Sizy di Gino Malvestio

Seduta sul sudicio sedile arancione dell’autobus, con le ginocchia che mi premono il seno per colpa dei piedi tenuti piazzati rigidi sullo schienale del vecchietto che mi sta davanti, sonnecchioso e stanco, entro finalmente in città rapita completamente da Your Blue Room dei Passangers, che mi penetra dolce nelle orecchie direttamente dal walkman, infilato nella tasca della mia giacca in pelle. La notte è definitivamente dappertutto, così come il cemento, che ha occupato quasi completamente il mio campo visivo. Strade, marciapiedi, case, palazzi, grattacieli, semafori, vetrine, bar, panchine, bidoni dell’immondizia, alberi in crisi d’ossigeno, auto veloci, gente che vive ovunque, spazi chiusi, spazi chiusi, spazi chiusi, dal finestrino sozzo e lasco non mi riesce di sorprendere nemmeno una povera anima di stella... Ora comincio a stare un po’ meglio, riesco ad inspirare ossigeno puro, a caricarmi. Nell’autobus c’è diversa gente rumorosa e questo mi da gioia; osservo febbrilmente ogni persona, leggo ogni faccia, assorbo avidamente ogni gesto.

Sottraggo attimi non miei.

Scendo ad una fermata del centro e mi affretto a passeggiare sola, senza sapere dove andare e cosa fare, almeno per ora, mentre gli auricolari mi passano un’emozionante Miss Sarajevo, tanto da riuscire a vedere una città devastata dalle bombe, tanto da vedere un pub dove ragazze un po’ brille attorno ad un tavolo intonano ritornelli sconci, e mi commuovo tanto pensando a questo, mi sento molto sola e desidererei davvero unirmi a quelle ragazze e cantare oscenità con loro, sembrano così felici e spensierate, belle, abbracciate una all’altra, a bere birra scura circondate da un’orrenda città...

Mi va proprio di camminare ed è appunto quello che sto facendo, l’aria è leggermente fredda, punge, mi stringo forte dentro alla pelle nera e profumata della giacca, così forte che mi viene da ridere quando mi sorprendo a riflettermi su una vetrina di un negozio di abbigliamento... anche i manichini sono felici, hanno il sorriso stampato sulla faccia di plastica, e indossano disinvolti i loro vestiti, anzi, se sto un attimo a fissarli senza farmi notare, mi rendo conto che si stanno sussurrando proprio qualcosa, qualcosa che non riesco ad afferrare, il vetro è troppo spesso, però è evidente che sono lieti di essere lì tutti insieme, tre manichini elegantissimi...

M’infilo in un bar e mi siedo ordinando un’acqua aromatizzata, estraggo dalla borsetta l’ultimo Feltrinelli che ho comprato, Destroy, della Santacroce, e continuo a divorarlo anche grazie a United Colours, che lascio scivolare a volume tranquillo. Poche righe e mi sparo a Londra, preda di ansie e depressioni allucinogene, persa tra feste tanto incredibili quanto squallide, a far l’amore ogni giorno con la noia, e in tutte le maniere. Tra una riga e l’altra mi arriva l’acqua che avevo chiesto, lo capisco dalla piccola vibrazione del tavolo sul quale sto appoggiata con i gomiti. Allungo la mano e la trovo, senza smettere di leggere un attimo, l’acqua scende giù in un colpo e lascia secco il bicchiere. Tradisco Londra e i suoi acidi solo quando sento che gli occhi di un tipo, di un tipo che presumo stia giù in fondo al bar, mi accarezzano troppo intensamente dandomi parecchio fastidio. La minigonna mi è diventata più corta ma non ho nessuna voglia di sistemarmi. Lascio i soldi sul tavolino e sorrido al tipo, che davvero è giù in fondo al bar. Me ne vado ma lui resta lì dov’è.

Ora so dove voglio andare, al cinema voglio andare, me lo ha suggerito Elvis Ate America, trattenuta a stento in sottofondo. Ho bisogno estremo di vita, di vita altrui. La trovo nel salone di un banale cinema, dove tanta gente aspetta calma di poter entrare. Ci sono molte coppie, davvero molte, probabilmente sono l’unica persona sola in quest’ambiente. Mi accomodo su di una poltroncina, accavallo con piacere le gambe bianchissime, e guardo, guardo fino a morirne... Una Lei sta ascoltando trasognata il suo Lui, non spende assolutamente una parola, ascolta beata e basta, affogando l’altro nelle proprie pupille... e io sento che mi sto impadronendo dei suoi occhi, si, dev’essere così, perché sto vedendo il ragazzo come lo sta vedendo lei, ed è bellissimo ora che gli sono così vicina, quello che sta dicendo non ha nessuna importanza, mi basta sentire il suo profumo forte entrare sicuro dentro di me, ho tanta voglia di accarezzarmelo e di baciarmelo, di spingermelo addosso... qualcuno apre le porte ed il fiume di gente esce dalla sala, appena in tempo per non incrociare lo sguardo di Lei, voltatasi improvvisamente verso di me.

La sala scompare nel buio totale, restano accese solo le indicazioni rosse delle uscite di sicurezza, iniziano a proiettare Nirvana di Salvatores, i ragazzi seduti dietro di me che si ingolfano di pop-corn li ammazzerei uno alla volta con un colpo di pistola a bruciapelo, qui dentro la temperatura sale vertiginosamente, tolgo la giacca di pelle, cade il walkman e solo adesso la musica si arresta, i Passengers stavano per attaccare Ito Okashi. Il film cresce lentamente, la matassa si dipana fotogramma dopo fotogramma, mi sembra di guardare dentro ad un caleidoscopio di colori e sonorità. Ho sete ma l’ultima cosa che farei è proprio quella di bere, so già che appena ingoiata l’ultima goccia la sete rinascerebbe forte come prima, tanto vale non crearsi inutili illusioni. La pellicola continua a scorrere, finché compare sullo schermo Naima, la ragazza dai capelli blu, e io finisco col diventare lei o lei me, non lo so. Mi piace sul serio, adoro il suo taglio di capelli, adoro il suo modo di guardare, adoro il suo vestire, il suo seno, il suo cervello privo di memoria, il suo amore senza speranza. Regina delle reti telematiche, regina senza storia e senza identità. Come me. In cerca di una vita, anche di una vita altrui, in mancanza di meglio. Come me.

Il film a quanto pare è finito, lo desumo dal fatto che sono rimasta sola in sala e le luci sono tutte accese. Sul grande schermo il film è sparito, certamente non nella mia mente. Capisco comunque che è il momento di andare, di uscire. A malincuore.

L’aria che fuori mi investe di colpo è davvero fresca, per un attimo mi spazza via certi grumi di pensieri. Il tipo del bar dallo sguardo insistente mi sta aspettando seduto nella sua auto, il motore gira perfetto al minimo, mi sorride. Mi volto a destra e a sinistra, i marciapiedi sono troppo vuoti e scorrono all’infinito, non c’è niente che li fermi.

Tanto vale salire...