TECNICHE DI INTERVENTO MINIMALE PER LA CARIE

Resoconto del Simposio dell'Associazione Internazionale per la Ricerca Dentale (IADR), Singapore 1995

 

Autori vari, J Public Health Dent 1996; 3, Special Issue

 

La carie è in consistente declino, da due-tre decadi, nei paesi industrializzati, mentre è in aumento in quelli meno sviluppati e continua a rappresentare un problema di salute pubblica in molte popolazioni svantaggiate, anche all'interno dei paesi più sviluppati.

In tutte queste comunità le carie non trattate sono la maggior parte (il 90% circa in Africa) e progrediscono fino a uno stadio in cui è possibile solo l'estrazione del dente. Questo tipo di intervento è di gran lunga il più diffuso nei paesi in via di sviluppo, occupando quasi totalmente il tempo del personale odontoiatrico disponibile, sia locale sia volontario proveniente dalle nazioni più fortunate.

Per superare l'ostacolo rappresentato dalla necessità (che un trattamento convenzionale richiede) di disporre di apparecchiature costose e di personale altamente qualificato o quanto meno di elettricità e di acqua potabile pressurizzata, sono stati introdotti i cosiddetti sistemi di trattamento minimale della carie. Un incoraggiante sviluppo in questo campo è rappresentato dal trattamento restaurativo atraumatico (ART) che prevede la rimozione solo manuale dei tessuti cariati e l'otturazione della cavità con materiali adesivi, che sono anche usati per sigillare solchi e fessure.

Questa terapia è stata applicata dal dottor Frencken nello Zimbabwe a metà degli anni '80 e poi dal dottor Phantum-vanit in Thailandia, entrambi in collaborazione col dottor Taco Pilot del Centro Ricerche per la Salute Orale dell'Università di Groningen (Olanda), che lavora per l'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Attualmente è utilizzato in venticinque paesi.

Il dottor Pilot nella sua introduzione sottolinea come lo scopo del Simposio sia non solo presentare i risultati ottenuti sul campo e controllati con studi seri, ma anche rivedere i presupposti scientifici su cui si basa l'ART e promuovere ulteriori ricerche.

Il dottor Horowitz (USA) pone degli stimolanti interrogativi:

- vista la limitata quantità di ricerche finora condotte, è etico usare una procedura come l'ART - per converso, dato lo stato della carie in molti paesi in via di sviluppo, è etico non usarlo?

- se pensiamo sia giusto applicarlo nel mondo meno sviluppato, perché non applicarlo anche nei paesi industrializzati, nei gruppi di popolazione che per ragioni socioeconomiche non hanno accesso alle cure tradizionali, o per terapie a domicilio a persone inferme o negli istituti per handicappati?

 

Il dottor Frencken (Zimbabwe) descrive dettagliatamente l'ART:

Lo strumentario necessario è semplice: 1 specchietto, 1 sonda, 2 pinzette, 1 scalpello, 2 escavatori (piccolo e medio), 1 piastra di vetro, 1 spatola e 1 strumento doppio applicatore/modellatore; 1 sorgente luminosa su montatura per occhiali con una batteria ricaricabile, guanti, rulli di cotone, pellets, 1 cemento vetro-ionomerico polvere/liquido, 1 condizionatore dentinale, vaselina, cunei, strisce in plastica e acqua pulita.

 

Tecnica: Per consentire una posizione paziente/operatore accettabile, si usa un appoggiatesta leggero, inseribile al lato corto di un tavolo, imbottito con un cuscino, pieghevole. La rimozione manuale del tessuto dentale decalcificato consente di evitare l'anestesia, il dolore è minimo o nullo e la paura del paziente per l'ago esclusa;

- si isola il dente con rulli di cotone, si pulisce la superficie da trattare con un batuffolo impregnato d'acqua, la si asciuga con altro cotone;

- si allarga, se stretto, l'ingresso smalteo alla cavità, ruotando avanti e indietro la punta di uno scalpello, rimuovendo così anche lo smalto non sostenuto da dentina;

- con l'escavatore piccolo e/o medio si rimuove prima la carie alla giunzione smalto-dentinale: una pulizia attenta di quest'area è necessaria per consentire un buon sigillo del restauro. Si detergono i detriti con un cotone imbevuto d'acqua non troppo fredda;

- la rimozione del tessuto cariato più prossimo alla polpa è lasciata per ultima, in modo che l'eventuale dolore sia più breve e alla fine della procedura;

- solo per le cavità molto profonde si applica una pasta indurente di idrossido di calcio, su una zona limitata per non ridurre l'area di adesione del materiale da restauro;

- si detergono il meglio possibile, con sonda e cotone bagnato, i solchi da detriti e placca, si strofina sia la cavità che la superficie occlusale con il condizionatore dentinale per 10-15 sec. Si passa più volte un cotone bagnato e poi uno asciutto;

- miscelati opportunamente polvere e liquido, si inserisce il materiale nella cavità con l'estremità piatta dell'applicatore, zeppandolo con cura negli angoli, servendosi della parte smussa dell'escavatore. Una piccola quantità di vetroionomero è posta nei solchi;

- con il dito inguantato e umettato di vaselina, si applica alla superficie occlusale una leggera pressione per qualche secondo, quindi si rimuovono i più grossi eccessi, si testa con carta di articolazione l'occlusione (il film di vaselina lasciato sul materiale lo protegge dalla saliva). Di solito solo piccole eccedenze vanno rimosse;

- ritestata e aggiustata l'occlusione si copre con vaselina e si istruisce il paziente di non mangiare per un'ora.

Per le cavità approssimali si usano le strisce di plastica e i cunei.

Il tempo medio per una cavità a una superficie è di 22 minuti.

E' disponibile un manuale dettagliato in molte lingue per studenti in odontoiatria e per i vari operatori dentali esistenti nei diversi paesi. Corsi pratici presso cliniche sono stati avviati in 19 nazioni.

La tecnica si presta ad essere applicata nei villaggi dove è distribuita gran parte della popolazione del mondo meno sviluppato. Nelle scuole è spesso efficacemente affiancata da programmi di prevenzione (comprendenti lo scaling).

Il dottor Phantumvanit (Thailandia) è autore dello studio controllato più significativo sui risultati a distanza. Sono stati riesaminati dopo 1, 2 e 3 anni 240 restauri occlusali; erano giudicati accettabili quelli con fessura marginale e usura superficiale inferiori a 0.5 mm; risultarono tali a un anno il 93%, a due anni l'83% e a tre anni il 71%.

I dottori Simonsen (USA), Amerongen (Olanda) e Ismail (Canada) hanno fatto il punto sulla ricerca interessante i vari problemi dell'ART. Le principali conclusioni sono state le seguenti:

- il destino del tessuto cariato lasciato sotto le otturazioni in CVI non è ancora ben noto. La restrizione del substrato disponibile e il rilascio di ioni F hanno un effetto inibente sui microrganismi cariogeni. E' dubbio però se questa influenza sia sufficiente ad arrestare il processo carioso.

In attesa di ulteriori ricerche rimane l'indicazione a rimuovere tutta la carie prima di un restauro in CVI. Viene giudicato preferibile però lasciare del tessuto cariato piuttosto che non trattare la carie o estrarre il dente nelle situazioni in cui questa sia l'alternativa concreta;

- al presente l'uso dell'ART è limitato sui denti posteriori, alle cavità di dimensioni piccole o medie, a una sola superficie, data la scarsa resistenza all'usura e la debole forza coesiva dei CVI disponibili per questa tecnica. Anche la loro ritenzione quando sono impiegati come sigillanti dei solchi, è limitata.

Non è irrealistico pensare però che in un futuro non lontano si rendano disponibili nuovi CVI, oppure materiali ibridi o resinosi in grado di assicurare miglior adesione, minor microinfiltrazione, maggior potere remineralizzante e maggior resistenza meccanica, pur conservando la semplicità d'uso degli attuali materiali. Ciò renderà possibile l'impiego dell'ART per cavità (sottoposte a stress funzionale) più ampie e a più superfici, migliorando anche la durata delle sigillature.

 

(da RIV. Di OD. AM. DI BRUGG 2/97)