Scroll di Gino Malvestio

Le cifre col segno negativo scorrono veloci - fuochi d’artificio sparati uno dietro l’altro - verso la cima dello schermo scuro e, appena scompaiono, ecco che ne sopraggiungono di nuove, furiose, a rincorrere le prime. Uno scroll continuo e fluido, silenzioso, dal basso verso l’alto, che non conosce pause, premurosissimo nel dar dati di ogni genere. Un bollettino di guerra freddo come il ghiaccio.

Schiaccio il tasto "Power", il computer si spegne con un bzzzz seguito da un lampo. Le cifre ora non corrono più. Finalmente posso chiudere gli occhi. Resto così, al buio, per una buona mezzora, con il cervello scollegato e con un forte brusio di sottofondo. Solo quando li riapro mi rendo conto della realtà: intorno a me solo macerie, resti fumanti, rovine disseminate ovunque. Ma la cosa più brutta è che quel mare di detriti non è altro ciò che rimane della mia vita. Ossia niente.

Mi alzo, inciampo sulla mia ventiquattrore, il cellulare mi cade dalla scrivania. Inizio a vagare in mezzo a tutta quella confusione, con l’ansia di spiegare a me stesso come può essere accaduto quel disastro.

E tento di ricostruire.......

Non più di tre mesi fa del computer conoscevo a mala pena le fattezze, e questo mi era più che sufficiente. Non mi interessava sapere altro. Anzi, per dir tutta la verità, non più di tre mesi fa non mi interessava sapere proprio niente di niente, me ne fregavo! In parole povere ero un asociale, uno di quegli strani individui che a volte s'incontrano per la strada, che gli si legge in faccia lontano un miglio che si rifiuta di spartire qualcosa con chicchessia, che non vuole essere immischiato in alcuna faccenda. Stravagante, anticonformista, libero, anarchico, forse ero un pò di tutto questo, chi lo sa. Certamente facevo di tutto per disobbedire a quello che la maggioranza invece ubbidiva umilmente. Mi sforzavo di non seguire la corrente ed ero sempre bastian contrario. Non per nulla collezionavo licenziamenti su licenziamenti, mai che riuscissi a conservare un posto di lavoro per più di sei mesi, mai. Quando consideravo lesa la mia dignità di nobile proletario, quando ritenevo che gli ordini impartitemi fossero troppo ostili alla mia natura di uomo libero, allora mandavo a fanculo tutti e me ne andavo via di corsa. Uomo bianco non avrai il mio scalpo, dicevo! Per cui mi ritrovavo con molto tempo libero tra le mani, tempo libero che spendevo in gran parte a leggere, a leggere come un pazzo forsennato, romanzi e saggi, scrittori italiani e stranieri, poco conosciuti o del tutto ignoti. Addirittura, sbirciando sui giornali, prendevo accuratamente nota delle penne celebri che le case editrici di volta in volta suggerivano al grande pubblico, annotandole poi in un quaderno che avevo intitolato "Assolutamente da non leggere!".

Molti tra quelli che si consideravano miei amici mi etichettavano come un grunge, molto probabilmente per il mio abbigliamento. Può essere, vestivo come uno straccione. Però i miei vestiti non li compravo nelle boutique come facevano e fanno i giovani di allora e di adesso. I miei stracci erano davvero stracci, acquistati per poche lire in negozi per l’usato. Altro che moda, porca miseria, non c’era cosa che più odiassi. E i pochi soldi che avevo li buttavo per la musica, della quale ero un vero patito. Conoscevo tutti i gruppi emergenti del momento, di ogni parte del mondo, e ascoltavo proprio di tutto, dal rock alla classica, dal blues al jazz al gospel. Purché non fosse roba troppo famosa. Le cose che piacciono a tutti non hanno alcun sapore, dicevo. Per un po’ di tempo suonai, anche. Il basso. Ma la cosa durò poco, il sentirmi limitato e costretto in una band era troppo per me. Non sopportavo vincoli di nessun genere. Vincoli come l’auto per esempio, che consideravo - sembra un assurdo! - un limite alla mia libertà personale, una cosa da borghesi, da lobotomizzati. Preferivo di gran lunga adoperare i mezzi pubblici, il treno in primis, anche perché non facevo mai il biglietto! La patente ce l’avevo, ma l’avevo presa solo perché costretto dai genitori. Se fosse stato per me, ne sarei senza ancora adesso, sicuramente.

E quando saliva l’estate con tutto il suo caldo e la sua luce, allora mi scatenavo con l’autostop, e in quei casi mi sentivo davvero padrone di me stesso e della Verità assoluta. Vagabondavo da un posto all’altro, senza idee precise, mutando direzione ad ogni semplice folata di vento, senza alcun pensiero in testa, free as a bird dicevo, e soprattutto con poca grana in tasca. Così quando la finivo del tutto, mi davo da fare per trovare un lavoretto da niente, giusto per pochi giorni, giusto quanto bastava per riprendere il mio errare.

Fino a pochi mesi fa io ero tutto questo, ed ero orgoglioso di esserlo, e mai mi sarei sognato di voler cambiare. Ero così e mi andava benissimo, geloso di questo mio stile di vita, come se fossi stato il custode di un segreto enorme.

Solo enormi cazzate...

Grazie alle forti raccomandazioni di un amico di mio padre, fui assunto in banca. Entrai malvolentieri, già col pensiero di licenziarmi appena possibile. Mi assegnarono all’Ufficio Borsa. E così successe tutto molto velocemente. Mi addestrarono come si deve e in breve tempo mi impadronii delle conoscenze necessarie, divenni sempre più esperto, più pratico, più bravo. In pochi giorni seppi costruirmi un’ottima reputazione. Ero diventato un punto di riferimento per la clientela.

Poi cominciai ad operare anche in proprio, investendo i miei esigui risparmi. L’inizio della fine.

I piccoli capitali guadagnati si sommavano, diventando discreti capitali. Che nuovamente investivo. Continuamente. E soprattutto non sbagliando un colpo! In breve tempo il mio gruzzolo era diventato davvero consistente e non finiva mai di crescere. Di pari passo la mia vecchia vita, quella di sempre, mi scivolava via dalla pelle, come la schiuma del sapone sotto la doccia. Buttai i vecchi stracci e mi comprai dei vestiti nuovi, eleganti come quelli dei miei colleghi. Comprai la ventiquattrore in pelle. E continuavo a guadagnare. Passai al telefonino e poi al computer portatile, ultima generazione. E continuavo a guadagnare. Comprai l’auto, una bella Volvo station wagon e mi dimenticai dei treni e dei biglietti mai comprati. E continuavo a guadagnare. Week-end a Parigi, a Londra, viaggi in first-class, cene costose in bella compagnia. E i soldi continuavano a crescere, la Borsa tirava da matti, era come un gioco.

......

Ora la Borsa è crollata, due settimane di continui record negativi. E con la borsa sono crollato pure io. Me ne rendo conto solo adesso, che è tutto finito. Mi sento davvero una merda. Anzi, ad essere sinceri sono sempre stato una merda. Adesso, ma più ancora una volta. Bei principi erano i miei, proprio belli: libertà, anarchia, amore, povertà, musica, ecc., ecc.

Mi è bastato annusare il profumo dei soldi per dimenticare del tutto i miei ‘sacri ideali’. Già, gli ideali!

Ora non sono più niente.