LE RECENSIONI






Dal fondo dei secoli una musica senza tempo

di Giorgio SANZAVINI


Fu in occasione di un incontro fra artisti nell’ambito della rassegna Antigone, manifestazione in memoria delle vittime della strage di Bologna, che Paolo Buconi ebbe l’idea di fondare il gruppo Vladah.

Era il 1992, e in Italia di musica klezmer si conosceva poco o nulla oltre una cerchia piuttosto ristretta di culturi e di estimatori. A Bologna, vera città-laboratorio per altri generi musicali, nessuno si era ancora cimentato nell’impresa di dare nuova vita alla musica tradizionale ebraica. Paolo Buconi era quasi un predestinato: alla musica klezmer lo conducevano cultura, interessi, una solida preparazione tecnica, nonché, elemento in certa misura determinante, quella sua rara capacità, che ne fa un esecutore originalissimo, di suonare il violino e cantare contemporaneamente.

Iniziò così, giusto dieci anni fa, un’attività decisamente pionieristica ad opera di un complesso che ha visto avvicendarsi alcuni componenti, ma sempre con la guida e dietro l’impulso del leader e fondatore.

Il gruppo Vladah ha seguito un’evoluzione qualitativa lungo un percorso di approfondimento, cogliendo e affinando – si potrebbe dire: metabolizzando - anche le forme jazzistiche, a cui il klezmer ha dato indubbiamente un vivace apporto, venendone a sua volta fecondato.

L’organico è flessibile, consentendo di esibire formazioni diverse, con un eclettismo unico. Il complesso si caratterizza per la sua particolare sonorità, in cui fa spicco la singolare diafonia di voce e violino di Paolo “Buk” Buconi, contrappuntata in modi struggenti o frenetici, languidi o brillanti, dal clarinetto di Marco Ferrari e dalla fisarmonica di Marco Dalpane, dalla tromba di Mario Gigliotti, dal violoncello basso o dalla chitarra di Luigi Corridoni, sul fondamento della trascinante ritmica, di Marco Muzzati, con batteria, percussioni, cymbalom, nacchere, secondo il carattere e la struttura delle diverse composizioni.

Diversamente da quello che si verifica più spesso nel mondo magico dei klezmorim, in cui il clarinetto si è affermato quale strumento principe, il violino di ”Buk” assume la parte del protagonista, ora incalzando la band con lo scatenato freylech degli ebrei dell’Est, ora cantando sulle note di un nigun sinagogale, e talvolta – con incursioni in altro repertorio - conducendola con il passo ondeggiante del cammello sulle dune della diaspora sefardita.

I Vladah vogliono intrattenere, ma anche far conoscere e ricordare quel che la “tempesta di cenere” del genocidio ha tentato di distruggere: un popolo e la sua cultura; proponendo musiche ebraiche ora struggenti, ora divertenti, capaci sempre di sublimare, talora con commovente ironia, la memoria delle più buie pagine della storia del novecento.

Il complesso si è esibito in occasioni quali la Giornata Europea dell’Ebraismo, il Giorno della Memoria e i Colloqui Ebraico Cristiani di Camaldoli, nonché, con il gruppo Terra di Danza, per il recupero e la diffusione delle danze tradizionali ebraiche.

In occasione di numerosi concerti in Italia e di diverse tournée in Austria, Francia e Germania, i Vladah hanno portato al cuore di un pubblico sempre più vasto e affascinato il loro repertorio, che fonde tradizione e gusto contemporaneo, nella consapevolezza del valore di messaggio fuori dal tempo che queste musiche conservano e della grande importanza di mantenerne viva la memoria.


Ritratto di un artista eclettico

Paolo Buconi, diplomato presso il Conservatorio di Musica "Bruno Maderna" e presso l’Accademia Filarmonica di Bologna con il massimo dei voti, si dedica da oltre un decennio allo studio e all’esecuzione della musica ebraica, di cui è stato uno dei pionieri, nel nostro Paese.

L’impegno e la ricerca di Paolo Buconi non si esauriscono nel pur vasto e affascinante mondo del klezmer e nel repertorio di musiche e canti liturgici, per il quale segue i precetti dell’antica scuola dei chazanim, i cantori del tempio. L’artista, al momento, sta lavorando al recupero di canti originali del rito sefardita, in uso fino al XIX secolo presso la sinagoga di Livorno, nell’intento di strappare all’oblio composizioni di grande bellezza e di indubbia importanza storica e musicologica.

Trovatore, virtuoso e giullare, cantastorie e jazzista, menestrello e saltimbanco, rom e gitano, propone, alla curiosità intellettuale e al desiderio di un intrattenimento di tipo inusuale del pubblico, i suoi viaggi musicali tra il colto e il popolare, dal medioevo al jazz e dai Balcani ai Pirenei, con storie cantate e raccontate.

Studioso delle tradizioni popolari, ricercatore etnomusicologo e attore, “Buk” dimostra come si possa far cultura divertendo e traendo utili insegnamento dalla memoria e dalla storia.

Ricordo e ironia, amaro e dolce sapientemente dosati per evocare sensazioni nuove e antiche.

(Dalla rivista “Segnali” – dicembre 2002)










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