Domenica 2 marzo 2003
Eccomi qui, pronto con il mio fidato zaino, il sacco a pelo e il biglietto Inter-rail
in tasca per partire per un viaggio solo in parte nuovo. L'itinerario scelto si snoda tra
Francia, Olanda e Belgio. Sono paesi già visitati in passato, ma andrò o tornerò in città
che volevo rivedere, inoltre ad Amsterdam mi aspetta il mio caro amico Brian, un ragazzo
che ho conosciuto un paio d'anni prima, tornando da Utrecht, dove ero stato qualche giorno
a trovare Marco, che stava facendo l'Erasmus proprio lì. Lui è già venuto a Milano, io
finalmente riesco a trovare l'occasione per passare da lui in questi giorni, non vedo l'ora.
Come al solito mi sono guardato l'itinerario prima di partire e la prima tappa prevede
Nizza, che rappresenta sempre un buon punto di partenza per entrare in Francia, da qui
partono treni per ogni parte di questo stato che io amo tanto; ho deciso di fermarmi qui
una giornata intera, poi prenderò il treno di notte per Strasburgo. Parto prestissimo questa
volta, 6.13 da Magenta, poi 7.10 da Milano, con l'Intercity diretto a Nizza: sono entrambi
vuoti, è domenica, inoltre è marzo, un mese che ho scoperto essere adatto alla visita delle
grandi città, è vero, il tempo è sempre piuttosto ingrato, ma per questo diventa adatto ad
infilarsi a scoprire i musei, le chiese e altri monumenti che con il bel tempo forse si
trascurano.
Arrivo a Nizza verso mezzogiorno, stranamente c'è il sole, e mentre mi dirigo alla
Promenade des Anglais, mi accorgo che oggi ci sarà una sfilata di carri per Carnevale: a me non piace molto questa ricorrenza, sono partito in questi giorni anche per questo motivo, ma
non mi ricordavo che noi milanesi lo festeggiamo con una settimana di ritardo rispetto a tutti
gli altri, per motivi legati al nostro rito ambrosiano. Alla Promenade cerco una panchina
vuota e mi siedo sotto il bel sole caldo a mangiarmi i panini che mi sono portato da casa, un
po' di frutta, tutto all'insegna del prendersi le cose con calma, ho proprio voglia di rilassarmi: mentre sono sulla panchina mi rendo conto di essere l'unico viaggiatore della
stagione, attorno a me non si vedono altri zainisti.
Finisco il pranzo e me ne vado a fare un giro nella città vecchia, su verso i giardini
del castello: per motivi logistici salgo con l'ascensore, farò la discesa a piedi, ma una
scarpinata me la voglio risparmiare. E' bello starsene lassù, c'è una brezza leggera e si sta
davvero bene oggi a Nizza, è fresco, l'umidità della nebbia lasciata a chilometri di distanza.
Resto a guardarmi il panorama e a scattare foto dall'alto della rupe, alle case sottostanti,
fra i rami che fanno da cornice ad un pezzo di mare, alle navi del porto. Mentre scendo sento
la musica di un flauto irlandese, di quelli di latta, e infatti incrocio un ragazzo con una
ragazza che lo sta suonando, una bella melodia celtica che piacerebbe tanto anche a me
imparare.
Passo dal mercato dei fiori, dove però sono rimaste solo un paio di bancarelle; c'è un
venditore con un vecchio carretto di ferro, molto caratteristico, che vende più che altro
mimose, addetti stanno lavando le strade, togliendo i resti dei fiori recisi buttati a terra,
schizzando acqua ovunque ma risparmiando i clienti dei bar ai lati della strada.
E' metà pomeriggio, vado verso il centro città, dove c'è la sfilata dei carri, mi siedo
su una panchina di marmo, dove poco dopo arrivera un signore sulla sessantina con una ragazza.
Iniziamo un po' a parlare, è un tipo molto distinto, parla ovviamente francese, mi dice di
essere un conte, anche lui è di origine italiana, di Napoli, però ha una casa lì a Nizza: andiamo avanti per un po', la ragazza mi ride in modo strano, mi sa che ha qualcosa che non va, lui la tratta come se fosse una bambina indifesa e forse è proprio quello che è, bisognosa
di protezione in modo particolare, non dice nulla, sorride se la guardi e basta. Suo padre
la tiene lì vicino, poi la prende sottobraccio, mi saluta, mi augura buon viaggio, mi dice
che è un bel percorso quello che ho scelto e se ne vanno, lasciandomi addosso una strana
sensazione di tristezza e dolcezza allo stesso tempo, a vederli così insieme.
Nel frattempo i carri sono tutti passati e stanno sfilando fuori dal parco chiuso, accessibile solo a pagamento: i due stanno andando proprio lungo la strada per vederli, io li
avevo sbirciati un po' da una porta aperta dove si erano ammassati molti altri. Riprendo lo zaino dopo aver scritto qualcosa su un diario che mi sono portato, è la prima volta che ne
porto uno, l'ho portato per scrivere le sensazioni vissute per la mia ragazza di quel tempo,
niente cose viste, solo le sensazioni, quelle che più facilmente si possono perdere perchè
nessuna foto le può fissare. Torno alla stazione, dove aspetterò il treno delle 19.41 per
Strasburgo, arriverò domattina presto, spero di trovare ancora aperto l'ostello e poter lasciare là i miei bagagli.
Lunedì 3 marzo
Arrivo prima delle 8 del mattino a Strasburgo, sono tutto anchilosato dalla notte in
treno, considero che quelli francesi sono più scomodi di quelli italiani, hanno quelle
poltroncine reclinabili che impediscono il sonno in qualsiasi maniera, l'unica speranza è
avere il posto a fianco libero per potersi allungare un po' di più. Stanotte ho fatto anche
da traduttore: c'era un ragazzo senza biglietto, i controllori cercavano qualcuno che parlasse
italiano e francese per fargli da traduttore e dirgli che se non aveva documenti e soldi avrebbero chiamato la polizia. Io traduco, cerco di farmi spiegare chi è, cosa fa, ma non sembra capire, mi pare che non si italiano ma nordafricano piuttosto, ma di solito i nordafricani un po' di francese lo parlano, mah, alla fine continua a ripetere che deve andare
in una città e basta, gli ripeto che quelli non scherzano, ho già visto la police all'opera,
ti portano dentro e stop, chi s'è visto s'è visto. Alla fine i controllori mi ringraziano per
la traduzione e mi rimandano al mio posto, io sono tornato al mio posto ripetendomi che se
solo mi avesse detto qualcosa in più magari... E pensare che non volevano nemmeno che gli
si pagasse il biglietto, volevano accertamenti in ogni caso, perchè non accettano che qualcuno
giri senza poter essere identificato in Francia.
Comunque, ad accogliermi c'è un bel cielo grigio che promette pioggia. Prendo l'autobus
sul piazzale della stazione per andare all'ostello che è un po fuori mano, come al solito: ho
chiamato prima e mi hanno detto che posso lasciare lo zaino; alla reception c'è una ragazza
molto gentile che mi lascia posare lo zaino e mi accompagna ad un bagno dove mi posso rinfrescare un po' prima di andare a visitare la città. Decido di tornare in città a piedi, in
fondo è ancora presto.
Il clima oggi davvero mette voglia di buttarsi a letto e nient'altro, poi, dopo la nottata
insonne passata sul treno, è davvero il massimo. In ogni caso, lentamente mi dirigo al centro
della città, passando dal quartiere Petite France, la parte più caratteristica. Passo a visitare la cattedrale, poi vado verso l'università e i suoi giardini vuoti e spogli che mettono una tristezza davvero sconfinata; cerco quindi il complesso del parlamento europeo,
che è leggermente fuori città, ma non difficile da raggiungere. E' qualcosa di veramente
imperssionante: è immenso, è anche possibile fare delle visite guidate, ma sinceramente non me
la sento di imbottigliarmi in tante stanze senza senso, preferisco stare qui fuori a guardare
quell'ammasso di vetro e cemento che pare non finire mai.
E' quasi ora di pranzo e fa freddo; ogni tanto scende qualche goccia di pioggia che mi bagna gli occhiali, una cosa che odio. Per tornare in centro decido di prendere il tram, che arriva poco dopo: sono molto belli, moderni, tipo gli ultimi che hanno messo a Milano, i quali
però mi piacciono poco, lì a Milano mi piacerebbe vedere quelli vecchi arancio, come il 9, che
da Porta Genova arrivava fino alla Stazione Centrale, e che ora non c'è più, al suo posto un
anonimo autobus. Tra queste considerazioni arrivo di nuovo alla Petite France, dove avevo
visto un ristorante carino: la mia guida ne consiglia un altro ma non riesco a trovarlo. E' un
ristorante camrguese, ci rimango diverso tempo, leggendo, il proprietario è davvero ospitale.
Nel pomeriggio voglio andare fuori città, nel sobborgo di Cronenbourg, dove c'è l'omonimo
birrificio, che all'ufficio del turismo mi hanno detto essere possibile visitare. Prendo un altro tram ed esco dalla città, in realtà ci si impiega davvero poco tempo, pochi minuti: scendo alla fermata giusta e chiedo informazioni per raggiungere il birrificio, non è lontano,
ma è grande e devo capire dove si trova l'entrata per evitare di fare un giro a vuoto. Una
volta trovata entro, ma purtroppo ho una brutta sorpresa: proprio oggi hanno in programma una
sfilata (?!?) e mi dicono che le visite per oggi sono sospese. Sono spiaciuti e io più di loro, per fortuna che per venire qui non ho rinunciato a visitare altri angoli di città che
mi potevano interessare di più.
Torno in città e giro ancora un po', nel frattempo sta diventando buio, così faccio provviste per la sera e torno in ostello, ho voglia di una doccia calda e di una buona zuppa.
Ci sono alcune difficoltà logistiche: l'acqua è calda ma i locali molto freddi, e la cucina
per gli ospiti non è molto attrezzata, per cui devo andare in quella centrale a farmi prestare
una pentola dove scaldare la zuppa che ho comprato e qualche piatto; mi danno una pentola enorme, loro non hanno pentole piccole, ovviamente, mi arrangio con quella, sparecchio, lavo
e restituisco il tutto, poi vado in camera a leggere un po'. I termosifoni mandano un caldo
assurdo, il ragazzo in camera con me non è per niente loquace, io sono stanco, il viaggio di
ieri si fa sentire, vado a letto, domani è già ora di cambiare tetto.
Martedì 4 marzo
Mi sveglio presto per prendere il treno per Parigi, dove ho la coincidenza per Lille; a Parigi
dovrò cambiare stazione, ho chiesto informazioni se fosse il caso di prendere la metropolitana
ma mi hanno risposto di no, dalla Gare de l'Est alla Gare du Nord ci sono poche centinaia di
metri e in cinque minuti ci si arriva.
C'è nebbia stamattina a Strasburgo, fuori dall'ostello non si vede nulla, aspetto il tram
per tornare alla stazione, alle 7.55 ho il treno, arrivo in tempo. Purtroppo le linee di
Strasburgo non sono granchè, scopro che è collegata piuttosto male con il resto del paese, salvo fare tre-quattro cambi per giungere a destinazione. Arrivo a Parigi verso l'ora di
pranzo, esco dalla Gare de l'Est e mi dirigo a piedi verso la Gare du Nord: ieri sera avevo
pensato di fermarmi qui un giorno o due, però tutti gli ostelli sono pieni, solo uno aveva,
forse, posto, ma questa probabilità non mi è piaciuta e ho scelto di andare a Lille, fare
tappa lì per poi muovermi alla volta dell'Olanda. I pochi metri che ho visto di Parigi mi
affascinano subito, salgo una scalinata e vedo i tetti di Parigi, passo in una via dove ci
sono alcuni bar affollati di anziani arabi, la strada è un po' sporca ma è bella così,
all'angolo c'è un incrocio molto trafficato, poi più avanti c'è la Gare du Nord. Vorrei fermarmi, non c'è che dire, quei pochi metri li rivedrò poi nel film "Il favoloso mondo di Amelie", quando Nino perde il suo album fotografico, correndo dietro all'uomo sino ad allora ancora misterioso.
Non sapendo ancora che strada ho passato, mi fermo alla Gare du Nord, manca ancora diverso
tempo alla partenza del treno, ma decido di rimanere lì, andare in giro sarebbe inutile. Mi
compro un panino insipido e freddo, di pollo, insalata e pomodori che mangio senza troppa
passione, cosa che mi fa ricredere un po' sulla cucina parigina.
E' ora, il mio TGV è al binario, salgo e poco dopo si parte. A fianco a me c'è una signora con le stampelle che discute con il controllore perchè secondo lei non ci sarebbe un'indicazione non so di cosa, forse del bagno per gli invalidi; riceve solo risposte di cortesia e di circostanza, ma lei non molla, vedo che tira fuori carta e penna e inizia
scrivere una lettera indirizzata alla direzione della TGV. Dentro di me penso che queste cose
le possono fare solo gli stranieri, un italiano si sarebbe già rassegnato, salvo sbraitare
per un'ora contro qualcuno che non può fare molto per lui. Il treno nel frattempo prende
velocità e in alcuni tratti va veramente forte.
Arrivo a Lille nel primo pomeriggio, ma l'ostello apre solo verso le 16; chiamo casa per
far sapere che tutto va bene e poi mi faccio un giro dell'isolato per perdere un po' di
tempo: quando torno l'ostello è aperto prima dell'orario, ma tutti stanno aspettando nella hall. Non ci sono molte persone, rivedo una ragazza che stava pure lei cercando l'ostello prima e che ora è in fila con me. Sono rapidi, per cui in poco tempo ottengo il mio letto, mollo lo zaino, prendo la macchina fotografica e me ne vado a girare la città.
Non ho molto tempo e su Lille non mi sono assolutamente documentato, in fondo è solo una tappa interlocutoria, un posto dove appoggiare il sedere per una sera, però si rivela davvero
sorprendente: i palazzi del centro sono ricchissimi, tutti lavorati con stucchi dorati e
intarsi davvero superbi, c'è anche il castello che tento di raggiungere, ma la pioggia mi frena, sta scendendo piuttosto sostenuta, io cerco di mettermi il poncho, ma sopra al giubbotto è una pena, così me lo tolgo e torno tutto bagnato all'ostello, dove però mi
aspetta una doccia calda.
In camera con me c'è un ragazzo australiano: mi invita ad uscire a bere qualcosa quella
sera ma non ho molta voglia, poi continua a piovere; parliamo un po', poi lo lascio per
andare in cucina a prepararmi la cena. C'è una signora, che scoprirò essere una psicologa,
francese, che sta preparando anche lei la cena: mi dice che non ci sono piatti e posate, lei
viene lì spesso, e si porta l'occorrente da campeggio, mi spiega che appena hanno comprato il
nuovo servizio, qualcuno l'ha rubato tutto. Alla reception mi vendono dei piatti e delle posate di plastica, che comunque sono meglio di niente. Passo la serata con la psicologa
nella cucina dell'ostello, siamo gli unici due quella sera a cucinare: lei mi parla delle
maree bretoni, e poi parliamo della birra belga che entrambi amiamo, io le parlo del mio viaggio e delle zone della Francia che ho già visitato, come al solito si finisce sempre per
parlare di viaggio quando si viaggia; lei mi dice anche che quello che ho scelto è il periodo
peggiore per visitare la Francia, perchè piove sempre.
Ci salutiamo e torno in camera, vorrei continuare "L'isola di Arturo" di Elsa Morante, che
mi sono portato per il viaggio, ma in camera c'è Neil che alla fine non è uscito, così
parliamo un po'. Scopriamo che la mattina seguente potremo prendere lo stesso treno, poi ci divideremo perchè lui va a Bruges, che provo a descivergli, penso che in quel periodo sia
semplicemente favolosa, mentre io dovrò andare a Rotterdam, dove ho già chiesto e mi dicono
avere posto all'ostello.
Se ci penso: esattamente un anno fa ero a Monaco di Baviera, mi ero fatto circa 12 km
in un giorno, a piedi, e avevo delle veschiche che mi bruciavano ai piedi, ora invece sono qui
tranquillo, con un po' di raffreddore e aspetto di andare a trovare un amico ad Amsterdam.
Mercoledì 5 marzo
Stamattina me la prendo comoda, il treno c'è solo verso le 10, non ho voglia di alzarmi presto
per prendere quello prima. Finisco di preparare lo zaino, in camera c'è ancora Neil e un altro
ragazzo, del Congo, con cui parliamo un po': io faccio da traduttore per Neil che parla solo
inglese, mentre il ragazzo del Congo solo francese, è uno studente.
Neil e io lo salutiamo e usciamo per andare a prendere il treno: Neil è carico come un mulo, si porta dietro uno zaino-valigia e un'altra sacca, è stracarico di roba. Nell'attesa
del treno e poi durante il breve tratto che faremo insieme mi spiega che lui fa il muratore e che dal luglio dell'anno prima sta girando l'Europa; ha più o meno la mia età e mi ha detto
che ha fatto questa scelta perchè sicuramente più avanti non avrebbe più la possibilità di viaggiare tanto. Quando è a corto di soldi va in Inghilterra e lì cerca lavoro, mi dice che i
muratori sono pagati piuttosto bene, sta sempre in ostello, così risparmia, si cucina da sè,
evitando i ristoranti quando lavora, poi compra un biglietto dell'Inter-rail e torna sul
continente, ormai sta viaggiando da nove mesi e non sa quando smetterà, mi dice quando sarà
stanco di viaggiare così e avrà voglia di tornare a casa.
Ci salutiamo dopo poche fermate, io scendo e lo lascio proseguire, io devo prendere altri
due treni, uno per Bruxelles e poi un'altro per Rotterdam. Sul secondo treno, vicino a me sale
una signora non vedente, sento che parla con il controllore, dice che deve scendere a Tournai. Quando siamo a Tournai vedo che non arriva nessuno dalla signora, per cui le chiedo se doveva
per caso scendere lì, lei mi risponde di sì e io le dico che siamo arrivati, di fare in fretta
altrimenti il treno riparte. Lei mi ringrazia e scende, quando è giù arriva qualcuno da lei,
per fortuna.
Arrivo a Rotterdam nel primo pomeriggio, e vado subito alla ricerca dell'ostello, che è
aperto con orario continuato. Mi danno la camera, che ha dei prezzi tipo albergo, ne è passato
di tempi dalla prima volta che ho soggiornato in Olanda, allora era molto più conveniente. La
camera comunque è bella, siamo in otto, ma è confortevole. Esco per visitare la città che non
mi piace molto: fra qualche giorno Brian mi spiegherà che è così moderna perchè durante la
seconda guerra mondiale è stata quasi completamente rasa al suolo; nei pressi della stazione
ci sono dei palazzi moderni belli, poi più lontano il palazzo della Borsa, il municipio, che
sono molto austeri. Così pure le chiese. Vado verso il porto, verso il ponte Erasmusbridge, e
trovo una cosa curiosa sul marciapiede che conduce là: ci sono le impronte dei piedi di alcuni
cantanti o gruppi musicali: Toto, Gino Vannelli, Scorpions, Paul Simon, LaToya Jackson e
altri. Fino ad ora non mi ha entusiasmato molto la città, c'era il museo del mare da visitare
ma non ho voglia di chiudermi dentro un museo, voglio stere all'aria aperta anche oggi: seguo il serpentone di traffico e penso che forse era meglio il museo. Arrivo a vedere la torre
Euromast, il simbolo della città, poi, visto che è ancora presto e c'è soprattutto ancora un po' di luce, decido di andare a vedere anche il quartiere di Delfshaven, che è praticamente
l'unico quartiere della città rimasto illeso dai bombardamenti. Anch'esso mi delude un po':
quello che rimane di questo quartiere lo si può ritrovare lungo il canale, per il resto,
dietro, sono state costruite tante case disposte come dei palazzi in orizzontale, anche
piuttosto brutte. Torno così sul canale e me lo giro, rimango a guardare le barche e alcuni
pescatori sul bordo.
La luce però sta scendendo e l'umidità della sera sta prendendo il suo posto: mi fermo
lungo la strada in un discount che avevo notato poco prima per fare provviste per cena. In
camera con me scopro esserci un coreano e un giapponese che parlano un inglese da prima
elementare: il giapponese mi ha chiesto cosa ne penso del suo inglese e non ho saputo
mentirgli, gli ho etto che può essere senza dubbio migliorato, e lui si è messo a ridere, non
so se perchè ha apprezzato la mia schiettezza italica, o perchè si sta divertendo a conoscere
l'offerta di birra che il paese propone: l'ho già visto partire con mezzo litro di Bavaria,
una Guinness, e poi ha già pronta un'altra lattina, è divertito, anche perchè non si
potrebbero consumare alcolici in camera.
Dopo cena mi accomodo in una sala dell'ostello a scrivere sul diario che mi sono portato:
butto giù le impressioni della città, mentre alla TV trasmettono una trasmissione tipo
"Operazione trionfo", come mi confermerà sempre il buon Brian qualche giorno dopo. Il cantante
concorrete si chiama Jamai e le sue foto sono sparse su tutti i muri d'Olanda.
Me ne torno a leggere un po' il mio libro, domani parto per L'Aia, qui è pieno, ora provo
a digerire questa insalata di tonno, che giuro, non comprerò più.
Giovedì 6 marzo
Questa mattina mi dedico e mi vendico dell'ostello con una colazione immensa: in questi
giorni non sto mangiando granchè bene, sempre in modo molto irregolare per poter visitare le
città in modo libero, e la colazione a volte è un otpional, ma qui in Olanda sono famosi
per colazioni ultrasostanziose; caffèlatte, succo d'arancia, pane, formaggio e salumi vari,
oltre a pane, burro e marmellata, e per finire pure una mela, praticamente un pranzo in piena
regola, solo alle 8 del mattino.
Alle 9 sono già in treno diretto a Den Haag, cioè L'Aia: dovrei scendere alla fermata di
Den Haag Holland Spoor che è più vicina all'ostello, ma sbaglio e scendo alla Central, così
mi prendo un altro treno e torno indietro, tanto qui ce ne sono a iosa. Per le 10 sono già in
camera, anche questo è un ostello favoloso, modernissimo, e la posizione è carina, lungo un
canale, si possono vedere le luci delle house-boat.
In camera c'è un ragazzo biondo che sta sistemando le sue cose, ha una valigia singolare,
come di viaggiatore di inizio secolo, si chiama Olivier, viene da Bruxelles ed è studente di
chimica. Parla molto bene italiano e quando scopre che sono italiano non mi molla praticamente
più: non ha occasione di parlarlo spesso e così mi chiede se può fare pratica parlando con me;
ad essere sinceri non mi va molto, sono all'estero per parlare inglese o francese, però lo
vedo proprio entusiasta e mi spiace deluderlo. Giriamo insieme L'Aia, lui è qui da alcuni giorni, mi dice che deve incontrare delle persone per degli affari, progetti, mi porta in giro
a visitare la città e mi dice quanto gli piace l'Italia, il Crodino e gli aperitivi che vengono serviti nei bar di Milano, soprattutto perchè con poco mangi un casino. Hai capito la
storia? Gira e rigira pure gli stranieri pieni di soldi si vanno a rifugiare nei bar di Milano
per il classico aperitivo con stuzzichini, risotti e pasta a volontà di contorno.
Passiamo la mattinata insieme, pranziamo in un ristorante indonesiano che voleva provare,
mentre ordina mi sembra tanto la tipica persona vissuta che vuole fare sfoggio delle proprie
conoscenze, ma ha questo accento e questo modo di fare che mi divertono un sacco. Mentre
camminiamo ne approfitto per fare delle foto; ci concediamo il dolce in una pasticceria
viennese, io strudel di mele, lui sachertorte, poi ci salutiamo, lui ha un "appuntamento
d'affari", io più volgarmente voglio finire la visità alla città e poi fare un salto a Delft,
se riesco, ma penso di sì. Così vado al palazzo della Pace, fatto ancora un po' di foto in
centro e verso le 17 prendo il treno per Delft.
In poco più di un quarto d'ora sono a Delft, è una piccola città, volevo vedere com'è,
anche se un po' di corsa: so che c'è un museo della porcellana, ma per quello bisognerebbe
dedicarci almeno un pomeriggio. Vedo Delft in una luce magnifica, nel pomeriggio il cielo
si è un po' aperto e ora c'è un bel tramonto, passo sulla piazza grande dove stanno smontando
le bancarelle del mercato, poi verso la Neuwekerk lì in piazza e quindi verso la Oostpoort.
Il sole sta lentamente scendendo, mi sembra quasi che voglia darmi il tempo di godermi Delft
nella su luce migliore e nella calma della sera, con poche persone in giro, in bici o a piedi,
mi sembra di essere in una favola, da tanta serenità c'è in questa graziosa cittadina
olandese. Mi fermo in un negozio di ceramiche, vorrei comprare qualcosa per i miei genitori:
nel negozio c'è il proprietario che sta dipingendo una tazza, a voglia anche lui di parlare,
scopro che è di origine croata, è venuto qui negli anni '70, ha imparato a dipingere e si è
aperto questo negozio con la moglie. Parliamo di arte, mi racconta come è cambiata Delft in
questi anni, che ha perso molta della sua arte, e che in genere l'Olanda non è in grado di
sostenere l'arte: invidia il patrimonio artistico italiano e non è molto convinto quando gli
racconto che anche in Italia l'arte non è molto sostenuta, almeno non quella moderna. Compro
una piccola bambola in ceramica che porta due brocche d'acqua, è la sola cosa trasportabile
senza troppi problemi di rottura, e francamente anche dal prezzo onesto.
Vado verso la OudeKerk, poi verso il convento delle Beghine e il palazzo dei Polders lì
vicino. Ormai è quasi ora di cena e non so cosa fare, se tornare all'Aia oppure se fermarmi
qui a mangiare qualcosa; inizio a dirigermi verso la stazione, poi deciderò, prima
ho visto lì vicino diversi locali. Ne trovo uno assolutamente fantastico: è un vecchio pub,
con i pavimenti in legno, le pareti verdi e beige, con scaffali pieni di libri e poster
di bluesman come B.B. King o Muddy Waters, oltre ad uno dei Commitments. Il menù del giorno
propone zuppa di pollo, vada per quella, insieme ad un panino con burro e prosciutto cotto e
una bella birra. E' un locale per studenti e praticano prezzi da studenti, ma si mangia
veramente bene, la zuppa era buonissima, il panino e la birra pure. Ero l'unico a cenare,
nel locale c'erano solo il ragazzo al bar, e poi un paio di clienti abitual al bancone, mentre
dalle casse dello stereo esce musica rock.
Pago, saluto ed esco, vado alla stazione, chiamo il mio amico Brian, ci vediamo domani
allora, come d'accordo, l'appuntamento è verso mezzogiorno in piazza Dam, lui mi dice che
è da tipico italiano, ma non saprei altro posto, è quello che mi ricordo meglio e il più
semplice da raggiungere in città. Affare fatto, ora torno all'ostello di Delft, mi manca solo
una doccia e poi una bella dormita per completare questa bella giornata.
Venerdì 7 marzo
Finalmente torno ad Amsterdam, era tanto che volevo tornarci, e per fortuna ci torno di
mattina: mi ricordo ancora oggi come una sera io, Giuseppe e Carlo siamo stati avvicinati da
uno che ha tirato fuori un coltello minacciando ubriaco non so cosa rivolto a noi, che abbiamo
telato via alla grande, lasciando la consultazione degli orari dei treni al giorno dopo. Devo
dire che la Stazione Centrale di Amsterdam per me è uno dei pochi posti a cui torno con molto
sospetto.
Arrivo alle 10 circa, dopo una bella colazione all'ostello dell'Aia: mi incammino sul
Damrak, prima di andare all'appuntamento con Brian voglio cercare il Beghinaggio di Amsterdam
che un collega mi ha confermato essere stupendo e che l'altra volta che sono venuto qui non
sono riuscito a trovare. Torno con piacere nella zona vecchia della città, è quella che
preferisco; sul Damrak c'è un ragazzo italiano che cerca di fermarmi chiedendomi soldi, non so
come mai ma mi irrita tremendamente il suo modo di fare, per cui tiro dritto, verso la mia
meta. Cartina alla mano vado verso l'università, il beghinaggio è lì vicino, in una stradina,
c'è un cartello, ma poi a trovarlo è un'impresa, chiedo a una signora che mi ci accompagna:
l'ingresso è una porticina insignificante, ma dietro ad essa c'è un vero angolo di paradiso.
Sembra impossibile ma qui dentro è come se il tempo si fosse fermato e come se i rumori della
città non possano entrare, c'è una pace assoluta, e insieme a me solo altri due turisti, oltre
a qualche suora che si vede passare, che però sono vestite in abiti piuttosto borghesi e non
religiosi come le suore in Italia. Resto un po' ad assaporarmi questa pace, poi esco, e vado
verso l'altro luogo che anni prima non sono riuscito a visitar a causa di code di centinaia di
persone.
Mi dirigo verso la casa di Anna Frank, e fortunatamente non trovo code, solo poche persone
al suo ingresso, mentre nelle stanze della casa-museo c'era il pienone. Ho letto anni prima il
libro e non me lo ricordavo per filo e per segno, ma le scritte sui muri, estratte dal diario,
riportavano alla memoria le sue storie e commuovono non poco. Non è il dramma di un popolo che
ho sentito ma la paura di una ragazzina con i suoi sogni che non potrà mai realizzare come
vorrebbe. E' presto e perdo un po' di tempo al negozio del museo, dove sono in vendita anche
copie del diario, tradotto in tantissime lingue.
E' quasi ora, quindi torno verso piazza Dam, dove in lontananza vedo qualcuno che potrebbe
essere Brian: è lui. Ci salutiamo, ci chiediamo le cose di rito di due amici quando si
incontrano dopo tanto tempo, nonostante ci teniamo aggiornati via mail. Mi propone di andare
al museo di arte moderna, è un posto che lui ama molto e dove va molto spesso, io non ci sono
mai stato e accetto. Fino ad allora non ero un amante dell'arte moderna, ma devo dire che dopo
la visita con Brian, non so come dire, ma riesco a capirla meglio questa forma d'arte: non
sono un esperto, nè mi considero tale, ma finalmente riesco a provare emozioni quando vedo
un'opera moderna, che apparentemente può essere senza significato, ma che comunque può
trasmettere emozioni. Mentre ci dirigiamo verso il museo parliamo un sacco, Brian mi regala
anche un paio di nastri di musica classica ed industrial che mi ascolterò nei giorni
successivi durante gli spostamenti in treno.
Entriamo al museo e scopro un mondo nuovo: Brian mi parla degli artisti esposti, di cosa
gli piace e ogni tanto mi chiede cosa ne penso di un'opera o che emozioni mi suscita; è la
prima volta che visito un museo con una persona come Brian e scopro che ogni opera mi dice
qualcosa, alcune indifferenza, ma è ora un'indifferenza, come dire, motivata. Anche lui mi
confessa che considera alcune opere senza senso, banali. La parte che amo di più è quella
della fotografia, forse perchè sono anch'io appassionato di fotografia e quindi osservo i
soggetti ritratti, le inquadrature, le esposizioni di luce. Mi dice che il museo è in grave
stato d'abbandono, lo Stato non ci investe e che stavano anche pensando di chiuderlo, ma che
quella non era la soluzione, per far arrivare gente dovevano investirci e non lasciarlo
perdere. Rimaniamo circa quattro ore nel museo, e quando esco ho la sensazione di aver
imparato qualcosa di nuovo, qualcosa che capirò successivamente, visitando ad esempio il
Centre Pompidou a Parigi; in ogni caso ho scoperto delle opere di autori italiani sconosciuti
in patria ma molto famosi all'estero, e che tra l'altro mi sono piaciuti molto.
Parlo di questo e altro con Brian, mentre mi ha convinto a pranzare (alle quattro del pomeriggio passate) in un ristorante italiano: lui ama tantissimo l'Italia e la sua cucina,
per cui per una volta decido di assecondarlo; il suo amore per l'Italia si allarga fino alla
moda italiana di cui è un vero cultore, a differenza di me che sono in giro con pantaloni
di velluto e camicia da boscaiolo, mentre lui sfoggia Prda, Dolce & Gabbana e un foulard da
300 euro che mi fa barcollare. Il fatto è che veste tutte queste cose che di per sè a me
fanno piuttosto schifo, con una classe tutta sua, da vero dandy, che esaltano la sua bellezza,
non c'è che dire, sta proprio bene, e non se la mena tanto se io sono in giro così conciato,
soprattutto. Comunque sia arriviamo a questo ristorante che italianissimo non mi sembra del tutto,
certo ha in vendita prodotti italiani, ma mi pare che i gestori siano piuttosto provenienti
dalla ex-Jugoslavia, anche se devo ammettere che sanno cucinare in modo molto buono piatti italiani.
Ormai è quasi ora per me di tornare in stazione a prendere il treno per L'Aia; abbiamo
tempo per andare a comprare, io dei bulbi di fiori per il giardino di casa, nell'indecisione
ne prenderò una scatola da 150, spero a mia mamma piacciano, e lui una bevanda a base di latte
e frutta che io guardo con disgusto, mentre mi compro una più banale ma sicura bottiglia
d'acqua, in quel grande magazzino dietro piazza Dam.
Brian mi accompagna in stazione, luogo da me temuto, dove lui mi sembra invece a suo
agio: ci salutiamo promettendoci di sentirci presto, poi io abbasso lo sguardo, lo alzo solo
per vedere dov'è il mio binario e mi affretto a passo veloce verso il treno, preferisco non
guardarmi attorno, ho già intravisto alcune brutte facce che preferirei non conoscere.
Sabato 8 marzo
Oggi lascio l'Olanda, la mia prossima destinazione è Namur, nel sud del Belgio, dovrei
viaggiare con Olivier, anche lui torna a casa, a Bruxelles, per cui fin lì possiamo viaggiare
insieme. A colazione questa mattina ho conosciuto Jessy, un chitarrista jazz di colore, che
deve andare ad Amsterdam per un workshop: il suo maestro mi ha detto che è là, ma lui
preferisce stare lontano da Amsterdam, è troppo cara, e l'ostello qui è buono, costa poco e si
possono conoscere un sacco di persone interessanti. Mi dice che viene da New York, è contro
Bush e la sua politica, come mostra con una spilla appuntata al petto, mi dice di andare a
vedere "Bowling a Columbine" di Micheal Moore se non l'ho ancora fatto, lui ha portato dei
suoi amici a vederlo che sono rimasti esterrefatti. Arriva anche Olivier e si unisce a noi e
insieme scherziamo su quel giapponese in camera nostra che si è messo alle tre di notte a
rovistare in mezzo a mille sacchetti di plastica, con la luce accesa, svegliando mezza camera,
e Olivier con il letto sotto il suo che gli ha urlato cosa diavolo stesse facendo? Io e Jessy
gli chiediamo se allora era lui ad averlo fatto smettere, e lui risponde proprio di sì e tutti
e tre scoppiamo di nuovo a ridere.
Salutiamo Jessy e prendiamo i nostri bagagli, abbiamo ancora qualche ora insieme fino a
Bruxelles durante le quali continueremo a parlare italiano per la sua gioia. Ci lasciamo a
Bruxelles Midi, da dove lui torna a casa e io prendo il treno per Namur.
Arrivo a Namur nel primo pomeriggio, e vado a piedi fino all'ostello, che è circa due
chilometri fuori dal centro della città, in una bella casa. Le stanze sono ancora chiuse, per
cui lascio i miei bagagli e noleggio una bicicletta per girarmi la città. Torno in
centro, dove mi compro una mezza baguette per il pranzo, che mi divoro sul sagrato di una chiesa lì vicino. Visito la cattedrale e poi mi metto a girare per le strade della città. Trovo una chiesa poco lontano dall'ostello in cui c'è messa quella sera e decido di tornarci
più tardi; stasera cenerò in ostello, ho trovato queste zuppe che sono ottime, e poi non ho
certo voglia di farmi chilometri a piedi dal centro a qui, in questi giorni ho vagato molto
e la stanchezza inizia a farsi sentire, soprattutto alla sera, quando apprezzo molto avere
una camera calda e compagni non troppo rumorosi.
Chiedo alla reception di avere la chiave della cucina, mi dicono che l'hanno data ad un
altro ospite, di andare là che è già aperta: vado ma è chiusa, cerco la persona detentrice
della chiave e la trovo che vaga in un corridoio chiedendomi se so dov'è la cucina. Ci andiamo
insieme, entriamo, io cerco subito pentole e piatti, lui si guarda attorno, scambiamo due
parole e capisco che da mangiare non ha niente; la confezione di zuppa basta e avanza per due,
ci sono anche spaghetti e polpettine, gli chiedo se gli va di dividerla con me. Quelli dell'ostello gli danno anche un toast, lui è magro come un chiodo, non mi sembra che se la
passi bene, ma è un ragazzo davvero gradevole e sembra anche molto sensibile: si chiama Kuln,
è di Louvain, dove vorrei andare domani, mi parla della sua città, del municipio che devo assolutamente vedere e di una steak-house impareggiabile, dove devo andare e farmi una
bistecca bevendo una Hooefgaarden bella fredda. Finiamo di cenare, gli passo anche uno
yogurt che accetta di buon grado, poi si offre di lavare lui i piatti, visto che gli offerto
la cena, per me va bene, vorrà dire che io mi occuperò dell'asciugatura.
Più tardi, mentre sono seduto ad un divanetto a scrivere i miei appunti della giornata, lo
trovo seduto di fronte a me che si prepara una sigaretta.
Domenica 9 marzo
Oggi Lovanio, ieri Kuln mi ha proprio incuriosito. Prendo il treno ma quando arrivo scopro
di aver sbagliato destinazione: sono infatti arrivato a Louvain-la-Neuve che è un'altra città
che non c'entra nulla con Luovain, qui è la sede dell'università e non c'è praticamente nulla.
Giro un po' per questo centro modernissimo ma decadente, poi torno alla stazione, dove prendo
per fortuna l'ultimo treno della mattinata, il prossimo sarebbe stato dopo tre ore, facendomi
perdere l'intera giornata.
Finalmente arrivo alla giusta destinazione ed in effetti è un'altra cosa: dalla stazione
parte un lungo viale che porta in centro, dove si trova il magnifico municipio, ci sono quelle
cento e passa statue ad ornarlo, come mi diceva ieri sera Kuln mentre cenavamo. Al suo interno
c'è l'ufficio del turismo, la città mi piace, così investo qualche euro in mappe della città
che mi torneranno davvero utili. Prima di tutto visito la vicina chiesa di Sint Pieterskerk,
veramente impressionante, tutta bianca di fuori e molto luminosa all'interno, con delle
sculture lignee e lavorazioni in marmo davvero superbe. Poi esco e prendo una delle mappe
della città e inizio a seguire l'itinerario che mi porta a passare di fronte a palazzi e
chiese importanti della città. Mi fermo a pranzare, sono stato fortunato e ho trovato la
steak-house che mi ha consigliato Kuln, ha ragione, ho mangiato la bistecca più buona della
mia vita, morbidissima e gustosissima: il locale è molto bello ma è davvero piccolo, ci sono
solo cinque o sei tavoli che si riempiono in fretta.
Proseguo la visita e arrivo al Grote Bejinhof, il grande beghinaggio, uno dei più antichi d'Europa, protetto
dall'UNESCO: è veramente grande e con una pace invidiabile, fra le sue strade in selciato,
deserte. Noto che c'è anche un giardino botanico in città, così decido di farci un salto.
Non è molto lontano dal beghinaggio, non è ancora stagione di fioritura, però i suoi
giardini sono decorati e colorati con migliaia di crochi lilla e violette; c'è anche la serra
tropicale che non posso evitare. Entrando mi assale l'umidità fortissima della serra, devo togliere la mia sciarpa pesante di lana grigia, e aprire il giaccone: voglio fare delle foto
a questi bellissimi fiori tra cui molte orchidee, ma per far questo devo prima lavorare un po'
sulle ottiche della mia macchina fotografica, che si sono tutte appannate dal caldo eccessivo.
Mi metto quindi a scaldarle con un fazzoletto, togliendo così anche l'umidità, poi mi metto all'opera, con molta calma, sopportando questo caldo pesantissimo.
Esco dalla serra sudatissimo, e mi copro per evitare brutte conseguenze, per fortuna c'è
il sole oggi ad asciugarmi un po', quindi proseguo per le ultime tappe importanti in città.
E' ancora presto, così decido di andare alla birreria della città, la Domus, dove non si può
visitare la fabbrica, è domenica, ma si possono comunque ammirare gli strumenti in rame
usati per la fermentazione. Poi, ovviamente, mi concedo un bicchiere della loro rossa al loro
pub, ottima.
Torno a Namur, e giro ancora un po' per la città. Speravo di trovare Kuln per raccontargli
della mia visita alla sua città, ma stasera non c'è, ci sono invece dei ragazzi tedeschi con
cui ceno stasera.
Lunedì 10 marzo
Siamo all'ultimo giorno, domani farò una sosta ad Arlon, prima di tornare a Milano. Oggi
ho deciso di tornare a Dinant, all'abbazia di Leffe, mi piacerebbe davvero visitarla, anni fa
ci sono passato con il mio amico Luca, ma non siamo stati fortunati. Prendo quindi il treno
per Dinant, alla mattina alle 10 e in poco tempo arrivo, il Belgio, come l'Olanda, ha questo
grande vantaggio, treni frequenti e percorsi brevi, viste le dimensioni ridotte dei due paesi.
Arrivato a Dinant vado a visitare la bella chiesa sul fiume, poi mi piacerebbe salire alla
cittadella, ma alla funicolare non c'è nessuno, è chiusa, salgo a piedi, ma incontro delle
persone che scendono e mi dicono che non è granchè. Mi scoraggio e rinuncio a salire, torno
sui miei passi e mi dedico a visitare la città, trovando anche il momento ad Adolphe Sax,
l'inventore dell'omonimo strumento musicale. Poi mi incammino verso l'abbazia di Leffe: è
ancora chiusa, d'inverno proprio non apre, sento però che nella chiesa c'è messa e decido di
entrare, almeno vedo la chiesa che l'altra volta non sono riuscito a visitare. La messa è
presieduto da tanti frati, una decina mi pare, le persone ad assistere sono poche, ma
tutte per la comunione si avvicinano alla balaustra dell'altare per la comunione, e prima
mi stringono tutti la mano per lo scambio del segno di pace. Hanno tutti un viso rilassato,
sereno, sia i frati che le persone che erano lì.
Sto bene lì dentro, vorrei non uscire più, aspetto che tutti escano, poi che i frati
sistemino i vari paramenti, e spengano le luci: vedo due che parlano tra di loro, poi uno
si avvicina, mi dice che se voglio posso rimanere, ma che loro devono chiudere la chiesa; gli
rispondo che me ne vado, volevo solo star lì un po' in silenzio, gli chiedo se posso fare
un giro in abbazia, ma mi dice che purtroppo non è possibile, hanno delle regole rigide. So
che deve andare a pranzo, così non gli faccio perdere altro tempo, mi alzo, lo saluto, lui
ricambia e me ne esco da quel luogo di pace.
Visto che è ora decido di andare a cercarmi un ristorante pure io, e ne trovo uno carino
poco lontano dalla chiesa del paese. Assaggio anche una birra che scopro essere di ciliege,
una cosa orrenda, dolcissima, che in un pasto non c'entra davvero nulla. Esco e torno a Namur,
mi manca da visitare solo la sua cittadella, ho rimandato fino ad oggi.
La cittadelle di Namur è molto grande, esistono diversi percorsi da seguire, che si
concretizzano alla fine in lunghe camminate in mezzo al verde, in quando rimangono solo pochi
resti dei vecchi palazzi. C'è un laboratorio di profumi ma il lunedì è chiuso, per cui non
posso visitarlo, me ne vado perciò in giro in mezzo al verde di questo posto, mentre il sole
scende lento e la solita umidità sale, attaccandosi addosso, dappertutto nei vestiti.
Questa sera in cucina non c'era nessuno, nel bar dell'ostello però ci sono alcuni ragazzi
e ragazze con cui parlo un po'. C'è anche una signora che mi chiede cosa sto scrivendo, mentre
sono intento a segnare gli appunti della giornata: mi dice che è una bella cosa quella che sto
facendo, sì, pare anche a me.
Martedì 11 marzo
Siamo arrivati davvero alla fine, oggi farò una sosta ad Arlon, la mia guida dice che c'è
una chiesa molto bella da visitare. E' l'unica città interessante sulla via per Strasburgo,
per cui decido di fermarmi e gli orari dei treni mi lasciano anche il tempo di una visita alla
città e anche di pranzare.
Vado subito a visitare la chiesa di
San Martino che risulta davvero una meraviglia: fortunatamente è aperta ed entro. Il suo
interno è molto luminoso, ci sono delle bellissime vetrate a mosaico che lasciano entrare una
luce molto chiara, nonostante la giornata sia molto coperta. Resto lì dentro a leggere un po',
mentre una signora fa le pulizie e passando mi saluta. Entra anche un'altra persona, c'è
un silenzio che mi piace ogni volta, nessuno parla, non si ha voglia di far altro che rimanere
ad ascoltare questo silenzio e i piccoli rumori che ogni tanto passano nell'aria. Dopo forse
più di un'ora riprendo lo zaino ed esco, vado in centro, ho fame e vado alla ricerca
dell'ultimo pranzo di questa vacanza.
Il primo ristorante in cui entro è pieno di studenti e altre persone, vedo che hanno un
tavolo libero, ma quando chiedo se posso sedermi, forse per via dello zaino grosso sulle
spalle e l'aspetto stanco e non certo dei migliori, mi dicono che non hanno posto e per
scoraggiarmi ulteriormente mi dicono che devo aspettare molto tempo. Me ne vado contrariato
e offeso, provo in un altro che addirittura avevo scartato perchè mi sembrava costasse poco
rispetto all'altro e che quindi poteva avere una cucina di qualità bassa. Questi invece non si
fanno alcuna menata, mi dicono se posso aspettare solo un attimo che si libera un tavolo, mi
fanno lasciare lo zaino all'ingresso, riparato, e poi mi portano un pranzo che mi gusto fino
in fondo, alla faccia dei loro concorrenti.
Torno quindi in stazione, il tempo è sempre lo stesso da giorni a questa parte, sempre
nuvoloso, sempre grigio, sempre qualche goccia di pioggia. Aspetto il mio treno, ora vado a
Strasburgo, ma anche se avrò tempo non mi allontanerò dalla stazione, non mi piaceva molto
la città; poi sarà la volta di una nottata in treno verso Nizza, quindi domattina spero
di riuscire a fermarmi a Menton a comprare quel sapone di Marsiglia che ho trovato in
un bel negozio l'anno prima, dovrei farcela ad andare e tornare per prendere il
treno successivo per Milano, sì dovrei proprio farcela, anzi, ce la farò a tornare solo con
60 centesimo di euro in tasca.
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