...non sto facendo questa guerra per la fede in un partito,
non combatto per servire una bandiera, ma per lo sguardo stupito e gli occhi dolci dei bambini che ho incontrato sulle strade di Guerrero... (da Il ritorno di Paddy Garcia, 1997) |
Riportando tutto a casa
La grande famiglia Terra e libertà Raccolti Fuori campo |
Primo album della banda modenese, pubblicato nel 1994. Le sonorità
folk richiamano l'Irlanda, e non a caso nelle varie canzoni si trovano
molti riferimenti a questa isola; il disco è nato dalle esperienze,
musicali e non, fatte in giro per l'Europa e poi portate a casa.
L'iniziale "In un giorno di pioggia" ci porta nella brughiera irlandese,
quando il sole fa capolino dalle nuvole che hanno appena bagnato tutto
e tutti, mentre "Tant par tacher", "Il bicchiere dell'addio" e "The great
song of indifference" rievocano serate allietate da birra nei pub piccoli
e fumosi fumosi che popolano tutti i paesi e i borghi.
I MCR rievocano anche il passato dei nostri nonni per non dimenticare
come in "Bella Ciao", e vicende più vicine ai nostri tempi in "Quarant'anni",
"I funerali di Berlinguer", "Contessa" (cover di Pietrangeli); sempre in
questo filone rientra anche la bellissima "Ahmed l'ambulante", tratta da
una poesia di Stefano Benni, che parla di immigrazione, di libertà
e di speranza, e "Canto di Natale", in cui due clochard ,alinconici ed
ottimisti parlano dei troppi rumori del Natale commerciale.
Chiudono "Morte di un poeta", un omaggio a tre loro beniamini, e la
dolce "Ninnananna", che sarà un'ottima colonna sonora durante le
serate di Inter-rail quando vi riposerete stanchi ma felici.
Le canzoni dei Modena ruotano su alcuni punti fissi, modificandosi però
in ogni album; così viaggi, storia ed attualità si fondono
sempre in maniera differente creando un diverso panorama.
E' il 1996, e in quell'anno c'è stata una forte rinascita dell'orgoglio
della sinistra, forse in relazione alle ultime vicende politiche, forse
perchè si era da poco festeggiato il cinquantenario della Liberazione,
fatto sta che la critica politica entra fortemente, ancor più che
nel precedente album, in molte canzoni dei MCR.
"Clan Banlieu" e "Grande Famiglia" parlano della diversità delle
persone e delle divisioni tra condizioni sociali, e della bellezza di questo
nonostante i problemi connessi. Il taglio musicale è più
mediterraneo, ripescando alle radici del folk e pop italiano, solo "Canzone
della fine del mondo" ci riporta per un momento sulle rive dei corsi d'acqua
irlandesi, e "Le lucertole del folk" nei pub a bere birra e whisky.
Vengono ricordate le vicende del "comandante diavolo" Germano Nicolini
in "Al dievel/La marcia del diavolo", in cui cresce si sente la rabbia
per accuse false e la speranza comunque mai persa; ma accanto a personaggi
più famosi, si ricordano anche le vicende di una bambina emiliana
che è cresciuta scampando ad un eccidio nazista di cui porterà
per sempre i segni in "L'unica superstite".
Si va invece per le strade francesi e italiane con "Il fabbricante
di sogni", che parla di un suonatore di violino che rende felici suonando,
e a cui basta un cielo di stelle per sentirsi al caldo.
La critica alla nostra società è evidente e amara in
"Santa Maria del pallone" dove viene reso chiaro come il calcio sia diventato
ormai una religione per molti; "Giro di vite" parla invece del qualunquismo
imperante, della chiusura mentale e della paura del diverso; "La fola dal
Magalas" esorcizza la paura che un ben noto biscione incute in molti, deridendolo.
"La banda del sogno inerrotto" ci porta in una terra di cui tanto si
parla e di cui si dice poco: la Sicilia, mentre sempre di persone si parla
ne "La strada" e la conclusiva e breve "La mia gente", un omaggio a tutte
quelle persone che in apparenza non sono importanti, ma che in realtà
ci aiutano a crescere e a diventare persone.
In questo album hanno cantato anche Paolo Rossi (sì, il comico),
Mara Redeghieri degli Ustmamò, e Marino Severini dei Gang nella
cover de "La locomotiva" di Guccini.
Terzo album, del 1997, uscito a mio parere un po' troppo in fretta: il
cambio dai due precedenti è piuttosto netto, si sorvola l'Atlantico
e si arriva questa volta nel Sudamerica, con i suoi suoni e i suoi colori.
L'album in sè non è male, ciò che spiazza al primo
ascolto è proprio questo cambio di direzione troppo brusco, verso
sonorità non appartenenti alla nostra tradizione, e che richiedono
perciò più ascolti per essere comprese.
"Macondo Express", "Il ritorno di Paddy Garcia" e "Il ballo di Aureliano"
ci proiettano rapidamente nel caldo umido dei tropici, nella storia di
questi paesi. Marquez salta fuori fortemente in "Remedios la bella", "Cent'anni
di solitudine"(!); e "L'amore ai tempi del caos"; gli stessi MCR affermano
di essersi ispirati anche alla letteratura sudamericana nella composizione
di questo album.
Pensando al Sudamerica e alla sua storia non può non venire
in mente il Che, a cui è dedicata "Transamerika", una canzone che
non parla delle sue gesta al fianco di Fidel e compagni, ma di quel viaggio
narrato in "Latinoamericana", del suo viaggio attraverso l'America Latina,
con l'amico Alberto e una moto scalcinata, il viaggio che gli cambiò
la vita.
Si torna per un momento in Europa e nel Mediterraneo con "Radio Tindouf",
"Marcia balcanica" e "Danza infernale", e c'è ancora spazio per
due ballate "Qualche splendido giorno" e "Lettera dal fronte".
"Fuori campo" è il grande ritorno dei MCR: tutto quello che è
stato sperimentato in passato viene qui riunito in un amalgama complesso
eppure semplice. I testi di questo album sono tra i più poetici
che abbiano mai scritto, ricordano sotto molti aspetti quelli del primo
album; è un album, a mio parere, più pensato rispetto al precedente, un
album nato da un altro momento di riflessione durato due anni, in cui altri
viaggi e altre esperienze hanno portato nuova creatività al gruppo.
La loro natura di vagabondi (ramblers) esce tutta, da "Etnica danza",
a "La roda", a "Celtica patchanka", a "Il vagabondo stanco", a "Suad".
Le canzoni sono semplici nella struttura, e proprio per questo calde e
avvolgenti, le parole fluiscono veloci senza ostacoli.
C'è sempre un momento per il ricordo e allora torniamo in Messico
con "Natale a San Cristobal", al Sudamerica con la title-track, ai primi
movimenti anarchici con "Figli dell'officina" riproposta qui in versione
celtic-ska, e con "L'uomo delle pianure".
Una ballata non può mancare per far ballare lenti i propri fan
e per farci sognare ancora un po': e allora culliamoci una volta in più,
ma cerchiamo di restare anche "Coi piedi per terra".
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