Notte a Palenque di Gino Malvestio

La notte a Palenque è quasi altrettanto torrida del giorno, pesante sulla giungla, disumanamente umida. La luna sufficientemente tonda sembra pallida e debole, solo poca luce riesce a toccare queste rovine Maya, che restano così semi nascoste ai miei occhi, ingoiate dalla foresta che circonda asfissiante questo magico posto. Sono seduto in cima al Templo de las Inscripciones, le pietre sono bagnate e scivolose e, sotto di me, sotto il tempio, avverto la presenza inquietante della tomba del re Pacal, del re astronauta. Sono tranquillo ma non dovrei esserlo affatto, a quest’ora il sito è inaccessibile ai turisti, i cancelli sono stati chiusi da ore ormai. Ma volevo passare assolutamente una notte qui, ad ogni costo. Comunque nessun segno di guardie o controllori. Con me ho solo delle bottiglie di birra, mi terranno buona compagnia, e un piccolo taccuino. Voglio buttare giù degli appunti, delle impressioni, dei pensieri, qualsiasi cosa mi passi per la mente.Mi sono seduto sullo stesso gradino dove stamattina stava seduto un ragazzo rasta: aveva i capelli ingarbugliati in lunghe e pesanti trecce, la t-shirt macchiata di ogni colore possibile, i pantaloni corti verde militare con enormi tasconi ai fianchi, sandali di cuoio ai piedi. Era rimasto per ore fermo seduto dove sono io adesso, con la schiena appoggiata alla pietra antica, assorto in chissà quali pensieri. Mi aveva terribilmente incuriosito. Adesso tocca a me. Una decina di scalini più sotto un’iguana sbuca da una buia fessura, sosta all’aria pesante per qualche istante, e poi sparisce, non riesco a vedere bene dove. Chissà quanto vivono le iguane? Eh? Boh, non ne ho idea. Apro il quadernetto e, sulla prima e immacolata pagina, scrivo: Per ogni iguana c’è un cuore! Prendo una birra e me ne bevo un bel po’, poi continuo: giunto in cima ad un grande cumulo di pietre misteriose e notturne, tra me e me, è un po’ come trovarsi davanti alla grande onda fragorosa, che attendevo impaziente da eterni momenti, e aspettare ubbidienti di esserne travolti per intero, e cercare di capire di più... Poso la penna e con un pezzo di carta me ne tiro su una, che mi va via e mi finisce felice e deliziosa nei polmoni e nel sangue. E riprendo: capire di più... di più di cosa? Per esempio vorrei capire le linee ora mute ora chiassose della mia mano, seguirle sicuro con lo sguardo stanco di chi per ora vede solo il buio della nebbia ed è avido di luce... un angelo, un angelo desidererei incontrare in questo preciso momento e con lui scrivere storie straordinarie e fuori di testa, scrivere dei miei amici e delle mie idee, del mio amore e delle mie morti... impazzire dalla gioia e dal dolore di scrivere, che poi non si impazzisce mai per lo scrivere, ma per il vivere... Van Gogh seduto accanto a me e senza la metà di un orecchio, ecco quello che mi servirebbe, e osservarlo estasiato dipingere e piangere, piangere e impazzire, con i colori ancora freschi di pennello che trasudano dalla tela e mandano bagliori ad ogni pupilla vivente, come preziosi gioielli esposti senza vetri blindati a proteggerli, e farci su una chiacchierata senza capo ne coda, deliziosa... la cosa peggiore che può capitare ad un uomo è quella di smettere di sognare e di rinunciare ad amare... sognare, sognare...i sogni durano quanto la vita dell’uomo che li mette al mondo? o lo seguono nell’aldilà?... le pietre antiche e pesanti sulle quali sono sdraiato vivono di più?... Van Ghog me lo saprebbe dire senz’altro se solo sapessi sorprenderlo mentre dipinge... mentre dipingeva... caro Vincent, ti dirò che adoro alla follia le tue poderose pennellate sovraccariche come mai si è visto di colori pulsanti e vivi & caldi, sovraccariche di grano, di cielo, di cielo, di uccelli, di stelle spettacolari... "Me ne sto in gabbia" mi pare di sentirti urlare "me ne sto in gabbia, e non mi manca niente, imbecille! Ho tutto ciò di cui ho bisogno! Ma per piacere, libertà, lasciatemi essere un uccello come gli altri!"... mio Dio, cosa dovrei fare di questa mia vita?... Quante zanzare su queste strane rocce! Mi tolgo la maglietta, il caldo soffocante mi stringe alla gola, i mosquitos si organizzano in spietate squadriglie di caccia e infieriscono a intervalli regolari. Continuo: ... un pubblico mi ci vorrebbe, si, gente comunque disposta ad ascoltare le mie masturbazioni mentali, le mie fantasie neurali... ho una belva dentro al corpo, un mostro invisibile ma reale, certamente, che si aggrappa vilmente alle mie viscere, che mi soffoca i polmoni, che mi afferra il cuore, che mi annacqua il cervello, che mi alita in bocca, che mi costringe basso a terra come un verme, facendomi scivolare tra la polvere, non lasciandomi volare via come saprei fare, se non ci fosse lui, il bastardo... ora sento le gambe pesanti e sfinite, piccoli crampi ai muscoli cercano maligni di farmi credere di aver camminato tanto e poi tanto, di essere stanco per la fatica, ma so che non è così, lo so, so che invece è qualcosa di chimico... di semplicemente chimico e subdolo & cattivo... bile nera... già... ... ... Neal Cassady morì in Messico nel 1968, suicida, e lo trovarono disteso morto stecchito a fianco di lunghi binari freddi di ferro, insieme ad una bottiglia di birra... cosa cercavi vecchio & pazzo Neal? Cos’è che non sei riuscito a trovare, cos’è che ti rodeva il fegato tanto vigliaccamente? Ti prego, scendi dal cielo, e vieni a spiegarmelo, bellissimo angelo americano, barbone alcolizzato vagabondo lussurioso drogato & cannibale di vita, la tua, forza, e parlami schizzato & ansioso & febbricitante & allucinato come facevi con i tuoi vecchi amici - che amici! - agitando freneticamente le mani e spalancando gli occhi, dimmi davvero come stavano le cose per te... ti prego... Neal, nasciamo davvero con la strada davanti a noi già tracciata? La Strada? Dimmi! La dobbiamo proprio percorrere quella strada???... Diavolo! Solo adesso mi accorgo di non aver scritto praticamente niente! Un inconsapevole raggio di luce ha illuminato più del solito il taccuino che ho tra le mani e sulle sue pagine ci sono solo scarabocchi, segni insignificanti, lineette, cerchietti banali. Cazzo, la penna funziona male e non me ne sono accorto subito. Cazzo! Proviamo con questa......ad... adesso... adesso sono solo su questi gradini grondanti e mi sento davvero solo e... e penso proprio di non aver voglia di restare solo così in questo modo, non un altro minuto in più, con tanti fantasmi in giro, proprio non voglio... adesso, adesso vorrei tanto avere vicino a me una ragazza che so io, che so solo io, e ci vorrei parlare tanto con questa ragazza, tanto da farmi seccare la gola, nonostante le birre che ancora mi rimangono... parlare delle cose più stupide e banali e normali di questo mondo, solo di cose normali, e niente altro... con questa ragazza, io e lei, a sudare insieme sopra questo Tempio così scuro e umido... guardare solo nei suoi occhi e in nessun altro posto, tenere il mio sguardo su di lei e basta, ascoltare solo la sua voce e nessun’altra voce... desidero molto questo, dimenticare la belva...