Diario di Francia 2002 (Provenza - Pirenei - Lot)


Prologo
Quello che inizio a raccontare è il primo viaggio itinerante che ho fatto completamente da solo, nella primavera dello stesso anno ho fatto l'esperienza di una settimana in Germania, sempre da solo, che mi è piaciuta tanto da provare a vagabondare per due, in una città diversa ogni giorno. Quello scelto è un itinerario che avrei dovuto fare tempo fa con un amico, ma che alla fine non abbiamo mai fatto insieme. Per preparare lo zaino impiego ben tre giorni, chiedendo consigli anche ad un amico, che mi suggerisce anche di comprare un poncho, da usare al posto del classico ombrello. Parto da solo anche da casa, i miei genitori sono in vacanza, così mi devo arrangiare per raggiungere la stazione di Magenta, la base di tutti i miei viaggi; trovo un passaggio da una signora che conosco e che fa anche lei la pendolare su Milano, dovrò portare lo zaino in ufficio, partirò direttamente da lì.

Venerdì 19 luglio
Mi alzo in anticipo, controllo che tutto sia ok in casa, ripasso mentalmente le ultime cose da fare al lavoro e quelle da lasciare ad Andrea, che mi ha dato tanti consigli sullo zaino. Lo zaino pesa, però meglio di così non potevo fare, ho ridotto tutto all'osso, anche se con il senno di anni di esperienza successivi era comunque troppa roba: ogni capo, comunque, lo dovrò utilizzare per due o tre giorni, per sicurezza porto del detersivo, in caso si renda necessario fare il bucato. porto tre libri, uno l'ho già iniziato, poche cassette di musica, due nuove per l'occasione, che non sono il massimo perchè il mio stereo sta tirando le cuoia, dopo 10 anni di onorata carriera.
Al lavoro stupisco un bel po' di gente che non concepisce come possa vagare per 15 giorni con così pochi punti di riferimento: sinceramente li capisco, però mi dico anche che hanno davvero poco coraggio o sicurezza se hanno paura di passare un giorno senza doccia o di rischiare di dormire in un parco.
Ore 14.30: saluto tutti, lascio un paio di beghe ad Andrea, che però sono sicuro sbrigherà in due minuti, e mi dirigo alla stazione centrale di Milano. Il treno per Bordighera è affollatissimo, sto in piedi fino a Voghera, poi mi siedo per terra fino a Genova, dove trovo posto fino a destinazione: sono già in clima, per terra stavo meglio che seduto.
A Bordighera chiamo i miei, visto l'accordo di una telefonata al giorno in cambio di lasciare a casa il cellulare, ed Andrea, un altro amico-collega, che mi ospiterà per una notte. Arriva presto e così conosco sua moglie Marina e il figlio Sirio: lo vedo finalmente rilassato, parlaiamo e cerco di evitare come argomento il lavoro, ma inevitabilmente a volte esce. Rimango una notte a Pigna, nell'entroterra ligure: dopo cena esco con Andrea per far fare un giro a Maia, il suo bellissimo golden-retriever, una cucciolotta di quattro mesi che continua a saltarmi addosso, generando in Andrea battutacce sul mio sex-appeal.
Pigna è fantastica: un borgo dove la norma è perdersi, un vero e proprio labirinto, inoltre c'è un'eco straordinaria: in piazza i suoni di un concerto rimbalzano ovunque nel resto del paese. C'è un quartetto di musica da camera che si esibisce su canzoni di De Andrè: arriviamo per la fine dello spettacolo, ci sentiamo un paio di pezzi, poi torniamo a casa.

Sabato 20 Luglio
I miei piani di partire entro la mattinata si sconvolgono: andiamo a vedere un fantastico torrente dove rimaniamo fino all'una, dopo aver visitato meglio il paese, e dopo che Andrea ha prosciugato una fontana togliendo un sacchetto di plastica che pensava inquinasse, mentre faceva da tappo per evitare il rapido svuotamento della vasca: io e Marina glielo facciamo notare e lui rattoppa con il sacchetto per la cacca del cane. Il cambio di programma inaspettato è molto piacevole: torniamo a casa, dove pranziamo, giochiamo a carte ed attendiamo che Sirio si risvegli. Mi riaccompagnano al treno, questa volta a Ventimiglia, con la loro Punto stracarica di giochi e del mio zaino ingombrante. Li saluto rapido perchè vedo che sta per partire un treno in ritardo per St-Raphael, dove decido di fermarmi per la sera, invece di arrivare sino nel cuore della Provenza come programmato all'inizio.
Lungo il percorso ripenso a questa bella giornata, la prima: ho conosciuto la bella famiglia che il mio amico ha costruito insieme a sua moglie, entrambi molto giovani, lui si soli 28 anni, ma per me molto saggio, un vero esempio, e mentre il treno procede lungo la Costa Azzurra, colorata dai colori del tramonto che si sta avvicinando, gli auguro tutto il bene possibile, se lo meritano.
Arrivo alla stazione di Frejus e cominciano le sorprese: una signora mi indica la strada per l'ostello di St-Raphael, ma io preferisco chiedere due volte piuttosto che una dopo un po' che cammino, e così finisco per incontrare Dominique. La prima cosa che mi viene in mente appena lo vedo è che è sputato a Giovanni Lindo Ferretti, il cantante dei CSI, la seconda, dopo averlo sentito parlare è che è più bruciato di lui. Insiste per accompagnarmi all'ostello per essere sicuro che non mi sbagli, parla velocemente e faccio fatica a capire il suo francese, in più corre e io ho questo fardello di zaino da portare; sembra mi voglia invitare a casa sua, non capisco bene, comunque metto in chiaro che voglio andare all'ostello e che non voglio essere di disturbo per lui. Mi dice più volte che non vuole derubarmi, che vuole solo dimostrarmi che i francesi possono essere gentili come lo sono gli italiani, però torna pure a chiedermi se non ho paura a viaggiare da solo. A questo punto qualche preoccupazione mi viene: mi racconta che vive da solo, che il suo unico amico è un cagnolino e che non parla praticamente con nessuno, e questo un po' mi tranquillizza, se non altro capisco il suo modo di fare piuttosto bizzarro.
Alla fine è di parola; mi lascia a un chilometro dall'ostello, e salutandomi mi sfodera ancora una volta quel suo splendido sorriso, fatto di denti storti, ma vivissimo. Sorrido fra di me e m'incammino per l'ultimo tratto, più volte tornerò a ripensare a DOminique e al suo sorriso, alla sua gentilezza e alla sua bellezza interiore.
Sull'ultimo chilometro in sterrato mi accompagna un ragazzo brasiliano, e quando arrivo c'è una bella scritta "Complet" che mi distrugge; resto lì un momento, anche per riprendere respiro, poi appare una signora che mi dice che se sono solo c'è posto per me per una notte: tiro un sospiro di sollievo, sono sudatissimo e voglio una doccia, pago e salgo in camera, dove scopro che, solo nella mia camera, ci sono altri sei letti liberi. Ceno con una tazza di thè, non ho altro e sono troppo stanco per cercarmi un ristorante: provo a continuare "Tolleranza Zero" di Irvine Welsh, ma decido che è meglio se vado a dormire. E il primo giorno è andato.

Domenica 21 luglio
Mi alzo, faccio colazione, e alle 9 prendo l'autobus per la stazione di St-Raphael: inizia il viaggio vero, prima tappa Aix-en-Provence. Sulla strada vedo alcuni resti delle famose rovine romane che si possono ammirare a St-Raphael; arrivo a Marsiglia, ho una fame boia che placo verso le 14 quando arrivo ad Aix con un panino ad un chiosco. Fa molto caldo e scopro che l'ostello non è su una strada che mi permetta di iniziare a visitare la città, come invece speravo. Decido d'incamminarmi, cartina alla mano presa all'ufficio del turismo: scopro subito la multietnicità della popolazione francese attraversando un bel quartiere residenziale abitato quasi esclusivamente da immigrati magrebini e africani. La prima sorpresa infelice è che l'ostello avrebbe aperto solo alle 5, cioè dopo due ore: un po' arrabbiato e inzuppato dal caldo, decido di aspettare, non posso lasciare incustodito lo zaino per tornare in centro.
Poco dopo arrivano due ragazze: Kim, coreana, e Cristina, tedesca; hanno un lucchetto, così leghiamo i nostri bagagli ad una colonna e ce ne andiamo in un parco lì vicino, dove ci riposiamo un po'. Aspettiamo fino all'orario di apertura dell'ostello, Kim cerca di prendermi in giro per il fatto che la sua Corea ha buttato fuori l'Italia dai mondiali, ma a me non frega molto del calcio per cui credo di deluderla un po' non arrabbiandomi.
Sistemo le cose in camera e inizio a visitare la città solo dopo le 5. Ho perso tempo, è vero, però è sempre bello passeggiare alla luce che sta calando: sul corso Mirabeau ci sono delle bancarelle di artigiani, io vado fino in fondo al corso perchè vedo una chiesa e provo a vedere se c'è una messa; con la solita fortuna, l'unica serale iniziava in quel momento in un'altra chiesa, ad un paio di chilometri da lì. Mi dico che non vale la pena correre per arrivare a metà, così mi fermo lì, nella chiesa vuota, a pensare, come ogni tanto mi piace fare quando sono in viaggio.
Esco alla ricerca di un ristorante dove fare il primo pasto decente dopo il pranzo di ieri a casa dei miei amici. Trovo un bel posto sul corso, è pieno, io mi distraggo leggendo la mia guida per vedere cosa fare domani, poi, mentre sta per fare buio, torno all'ostello, e noto che quel quartiere di immigrati è davvero molto tranquillo, mi dico che in Italia non sarebbe così, chissà perchè poi? anche queste sembrano case popolari ma sono dignitose, ben tenute, non come da noi, dove tutto ciò che è pubblico viene alsciato andare in malora: forse i francesi considerano ciò che è pubblico come un pezzo di proprietà privata piuttosto che di proprietà di nessuno, e forse per questo lo considerano meglio di quanto facciamo noi.
In camera scambio quattro parole con un ragazzo tedesco di Lipsia, anche lui viaggia da solo, nella loro cultura è normale farlo, e infatti si incontrano molti tedeschi in giro da soli.

Lunedì 22 luglio
Oggi non ho in programma nulla di particolare: vorrei finire di visitare Aix, ma tutto il giorno è eccessivo, mi ha incuriosito una piccola località a poca strada da Aix, raggiungibile in treno, Sisteron si chiama, così decido di dedicare la mattinata e parte del pomeriggio a questa cittadina. Dalla stazione di Sisteron si vede la cittadella che sovrasta i paese, che tra l'atro è molto carino, ordinato e pulito, con degli angoli molto interessanti. Salgo alla cittadella, che dentro delude un po', è vuota, anche la sua cappella è stata restaurata con vetrate a mosaico troppo moderne: la cosa stupefacente è invece il monte che le sta di fronte, da una targa apprendo che si chiama "Graffio del Diavolo", ed in effetti sembra che nella montagna un'enorme mano abbia lasciato il segno di un graffio della cima fino alla base. Resto un po' lì attorno, sui camminamenti, a godermi il vento e il sole, poi scendo per tornare in paese per il pranzo. Mi siedo in un bar a mangiarmi una croque monsieur, e mentre sono lì resto a bocca aperta, vedendomi passare di fronte un'apparizione, una persona che era praticamente il sosia del mio idolo, Salvador Dalì, con i capelli lunghi come lui, i baffi posticci come lui, un bastone in mano, vestito di tutto punto come il grande artista. Resto senza parole, non che me ne servissero, e già penso a quando andrò a Perpignan, fra pochi giorni, per vedere la stazione ferroviaria che ha ispirato la sua mitica prospettiva.
La giornata è molto calda, è ancora presto per prendere il treno per il ritorno ad Aix, così vado al parco di Sisteron, che dà su un piccolo lago artificiale, o grande piscina che dir si voglia, gratuita, credo comunale. Mi sdraio sotto un albero ad ascoltare musica, spero di non addormentarmi per non perdere il treno del ritorno.
Finisco di visitare Aix, sempre nella calda luce del crepuscolo, vado alla cattedrale, bellissima, rubo parte del commento di una guida, ma poi ho voglia di uscire, di tornare in ostello, in mezzo ai miei compagni di stanza, per vedere chi sarà con me stasera.
Faccio una cena fai-da-te, con altre persone, un olandese, delle francesi e un paio di canadesi, poi torno in camera. Sono in camera con uno studente francese di origine marocchina e con un signore tunisino: quest'ultimo è uno studioso di letteratura ed è venuto in Francia per fare alcune ricerche oltre che per le vacanze. Mi affascina subito perchè è un grande esperto di Antoine de Saint-Exupery, l'autore de "Il piccolo principe", che vorrei tanto leggere: iniamo tutti e tre a parlare, anche se sono loro a tenere banco, visto che parlano correntemente francese, mentre io meno, e resto ad ascoltarli per lo più. Si parla di tutto: letteratura, economia, scuola, politica, delle stragi in Algeria, e poi, a un certo punto, il nostro signore ci chiede se sappiamo in quale direzione è il sud; glielo indichiamo in via approssimativa, quindi lui ci risponde "allora la Mecca è di là", puntando il dito. Si alza dalla sedia, prende il suo telo-mare, lo stende per terra e inizia a recitare le sue preghiere. Io rimango stupito della scena, so che è per i mussulmani una cosa normale, ma mi stupisce il fatto che la sua religione venga manifestata così spontaneamente, quando noi cristiani facciamo fatica a farlo, per vergogna o per paura di sembrare come delle persone che vogliono imporre la propria idea, oppure se lo facciamo lo facciamo in un modo che io personalmente considero un po' arrogante. Io e l'altro ragazzo riprendiamo poco dopo a parlare ma più piano, per non disturbarlo, quindi, una volta che ha terminato di pregare, ci prepariamo tutti e tre per andare a dormire.

Martedì 23 luglio
Mi svelgio presto, alle 6,30 circa, e la prima cosa che vedo è il mio amico tunisino che recita le sue preghiere del mattino. Non conosco il suo nome, così come non conosco quello di molti altri incontrati in questi giorni, credo che lo ricorderò per molto tempo per la sua serenità, i suoi modi gentili, la sua cultura, la sua apertura e la sua cordialità. Uscendo dalla sala dove ho fatto colazione vedo lui che sta entrando e mi saluta ancora, augurandomi buon viaggio. E' stato un buon augurio.
Con questa bella gioia prendo il treno per Arles, dove ho il prossimo ostello per due giorni: riesco a lasciare lo zaino lì prima che chiudano, così la mattina la dedico alla visita della città che, nel complesso, mi sorprende: me la immaginavo tetra, invece racchiude un'eredità molto grande tra i suoi monumenti romani. Il centro non è molto grande e i monumenti si visitano in fretta: esistono delle carte turistiche per visitarli tutti a prezzo ridotto ma non le compro, preferisco girare per le vie della città, piuttosto che entrare in monumenti di un'arte che non mi interessa conoscere a fondo, e dove mi pare non ci siano neanche delle guide. Visito il vecchio ospedale dove fu ricoverato Van Gogh, poco fuori città è possibile vedere anche il famoso ponte da lui ritratto, ma non riuscirò ad andarci, fra l'altro è una cosa che scopro al momento per cui non mi ci dedico più di tanto.
C'è un treno che in pochi minuti mi può portare ad Avignone, così decido di prenderlo, poco prima di mezzogiorno per visitare questa rinomata città. Mi delude un po': capito nel bel mezzo dello svolgimento del festival teatrale che si svolge ogni anno qui, e le strade sono invase di turisti e di artisti che improvvisano spettacoli alternativi fra la gente. Il bel Palazzo dei Papi è strapieno di turisti, ci sono code interminabili, così rinuncio alla sua visita; in compenso visito il vicino Duomo, i suoi giardini, dove mi fermo per un'insalata al riparo degli alberi, in uno dei chioschi che si trovano al suo interno.
Inizia a far veramente caldo, nella piazza antistante il Palazzo dei Papi la luce riverbera in maniera devastante, tutto sembra bianco, è il colore dominante, in contrasto al blu terso del cielo. Faccio un salto a vedere il Pont Valentrè, quello della famosa canzone, il cui testo e musica sono riportati su un cartello vicino al ponte. Cammino ancora lungo le stradine della città, i turisti sono ancora di più se possibile, così decido di andarmene e di tornare ad Arles. Alla stazione scopro però che potrei fare un salto a Tarascona, avrei un'oretta per visitarla e non mi pare ci sia molto da vedere, così decido di andarci.
Tarascona mi sembra un paradiso al confronto: le sue strade sono vuote, vicini, uno di fronte all'altro, la chiesa e il castello sul Rodano; sull'altra sponda un altro castello che fa da contraltare, nel paese vicino. Mi piace l'atmosfera e il castello e per un momento mi rammarico di aver perso tempo in una città che non mi ha dato molto, quando avrei potuto spendere più tempo qui a Tarascona, ma tant'è.
Ad Arles conosco i primi italiani del viaggio: sono di Cuneo, c'è Pietro, in camera con me e sua sorella Giulia, che stanno facendo anche loro l'Inter-rail, è il loro primo, loro sono diretti in Spagna e il giorno dopo ripartono, si fermeranno solo oggi ad Arles. Ci diamo appuntamento a domattina per fare un tratto di strada insieme in treno.

Mercoledì 24 luglio
Per oggi ho previsto di fare una capatina in Camargue: il treno non è il mezzo migliore per visitarla, sarebbe meglio l'auto, ma alla fine mi va bene così, ho trovato una cittadina che si chiama Aigues-Mortes che mi attira.
Come previsto faccio un tratto con Giulia e Pietro, e mentre aspettiamo conosciamo anche Francesca, una ragazza di Napoli che sta andando in Portogallo; dopo meno di un'ora dobbiamo salutarci, io devo cambiare trano, ci scambiamo gli indirizzi sperando di sentirci di nuovo presto per raccontarci i nostri viaggi.
Ad Aigues-Mortes ci arrivo con un trenino di sole due carrozze, affollato di bimbi in gita. Arrivo nella piccola stazione che non promette nulla di buono, lontana dal centro, sembra che attorno ad essa non ci sia nulla, tranne la campagna; mi metto in cammino verso quello che viene indicato come il centro, e la storia cambia decisamente. La città è meravigliosa, soffia forte il Mistral e all'ingresso mi lascio subito affascinare dalla Tour Costance, che visiterò con una guida in francese: Aigues-Mortes fu costruita da S. Luigi prima di partire per le Crociate, a difesa dei territori francesi. La guida parla lenta, così riesco a capire praticamente tutto della sua spiegazione, compreso il fatto del perchè il mare che vediamo dalla torre è viola: si tratta di saline dove cresce un'alga rossa che, decomponendosi, colora l'acqua di rosa e viola. E' uno spettacolo meraviglioso, e me lo godo per intero facendo il giro dei camminamenti di guardia (circa due chilometri) che delimitano la città, come ci ha suggerito la guida.
E' ora di pranzo e decido di entrare in un piccolo ristorante che serve anche il gazpacho, una zuppa fredda spagnola, a base di pomodoro, che mi rinfresca, anche se i cetriolini si faranno sentire pesanti più tardi. Oggi me la voglio prendere comoda, vedere bene il luogo dove sono, così, pr digerire, decido di andare a visitare le saline, che scopro però essere a 3 km fuori città. E' una sfaticata, anche perchè il sole è a picco e il Mistral fuori dalle mura di Aigues-Mortes si fa sentire davvero impietoso. Cerco di fare l'autostop, ma non si frerma nessuno se non al ritorno, una simpatica signora che mi dice che in Francia non amano gli autostoppisti, è per quello che nessuno si ferma mai: buono a sapersi. Non so come ringraziarla, anche perchè i sandali ai piedi me li avevano distrutti per bene.
Il ritorno ad Arles è piacevole, il trenino dell'andata ha lasciato posto ad un treno molto più moderno, che in questo momento apprezzo.
Ad Arles scopro che alle Arenes c'è una corrida ma non mi sembra granchè, perchè all'esterno non si sente grande clamore. Passo a prendermi una baguette dal panettiere, prima che chiuda e torno all'ostello, dove ritrovo il ragazzo di Venezia che è qui a fare il portiere, e con cui scambio due parole prima di lasciarlo al suo lavoro.
Mi faccio fuori la baguette nel giardino dell'ostello, dove conosco un ragazzo di Londra, si parla un po', poi però arrivano due ragazze inglesi e la conversazione cade, gli inglesi se sono insieme e vogliono non ti coinvolgono e non ti fanno capire niente. Vedo il ragazzo un po' in imbarazzo perchè ha capito che ho capito l'atteggiamento delle due, ma sono un po' stanco e non mi importa, me ne vado in camera, dove sono da solo e per protesta inizio a leggermi "Un giorno della mia vita" di Bobby Sands, dopo aver accantonato il libro di Welsh: Sands era un militare dell'IRA, incarcerato per n crimine non commesso, primo morto in seguito ad uno sciopero della fame ad oltranza iniziato a staffetta da alcuni progionieri politici, a cui era stato negato questo status; il libro è molto crudo ma anche molto coinvolgente, mi ha affascinato molto facendomi dimenticare presto l'atteggiamento poco socievole delle due inglesi.
Sono preso dalla mia lettura e sto già pensando al fatto che avrò una stanza tutta per me stasera, quando arriva un simpatico spagnolo, Daniel, a distrarmi: è un motociclista, diretto a Vercelli, da alcuni amici, e poi forse verso la Sardegna, deciderà strada facendo e se gli basteranno i soldi. Oggi mi dice di essersi fatto quasi mille chilometri, è un po' anchilosato, ma soprattutto ha due piedi che ammazzerebbero un toro! Ridiamo un sacco insieme, lui parla espanol, io italiano e ci intendiamo benissimo: non ha ancora cenato, gli dò del pane e una mela che accetta volentieri, sono quasi le 22 e non ha certo voglia di uscire. Ridiamo ancora un po', soprattutto delle sue scarpe, si scusa, ma non importa, è stato un bel diversivo: mi ha raccontato di essere un insegnante di disegno e che ha appena comprato questa moto, una BMW, proprio per venire in Italia. E' tardi e siamo stanchi entrambi, così ci diamo la buona notte e ci rivedremo domani.

Giovedì 25 luglio
Oggi voglio andare a Carcassonne. A colazione chiacchiero con una ragazza giapponese che veniva dal Canda, e rivedo il londinese Stuart, con cui ho cenato la sera prima.
Sul treno per Carcassonne procedo nella lettura di Sands, ma più volte mi devo fermare perchè certi pezzi sono davvero duri.
Arrivo a Carcassonne: l'ostello è nella cittadella, a due passi dal castello. Scopro che ci si può arrivare tramite un servizio di autobus-navetta gratutito che decido di sfruttare, non ho voglia di camminare con lo zaino. E' ora di pranzo e l'autobus è in pausa, così decido di prepararmi un paio di panini nel parco lì vicino alla fermata. Fa un po' freddo, il cielo è nuvoloso e non lascia presagire niente di buono, per fortuna cadranno solo poche goccie che non daranno fastidio.
Arriva la prima navetta: sono il secondo a dover salire, ma ho lo zaino e per non intralciare lascio salire gli altri, che se ne sbattono di me e alla fine l'autobus è pieno e non riesco a salirci; li mando a quel paese per la gentilezza riservatami e mi incammino a piedi, non ho voglia di fare una seconda volta la stessa esperienza. E' un po' dura, ma è bello vedere la cittadella ergersi sulla collina, c'è vento freddo e ho fatto bene a coprirmi con la mia fidata camicia nepalese.
Arrivo all'ostello che si trova poco lontano dalla Port de Narbonne: qui conosco tre ragazzi di Reggio Calabria, che stanno aspettando dalle 8 della mattina per sapere se possono dormire lì o no, la reception però apre solo alle 15 e non sanno nulla. Io rimango esterrefatto, loro sono tranquilli, forse perchè hanno alle spalle due giorni di viaggio diretto dalla Calabria a qui. Finalmente la reception apre, c'è coda, ma tutti e quattro riusciamo a prendere posto.
La cittadella è affollata di turisti, così decido di prendere tutti in contropiede e in controtendenza vado a visitare la Bastide, la città bassa e più recente: le sue vie sono nulla di eccezionale, ma mi ripagano alcuni angoli, come la piazza, oppure la bella cattedrale. Prima di arrivarci mi fermo in una chiesetta dove scopro esserci anche un piccolo ostello, molto tranquillo, lontano dal vicino caos turistico della cittadella.
Torno alla cittadella in serata, dopo aver fatto provviste, stasera mi farò una spaghettata con gli amici calabresi, prima però mi faccio un giro per i bastioni deserti, illuminati, mentre il sole ormai ci ha lasciato, in mezzo al vento che soffia gelido tra quelle mura. Mi fermo anche al museo delle torture, dove viene narrata anche la storia dei Catari, una setta cristiana perseguitata perchè credeva nella reincarnazione, e presenti sui Pirenei all'epoca dell'Inquisizione. Il museo è piccolo, però il fatto di aver conosciuto anche questo pezzo di storia mi appaga della visita.
Dopo cena i miei compagni se ne vanno in giro per la città bassa, io invece rimango in stanza, domattina mi alzerò presto per andare nella città che ispirò Dalì: Perpignan.

Venerdì 26 luglio
La giornata sembra iniziare ancora fredda, così evito di vestirmi leggero, ma poco dopo esce un bel sole e si cuoce. Devo cambiare treno a Narbona, e sulla costa a sud della città posso osservare uno stagno immenso che mi ricorda la Camargue: ai due lati del treno di stende un mare d'acqua circondata in lontananza da erba alta.
Perpignan mi piace molto, nonostante il gran turismo che la affolla: ha un carattere molto caliente, più spagnolo che francese. Mi volto per ammirare la mitica prospettiva del viale che parte dalla stazione ferroviaria e che porta in centro città: visito il castello, una guida ci porta in giro per le sale illustrandoci la sua storia; è immenso, dal di fuori non si riesce a vedere l'intera sua pianta, solo uno dei torrioni. Nel castello ci sono pochi visitatori, stranamente, così è anche meglio visitarlo: finito il tour con la guida, veniamo lasciati in un cortile su cui si affacciano delle stanze in cui è possibile degustare del vino locale, ma passo l'invito, ho pranzato solo con dei Tuc e una banana e ora non mi sento bene. Entro invece in alcune stanze, dove c'è una mostra dei prodotti della zona, fantastica, vengono uniti i 5 sensi: in una sala, per terra c'è una montagna di sale, con sopra dei secchi contenenti acciughe, si sente il profumo del sale e del pesce, mentre dagli altoparlanti si opuò ascoltare le onde del mare; in un'altra stanza ci sono dei viticci a terra e un forte odore di mosto; in una terza dei rami d'ulivo e un forte profumo di olio, mentre le cicale cantano dai soliti altoparlanti; in un'ultima sala ci sono delle pietre per terra, e un vago odore di marmo.
Uscendo dal castello mi dirigo verso il museo Espace Dalì, al vecchio convento delle Minime, che ha in esposizione una mostra fotograficasu Dalì: si tratta di diversi suoi ritratti, sottoposti anche a ritocchi, filtri e altro, eseguiti da un fotografo suo amico. Per chi visita il museo c'è la possibilità di iscriversi ad una newsletter sulle novità del museo, mi iscrivo, sperando di ricevere notizie, ed in effetti ancora oggi mi vengono inviati gli inviti alle mostre e alle iniziative che il museo mette in atto.
Continuo però a non stare bene, posso dalla cattedrale, velocemente: non riesco a capire se ho uno dei classici mal di testa da fame, oppure no. Decido per tentare di mangiare qualcosa: sulle prime sembra andare meglio, ma poi la cosa peggiora; mi dirigo quindi verso la stazione per prendere il treno per Carcassonne, e scopro che quello che avrei dovuto prendere io c'è solo la domenica, così devo fare sosta a Narbonne e prendere una coincidenza un'ora più tardi. L'altra soluzione è tornare a mezzanotte, cosa che non mi alletta visto che non sto bene.
Prendo il treno per Narbonne, e visto che ho un'ora di tempo decido di fare quattro passi: mi fa bene, smaltisco pian piano il malessere che ho accumulato. Vado a vedere la bella cattedrale, poi sento una musica che si diffonde nel paese: si tratta di un concerto tenuto dalla banda reale di Delft. L'ora è ormai tarda e tutto è chiuso, così mi fermo ad ascoltare alcuni brani del concerto: è bellissimo, suonano in modo molto leggero, sembrano più che una banda un'orchestra sinfonica.
Nel frattempo mi riprendo del tutto: torno alla stazione dove arriva poco dopo il treno per Carcassonne; all'arrivo ceno solo con un thé e continuo a leggermi il libro di Bobby Sands, mentre alcuni connazionali toscani al tavolo vicino al mio ridono e scherzano.

Sabato 27 luglio
Questo sabato si rivelerà il giorno più triste di tutto il viaggio: ho in programma di andare verso ovest, sui Pirenei, e decido di fermarmi all'ostello di Tarbes; inizialmente prevedevo di arrivare a Pau, ma all'ostello non risponde mai nessuno e decido di non rischiare.
Tarbes mi colpisce subito per i suoi lavori stradali: faccio due chilometri a piedi in mezzo al traffico per raggiungere l'ostello che è fuori città, in periferia. Quando arrivo ho una sorpresa brutta per me: scopro di avere una stanza singola, e per di più non c'è nessuno in giro; il posto non è granchè, mi sembra di essere in carcere, non ho nessuno con cui parlare e questo mi deprime non poco. Decido di fare una doccia rapida e di uscire a visitare Tarbes:c'è un bel parco, fortunatamente, che ospita anche alcuni pavoni. Al suo interno c'è inoltre il museo della città, che raccoglie diverse opere di autori francesi, fiamminghi e opere più antiche risalenti all'epoca romana. Scopro troppo tardi che a Tarbes ci sono delle famose scuderie di cavalli, allenati per competizioni ad alto livello, visitabili, ma solo fino alle 5 del pomeriggio. Faccio un salto alla cattedrale e ci rimango per diverso tempo, mi fermo anche ad ascoltare la Messa, e poi vago ancora per la città, non mi va per niente di rientrare subito in quel posto triste.
Alla reception dell'ostello non c'è nessuno, salgo in camera, dove mi mangio della frutta e rivedo i piani per i prossimi giorni; decido anche di mettere la sveglia per prendere il primo treno disponibile per Pau, la serata passa abbastanza veloce e mi sento un po' rincuorato, sapendo che l'indomani sarò lontano per tutto il giorno da quella triste camera. Non riesco nemmeno a leggere il libro di Sands: la camera mi fa immedesimare troppo nella sua condizione e lascio perdere, vado a letto, tanto domani la sveglia sarà molto presto.

Domenica 28 luglio
Mi sveglio presto, come da programma, mi vesto rapido, prendo il mio zaino con la macchina fotografica, walkman e libri e me ne esco veloce dalla stanza. La cucina è poco praticabile, mancano pentole e piatti, così faccio colazione al bar della stazione, dove mi servono un cappuccino che al posto del latte prevede panna montata... Arrivo ben presto a Pau, che si trova in mezzo ai monti, in una valle molto stretta: per salire in paese esistono degli ascensori, che sarò uno dei primi ad utilizzare quella mattina; in paese incontro poche persone, me lo giro con calma, andando alla Cattedrale, poi a visitare il municipio e quindi al castello di Pau, dove mi aggrego di corsa ad un gruppo appena partito per una visita che sarà rigorosamente guidata.
Il giro del paese termina molto presto, così decido di andare anche a Bayonne, nel pomeriggio. Mi fermo al bar della stazione per pranzo, e riesco anche a bere l'unico espresso decente in Francia, chiedendolo ristrettissimo, esce praticamente uno dei nostri espressi normali.
Arrivo a Bayonne nel primo pomeriggio: nel frattempo è uscito il sole, che rende molto piacevole la visita della città. Si sente subito l'influenza molto forte dei baschi, nell'aria si respira un'atmosfera più spagnola che francese, e sui muri della città si possono vedere diversi murales indipendentisti. Giro per le sue strade, cercando un po' di ombra perchè il caldo si inizia a far sentire veramente: la cattedrale apre solo alle 15.30, per cui devo rimandare la sua visita, però il chiostro vicino è aperto; mi fermo ad ammirarlo dall'esterno, e mi si avvicina un altro turista (viene da Tarbes) che inizia a parlare con me. E' il primo vero colloquio dopo due giorni di quasi totale silenzio, rotto solo dalle ordinazioni ai bar e ai ristoranti dove sono stato, mi dà un po' d'ossigeno e mi risolleva il morale: parliamo del chiostro e di architettura, lui mi spiega alcune cose relative ai tempi e allo stile del chiostro e io lo ascolto come se fosse l'unic persona sulla terra, il silenzio, mi rendo conto, è bello, ma non dovrebbe mai diventare eccessivo.
Ci salutiamo e proseguo nella visita interna del chiostro, poi ancora in giro per le strade della città, dove fuori ad alcuni ristoranti sono piazzate enormi tavolate con decine di commensali. Torno quindi alla cattedrale, è ancora presto, e attendo fuori insieme ad altri turisti: quando si apre è una rivelazione. La cattedrale è stupenda, il suo stile gotico, che è il mio preferito, i numerosi mosaici che arredano le vetrate su cui sono rappresentate scene dalla Via Crucis e altre scene bibliche, la luce chiara che la inonda.
Vorrei restare di più ma devo riprendere il treno per Tarbes: per ritardare il rientro mi fermo a mangiare un hamburger in un posto che assomiglia ad una di quelle taverne americane che si vedono nei film. La luce inizia a spegnersi, così devo per forza rientrare: passo la sera a risistemare lo zaino, domattina voglio schizzare rapido da questo posto, per il resto penso agli amici lasciati a casa e a quelli incontrati in questi primi giorni di viaggio.

Lunedì 29 luglio
Ormai il giro di boa è stato fatto, restano solo pochi giorni ancora di viaggio: ho comprato diverse cartoline ma non ne ho scritte ancora, aspetto il momento giorno.
Mi alzo ancora presto, voglio prendere anche oggi il primo treno disponibile ad un orario non troppo proibitivo, devo andare a Tolosa, dove poi prenderò la coincidenza per la mia destinazione, Cahors. A Tolosa spendo un po' di tempo a cercarmi un supermarket dove comprare qualcosa con cui fare colazione che ho saltato a piè pari e una bottiglia di acqua; pensavo a fermarmi un po' in città, ma c'è un sacco di traffico, un caos incredibile, così torno subito alla stazione per aspettare il mio treno.
Arrivato a destinazione mi precipito nel primo ristorante che trovo, dopo due giorni a panini o pranzi ultrarapidi e in un luogo che ho odiato come pochi altri; alla fine mi concedo anche una favolosa torta di mele accompagnata da del gelato, una libidine per il palato e per il morale!
Mi incammino alla ricerca dell'ostello, per il quale trovo delle indicazioni poco lontano: entro, mi accolgono, ma mi dicono che non hanno traccia della mia prenotazione telefonica, mi agito interiormente ma subito mi calmo perchè mi dicono che non ci sono problemi, hanno posto e quindi posso restare senza alcun problema. Scopro qui quella che sarà una delle mie prossime mete fra qualche anno: l'ostello infatti è uno dei rifugi sul Cammino per Santigo de Compostela, in Spagna. Sulle prime questa cosa mi è sconosciuta, l'unico vantaggio che scopro di questo pellegrinaggio è che per i pellegrini ci sono sconti all'ostello e all'ingresso del chiostro della cattedrale che visiterò nel pomeriggio. All'ostello sono gentilissimi, così chiedo qualche informazione su cosa visitare; in camera con me c'è un signore spagnolo in pellegrinaggio, col quale scambio due parole, doccia e via alla visita della città, mentre lui si riposa della sua tappa.
Cahors è una città molto viva a differenza di Tarbes, vecchia, ma con un'anima calda, propria di tutte le città che sono sul Cammino di Santiago; a Cahors c'è un bel museo sulla resistenza durante la seconda guerra mondiale, e il simbolo della città rappresentato dal Pont Valentrè, medievale e fortificato. Mentre giro per la città trovo anche la spiegazione al perchè non trovavano la mia prenotazione: sono andato all'ostello sbagliato! Ci penso un po', poi decido di dar loro un colpo di telefono per avvisare che non ci sarei andato: mi ringraziano per averli avvisati e mi dicono di non preoccuparmi.
Alla sera, in ostello, conosco alcuni pellegrini a cui racconto anche di Tarbes, e loro, abituati alla compagnia di chi fa il Cammino, capiscono il disagio e sono felici che stia bene lì quella sera, e anch'io mi sento risollevato ormai e sorrido di quei due giorni bui.
Un pellegrino mi dice che domani si alzerà alle 5 per andre a prendere il treno per Digione, dove abita e mi chiede se sono in camera con lui. Appurato che lo sono, si preoccupa di non svegliarmi, ma lo rassicuro dicendogli che mi alzo tutti i giorni alle 6, quindi di non farsi troppi problemi: a queste parole lo vedo più sollevato.

Martedì 30 luglio
Per oggi ho in programma una cosa che non ho mai fatto fino ad ora e che sarà credo un po' pesante, ma per un giorno la si può sopportare senza dubbio: girerò tutto il giorno con lo zaino in spalla tra Montauban e Moissac, due località che la guida indica piccole ma molto interessanti.
Faccio colazione in ostello, c'è self service, si può prendere latte, caffè, thé, pane, burro, marmellata e tante altre cose, a volontà, l'unico onere è come per la sera prima lavare i piatti che si usano. Saluto alcune persone conosciute la sera prima e quindi parto alla volta della stazione. Il cielo già minaccia pioggia.
La prima tappa è Montauban: mi piace, anche se il cielo grigio non le rende gistizia per nulla, anzi, la rende piuttosto triste. La città è caratteristica per le sue case in mattoni rossi a vista che la colorano in modo originale; in centro c'è una bella isola pedonale con tanti negozi, e c'è la bellissima cattedrale, tutta bianca, il cui colore fa da contrasto al resto della città. Mi fermo anche in altre chiese qua e là, per prendere fiato e per leggere qualcosa, che mi aiuta a passare il tempo e a rilassarmi, oltre che a pensare un po'.
Per pranzo incontro casualmente un ristorante del Ministero del Turismo, i prezzi sono molto buoni, così decido di entrare, però quando ci metto piede mi sento un po' a disagio: il posto è molto bello, raffinato, di classe, con musica di sottofondo. Io sono l'unico cliente per il momento e sono messo così: zaino grande sulle spalle, zainetto più piccolo davanti, calzoni a zampa d'elefante a toppe, maglietta da skater, barba di 10 giorni, insomma non sono molto in linea con l'ambiente. I camerieri però non fanno una piega: mi fanno posare il mio zaino in un posto riparato, mi accaompagnano al tavolo, portano il menù, mi versano il vino e mi portano i diversi piatti della nouvelle cuisine come se fossi un cliente qualsiasi.
Soddisfatto del pranzo mi muovo verso la stazione per prendere il treno per Moissac: la guida dice che c'è un bellissimo chiostro, addirittura protetto dell'UNESCO. La cittadina è molto graziosa, tranquilla: visito prima di tutto la sua cattedrale, dove mi intrattengo per diverso tempo, ascoltando un signore anziano che passa il suo tempo ad istruire i visitatori sui dettagli della chiesa. Siamo in quattro a seguirlo: io, una coppia francese e una donna belga; la visita si trasforma ben persto in una lunga chiacchierata che spazia dalla storia alla religione.
Dopo aver salutato il caro Cicerone, mi reco al chiostro. La guida del mio gruppo è una ragazza emozionatissima, perchè è alla sua prima visita, però una volta che ha preso coraggio ci spiega il significato dei capitelli delle colonne, su ognuno dei quali è raffigurata una scena biblica o degli animali mitologici: purtroppo quasi tutti i volti dei personaggi sono stai martellati via all'epoca della Rivoluzione Francese, dai rivoluzionari che erano contro il potere temporale della Chiesa, ma il fascino del luogo rimane comunque grande. La storia del chiostro ha visto anche una lotta da parte degli abitanti di Moissac contro l'abbattimento dello stesso per la costruzione della linea ferroviaria, che però ha distrutto per sempre la vecchia parte delle cucine.
Giro un po' per il paese, poi torno in stazione, dove trovo due italiani che stanno facendo gli animatori in un campo estivo per bambini. Parlo un po' con loro, poi salgo sul treno che mi riporterà a Montauban, da lì prenderò il treno che mi riporteà in Costa Azzurra, dove ho deciso di passare gli ultimi giorni della vacanza.
A Montauban faccio provviste per la sera e uso per la prima volta il poncho impermeabile, non senza difficoltà da indossare da solo, con il PVC che si attacca dappertutto. Inganno l'attesa con la mia cena fai-da-te e con la lettura del nuovo libro che ho iniziato, di Nicholas Sparks (Le parole che non ti ho detto), dopo aver terminato il bel libro di Sands.
Prima di salire sul treno faccio due chiacchiere con un vigilantes della stazione: gli chiedo qualcosa in più riguardo al piano Vigipirates che incontro in ogni stazione e che prevede, fra l'altro, la chiusura di tutti i depositi dei bagagli automatici. Gli chiedo se è per via dell'attentato dell'11 settembre, lui mi dice che inizialmente era così, ma poi è stato esteso per garantire la sicurezza dei viaggiatori nelle stazioni, controllando che spacciatori e borseggiatori stiano alla larga. E devo dire che il suo bel pastore tedesco di certo aiutava in questo.

Mercoledì 31 luglio
Il viaggio è stato scomodissimo, ero stanco ma le poltroncine del treno non mi hanno permesso di addormentarmi per più di mezz'ora alla volta, poi puntualmente mi svegliavo per cambiare posizione perchè una parte del corpo era completamente anchilosata.
In ogni caso, arrivo alle 6.50 a St. Raphael, verso le 8 ci sarà il treno per Le Trayas, dove mi fermerò nell'ostello, per un giorno completo di mare. In stazione faccio colazione in mezzo a dei poliziotti che stanno arrestando un ragazzo di colore, accusato da tre inglesotti di avergli rubato il portafogli; i suoi amici erano incavolati mica poco, anche perchè, da quanto ho capito, i tre inglesi non erano mica così certi che fosse stato proprio lui. Ovviamente io parteggiavo per gli accusati, anche perchè ho notato il comportamente razzista di uno dei tre inglesi, che faceva pose da duro sapendo di essere garantito dai poliziotti, non appena uno degli accusati diceva qualcosa.
Il gruppo se ne va, restano gli amici del ragazzo fermato che tirano giù sacramenti a tutto andare, io parteggio per loro ma non dico nulla, non saprei cosa dirgli e come potrebbero prendere il mio intervento, del resto sono un bianco anch'io. Alle 8 e un quarto arrivo a Le Trayas, dove mi aspettano un paio di chilometri in salita per arrivare all'ostello: non mi danno subito la camera, ma mi lasciano depositare lo zaino e fare una doccia. C'è coda per la doccia, così ne approfitto per farmi la barba con il sapone di marsiglia al posto della schiuma che non ho portato, per evitare peso; ci metto una vita e mi lascio il pizzetto per risparmiare un po' di tempo, intanto le doccie si sono liberate e dopo essere rinato sotto l'acqua calda, scendo in paese.
In paese non c'è nulla tranne ristoranti con dei prezzi folli e le spiaggie non mi piacciono. Decido di prendere l'autobus e tornare a St. Raphael, fra un'ora ne passa uno, così per ingannare il tempo mi metto a scrivere finalmente le cartoline.
Devo dire che la Costa Azzurra finora non mi ha entusiasmato molto: ho trovato solo un ammasso di alberghi e ristoranti costosissimi: la natura un po' aiuta, con le calanche di porfido rosso, un bello spettacolo naturale, soprattutto se di cornice c'è un bel tramonto. St. Raphael mi delude molto: mi fermo in un piccolo ristorante che sembra non valere nulla e invece propone piatti tipici a prezzi decisamente abbordabili (fra l'altro un patè al porto che era qualcosa di superbo!); faccio spesa per la sera, poi torno a Le Trayas con il treno. Fuori dall'ostello rivedo due ragazze svizzere a cui avevo dato indicazioni per l'ostello, e dove conosco due ragazzi del Michigan. Uno dei due, Joachin, ha la madre francese e parla molto bene la lingua, l'altro, Steve, quasi nulla, solo americano stretto; ceno con loro due e al nostro gruppetto si aggiungono due ragazze di Seattle, Liz e Guendy, passiamo la serata insieme: Steve e Jo suonano insieme in un gruppo, così Steve tira fuori la sua chitarra e ci canta qualcosa, di fa una versione di "Karma Police" dei Radiohead da pelle d'oca, a me già piaceva quel pezzo, ma dopo averla ascoltata da Steve la adoro in assoluto. Ridiamo e scherziamo per la cucina americana, io tento di insegnare loro alcuni rudimenti di quella italiana che amano, ma senza successo, non hanno la mentalità per capirla, non c'è niente da fare. Jo si allontana per una telefonata di ore, le due tizie restano un po' con noi, ma poi se ne vanno a letto abbastanza presto, restiamo io e Steve con cui parlo di sistema scolastico e universitario e della musica, e delle diversità delle scene americana e italiana.
Si è fatto davvero tardi, torniamo in camera anche noi con Jo.

Giovedì 1 agosto
Ultimo giorno. Saluto i ragazzi e prendo il treno per Nizza: visito la città vecchia nella mattinata, poi mi sorprende la pioggia e uso per la seconda volta il poncho, ma stavolta in modo più serio, piove in modo abbastanza sostenuto. Non posso fare foto come vorrei, così, un po' sconsolato, tiro l'ora di pranzo e me ne vado in una bettola in una via che non saprei mai ritrovare: mangio bene, e soprattutto mi riscaldo un po'. Dopo pranzo mi dedico allo shopping, sapone di Marsiglia naturale e cd.
Recupero i bagagli alla stazione: qui i depositi bagagli funzionano, forse perchè altrimenti avrebbero perso un sacco di soldi, per cui hanno considerato che il gioco valeva la candela. Nizza mi è piaciuta molto, peccato per la pioggia, mi prometto di tornarci prima o poi e infatti qualche tempo dopo riuscirò a tornarci per visitare la parte più recente. Vado a Menton, è l'ultima tappa, domattina prenderò il treno per Milano: è tanto che voglio andare a Menton, qui mio nonno aveva un negozio di scarpe prima della guerra e mi piaceva tornare a vedere dove lui aveva vissuto quando era giovane e non ancora sposato.
A Menton una signora però mi incavolo di brutto: una signora mi indica la strada per l'ostello, peccato che poi si rivelerà quella per l'autostrada, come mi indicherà un motociclista; risultato, almeno 5 chilometri a vuoto, sotto il sole che iniziava ad uscire, ma come se non bastasse, scopro che per arrivare all'ostello devo farmi una scalinata interminabile che mi porta sì a destinazione, ma praticamente stanco morto e sudato come una lontra.
L'idea di tornare giù e poi su non mi rallegra molto, poi però, dopo una rapida doccia, torno in paese per visitare la parte vecchia di Menton: mi piace molto questa parte, mi passa anche l'arrabbiatura di prima, spendo gli ultimi soldi per dei regali ai miei genitori, olive, una bottiglia di vino, ancora un po' di sapone di Marsiglia. Mi perdo un po' nei vicoli stretti della vecchia Menton, guardo il suo porto, poi torno al'ostello, mentre il sole scende e il cielo si colora di rosa, io salgo ancora la ripida scalinata, e ora riesco a godermi il panorama sotto di me, fatto di una città grande, ma anche tanto calda.
Il libro di Sparks l'ho finito in treno, per cui torno a quello di Welsh, che finirò poi a casa. Ceno con dei panini e della frutta nel giardino dell'ostello e prima di andare a letto faccio conoscenza con un signore inglese, David, un po' logorroico, ma un gran viaggiatore. Ma sono davvero a pezzi oggi, è ora di dormire, domani si torna a casa. E' finito l'ultimo Inter-Rail disponibile, ma già penso che non saprò rinunciare a viaggiare così in modo itinerante, qualcosa mi inventerò, anche se ho già sentito parlare di una tessera di questo tipo anche per gli over-26. Allora non è del tutto finito.

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