Allora! di Gino Malvestio

Allora, aprite per bene le vostre orecchie, fate grande attenzione, che adesso vi spiego come si deve, per filo e per segno, quanto è successo.

E soprattutto come, realmente, è successo!

Certo, come no, quel ‘realmente’ lo faccio pesare si, perché in verità nessuno ha assistito al fattaccio, alla tragedia. Non c’era nessuno in quel momento, neanche gli spiriti, e quelle che si sentono in giro, ora, sono solo cattiverie, storie e fantasie, forse supposizioni nei migliori dei casi. Gli episodi come il mio, dove il testimone manca del tutto, sembrano accadere ed esistere apposta per procurare a certa gente il pane delle loro discussioni, e quindi permettere di dar sfogo alle loro doti creative. E non è mica cosa da poco, sapete, anzi è una fortuna che capita poche volte: solo in casi come quello che vi sto per raccontare, queste persone hanno la più completa libertà espressiva e l’assenza del fastidio di dover tener conto delle versioni dei protagonisti.

Una liberazione di impulsi ed energie!

Ma torniamo ai fatti, alla misera cronaca, a quella noiosa serie di azioni che è il corpo di questa storia. Quella sera ero uscito con Carter^ ed eravamo andati al Tocai, con la forte speranza di trovarci il Checco e il Borghe. Erano settimane che non ci si vedeva, e la voglia di tirare su un po’ di baldoria era alta. Li trovammo. Ed in effetti la serata superò ogni speranza. Ce la spassammo per bene, senza risparmiare niente su nulla...

Tornai a casa tranquillo e sereno. E ubriaco. Fradicio. Non ricordo di aver salutato i ragazzi, e nemmeno Carter che mi aveva riportato indietro. Per fortuna (tanto tempo fa Machiavelli disse: "La fortuna...la non ti fa mai un bene che all’incontro non surga un male") in casa non c’era nessuno e, stranamente, questo particolare l’avevo ben presente. Per il resto, le stanze mi giravano attorno vorticosamente, mobili e lampadari e televisioni e tende e pavimenti compresi! Ma queste sono cose del tutto normali in situazioni del genere.

Ero in cucina, ma non ne ero molto cosciente. Infatti mi spogliai completamente, abbandonando i vestiti per terra, e me ne scappai di corsa sotto la doccia. Doccia fredda naturalmente!

Un elettroshock sarebbe stato più gradito...

Non riuscivo a resistere, per cui mi sottrassi velocemente a quella tortura gelata. Così scoprii di essermi dimenticato la biancheria pulita. Porca troia! Mi asciugai in fretta e furia e ritornai in cucina, nudo come un maiale.

Morivo dal freddo!

I miei vestiti erano ancora lì per terra, dove li avevo lasciati, ma, per chissà quale strampalata ragione, i miei occhi si rifiutavano di accorgersene. E il freddo era davvero cane! L’alcol aveva mischiato per bene le carte nel mio cervello, a tal punto da indurmi a notare la gonna e la camicetta che mia sorella aveva acquistato quello stesso giorno. Accidenti a mia sorella, ha sempre il vizio di lasciare in cucina le sue ultime compere, come se gli oggetti dovessero abituarsi al nuovo ambiente un po’ alla volta! E così ebbi l’insalubre idea di indossare la gonna e la camicetta...

Capite, ero solo ubriaco! E avevo davvero freddo!

(Scusate, non date peso a queste mie considerazioni personali, che non hanno nulla a che fare con i fatti!)

E adesso arrivo al dunque.

Dunque, arrivò l’infarto. Che sia stato per la colossale bevuta, che sia stato per la terribile doccia siberiana, che sia stato per il destino, questo non lo so e, se devo essere sincero, ormai non mi interessa. Sta di fatto che arrivò. Un fulmine a ciel sereno, come si usa dire talvolta. Una fitta di dolore bestiale e basta, in un attimo lasciai orfano questo mondo.

Ma a volte la morte è solo un dettaglio, seppur non secondario.

Persi l’equilibrio e mi appoggiai, senza più controllo, al tavolo di legno massiccio che troneggia nella mia cucina. Facendo così, sfiorai una bottiglia di birra (molto probabilmente lasciata da mio padre), quel tanto che bastò a farla cadere a terra e seminarla in giro in un mare di pezzi. Non riuscii a trattenermi e scivolai su una sedia, seduto.

Sttucc!

Non sentii dolore - ero già morto! - ma, non capisco in che modo, sentii lo stesso il sordo rumore che fece il cono quando penetrò nel mio ano. Se lo avessi voluto, non sarei riuscito a beccarlo giusto giusto, quel cazzo di cono di un gomitolo di lana finito, che la mia cara sorellina aveva lasciato a se stesso sulla sedia!

E questa sarebbe la fine della storiella, anzi, la conclusione della cronaca, basata esclusivamente su avvenimenti certi.

Scena finale: io, morto stecchito, vestito deliziosamente con una minigonna nera e una camicetta rossa rossa, assolutamente privo di biancheria intima, seduto educatamente su una sedia e con un bel cono conficcato analmente. Per terra, una bottiglia di birra in frantumi.

La stessa scena che praticamente si presentò alle prime persone che entrarono in cucina. Che non furono i miei genitori, o meglio, non solo loro. La mattina dopo, un sabato mattina, contemplarono quello spettacolo anche due miei zii, una mia carissima amica, un mio carissimo amico, la vicina di casa...

Ora capirete sicuramente il motivo di questa mia presa di posizione, di questa mia intrusione. Non so chi devo ringraziare, ma non potevo lasciarmi sfuggire una così unica occasione. Avrò pur diritto di dir la mia, o no? Non potevo starmene tranquillamente addormentato con tutto quel chiasso che è stato fatto. Alle mie spalle! Non vi dico cosa non hanno sentito le mie defunte orecchie!

Di tutto! Praticamente di tutto!

Nonostante avessi, almeno quando ero in vita, una fama di persona riservata e poco incline a svelare i fatti suoi, decine e decine di persone erano pronte a giurare di conoscere da tempo i miei dubbi costumi sessuali.

C’era d’aspettarselo!, dicevano. Era nell’aria!, proclamavano. Sapevo tutto!, bisbigliavano. L’avevo capito!, assicuravano. E giù alla grande a raccontare episodi inediti, aneddoti significativi, stralci eclatanti di vita vissuta, comunque tutti vicende che, secondo queste persone, nascondevano, e neanche tanto velatamente, la mia ‘reale’ vita privata.

Ma, se devo essere sincero, non è stata questa la classica molla che ha fatto scattare tutto. In effetti queste persone, che poi mi conoscevano appena, si basavano tutte sulla scena poco edificante del mio ritrovamento. Voglio dire, anch’io nei loro panni avrei pensato male...

L’incazzatura me la presi al mio funerale!

Certo, non mi scomposi più di tanto quando il Don disse che "questo dev’essere un esempio forte e duro per i nostri giovani, attirati da falsi miraggi, da idoli ingannevoli... non si deve abbandonare la strada sicura e certa di Dio! Altrimenti si rischia di cadere nell’immoralità e nella depravazione!". Non mi offesi ad essere preso per modello di perversione e corruzione, no!, per un momento anzi mi sentii quasi utile...

Mi imbufalii solo quando mi giunsero all’orecchio i commenti sussurrati dei miei amici.

Antonia, una ragazza che ultimamente frequentavo spesso, disse che aveva "capito che qualcosa non andava in lui, molte volte sembrava distratto, non ascoltava i miei discorsi. Forse avrei dovuto far qualcosa, parlargli per capirlo di più, era un ragazzo così sensibile, così buono...". Come sensibile! Come buono! Perché non diceva invece che avevo una gran voglia di scoparla? Eh? Perché non lo diceva? E si che lo sapeva molto bene!

Ed Ettore? A lui spuntarono perfino le lacrime agli occhi quando dichiarò che ero uno dei suoi migliori amici (ma quanti migliori amici si possono avere?), che non aveva conosciuto persona più corretta di me! Balle! Mesi fa, durante una cena, l’avevo sputtanato davanti a tutti, con cattiveria. Da quel giorno mi aveva tolto il saluto. Ed ora ero uno dei suoi migliori amici? Ma và!

E quello chi è? Non è possibile! Il mio Direttore! Non ci credo! Non vorrà mica chiedermi un colloquio sul mio futuro anche adesso!

E poi lei, proprio lei...

Quando la notai, per poco non ribaltai la bara...

Viola! Lei non piangeva, gemeva! "Oh mio Dio, gli volevo davvero bene, ora l’ho capito. Lo amavo, l’ho sempre amato, ora lo so... oh mio Dio!". Ma che amato e amato, che stronzate sono queste! Se mi hai solo usato e basta, pur sapendo che avevo perso la testa per te! Al diavolo!

E poi avvistai Cater^. Stranamente lo vidi per ultimo, nonostante fosse tra i primi banchi. E fu lui a tirarmi un po’ su, quando lo udii pensare: "Cazzo! Ed ora chi mi ridà i soldi dei roller-blade che gli ho venduto!".