ATM E ALGIE FACIALI: REALTA' E LEGGENDE

(F.Mongini - ATM e muscolatura cranio-cervico-faciale - UTET)

 

Per le patologie caratterizzate da dolore craniofaciale cronico e/o ricorrente sono state e vengono tuttora avanzate ipotesi e teorie eziopatogenetiche e proposti comportamenti terapeutici completamente diversi tra loro. Ciò è spesso causato dalla tendenza ad attribuire valore di legge a teorie non suffragate da dati scientifici consistenti ed alle conseguenti incongruenze nell'individuazione dei meccanismi patogenetici e nella formulazione della diagnosi. Uno dei più frequenti errori diagnostici consiste nell'attribuire a "disturbi" o "disfunzioni" dell'ATM una gran quantità di sintomi che palesemente non sono di origine articolare. La causa di tali disturbi è poi molto spesso individuata in "alterazioni occlusali" di varia natura. Questi errori potrebbero essere evitati se il clinico ponesse sempre mente ad alcuni punti essenziali:

1) Nel distretto cranio-faciale l'ATM non rappresenta la fonte di dolore più importante e frequente. Il dolore di origine muscolare è ben più frequente. Un altro tipo di dolore, scarsamente considerato ma non raro, è quello psicogeno (algia faciale in disturbo somatoforme).

2) Un dolore localizzato in zona geniena e/o preauricolare, sia spontaneo che provocato dalla palpazione, non è necessariamente ascrivibile all'ATM, in quanto esso può frequentemente essere dovuto alla proiezione di un dolore miogeno che origina dai muscoli massetere o pterigoideo laterale.

3) Alterazioni occlusali vengono riscontrate nella stragrande maggioranza della popolazione. E' perciò estremamente probabile che esse siano presenti anche in pazienti con dolore craniofaciale, ma ciò non autorizza a postulare automaticamente l'esistenza di un rapporto di causa ed effetto tra i due fattori. In tal senso una distinzione fondamentale si pone tra alterazioni occlusali dislocanti e non dislocanti.

4) La presenza di una blanda sintomatologia di tipo articolare (quale, ad esempio, un lieve rumore di schiocco) in un paziente sofferente di cefalea e/o dolore craniofaciale imponenti non deve indurre a considerarlo necessariamente come un "paziente ATM" ed a programmare, in prima istanza, interventi di natura ortopedica o, addirittura, chirurgica. Il sintomo articolare può infatti essere l'epifenomeno di un problema neuromuscolare, senza però essere la causa del dolore che affligge il paziente.

5) I pazienti in cui il dolore craniofaciale è sotteso anche (o solo) a fattori eziologici sistemici sono numerosi. Tra questi il fattore psicologico (disturbo d'ansia o depressivo) è il più frequente. In tali pazienti il trattamento del disturbo dell'umore o personologico e prioritario e non rientra, com'è ovvio, tra i compiti dell'odontoiatra. Ciò non toglie che a questo trattamento non possano essere convenientemente associate terapie non invasive (biofeedback, esercizi, ecc.) che possono essere prescritte e gestite anche da un odontoiatra. Questi pazienti non devono peraltro assolutamente essere sottoposti ad interventi odontoiatrici irreversibili (protesici, ortodontici o di molaggio selettivo) fino a che permane il loro stato di malattia. In seguito, tali interventi vanno eseguiti solo se veramente necessari per il miglioramento delle condizioni di salute del cavo orale.

Tra le supposte cause "occlusali" delle algie faciali e dei disturbi dell'ATM che hanno in passato ingiustificatamente condizionato il comportamento clinico ricordiamo: l'assenza di una "guida del canino", la presenza di un "bilanciamento" occlusale, la non coincidenza della posizione in ICP con la posizione più retrusa della mandibola. La tendenza ad attribuire valore universale ad impressioni cliniche ricavate da osservazioni aneddotiche è purtroppo proseguita anche in epoca più recente con teorie ed approcci di tipo "chinesiologico". Mentre è indubbio che difetti posturali, alterazioni neuromuscolari ed alterazioni strutturali dei mascellari possano esaltare a vicenda i propri effetti, è quanto meno opinabile operare una rigida distinzione tra "patologie ascendenti" e "patologie discendenti". E' facile infatti dimostrare che i criteri clinici e le prove chinesiologiche in base ai quali tale distinzione viene fatta perdono le caratteristiche di riproducibilità qualora vengano ripetute in condizioni di "doppio cieco". Sembra quindi più corretto far riferimento a "patologie sovrapposte" ed analizzarle compiutamente con un esame clinico approfondito. La terapia mirerà a rimuovere, per quanto possibile, i fattori eziologici riscontrati.