunque titolo, può ritenere inutile una persona, a prescindere
dall’età.
Paradossalmente (specialmente a seguito della cosiddette legge Biagi) può
essere ritenuto inutile anche un giovane di vent’anni che non riesce
ad adattarsi alla velocità del sistema.
D. Come rasoi usa e getta?
R. Se preferisci, ma anche come un fazzoletto di carta monouso.
Tornando al rasoio, nel libro, considero come il vecchio rasoio del nonno
venisse utilizzato e coccolato da più generazioni, non come antiquariato
ma come valido strumento per radersi. Il tempo di utilizzo sembrava illimitato.
L’attuale “trilama” , nonostante i più sofisticati
processi di fabbricazione, viene utilizzato una sola mattina da una sola persona!
D. Ma il rasoio trilama è stato pensato per essere
usato una sola volta per la durata di pochi minuti, ma la persona........
R. Infatti il punto sta proprio qui.
Ti rigiro la domanda.
Qual’è il tempo di utilità “pensato” dal FATTORE
per la specie umana, per l’animale, o per la pianta? Per l’uomo,
stando alle tavole demografiche, se ci riferiamo all’età media,
detto periodo può essere, per le società industrializzate, come
la nostra, intorno agli ottant’anni. Se, invece, ci riferiamo all’età
estrema possiamo ipotizzare una durata oltre i cento anni. D’altro canto
esistono in natura altre specie animali, “insetti “, la cui vita
dura pochissimo, giusto il tempo della riproduzione. Ma sia per gli umani
che per queste specie siamo soliti parlare di utilità “per tutta
la vita”.
E questa dovrebbe essere la risposta. Mutuando dal concetto di educazione
permanente “dalla culla alla tomba” una persona dovrebbe, anzi
dal mio punto di vista, spero condiviso, DEVE ricevere rispetto, avere dignità
ed essere considerata utile dalla culla alla tomba e anche oltre.
D. A questo punto vorrei concludere con una domanda provocatoria.
A me piace avere a portata di mano un “trilama” per quando sono
in viaggio e un rasoio “vecchio stile” per quando ho tempo per
godermi una buona rasatura usando magari anche il vecchio pennello. Penso
che questo sia possibile anche nei posti di lavoro e cioè coniugare
e far coesistere le due realtà che si passano il testimone garantendo
continuità, progresso e qualità senza calpestarsi a vicenda.
R. Di questo non ne avevo il minimo dubbio, d’altronde
è anche parte della tua “mission” di sindacalista. Coesistenza
solidale e propositiva mi pare il filone da sviluppare. Purtroppo, come puoi
trovare nel libro, il grosso limite a tale proposizione è rappresentato
sempre da una parte di umanità. Risibile nel numero ma incisiva nel
potere. Mi riferisco, ovviamente, a tutti coloro che detengono, a qualunque
titolo, potere. La quadrilogia “stati-religioni-governi-padroni”,
una santa alleanza che sviluppi, oltremodo, la filosofia dell’usa e
getta erigendola a sistema tenendo a mente soltanto l’obiettivo di governare
il mondo , finalizzando il tutto all’utile personale o di casta. Del
tutto indifferente verso più della metà degli abitanti del mondo
che vive con meno di un dollaro al giorno o verso “il 17% (1,1 miliardi
di persone) della popolazione globale che non ha accesso all’acqua potabile”
come si può leggere sulla stampa quotidiana secondo un rapporto ONU.
Si corre il rischio che detta filosofia determini un’amplificazione
con risvolti che sfuggono a qualsiasi analisi preventiva, voluti e cercati
dai sistemi dei poteri, con l’antico metodo del “divide et impera”.
Insomma FIGLI CONTRO PADRI CONTRO NONNI, e proprio per concludere, se non
è questa la società che vogliamo veramente, dovremmo lanciare
un messaggio: FIGLI, PADRI E NONNI UNITEVI NELL’OBIETTIVO OPPOSTO.
D. Siamo arrivati alla conclusioni ma a me sembra che in
realtà siamo all’inizio, se non riusciamo a garantire il passaggio
tra il lavoratore maturo ed il lavoratore giovane, avremo da una parte “il
rottamato” e dall’altra il precario “usa e getta”
Dobbiamo però evitare che passi il messaggio che le due tutele siano
impossibili e che, anzi, siano contrapposte. Io, come te, penso che sia fondamentale
legare insieme i due destini affinchè i diritti conquistati dai primi
siano trasferiti completamente sui secondi, come farlo è la battaglia
che ci aspetta da subito. Ed inoltre è fondamentale il rispetto e l’attenzione
reciproca, nessuna delle due posizioni infatti potrà dare da sola una
lettura completa della complessità del mondo del lavoro odierno ed
è proprio questa interazione a garantire il mantenimento dei diritti
conquistati. Grazie Vito e che ne pensi di un incontro con i quadri della
nostra organizzazione per parlare di questo argomento?
R. Volentieri, se le mie riflessioni aprono un dibattito
più ampio, il primo ad essere soddisfatto sono io.
Allora a presto!