White Queen


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l quartetto composto da Freddie Mercury, Brian May, Roger Taylor e John Deacon, per tutti gli anni in cui è stato musicalmente fecondo, è stato il miglior bersaglio della stampa del settore, soprattutto quella britannica. Salvo qualche rara eccezione i giudizi sugli album dei Queen sono stati caratterizzati dal leit-motiv << l’ennesima prova impalpabile di una band di cui ci dimenticheremo presto>>. Al di là del fatto che questo genere di accoglienza si sia ripetuto per quasi due decenni, neanche la tragica scomparsa del frontman ha placato questo accanimento. E’ un dato di fatto: i Queen non piacciono (e non sono mai piaciuti) a chi scrive di musica. Un sentimento inversamente proporzionale all’amore tributatogli dal pubblico. Con il loro ripetuto infrangere primati commerciali e con il caloroso benvenuto riservatogli ad ogni atterraggio in un Paese in cui non si erano ancora esibiti, i quattro rocker inglesi rappresentano il più celebre esempio di scollamento tra critica e opinione pubblica. Viene spontaneo, di fronte a un paradosso del genere, chiedersi dove abbiano sbagliato, di quale peccato capitale i nostri si siano macchiati per meritarsi tanta e tale acredine. La risposta almeno in parte si cela nelle pieghe della loro quasi ventennale carriera. Ripercorrere le innumerevoli vicende artistiche di cui il quartetto è stato protagonista consente infatti di individuare un comune denominatore tra esse, rappresentato dalla capacità di Mercury e soci di condurre una vita scevra da pregiudizi di adeguare la loro arte ai dettami del momento, mantenendo comunque un’impronta stilistica ben precisa. Qualche esempio? Partiti scrivendo sulla copertina del loro primo album <<niente sintetizzatori>>, hanno poi abbandonato la linea dura dopo qualche anno, con le tastiere suonate addirittura da ognuno dei componenti del gruppo. Per non parlare poi del passaggio dalle atmosfere ruvide (che qualcuno ha definito alla Led Zeppelin) di Queen o Sheer heart attack, alla spensieratezza funky e disco di Hot Space. Cambiamenti che, se in qualche artista avrebbero creato quantomeno un briciolo di imbarazzo, sono sempre stati affrontati con estrema naturalezza dai Queen. I sintetizzatori prima odiati e poi introdotti pesantemente? <<Non bisogna avere paura di ricredersi>>, hanno dichiarato ai giornalisti che glielo hanno fatto notare. La dance? <<Quell'album è nato a Monaco, dove frequentavamo una discoteca in cui furoreggiava quel genere. E' ovvio che ne siamo rimasti influenzati>>, è stata l'altrettanto candida risposta.
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*Brano tratto da: Christian Diemoz, "Le canzoni dei Queen", Editori Riuniti



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