Quotidianamente

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Giochi vitali
di
Federica Perra

Un nome un destino verrebbe da scrivere guardando all'intero iter creativo di Ivano Vitali. L'effervescenza vitalistica, infatti, ci appare quale nota dominante, quasi prevaricante di tutto il suo percorso, dagli esordi sino ad oggi.
Fin dalle prime installazioni degli anni Settanta, in quel dell'Impruneta, fatte di oggetti poveri, objet trouvè nel vero senso della parola, materiali scelti di volta in volta a seconda di una particolare necessità percettiva, con i quali dava vita a installazioni dalle forme estremamente libere e dal carattere volutamente effimero, sino alle performances degli anni Novanta, ironia, spirito ludico e vitalità ci appaiono appartenere emblematicamente al mondo inventivo di Vitali.
Ho voluto citare, non a caso, le installazioni degli anni Settanta per ritrovare quel che ritengo essere il nucleo precipuo dell'attività di Ivano. Egli inserendo l'arte nello spazio vivente della natura allora si richiamava ad una sorta di sacralità primitiva e antica contrapponendosi alla violenza della civiltà industriale, così la scelta di materiali artificiali quali le plastiche dei proiettili colorate in Cartucce del '78 o Non sparate…fate i fiori, dello stesso anno, in quella delle Sportine di plastica, solo per citare due esempi suscitavano uno straniamento provocatorio attraverso creazioni che si ponevano come nuclei attivi di energia e di sollecitazione sensoriale. Ora, tali caratteristiche, mi è parso di riscontrare, a distanza di circa quindici anni, nelle performances. Cambia naturalmente la materia da lui utilizzata, non più materiali di scarto, materiali poveri, ma la carta, e più precisamente quella dei quotidiani.
L'atto di nascita della scelta di tale medium si data ancora una volta alla fine degli anni settanta, quando Vitali “mette in scena” una delle prime performances: “Stelle filanti”, nella quale faceva a pezzi, lacerava pagine di quotidiani. Nata sotto la scorta di una suggestione grafica, e forte iconicità grafica possedevano anche le installazioni degli anni precedenti, questa performance tuttavia si connotava anche come forte atto contestativo. Perduta, a mio avviso, in gran parte tale componente la scelta della carta diviene piuttosto cifra linguistica peculiare delle sue azioni performative.
La stessa carta viene usata anche come materia da manipolare, modellare e lavorare.
Sono infatti di questi anni, e corrono parallele alle performances, le creazioni che mantengono quel legame mai scisso con la sua attività scultoria, creazioni che sembrano richiamare nella tattilità da materia scalpellata le suggestioni della pietra antica, e, che a volte, si arricchiscono del colore.
Ma è nelle performances che desidero focalizzare interesse e attenzione.
Vitali sembra aver scelto il contatto con il pubblico, riscoprendo e proponendo un'arte di aggregazione. Inventa spazi comunitari, situazioni per coinvolgere lo spettatore e immetterlo in una situazione vitale(!), in cui ognuno possa vivere insieme agli altri la propria esperienza.
Fare arte oggi mi sembra che riproponga il problema di comunicare in modo diretto con il pubblico.
L'elaborazione di immagini, di rituali simbolici può essere affidato a chi pur estraneo al mondo dell'arte, vuole contribuire operativamente, con la propria partecipazione personale.
Non vi è impegno a riconoscere significati in un'opera. L'opera d'arte non è oggetto d'indagine scientifica, ma possibilità di contatto con l'universale. Il contatto deve però essere diretto e individuale, non come atto mentale, ma attraverso il corpo e la materia.
La considerazione del ruolo dello spettatore è una questione attorno alla quale l'arte gioca oggi una delle sue partite più difficili, è qui che l'arte rivendica un'autonomia che è anche una profonda ragione di esistenza, è qui che manifesta una differenza sostanziale rispetto alla grande macchina della comunicazione. Porre al centro della creazione artistica lo spettatore è stata la grande utopia che ha caratterizzato il Novecento.
L'opera aperta degli anni Sessanta, il coinvolgimento dell'happening, la presenza del pubblico in carne ed ossa richiesta dalle performances, sono solo alcuni degli approcci che rivelano la sempre più spiccata inclinazione dell'artista alla comunicazione con il proprio pubblico e la volontà di attivare un processo di scambio fondamentale che dà luogo alla forma conclusiva dell'opera.
Lo spettatore ha così conquistato un ruolo sempre più importante nel gioco dell'arte e, a volte, sono proprio le regole del gioco che non gli consentono di restare passivo dinanzi a ciò che accade.
Così, complessivamente, dall'attività di Ivano Vitali ci sembra che emerga in maniera emblematica la volontà di mettere in gioco la coscienza, la fantasia, l'immaginazione, la creatività dello spettatore, attraverso la messa in moto di uno scambio, inteso come momento significativo, anzi, costitutivo del suo lavoro. C'è la volontà che lo spettatore, la gente vivano l'opera come un esperienza, in cui l'altro occupa una posizione a tutti gli effetti necessaria e in questo senso mi vengono in mente numerose performances realizzate da Vitali, spesso significativamente in spazi pubblici quali importanti piazze, o strade nella volontà di coinvolgere chiunque e allora rammento Lungo sacco di quotidiani sportivi color rosa, laboratorio d'arte, Lavoro un sacco, passeggiata d'artista e tante altre se ne potrebbero citare.
C'è, quindi, nelle azioni di Vitali un recupero delle aspirazioni dei movimenti avanguardistici degli anni sessanta e settanta.
Le azioni tendono sempre, inoltre, a creare tra artista e pubblico, una complicità rituale, certamente motivo essenziale di tutte le sue azioni performative. Vitali propone il più delle volte una realizzazione creativa, esente da premesse morali, o intellettuali, l'azione acquista senso e si completa nell'atteggiamento e coinvolgimento dei partecipanti che forniscono in tal modo all'azione i suoi significati, qualcosa viene previsto dall'artista, ma i significati trovati saranno possibilità impreviste suscitate dall'azione stessa.
In tutte le performances si inserisce inoltre un connotato di ritorno alle origini, di ritualità arcaica e, richiamandoci all'incipit iniziale e al facile gioco cui si presta il nome dell'artista, di gioia vitalistica, principale caratteristica del suo fare performativo.
Ironia e spirito ludico, un arte come gioco in cui il gioco deve essere inteso come la prima relazione che si instaura per conoscere il mondo. Ancor più del materiale privilegiato ormai da molti anni, cioè la carta, individuerei, dunque, il nucleo più interessante della sua attività proprio in tale componente ludica. Forse nella convinzione che i linguaggi dell'arte non sono poi così distanti dalla gente “comune”, ma praticabili e accessibili a tutti, la prima chiave di lettura dell'arte diviene allora praticarla materialmente, offrendo di volta in volta schemi all'interno dei quali lasciare alla creatività dei singoli il compito di sviluppare, allargare, arricchire il GIOCO.
……..Senza tuttavia dimenticare che il gioco, anche quello che sembra il più spensierato, a volte diviene riflessione amara sulla realtà per scoprirne i punti deboli.
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Quotidianamente di Bruno Sullo

Da qualche anno Ivano Vitali utilizza per i propri lavori i fogli dei giornali quotidiani, un materiale illustre che già cubisti, dadaisti e futuristi hanno impiegato per i propri collages; Vitali lo interpreta in una singolare prospettiva a metà strada tra semiotica (aspetto visivo dei fogli) e semantica (i messaggi in essi contenuti, cioè gli articoli).
Nelle sue azioni in pubblico spesso l’autore si produce in una serie di strappi operati sui fogli di giornale, che, ridotti in sottili strisce, invadono con provocatorio disordine il suolo. Le stesse strisce possono essere utilizzate in diversi altri modi, dallo stivaggio in capaci sacchi di carta (di giornale, s’intende!), all’inserimento in opere visive da presentare attaccate alle pareti, al confeziona-mento di singolari indumenti e costumi da indossare in altre performances.
Nella presente mostra, dal titolo significativo, Vitali propone alcune delle forme in cui le strisce compaiono con particolare evidenza e significatività, ora opere autonome ed autosignificanti, ora oggetti che rimandano e documentano il loro impiego come strumenti di altri momenti creativi dell’artista.
In questa integrazione, ed in fondo anche ambiguità, tra la creazione e la documentazione, tra il fine ed il mezzo, risiede la particolare fisionomia della mostra e il suo interesse.
 

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