Diario d' Irlanda


In un giorno di pioggia

"...è in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta, il vento dell'ovest rideva gentile e in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti, mi hai preso per mano portandomi via", così aprono il loro primo album i Modena City Ramblers, e anch'io scopro in questo modo questa terra. Sbarchiamo a Larne, dobbiamo prendere il treno per Belfast, da qui dobbiamo cambiare stazione per dirigerci a Dublino, dove, dopo un'altro cambio ci indirizzeremo verso Limerick, l'unica città dove avevamo trovato un posto per dormire.
Il cielo è sempre grigio, i nordirlandesi sono piuttosto scorbutici, forse per il clima, forse perchè stanno in mezzo a degli inglesi; sul treno incontriamo un controllore che assomiglia a Paolino Rossi, il comico, ma fuori il paesaggio è triste: grigio, alte ciminiere, e un pioggia leggera che però non ci fa nulla.
Oggi sarà una giornata pesante, perchè dovremo affrontare un trasferimento lungo, attraverso città che ameremmo visitare, ma che per il momento siamo costretti ad evitare.
L'impatto con Belfast ci irrita un po', soprattutto l'autista dell'autobus che è molto scontroso: finalmente arriviamo all'altra stazione, il treno era in ritardo, per cui ci mettiamo a correre, ma la coincidenza ci ha aspettato, e mentre saliamo ci chiediamo dove sia la seconda classe, visto che il lusso impera ovunque. Alla fine ci stanchiamo, e ci fermiamo, al limite ci cacceranno e basta: nel frattempo ci accorgiamo che nel trambusto non abbiamo pagato la corsa dell'autobus, pazienza.
Durante il viaggio il tempo migliora via via, ed è uno spettacolo vedere la costa orientale e città come Drogheda, e campi da golf e spiagge. Arriviamo nel pomeriggio a Dublino, prendiamo subito un autobus per la prossima stazione ferroviaria, e questa volta troviamo un autista molto cordiale, con me che non capisco il prezzo del biglietto e che gli propino ogni sorta di monetina, e lui a ridere con me della mia incomprensione.
Manca ancora molto alla partenza del nostro treno, così ce ne andiamo all'ufficio informazioni turistiche, dove facciamo incetta di opuscoli informativi, mappe delle città (che poi scopriremo non essere per niente in scala), e i famigerati orari delle ferrovie irlandesi: sì, perchè c'è un piccolo opuscolo per ogni tratta, pieno di simboli, quasi del tutto incomprensibili.
E' uscito il sole nel frattempo, speriamo di poter prendere un treno prima, ma quello è diretto a Limerick Junction, non a Limerick, la differenza la scopriremo più tardi, per ora aspettiamo.

Verso la prima Guinness

Arriviamo molto tardi, verso le otto di sera: scopriamo di essere in una camerata con un'altra dozzina di persone, ma il guardiano dell'ostello ci dice che è a causa del week-end, domani si libera tutto e potremo spostarci verso la finestra.
E' il peggior ostello in cui siamo capitati, ma alla fine sapremo apprezzarlo, anche se non capiremo mai il perchè, forse perchè ogni sera torniamo distrutti. Mangiamo un boccone, pasta al sugo di tonno, specialità della casa, e decidiamo di uscire a berci una pinta.
Scopriamo subito che i pub al sabato sera sono peggio dei nostri, una bolgia di persone e un mare di birra, tavolini pieni di bicchieri e gente che ride, urla, si diverte. Siamo indecisi su dove andare, alla fine scegliamo quello dove ci sembra esserci meno casino; in effetti capitiamo in quello che è l'equivalente italiano del bar dello sport o della bocciofila: alle pareti sono appesi i gagliardetti della squadra di calcio del Limerick, colori sociali bianco e verde se non ricordo male.
Ordiniamo due pinte di Guinness, finalmente posso gustarla qui, in Irlanda. Beviamo forse troppo velocemente, ma non vediamo l'ora di andarcene a nanna; un avventore ci chiede se ci piace la musica che una ragazza sta suonando, rispondiamo sì, dopo che ce l'ha chiesto tre o quattro volte e noi non capivamo nulla.
Finisce con la schiuma in fondo al bicchiere questa prima serata, ci resta forse un po' d'amaro in bocca, non solo per la birra, il primo impatto è stato molto strano.

Limerick e il treno sbagliato

E' domenica mattina, come nella migliore tradizione nordica è nuvoloso; giriamo per le vie di Limerick, vediamo migliaia di chiese, di diverse confessioni o gruppi religiosi, vediamo lo Shannon scorrere grosso sotto i ponti, mentre il castello di re John lo osserva dall'alto. Siamo ancora un po' stabchi per la lunga trasferta ma cominciamo a riprenderci, e per le vie non si trova nessuno, a confronto della sera prima, quando ogni pub era affollato all'inverosimile; in alcuni vicoli si sente la presenza dell'alcol e dei suoi effetti sugli avventori, ma la domenica mattina sembra che ci troviamo in una città fantasma, solo qualcuno passa correndo in tenuta da atleta e ci saluta, mi sento padrone di questa città.
Tiriamo mezzogiorno facendo spesa per la sera e cercandoci un pub dove pranzare prima di andare da qualche altra parte: tiriamo fuori i mille orari dei treni e decidiamo di andare a Thurles, che non è lontana e poi è l'unico treno che c'è nel pomeriggio.
Per sicurezza ci infiliamo in un pub nei pressi della stazione dove stanno preparando, e dove scopriamo che non siamo i primi clienti: non è che si capisca molto bene come funziona, per cui imitiamo gli altri e ci mettiamo in coda. E' presto rispetto agli altri giorni, ma oggi vogliamo prendere le cose con più calma del solito, per ordiniamo due bistecche di porco, con un mucchio di verdure. Ci sediamo ad uno dei tavolini, e nel frattempo entrano un sacco di persone, il pub diventa affollatissimo, tutti a pranzo per la domenica.
Ci sono persone di tutti i tipi, ragazzi, bambini, famiglie, vecchie signore con la loro pinta di Guinness in mano che sorridono allegre e fanno brindisi. C'è un'atmosfera molto diversa rispetto alla sera prima, più rilassata.
Finiamo troppo presto il nostro pranzo, visto che non avevamo nemmeno fatto colazione, è ancora troppo presto per prendere il treno, manca ancora un'ora; cosa si può fare per ingannare il tempo? Beviamoci su, forza! Ordiniamo due Kilkenny, che ci strabiliano letteralmente, mai visto e bevuto nulla di simile, osserviamo le birre degli altri e scopriamo che sono molto diverse da quelle che beviamo in Italia, cominciamo ad ergerci profondi conoscitori e facciamo osservazioni varie, prima di andarcene.
Alla stazione il treno è puntuale, ci porta al Junction, dove aspettiamo quello per Thurles; ne arriva uno, saliamo, e appena chiuse le porte ci viene comunicato che quel treno va a Dublino, diretto, senza fermate. A questo punto scattano le maledizioni più varie verso le ferrovie irlandesi, è impossibile che non facciano nemmeno un avviso o che so io. Rassegnati ritiriamo fuori gli orari e ci accorgiamo che avevano ragione loro, il nostro treno era un'altro, però non è giusto lo stesso.
Arriviamo a Dublino verso forse le quattro e cominciamo a visitarla, cercando la fabbrica della Guinness per andarci verso la fine del nostro viaggio; giriamo a zonzo tra alti palazzi e strade rotte, aspettando di tornare a casa, sapendo di aver buttato un pomeriggio. Alla fine esce anche il sole che ci rallegra un po', mentre sul treno salgono dei tifosi che hanno assistito ad una partita di calcio gaelico, di cui conosceremo il risultato l'indomani.
L'ostello ci aspetta, questa sera ci saranno meno persone con noi in camera, anche se siamo troppo stanchi per farci caso, e quando torniamo c'è già qualcuno che dorme, mentre noi scendiamo a prepararci un piatto di pasta col tonno, il nostro piatto ufficiale. In cucina conosciamo anche una ragazza ed un ragazzo di Catania che sta girando Scozia e Irlanda in moto, e temono che ci sia una fuga di gas, mentre è solo la lor busta di tagliolini al tartufo che puzza in modo orrendo.
Andiamo a letto, domani sarà una dura giornata.

Verso il mare

Dopo una buona tazza di tè andiamo alla stazione per recarci a Cork e nel pomeriggio chissà dove; come sempre il treno prima ci porta al Junction, dove poi arriverà il treno da Dublino per Cork.
Sulla banchina si avvicina un ragazzo che ci chiede se siamo italiani, chissà perchè ci facciamo sempre riconoscere? Parliamo un po' con lui, e scopriamo che è anche lui italiano, di Napoli, vive lì da ormai cinque anni, da quando suo padre ha deciso di venire qui ad aprire una pizzeria, poi è arrivata tutta la famiglia, e ora ne hanno cinque o sei, insomma una piccola catena, e dice che stanno facendo un sacco di soldi, che gli irlandesi sono fessi a pagare sei o sette sterline una cosa che a Napoli la pagano seimila lire, comunque contenti loro...
Non è felice di restare qui, preferirebbe casa sua, ma là farebbe la fame, per cui tra i due mali deve scegliere quello minore; ci racconta di come abbia imparato l'inglese ascoltandolo senza alcuna nozione, e fa smettere molto elegantemente dei ragazzi che ci stavano sfottendo, mentre noi non ce ne eravamo nemmeno accorti.
Parliamo di questa terra e delle sue persone, e dei ragazzi che qui sono molto strani, lui non riesce a parlarci, perchè se escono al pub, mentre lui è alla seconda birra, e finirebbe lì, loro se ne sono già scolate otto-dieci, e non riesce a parlare con nessuno; oggi è felice perchè ha potuto parlare ancora un po' italiano, che quasi se lo sta scordando, infatti a volte lo aiutiamo noi.
Arriviamo presto a Cork: noi dobbiamo anche cercare l'agenzia dove comprarci il biglietto per l'Inghilterra, e questo ragazzzo di cui non ricordo più il nome ci aiuta a cercarla. Arriviamo in zona, lui ci saluta perchè deve andare dalla sua ragazza, anche lei italiana, ci ringraziamo per la bella chiacchierata e ci lasciamo così. Andiamo a comprarci questo biglietto e poi vaghiamo per Cork, la sua cattedrale, la fabbrica della Beamish, la rivale della Guinness, ci infiliamo su per una stretta scala verso un pub e qualcosa di caldo da mettere nello stomaco che oggi fa freddo. Decidiamo di andare a Cobh, che è a soli dieci minuti di treno.
Torniamo alla stazione piena di gas di scarico dei treni diesel, per strada ci fermiamo di fronte ad un pub che espone dei cartelloni della Guinness, tutto in legno.

Titanic

Il tragitto verso Cobh è molto sugegstivo; passiamo per Fota Island, in questa riserva naturale dove ci piacerebbe fermarci, ma fa niente, ormai abbiamo deciso e così dev'essere.
Cobh è un piccolo paese di mare, con delle case coloratissime, dipinte con le vernici delle navi; su tutto troneggia la cattedrale, sulla cima di un cucuzzolo. Ci sono un sacco di salite, e il primo che mi dice che l'Irlanda è piatta lo scaravento giù da qua sopra. Saliamo fino in cima, dove c'è un piccolo convento con il Bible Garden, un piccolo angolo di paradiso, visitabile senza alcun problema; alla fine ci manca il respiro, e ci fermiamo a riposarci; dall'alto si vede il mare e tante piccole isole. Ai bordi delle strade crescono dei cardi, che ormai sono già mezzi appassiti e pungono le caviglie.
Il sole anche oggi non si fa vedere, ma fa caldo, ed è umido. Scendiamo al porto, dove scopriamo che da qui è salpato il Titanic, orgoglio cittadino, noi naturalmente ci chiediamo cosa ci sia da esserne orgogliosi visto che è affondato subito.
Alla sera all'ostello la stanza è ancora più vuota, finalmente torniamo ad un'orario decente, gli spaghetti al tonno ci aspettano sempre e poi buonanotte.

Killarney

E' martedì, oggi vogliamo andare a Killarney e magari anche a Tralee a vedere l'Oceano. Finalmente esce il sole, fa un caldo incredibile. Arriviamo a Killarney in mattinata, e scopriamo subito una città molto viva, piena di persone e turisti; le sue vie sono molto caratteristiche, mentre fuori paese c'è un parco naturale che merita una visita.
Decidiamo che il pomeriggio staremo lì e abbandoniamo Tralee; dopo prazo andiamo nel parco, dove si trova Ross Castle e diversi laghi. Per sicurezza ci siamo presi una cartina all'ufficio turistico per orientarci; vediamo che più lontano c'è anche una vecchia abbazia, che però non riusciremo a visitare; non sembra ma il parco è molto vasto, ed il mezzo più adatto per visitarlo non sono le gambe ma le biciclette che si possono noleggiare in paese. Ma noi siamo grandi camminatori, per cui ci perdiamo alcune cose interessanti; nonostante tutto scopriamo degli angoli fatati, lungo le rive dei laghi, dove forse non ci saremmo mai arrivati solo seguendo i percorsi segnati.
Quest'Irlanda ci sta piacendo sempre di più; anche se la Scozia è stata una sorpresa inaspettata, qui stiamo scoprendo davvero tante belle cose. Domani andremo a Galway, una delle città più famose, famosa per la sua baia e i suoi colori.

Desmond, l'autista cabarettista

Arriviamo a Galway nel primo pomeriggio, dopo aver fatto un giro strano in treno; abbiamo salutato Limerick e il suo ostello fatiscente, le sue strade rotte, le sue chiese. Alla fine, tutto sommato, ci spiace lasciarla, ci ha regalato dei bei momenti, anche se a volte avremmo voluto scappare, alla ricerca di posti più magici: oggi scrivendo queste pagine sono ancora più affezionato a Limerick, soprattutto dopo aver letto "Le ceneri di Angela", ambientato proprio lì, mentre i miei ricordi non sono così vivi, e non ricordo i nomi delle strade e dei quartieri, e vorrei tornare per poter dire che ciò che c'è scritto nel libro corrisponde a verità.
A Galway c'è il sole, la baia brilla, l'acqua ha un colore molto intenso, un blu quasi elettrico; la città è molto caotica rispetto a quelle già visitate, piena di pub con i tavolini all'aperto e un sacco di turisti che bevono pinte di scura.
Rimaniamo subito infastiditi da questa città, c'è troppo caos, non c'è la tradizione, c'è solo commercio. La nostra scelta era di stare qui un giorno per raggiungere i Cliffs of Moher e forse le isole Aran, per cui solo un paio di giorni, in realtà restiamo solo un giorno, giusto quello d'arrivo e quello dopo per andare ai Cliffs.
Per la prima ed unica sera abbandoniamo il fetido sugo all'aglio, visto che abbiamo trovato prodotti italiani; la sera la trascorriamo spaparanzati sui nostri letti, non abbiamo vogliamo di andare in città perchè siamo un po' fuori mano e i giorni di viaggio cominciano a farsi sentire, quindi optiamo per una bella birra fresca in ostello.
Il mattino seguente ci rechiamo nei pressi della stazione per decidere cosa fare: io vorrei andare alle Aran, mentre Carlo vorrebbe andaer a vedere i Cliffs. Ci informiamo su entrambi gli itinerari, e, alla fine, visto che il mio non è così immediato, e visto che vogliamo fermarci solo quel giorno, cambio idea e mi convinco della proposta di Carlo.
All'inizio non ero molto convinto, poi scegliamo il nostro autobus, e troviamo alla guida un simpaticone d'irlandese che cerca di far ridere tutti, anche se è un po' difficile stargli dietro con il nostro inglese.
Passiamo per il castello di Dunguaire prima di raggiungere le grotte di Ailwee, dove un'altro simpatico irlandese ci dice: "se vi doveste perdere qui dentro, ecco quello che vedreste", e spegne la luce. Siamo più o meno tutti tranquilli perchè non c'è pericolo, ma all'inizio l'emozione è assicurata.
Vediamo il paesaggio lunare del Burren, le strade strettissime, e il dolmen di Puolambrone, pieno di turisti.
Arriviamo ai Cliffs Of Moher verso le due del pomeriggio, c'è un sacco di gente, ma già solo scendendo dall'autobus si sente un'atmosfera strana. Attorno ci sono dei pascoli con delle mucche, tipo la copertina di Atom Heart Mother dei Pink Floyd, un sentiero che porta verso l'oceano, una tavola calda, tanti venditori, molti musicisti.
Man mano che ci avviciniamo si vedono le scogliere perdersi all'orizzonte, e si comincia a percepire l'altezza dello strapiombo. Arrivati al limite si ha una sensazione di vuoto incredibile, ci si sente piccoli piccoli, si vorrebbe abbracciare idealmente tutto il loro perimetro per esprimere la libertà che si prova stando in questo luogo. Purtroppo c'è nebbia, ma all'orizzonte si scorge la sagoma di Inishmore, una delle isole Aran.
Per avere una vista migliore saliamo sul torrione che domina i Cliffs; crediamo di fare una cosa bella, ma una volta in cima scopriamo che è dominato da nugoli di moscerini arrabbiatissimi che non lasciano vedere nulla. Mandando a quel paese il bigliettaio scendiamo e torniamo a camminare lungo il perimetro delle scogliere.
Guardiamo giù e vediamo dei temerari che si spingono fino al limite del precipizio, alcuni sono scesi sulle terrazze inferiori, ma noi preferiamo goderci lo spettacolo da qui, senza far arrabbiare il nostro autista, che già ci aveva avvertito di non fare stupidaggini inutili.
Ripartiamo, dopo aver aspettato altri due italiani in ritardo, tanto per farci riconoscere, alla volta di altri paesi di cui non ricordo il nome; Desmond ci racconta aneddoti, e ci mostra la Faccia Nera in una roccia un po' strana. Tornando a Galway ritroviamo il sole, e i colori della baia così vivi.
Non ho ottenuto quello che ho voluto oggi, però sono felice di aver scoperto queste cose; alla sera mi addormento ascoltando le note di un'arpa irlandese, da una cassetta comprata ai Cliffs da uno dei tanti musicisti che erano là con noi.

Verso Glendaloch via Rathdrum

Il nostro viaggio sta volgendo al termine, tra una settimana saremo di nuovo a casa, e questi ultimi giorni li trascorreremo perlopiù in spostamenti. Abbiamo ancora alcune cose da vedere: primo Dublino, che abbiamo sfiorato due volte, e poi la meta di oggi che ci ospiterà per un paio di giorni, Glendaloch.
Partiamo da Galway presto per guadagnare tempo e verso le dieci siamo a Dublino. Qui dobbiamo prendere un autobus per Glendaloch; la stazione degli autobus non è molto lontana da quella ferroviaria, per cui decidiamo di andarci a piedi, tanto non abbiamo molta fretta, e poi è ancora presto.
Una volta arrivati, scopriamo che l'unico autobus che non parte da lì è proprio quello per Glendaloch, che parte infatti da St. Stephen Green, un parco di Dublino. Quando facciamo la bella scoperta, scopriamo anche che il primo autobus partirà tra dieci minuti, già perso, e il prossimo ci sarà solo nel tardo pomeriggio.
Cominciamo ad averne qualcos'altro oltre le tasche piene dell'organizzazione irlandese, discutiamo se cominciare a visitare Dublino, così ci leviamo il pensiero, ma ragionando non sappiamo dove lasciare gli zaini, e di certo non ce li porteremo in giro per la città. Consultiamo appunti e guide, e scopriamo che possiamo raggiungere un paesino vicino Glendaloch con il treno, e da lì prendere un bus o un taxi o fare l'autostop.
Pensandoci bene ci sembra l'unica soluzione ragionevole, così ci incamminiamo verso la stazione della Dart; siamo piuttosto sconsolati perchè abbiamo praticamente gettato una giornata, e non è la prima volta che ci capita. Aspettiamo in questa stazione scassata più di un'ora, per fortuna il treno non è in ritardo.
Sul treno vediamo la gioventù irlandese, così diversa dai loro padri, così diversa dagli stereotipi che abbiamo in mente; comunque il filo conduttore è la birra, che gira ovunque, uno si fa anche una canna cercando di non farsi vedere, ma l'odore è quello, non è che sei proprio furbo ragazzo mio.
Lasciamo il treno affollato e scendiamo a Rathdrum: stazione deserta, bagarino dei biglietti vuoto, Carlo chiede "'zo è il paese?", frase che rimarrà nella storia del nostro viaggio. Non c'è proprio nessuno, sono le tre del pomeriggio, abbiamo una fame boia dopo tutto quel camminare, quindi cominciamo a muoverci almeno per cercare un negozio o qualcosa dove chiedere informazioni. Poco dopo incontriamo un ragazzo a cui chiediamo dov'è il paese, e lui risponde "Up on the hill": tradotto significa in cima alla collina. Per fortuna più avanti c'è una stazione di servizio con un baretto dove compriamo da mangiare e chiediamo come possiamo raggiungere Glendaloch; scopriamo che dobbiamo "Climb the hill", insomma si deve faticare.
Ormai ci siamo, per cui ci riposiamo prima un po', io sto colando, ho la maglietta zuppa, la faccia sconvolta dal caldo. Saliamo lenti e regolari per arrivare in paese, entriamo nel primo negozio aperto a chiedere se c'è un taxi o qualcosa che ci possa portare a destinazione: l'autobus non passa, ci sono dei taxi, ma la signora del negozio ci dice che se vogliamo sveglia il marito che per dieci sterline ci porta a destinazione: a conti fatti accettiamo la proposta, tanto in questi giorni abbiamo speso poco per cui possiamo concederci questo lusso.
Nell'attesa la signora ci dice che anni fa è stata a Roma e che faceva un caldo incredibile, per cui se mai tornerà in Italia lo farà in inverno che si sta meglio; poi ci dice anche che da lì è passato il Tour de France, quando aveva fatto la trasferta irlandese, e noi diciamo "Ah però!", mica troppo convinti.
Se la sciùra era molto loquace, il marito era praticamente muto; io salendo in auto sbaglio lato, non mi ricordo che qui è tutto al rovescio. In dieci minuti arriviamo a Glendaloch, andiamo all'ostello. E' nuovo, appena inaugurato, le camere molto belle, in camera ci sono dieci letti, ma solo un paio oltre ai nostri occupati; in uno pare ci sia un signore distinto visti i vestiti sul suo letto.
Dopo una doccia ci facciamo due chilometri in andata e due in ritorno per andare a comprarci qualcosa per la sera, visto che l'unico negozio vicino è a Laragh. Anche questa è fatta, il posto è molto bello, siamo immersi nel verde del parco nazionale del Wicklow, e vicino ci sono i resti del monastero di Glendaloch, domani andiamo a Dublino al Guinness Hop Store, siamo stanchi ma felici.

Prima di dormire: strip tease

Visto che qui attorno non c'è nulla, saliamo in camera a studiarci il percorso per il giorno dopo a Dublino: abbiamo già una cartina presa alla stazione, con tutti i luoghi più interessanti. Mentre siamo lì entra quel signore distinto di cui sopra, ci saluta "'Sera... 'sera", epoi si prepara per andarsene a dormire.
Noi continuiamo con la nostra cartina, poi Carlo mi fa "Cosa sta facendo 'sto qui?". Visto che siamo noi tre soli in camera ci cominciamo a preoccupare, visto che il tizi ormai non più distinto rimane nudo come un lombrico in mezzo alla camera, si sistema le sue cose, va in bagno e via dicendo. Noi pensiamo, vabbè si rivestirà subito, gli daranno fastidio le mutande di notte, vai tu a sapere le abitudini all'estero. Visto però che il tipo ci prende gusto e rimane lì per una decina di minuti in totale, si scatena lo strafottente che c'è in noi, e partiamo con "'a zozzone, ma 'un ti vergogni alla tu' età?, a buho (c'eravamo da poco visti "Berlinguer ti voglio bene" di Benigni), facciamo a gara?" e tante belle cose del genere. Il tipo tranquillo continua, poi visto che noi continuavamo con le nostre cose, prende, si mette il pigiamino e se la dorme.
Noi ce la ghigniamo da morire, cerchiamo di non farci sentire, mica che se la prende e ci fa qualche scherzo, e ci domandiamo se prima della fine incontreremo qualcuno normale.

La capitale

E' sabato il giorno in cui ci rechiamo a Dublino, c'è il sole che ormai ci accompagna da diversi giorni. Scendiamo a St. Stephen Green, e ci incamminiamo subito in Grafton Street lì vicino: ci sono un sacco di negozi ma è ancora un po' presto per la ressa. Andiamo verso la città vecchia, dove non c'è praticamente nessuno, ma tanti palazzi e vie molto caratteristiche.
Non abbiamo una meta precisa, vogliamo solo andare alla fabbrica della Guinness, più io che Carlo comunque; per queste strade poco frequentate troviamo diversi bambini che giocano, con i vestiti mezzi rotti, come nei film, e scopro che la vita qui non è molto cambiata nemmeno con il boom economico per molta gente.
Giriamo per la città fino all'ora di pranzo, evitiamo la zona del centro che è per facoltosi e per turisti sprovveduti; io vorrei mangiarmi uno stufato all'irlandese, il piatto nazionale, ma non c'è verso di trovare un locale dove lo cucinino. Ci arrangiamo in qualche modo e poi ci dirigiamo verso la nostra meta; sulla strada, visto che ormai siamo sazi, troviamo un locale dove cucinano lo stufato e costa pure poco, mi sembra giusto, no?
La fabbrica è grande, con quel cancello nero e la scritta dorata. Frotte di turisti popolano questo luogo; entriamo e visitiamo il museo, dove vengono mostrate le tecniche di produzione e tutte le campagne pubblicitarie: le migliori sono quelle vecchie di Gilroy, con i fumetti e i cartoni animati. Il bello di questo posto è che è per tutti, bevitori e astemi, adulti e bambini: poso con una statua come ricordo, poi scendiamo al pub. Due pinte please, e va giù che è un piacere, ci abbeveriamo alla fonte; due al tavolo vicino lasciano una pinta praticamente immacolata e se ne vanno: io coincio a guardarla, dicendo adesso la vado a prendere, Carlo mi dice non fare così non guadare, fai finta di niente. Ma dico io, come si fa a far finta di niente? Alla fine resisto, mentre ce ne andiamo però continuo a lanciare occhiate a quel bicchiere pieno e mi piange il cuore lasciarlo lì solo.
Facciamo un salto al negozio con i gadget, mi compro i primi e ultimi souvenir e la maglietta tanto agognata, quella con l'etichetta della bottiglia scritta in gaelico.
Sono felice come un bambino, ora posso tornarmene a casa felice, anche se da qui non mi muoverei più. Per strada mi compro anche un flauto di latta che mi propongo di imparare a suonare una volta a casa.
E' ancora un po' presto, ci fermiamo al St. Stephen Green in attesa dell'autobus. All'ostello conosciamo due italiani di Avellino, parliamo dei nostri viaggi e delle nostre esperienze. Questa sera, per fortuna, niente strip.

Il parco di Glendaloch

E' l'ultimo giorno in terra d'Irlanda, domani prenderemo il traghetto alla volta di Holyhead e del Galles. Giriamo tutto il giorno nel parco, scopriamo angoli favolosi, piccole cascate, il tutto prima che arrivi l'orda di turisti da Dublino.
Visitiamo il cimitero nei pressi del vecchio monastero, mentre tanti ragazzini urlano; ce ne andiamo quasi subito, perchè non ci piace che si faccia così casino in un cimitero, solo per un fatto di rispetto, io vorrei fotografare una di quelle stupende croci celtiche, ma qualcosa mi frena, mi sembra di violare qualcosa, per cui mi farò dare una copia di quelle di Carlo una volta a casa.
Nel pomeriggio percorriamo strade solitarie, compriamo ancora qualche provvista nel negozio lontano e poi ci fermiamo vicino alla chiesa di St. Kevin; Carlo si butta sull'erba del giardino attorno, io entro a visitarla e scopro una chiesa molto semplice, non come le nostre. Mi fermo un po', c'è molta pace, e poi si sta al fresco; dopo un po' raggiungo Carlo, restiamo sotto il sole in silenzio, dopo tanto stare assieme c'è bisogno di silenzio.
Alla sera quel sugo all'aglio ci esce dagli occhi e lasciamo nella dispensa dell'ostello la bottiglia mezza piena. In camera si ripropone lo strip, questa volta più breve, ed un ragazzo olandese, entrando, vede 'sto qui che nudo se ne va in bagno, e ci guarda come per chiedere "Ma ho visto bene?". Noi capiamo al volo e gli rispondiamo "There's some strange people here". Lui scrolla la testa e se ne va, lasciandoci soli con il nudista e un altro paio di persone.
Andiamo a dormire perchè domani dobbiamo svegliarci presto per prendere l'autobus per Dublino, unico mezzo di contatto con la civiltà, che fa solo due corse al giorno.

La fortuna è giapponese

E' lunedì mattina, ci svegliamo all'alba, facciamo colazione e prepariamo le ultime cose prima di partire. Alla fermata dell'autobus ci siamo solo noi e altri due ragazzi. Passa l'orario, l'autobus non arriva; passa mezz'ora, niente.
E' il 2 agosto e mi ricordo di aver letto che forse è festa nazionale: trovo conferma tra i vari depliant che ci siamo portati e subito sale il panico; ora perdiamo il traghetto e restiamo qui.
Nell'ostello non c'è in giro praticamente nessuno, gli altri due ragazzi non si preoccupano perchè non hanno appuntamenti particolari; cominciamo ad agitarci, chiediamo informazioni alla signora della reception, ma anche lei ci dice che la soluzione migliore è cercare qualcuno lì in ostello che debba andare a Dublino, che oggi è festa e tutti sono a casa. Nel parcheggio fuori c'è un giapponese, che parla l'inglese peggio di noi: gli spieghiamo la nostra situazione, alla fine dice che se aspettiamo ci può portare, ma i tempi sono lo stesso stretti per l'ora che ci ha detto.
Telefoniamo a qualcuno che fa servizi di trasporto, ma dormono tutti: siamo praticamente disperati. E' in questo momento che torna il nostro giapponese e ci dice che partiamo subito, e io credo voglia dirci che siamo dei bei rompiballe.
Durante il viaggio parliamo un po' con lui, scopriamo che si chiama Masa, che anche in Giappone guidano a sinistra e che fa una fatica incredibile ad esprimersi in inglese. In mezz'ora siamo al porto di Dublino, lui vorrebbe portarci fino al terminal, ma noi gli diciamo di non disturbarsi, che andiamo a piedi; non fianiamo più di ringraziarlo, gli chiediamo se possiamo ricambiare il disturbo, lui dice di no, quasi spaventato, come se quel nostro gesto lo avrebbe potuto offendere: noi siamo ancora più stupiti e ci lasciamo con un sorriso e tanti in bocca al lupo. Ora non so dove sia il nostro amico, ma dalla rete parte il più grande grazie che sia mai stato inviato.
Siamo felicissimi, gli zaini pesano, ma noi ridiamo come pazzi mentre camminiamo, per esorcizzare la paura di poco prima; il porto è immenso, ma anche deserto, beh è festa.
Incontriamo un portuale in auto, e lo fermiamo per chiedere conferma della direzione del terminal. Ci chiede quale traghetto dobbiamo prendere, glielo diciamo, ci dice che il traghetto non c'è, io dico che non è possibile, cavolo, ci hanno venduto i biglietti, sempre influenzato dalla storia della festa nazionale, Carlo mi dice che lui ha capito che s'è rotto, il portuale conferma "Kaput!". Altra mazzata tra capo e collo, il portuale ci accompagna in auto al terminal, dove ci confermano il tutto: lui ci consiglia di farci un giro a Dublino, per passare il tempo, ma noi siamo carichi e sconsolati e restiamo lì; lo salutiamo e lo ringraziamo per tutto, lui dice che gli dispiace, figurati a noi.
Al check-in dicono che forse possono dirottarci a Liverpool in serata, per cui arriveremmo a notte fonda in Inghilterra. Vabbè, è una giornata così, aspettiamo e ci mangiamo qualche panino che ci è avanzato. Dopo tanti giorni andati bene, proprio ora devono uscire tutti i guai? Tanto la sala d'attesa si affolla di gente, alcune persone urlano arrabbiate.
Poi a mezzogiorno l'altra sorpresa: le hostess agitate ci dicono che sono riuscite a trovarci dei posti per tutti su un traghetto che parte da Dun Laoghaire, di muoverci che parte l'autobus per il trasferimento. Prendiamo tutto di corsa e ci precipitiamo fuori, mentre le hostess si abbracciano e si complimentano per aver risolto il problema.
Il traghetto fa un po' di ritardo, ma ormai siamo sicuri di partire; mentre ce ne andiamo il cielo è grigio, dopo tanti giorni di sole l'Irlanda ci saluta nello stesso modo in cui ci aveva accolti. Seduti ad un tavolino pensiamo a quello che ci è successo oggi, e se i casini sono finalmente finiti oppure no.

Serata gallese

Arriviamo tranquilli a Holyhead, da lì dobbiamo trasferirci a Bangor, dove siamo sicuri di trovare un letto, prima però avvisiamo che faremo un po' tardi, di tenercelo il posto.
Dalla stazione di Bangor si vede il castello, un'enorme palazzo tutto affumicato. Chiediamo informazioni sulla strada per l'ostello, e un negoziante ci fa perdere: per chiudere in bellezza ci manda infatti su per una salita che fa il 14% di pendenza, un cartello lo dimostrava, così come pure i nostri legamenti delle gambe. Maledendo quel buon uomo e ripromettendoci di fracassargli la vetrina il giorno dopo se l'avessimo rivisto, troviamo la giusta strada, e finalmente la nostra meta.
Sono le otto passate, abbiamo una fame boia, non ci laviamo nemmeno e torniamo in paese in cerca di un posto dove cenare; entriamo in un pub dove servono anche da mangiare e non costa molto, perfetto. Peccato che alla nostra richiesta ci dicono di aver già chiuso la cucina. Mentre ce ne andiamo ci ricordiamo di aver visto una pizzeria, così ricominciamo ad assaporare i sapori di casa.
La sfortuna non ci abbandona nemmeno a cena, infatti scoppia un temporale furioso proprio mentre iniziamo a mangiare. Per fortuna si calma un po', così possiamo dirigerci in un pub a farci una birra prima di rientrare, sperando che anche la pioggerella smetta. Torniamo in ostello davvero provati, con la sensazione di aver buttato molto tempo oggi.
Il giorno successivo ci avvicineremo al punto d'imbarco: Hull. Andremo a York presto, per poter vedere la città con calma. In camera incontriamo due ragazzi che abitano dalle nostre parti, chiacchieriamo con loro mentre a turno ci facciamo una doccia ristoratrice, poi a nanna.

Ultimi giri di valzer

Al mattino incontriamo nuovamente la pioggerella lasciata la sera prima, mi stupisce la sua leggerezza, mi bagna senza quasi farsi sentire mentre ci rechiamo verso la stazione.
Lungo il tragitto per York vediamo prima alcuni castelli gallesi, e poi vecchie fabbriche inglesi sorte all'epoca della rivoluzione industriale, con i mattoni rossi anneriti dal fumo. Questi elementi riescono a rendere triste anche una valle verdissima, al cui centro si staglia un borgo tutto nero di fumo: passiamo attraverso alcune città come Leeds e Manchester e la voglia di scappare è molto forte.
Arriviamo a York nel primo pomeriggio, la strada per l'ostello è lunga, ma è tornato il sole; si vede che siamo alla fine del viaggio, siamo molto provati, anche per il fatto di aver vissuto praticamente ogni minuto insieme per tre settimane, mentre prima ci si frequentava solo per qualche ora ogni tanto. E' stata un'esperienza unica, che ci ha fatto conoscere più a fondo e ci ha messo alla prova.
Alla sera, di fronte ad una Tennent's calda facciamo a memoria il riassunto di questi giorni: ridiamo sulle disgrazie superate, sulle persone incontrate, riflettiamo su quanto tempo sia passato e di come ricominceremmo tutto daccapo di lì a pochi giorni. La birra non è er nulla buona calda, si sente solo il sapore dell'alcol: la mente comincia ad annebbiarsi, è l'ultimo brindisi, dopo quello a Funari magiando mortadella a Perth, quello a Cragnotti, quando a Galway abbiamo trovato i pomodori Cirio (senz'aglio), quello a Tomas Milliam poco prima davanti ad una fagiolata che domani si farà sentire.
Ci restano solo due giorni: uno ad Hull, in attesa del traghetto, l'altro a Bruxelles, in attesa di tornare a Milano. In queste ultime ore parliamo poco, io, personalmente, sento di aver perso qualcosa, di aver realizzato un sogno, di aver trovato una cosa bella e tanto desiderata e di doverla lasciare, ma solo fino al prossimo viaggio.

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