Luce di Gino Malvestio

Visioni marmoree e gelate.

Scivolavo lungo una parete fredda come il ghiaccio, a pochi cechi centimetri, inghiottito da un gorgo vorticoso di luce nera e impenetrabile, al pari di una mosca annegata che viene trascinata via verso uno scolo invisibile.

... continuavo a scivolare instancabilmente...

Dapprima sembrava strano, quasi bizzarro, non c’era niente di preoccupante o di grave. Solo questo scendere continuo, ininterrotto, a picco.

Finché non iniziai a sentire un rumore, all’origine un rumore lievissimo, appena appena percettibile, come un fruscio, come un sussurro. Una carezza vellutata ai miei timpani assopiti. Poi capii cos’era. Era il suono del mio scivolare, del mio discendere, del mio cadere. Non mi fermavo mai. E non toccavo niente, né niente toccava me, assolutamente. E neanche sentivo l’aria colpirmi in faccia o scivolare tra i capelli, decisamente no. Non un filo di brezza, non una corrente, non un soffio. Nulla. Nulla. E non rotolavo intorno a me stesso, non ruzzolavo nel buio. Ero fermo, non muovevo un dito. Il mio stomaco stava al suo posto, non mi era saltato in gola a causa di quel continuo scendere. A dire il vero, non concepivo nemmeno il fatto di possedere un dito e uno stomaco. Però avevo la precisa e netta sensazione di cadere. Di cadere eternamente.

Poi quello strano suono si trasfigurò, aumentò d’intensità, diventò ben udibile, chiaro, sino ad essere ossessivo. Simile a un sibilo. No, forse ad un grido. Un grido non emesso da uomo.

Alla fine l’urlo s’impadronì di ogni cosa, ammesso che esistesse qualcosa, e poi l’annullò. La strana impressione del cadere scomparve improvvisamente, come scomparve improvvisamente l’altrettanto strana percezione della parete fredda, del buio, dello spazio, del tempo, della mosca che precipita. Prese la mia mente e la tagliò, come una lama affilatissima.

Una teoria infinita di immagini, innumerevoli, immagini pennellate con colori vivacissimi, tridimensionalità animate e vocianti, tutte prese a fuggire dalla mia mente aperta in due, tutte prese ad inseguirmi e a starmi sul collo come zecche impazzite. Crudeli. Senza concedermi scampo. E tutte a ricordarmi qualcosa...

La spada tagliente poi passò oltre, aveva finito con la mia mente. Una cosa veloce.

Quindi si accanì sulla mia anima. Colpi brutali e spietati.

E mi sentii perduto...

... solo la mano magra e robusta di un angelo dai tratti familiari a trattenermi...

*****

Ora c’è molta ansia nell’aria, e si avverte bene. Il cibo che mi giunge dal cordone non mi dà più la stessa energia di sempre, sembra più acido e meno liquido, e poi è diminuito. Anche l’aria che respiro non è più quella che conoscevo, serba in sé qualcosa di strano, qualcosa di elettrico. Stiamo per arrivare al sodo... sono stato avvertito.

Per la donna di cui occupo momentaneamente il corpo, per quella che è mia madre, per quella che un giorno pronuncerò affettuosamente la parola "mamma", sarà un grande evento, l’epilogo di una lenta speranza. Sarà davvero una gioia per lei? Mah, che ne so, di questo non mi hanno detto niente. Non fa parte dei patti sapere anche questi aspetti. Di solito la madre è felice della nascita del proprio figlio. Di solito! Ma forse, pensandoci bene, conoscere i suoi reali sentimenti non è di così fondamentale importanza. L’importante è che mi si lasci uscire di qui, nascere e crescere quel poco che basta, il minimo indispensabile e dopo... e dopo me la posso cavare anche da solo... anzi, me la devo cavare da solo.

Qui dentro, ora, mi sembra semplice, un gioco da ragazzi, ho tutto bene impresso in mente, ho imparato la lezione perfettamente, da certi errori mi terrei tranquillamente alla larga, sicuro. Conosco il segreto, senza alcuna ombra.

Bel segreto, il segreto! La scoperta dell’acqua calda, si potrebbe dire. E’ tutto così lampante, è tutto così chiaro, limpido.

Il liquido vitale nel quale sto nuotando da mesi ha cambiato temperatura. Lo sento leggermente più caldo. Un tantino. Odo il cuore di questa donna rintoccare più forte, come il suo respirare, irrequieto. Chissà com’è mia madre! Giovane? Mora? Bella? Devo solo avere pazienza, e neanche tanta. Le contrazioni sono aumentate. Chissà che tutto fili liscio. Come l’olio.

Ma quando uscirò di qui, un centesimo di secondo dopo, mi verranno rimescolate le carte, l’intero mazzo, e non saprò più tirar fuori l’asso così, come saprei fare adesso senza perdere un attimo, senza dovermi imbrattare di dubbi. Adesso, in questa calda spelonca, so tutto, ho visto quel che c’era da vedere. E’ stato al tempo stesso spaventoso e bellissimo, da impazzire, da non starci dietro con la testa. Mi è stato concesso il privilegio di capire, di capire quello che si poteva intuire tranquillamente prima, se non avessi volutamente tenuto gli occhi e le orecchie chiuse, sigillate. Se non avessi strangolato il mio cuore...

Ora però sta veramente succedendo qualcosa, il liquido che mi avvolge teneramente sta prendendo una certa direzione, si sta muovendo piano piano. Sta per accadere tutto di nuovo, un altro turno, un’altra chance. E io non vedo l’ora di uscire, non vedo l’ora di accogliere il mondo nelle mie braccia e di accarezzarlo e di baciarmelo. Non sto più nella pelle, davvero, sono pronto a correre e correre daccapo, a ridere e a piangere, a vivere e a morire.

Solo una cosa mi spaventa, mi intimorisce, mi fa rabbrividire. Ho paura di dimenticare un parola, una parola sola, importante più del sole e dell’acqua e dell’aria. Ho paura di dimenticare il segreto che adesso conosco.

Il segreto dell’Amore.