SHOMÈR MA MI-LLAILAH
(Vedetta, quanto resta nella notte?)

La notte è quieta, senza rumore,

c’è solo il suono che fa il silenzio,

e l’aria calda porta il sapore

di stelle e assenzio.

Le dita sfiorano le pietre calme,

calde di un sole memoria o mito,

il buio ha preso con sé le palme,

sembra che il giorno non sia esistito.

Io, la vedetta, l’Illuminato,

guardiano eterno di non so cosa

cerco, innocente o perché ho peccato

la luna ombrosa.

E aspetto immobile che si spanda

l’onda di tuono che seguirà

al lampo secco di una domanda

la voce d’uomo che chiederà:

“Shomèr ma mi-llailah?”

sono da secoli, o da un momento

fermo in vuoto in cui tutto tace,

non so più dire da quanto sento

angoscia o pace.

Coi sensi tesi fuori dal tempo,

fuori dal mondo sto ad aspettare

che in un sussurro di voci o vento

qualcuno venga per domandare.

E li avverto, radi come le dita,

ma sento voci, sento un brusio,

e sento d’essere l’infinita

eco di Dio.

E dopo innumeri come sabbia,

ansiosa e anonima oscurità,

ma voce sola di fede o rabbia,

notturno grido che chiederà:

“Shomèr ma mi-llailah?”

“La notte, udite, sta per finire,

ma il giorno ancora non è arrivato,

sembra che il tempo nel suo fluire

resti inchiodato…

ma io veglio sempre, perciò insistete,

voi lo potete, ridomandate,

tornate ancora se lo volete,

non vi stancate.”

Cadranno i secoli, gli dei e le dee

cadranno torri, cadranno regni,

e resteranno di uomini e idee,

polveri e segni.

Ma ora capisco il mio non capire,

che una risposta non ci sarà,

che la risposta sull’avvenire

è in una voce che chiederà:

“Shomèr ma mi-llailah?”